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venerdì 28 giugno 2019
I “punti di contatto” di Bitcoin: quando inizierà il prossimo Ciclo di Gartner
di Francesco Simoncelli
Siamo agli inizi di un nuovo bull market di Bitcoin, esploriamo quindi ciò che sappiamo sulla base delle osservazioni dei quattro principali cicli di hype che Bitcoin ha già attraversato. I bull market iniziano lentamente, a causa di un eccesso di offerta potenziale. In primo luogo, i protagonisti sono coloro che avevano acquistato a prezzi più alti nel ciclo precedente e stanno cercando di "pareggiare i conti" in modo da sfuggire alle loro posizioni, oltre alle whales che avrebbero desiderato uscire ai massimi. Prima che sia chiaro che sia iniziato il bull market, c'è un periodo di costante accumulo quando le "mani deboli" vengono liquidate e rimpiazzate da "mani forti" che hanno una convinzione di lungo termine nel valore di Bitcoin.
In un bear market le buone notizie non contano, ogni rally viene venduto e le speranze vengono schiacciate. Il bull market è il contrario: le cattive notizie non contano più e ogni ribasso è comprato da acquirenti alla ricerca di punti d'ingresso adeguati in Bitcoin. Una volta superato il precedente massimo storico, non sussiste più un eccesso di offerta e il prezzo è libero di correre. Qui è quando la salita di prezzo di Bitcoin inizia ad accelerare il suo ritmo. Una volta che viene raggiunto un nuovo picco, nuovi rialzi scatenano una frenesia che si alimenta da sola. L'attenzione dei media torna ruggente ed i nuovi arrivati sono attratti dal fascino dei profitti rapidi, cosa che porta i prezzi a salire ancora più velocemente e alla fine raggiungono un crescendo sostenuto.
L'azione dei prezzi di Bitcoin è di natura parabolica durante un bull market. Ciò significa che gran parte della salita del prezzo avviene in un breve lasso di tempo alla fine del bull market. La salita di $5000 nel bull market precedente è arrivata nel giro di pochi giorni. Ci saranno diversi momenti durante il bull market in cui false correzioni verranno erroneamente chiamate "massimi". Diversi commentatori di spicco hanno commesso lo stesso errore quando Bitcoin arrivò a $5000, $9000 e $15.000 nel precedente bull market. Lo stesso accadrà di nuovo in questo rally.
Un segnale che ci suggerisce che un bull market di Bitcoin sta volgendo al termine è il poco criterio nel trading. Inoltre tra i principali segnali d'allarme: grandi differenziali tra exchange, grandi "gap" di prezzo e l'incapacità degli exchange di rimanere aperti durante il folle rush finale di speculatori motivati dal profitto sfrenato. Pochissime persone anticipano correttamente un picco di mercato e la maggior parte delle persone rimarrà scioccata quando arriverà. Quello attuale è il bull market in cui Bitcoin raggiungerà un significato geopolitico, quindi tutti staranno a guardare. La frenesia raggiungerà vette finora solo immaginate..
Quante volte avete sentito parlare di Bitcoin prima di essere stati pronti ad acquisirne un po' o, come minimo, studiarne l'importanza? Il numero di "punti di contatto" è un fattore importante nel processo di monetizzazione di Bitcoin. Ora sappiamo che tale processo si dipana lungo una serie di cicli di hype in cui la grandezza di ogni ciclo è definita dalle persone "raggiungibili". Quali persone hanno definito i cicli precedenti? Il primo ciclo di hype nel mercato di Bitcoin è stato dominato da crittografi e cypherpunk, i quali erano già pronti a comprendere l'importanza dell'invenzione rivoluzionaria di Satoshi Nakamoto.
Ma anche tra la coorte di crittografi e cypherpunk, pronti a comprendere Bitcoin, alcuni dei più brillanti necessitavano di più punti di contatto prima di essere convinti che Satoshi avesse "inventato" qualcosa di rivoluzionario. Il secondo ciclo di hype attirò quelli con un'affinità ideologica per il potenziale di Bitcoin in senso socio/economico (vale a dire, i libertari e gli Austriaci).
Una lezione da trarre qui è che se una persona non è raggiungibile in un particolare ciclo di hype, non ha alcun senso cercare di convincerla dell'importanza di Bitcoin. Nel migliore dei casi lo vedrà come una rapida opportunità di trading. Per essere "raggiungibile" dal potenziale di Bitcoin, la maggior parte delle persone dovrà averne sentito parlare più volte da più persone di cui si fida. Un segnale che un nuovo gruppo diventerà raggiungibile è che una persona rispettata al suo interno diventa un "evangelizzatore" per il gruppo. Un po' come è accaduto con il CEO di Twitter.
Un altro modo in cui una persona può essere raggiunta è se ha usato o comprato una piccola quantità di Bitcoin (o l'ha ricevuta in regalo) e ha visto com'è cresciuta nel ciclo precedente. Questo tipo di persone sarà già consapevole del potenziale finanziario di un'allocazione più ampia e sarà più ricettiva ad un ulteriore apprendimento. A tal proposito consiglio l'utilizzo del client Melis per conservare in sicurezza e semplicità i propri fondi. La ricchezza di funzioni rende Melis il wallet in grado di soddisfare qualsiasi esigenza, sia di sicurezza che di utilità. Esistono wallet semplici per smartphone senza funzioni di sicurezza, o wallet per desktop molto sicuri che sono poco pratici da usare. Melis offre il meglio di tutti i mondi: semplicità e sicurezza per desktop e dispositivi mobili, nella stessa applicazione.
Tuttavia coloro che sono ideologicamente contrari a Bitcoin, non ci sarà un numero di "punti di contatto" che li convincerà della sua importanza. Pensate a persone come Paul Krugman o Nouriel Roubini. Preferirebbero andare in giro con carriole di denaro fiat senza valore prima di comprare qualche Bitcoin.
Quando si spiega Bitcoin ad amici, familiari e colleghi si ha un'idea di quanti possano essere i "punti di contatto". Ne hanno già sentito parlare? Sono curiosi o non ne vogliono sapere? Sono pronti per averne una piccola quantità, o sono pronti a fare il grande salto? Nel prossimo ciclo di hype le persone più pronte ad aumentare la propria allocazione in Bitcoin sono coloro che erano già curiosi e forse ne avevano comprato una piccola quantità nel ciclo precedente. Sono pronti per essere parte attiva del prossimo bull market e ne definiranno le dimensioni.
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giovedì 27 giugno 2019
Quando accade questo, comprate azioni
Le recessioni spingono verso il basso il prezzo dell'oro e il prezzo delle azioni. Quindi ci sono momenti in cui è meglio avere certificati di deposito o obbligazioni piuttosto che azioni o oro. Ci sono molti più profitti da fare che trattare inversamente l'oro e il Dow, ma il punto di Bonner in questo articolo resta valido: gli estremi nel rapporto Dow/oro offrono opportunità di profitto. Sembrerebbe più saggio possedere oro piuttosto che azioni oggi, specialmente quando i dividendi sono appena sufficienti per pagare le commissioni di gestione dei fondi comuni d'investimento. Ciononostante la curva dei rendimenti rimane invertita. Questo è un segnale che, cari lettori, non potete sottovalutare ed è qualcosa che sapevate già dall'anno scorso. Ancora oggi persistono le stesse condizioni di un anno fa ed è possibile ottenere un rendimento migliore nei T-bill a 90 giorni piuttosto che in T-bond a 30 anni. Gli investitori canonici sono convinti che abbia senso acquistare T-bond che pagano meno interessi rispetto ai T-bill, perché si aspettano che il tasso a breve termine scenda al di sotto del tasso a lungo termine. Questo differenziale di tasso d'interesse è un indicatore tradizionale di recessione incombente. Gli investitori in azioni non sono d'accordo e non vedono alcuna recessione all'orizzonte. Le recessioni fanno male alle azioni: gli utili delle aziende calano e c'è inchiostro rosso dappertutto. Quando incombe una recessione, è più sicuro vendere azioni e acquistare T-bill, quindi attendere che i prezzi delle azioni calino. Il mercato obbligazionario lo sta gridando, ma gli investitori nel mercato azionario si rifiutano di ascoltare: "Questa volta è diverso", dicono. Non lo è mai. Oggi siamo in modalità pre-recessione e gli investitori in obbligazioni lo capiscono, mentre gli investitori nel mercato azionario no. Non lo capiscono nemmeno gli investitori in oro e argento. La minaccia di recessione per le azioni è concreta, meno per gli strumenti di credito: certificati di deposito e obbligazioni (e nel contesto attuale ancora meno per le criptovalute). Questa volta potrebbe essere diverso? Forse, ma la curva dei rendimenti invertita ci dice che gli smart money pensano che non sarà diverso.
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di Bill Bonner
BALTIMORE, MARYLAND - Oggi sarà una giornata interessante. Dopo essere scese negli ultimi due giorni, le azioni dovrebbero rimbalzare e il mercato dei futures pare confermarlo.
Ma ora vedremo cosa pensano davvero gli speculatori.
Il valore combinato delle azioni FAANG, le grandi aziende tecnologiche Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google, è diminuito di circa $1,000 miliardi dal suo picco. Questo denaro è scomparso negli ultimi giorni. Non cercate di rintracciarlo; non ha lasciato alcun indirizzo.
Ecco Bloomberg:
Ma l'immobilità può essere sottovalutata. Quando le azioni scendono, stare fermi sembra una buona idea.
Finora non c'è stato alcun calo drammatico... nessun declino di 1000 punti... nessun titolo di giornale che inizia per "CRASH"... almeno non ancora.
Né è stato corretto nulla. Tutti gli squilibri sono ancora lì... tutto ciò che era folle all'inizio dell'anno è ancora folle...
Il debito totale degli Stati Uniti, per esempio, è ancora 3,4 volte il PIL, non al livello di 1,5 a cui dovrebbe essere.
E con il Dow a 21 once d'oro, le azioni sono ancora costose.
La strategia di trading più semplice e più sicura al mondo è solo quella di andare avanti e indietro tra azioni e oro. Trascorrerete molto tempo rimanendo fermi, 39 anni su 100 usando la nostra formula, ma paga.
Acquistate azioni quando sono a buon mercato rispetto all'oro. Quando le azioni diventano costose, le vendete e rimettete i vostri soldi nell'oro, dove sarà al sicuro.
Torniamo indietro di 100 anni: potevate comprare il Dow a 5 once d'oro o meno, quindi era un buon momento per comprare azioni. Quando valevano 15 once o più, le avreste vendute.
Questa semplice strategia vi avrebbe fatto fare un totale di sole sei transazioni nel corso dell'intero secolo, o circa una transazione ogni 16 anni.
Avreste comprato azioni nel 1918 a 4 once al Dow... e le avreste vendute nel 1929 a 15.
Poi avreste comprato di nuovo azioni nel 1931, non appena il Dow sarebbe tornato sotto 5 once, e le avreste vendute nel 1958 quando il rapporto Dow/oro avrebbe superato nuovamente la linea 15:1.
Il vostro prossimo acquisto sarebbe stato 16 anni dopo, nel 1974, quando il rapporto scese sotto i 5. La vostra mossa finale, un'altra vendita, sarebbe stata nel 1996, quando il rapporto era di nuovo a 15.
Se aveste iniziato con 10 once d'oro nel 1918, allora costavano $206, e aveste seguito questa strategia, oggi vi ritrovereste 585 once d'oro, o circa $718.000.
In confronto lo stesso denaro investito nel mercato azionario e lasciato lì nello stesso lasso di tempo avrebbe fruttato ad oggi $67.000. (Questo calcolo non include dividendi, tasse o commissioni.)
Proprio come gli investitori sottostimano l'immobilità, sovrastimano notevolmente il movimento in su delle azioni. Libri popolari e farneticazioni supply-side dicono loro di potersi aspettare profitti per sempre.
Secondo i teorici, gli investitori stanno allocando il loro prezioso capitale nelle industrie leader in America... e guadagnano un "premio di rischio" (oltre le obbligazioni) per essere capitalisti.
Molti investitori pensano che essere "sul mercato" dovrebbe renderli ricchi. Credono di finanziare la grande macchina commerciale americana; meritano di fare soldi.
Ma fino a 30 anni fa il Dow era solo a circa 2.000 punti e da allora la maggior parte dei profitti non è arrivata da una crescita sana e organica delle vendite. Sono arrivati dal denaro fasullo e da false supposizioni.
La FED ha iniziato a supportare con maggior vigore il mercato azionario nel 1987 e quindi ha moltiplicato la base monetaria americana di 10 volte, mettendo a disposizione $4000 miliardi nei mercati dei capitali.
Ma l'oro non è stato ingannato.
Negli ultimi 22 anni (all'incirca dal momento in cui abbiamo ottenuto il nostro ultimo "segnale di vendita" dal rapporto Dow/oro), il compenso dell'indice S&P 500 non è stato migliore di quello dell'oro. Entrambi sono saliti del 250%.
E anche dopo il più grande mercato rialzista delle azioni di tutti i tempi, il Dow nel 2017 non valeva più di quanto valeva 88 anni fa. Potevate comprare l'intero Dow l'anno scorso con le stesse 15 once d'oro con cui l'avreste comprato nel 1929.
In termini di rapporto Dow/oro, ci sono stati solo altri due periodi negli ultimi 100 anni in cui le azioni erano più alte.
Nel 1966, ad esempio, il rapporto Dow/oro ha toccato 27... e poi è sceso a 1,3 once nel febbraio 1980: una perdita, in termini d'oro, del 95%.
Poi, nel gennaio 2001, il rapporto Dow/oro ha toccato il massimo storico a oltre 40. A ciò ha fatto seguito un'altra grande vendita, con un rapporto che è sceso a poco più di 6 nell'agosto 2011, per una perdita dell'85%.
Seguendo la nostra formula, bisogna comprare azioni quando il rapporto Dow/oro è inferiore a 5; vendere azioni quando supera i 15. In questo modo avreste moltiplicato la vostra ricchezza reale, l'oro, di 58 volte.
E lo avreste fatto con molto, molto poco rischio o volatilità. Il più delle volte sareste rimasti immobili, possedendo semplicemente oro e aspettando che le azioni venissero vendute al di sotto di 5 once/Dow, dove avreste potuto ricomprarle in sicurezza.
Ciò avrebbe significato rimanere fermi negli ultimi 22 anni... perdendosi l'enorme rally fino al 2007... e poi quello successivo dal 2009. Non molte persone avrebbero voluto farlo.
FOMO, paura di perdere l'occasione, li avrebbe spinti ad investire.
Ma... attenzione.
Gli smart money non stanno più comprando; stanno vendendo. Ancora una volta stanno facendo front-running alla FED, che sta scaricando gli asset, non accumulandoli.
La FED invertirà la rotta. Quando arriverà il dolore reale, tornerà a comprare obbligazioni e taglierà i tassi per alzare i prezzi delle azioni.
Ma non prima che l'immobilità abbia dato i suoi frutti... e il rapporto Dow/oro sta calando velocemente.
Saluti,
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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di Bill Bonner
BALTIMORE, MARYLAND - Oggi sarà una giornata interessante. Dopo essere scese negli ultimi due giorni, le azioni dovrebbero rimbalzare e il mercato dei futures pare confermarlo.
Ma ora vedremo cosa pensano davvero gli speculatori.
Il valore combinato delle azioni FAANG, le grandi aziende tecnologiche Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google, è diminuito di circa $1,000 miliardi dal suo picco. Questo denaro è scomparso negli ultimi giorni. Non cercate di rintracciarlo; non ha lasciato alcun indirizzo.
Ecco Bloomberg:
Uno degli anni più difficili per i mercati finanziari in mezzo secolo è peggiorato, con il ribollire della debolezza tra gli asset che lasceranno gli investitori col cerino in mano.
Le azioni sono scese per il secondo giorno consecutivo, immettendo l'indice S&P 500 verso una correzione. Il prezzo del petrolio ha raggiunto cifre viste per l'ultima volta un anno fa, mentre i mercati del credito hanno mostrato segni di scossoni. Bitcoin è in caduta libera, mentre i porti sicuri come il decennale USA, l'oro e lo yen si sono fermati.
Ma l'immobilità può essere sottovalutata. Quando le azioni scendono, stare fermi sembra una buona idea.
Finora non c'è stato alcun calo drammatico... nessun declino di 1000 punti... nessun titolo di giornale che inizia per "CRASH"... almeno non ancora.
Né è stato corretto nulla. Tutti gli squilibri sono ancora lì... tutto ciò che era folle all'inizio dell'anno è ancora folle...
Il debito totale degli Stati Uniti, per esempio, è ancora 3,4 volte il PIL, non al livello di 1,5 a cui dovrebbe essere.
E con il Dow a 21 once d'oro, le azioni sono ancora costose.
La strategia di trading più semplice e più sicura al mondo è solo quella di andare avanti e indietro tra azioni e oro. Trascorrerete molto tempo rimanendo fermi, 39 anni su 100 usando la nostra formula, ma paga.
Acquistate azioni quando sono a buon mercato rispetto all'oro. Quando le azioni diventano costose, le vendete e rimettete i vostri soldi nell'oro, dove sarà al sicuro.
Torniamo indietro di 100 anni: potevate comprare il Dow a 5 once d'oro o meno, quindi era un buon momento per comprare azioni. Quando valevano 15 once o più, le avreste vendute.
Questa semplice strategia vi avrebbe fatto fare un totale di sole sei transazioni nel corso dell'intero secolo, o circa una transazione ogni 16 anni.
Avreste comprato azioni nel 1918 a 4 once al Dow... e le avreste vendute nel 1929 a 15.
Poi avreste comprato di nuovo azioni nel 1931, non appena il Dow sarebbe tornato sotto 5 once, e le avreste vendute nel 1958 quando il rapporto Dow/oro avrebbe superato nuovamente la linea 15:1.
Il vostro prossimo acquisto sarebbe stato 16 anni dopo, nel 1974, quando il rapporto scese sotto i 5. La vostra mossa finale, un'altra vendita, sarebbe stata nel 1996, quando il rapporto era di nuovo a 15.
Se aveste iniziato con 10 once d'oro nel 1918, allora costavano $206, e aveste seguito questa strategia, oggi vi ritrovereste 585 once d'oro, o circa $718.000.
In confronto lo stesso denaro investito nel mercato azionario e lasciato lì nello stesso lasso di tempo avrebbe fruttato ad oggi $67.000. (Questo calcolo non include dividendi, tasse o commissioni.)
Proprio come gli investitori sottostimano l'immobilità, sovrastimano notevolmente il movimento in su delle azioni. Libri popolari e farneticazioni supply-side dicono loro di potersi aspettare profitti per sempre.
Secondo i teorici, gli investitori stanno allocando il loro prezioso capitale nelle industrie leader in America... e guadagnano un "premio di rischio" (oltre le obbligazioni) per essere capitalisti.
Molti investitori pensano che essere "sul mercato" dovrebbe renderli ricchi. Credono di finanziare la grande macchina commerciale americana; meritano di fare soldi.
Ma fino a 30 anni fa il Dow era solo a circa 2.000 punti e da allora la maggior parte dei profitti non è arrivata da una crescita sana e organica delle vendite. Sono arrivati dal denaro fasullo e da false supposizioni.
La FED ha iniziato a supportare con maggior vigore il mercato azionario nel 1987 e quindi ha moltiplicato la base monetaria americana di 10 volte, mettendo a disposizione $4000 miliardi nei mercati dei capitali.
Ma l'oro non è stato ingannato.
Negli ultimi 22 anni (all'incirca dal momento in cui abbiamo ottenuto il nostro ultimo "segnale di vendita" dal rapporto Dow/oro), il compenso dell'indice S&P 500 non è stato migliore di quello dell'oro. Entrambi sono saliti del 250%.
E anche dopo il più grande mercato rialzista delle azioni di tutti i tempi, il Dow nel 2017 non valeva più di quanto valeva 88 anni fa. Potevate comprare l'intero Dow l'anno scorso con le stesse 15 once d'oro con cui l'avreste comprato nel 1929.
In termini di rapporto Dow/oro, ci sono stati solo altri due periodi negli ultimi 100 anni in cui le azioni erano più alte.
Nel 1966, ad esempio, il rapporto Dow/oro ha toccato 27... e poi è sceso a 1,3 once nel febbraio 1980: una perdita, in termini d'oro, del 95%.
Poi, nel gennaio 2001, il rapporto Dow/oro ha toccato il massimo storico a oltre 40. A ciò ha fatto seguito un'altra grande vendita, con un rapporto che è sceso a poco più di 6 nell'agosto 2011, per una perdita dell'85%.
Seguendo la nostra formula, bisogna comprare azioni quando il rapporto Dow/oro è inferiore a 5; vendere azioni quando supera i 15. In questo modo avreste moltiplicato la vostra ricchezza reale, l'oro, di 58 volte.
E lo avreste fatto con molto, molto poco rischio o volatilità. Il più delle volte sareste rimasti immobili, possedendo semplicemente oro e aspettando che le azioni venissero vendute al di sotto di 5 once/Dow, dove avreste potuto ricomprarle in sicurezza.
Ciò avrebbe significato rimanere fermi negli ultimi 22 anni... perdendosi l'enorme rally fino al 2007... e poi quello successivo dal 2009. Non molte persone avrebbero voluto farlo.
FOMO, paura di perdere l'occasione, li avrebbe spinti ad investire.
Ma... attenzione.
Gli smart money non stanno più comprando; stanno vendendo. Ancora una volta stanno facendo front-running alla FED, che sta scaricando gli asset, non accumulandoli.
La FED invertirà la rotta. Quando arriverà il dolore reale, tornerà a comprare obbligazioni e taglierà i tassi per alzare i prezzi delle azioni.
Ma non prima che l'immobilità abbia dato i suoi frutti... e il rapporto Dow/oro sta calando velocemente.
Saluti,
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
mercoledì 26 giugno 2019
Tassi d'interesse, preferenza temporale e oro
di Alasdair Macleod
Esiste una convinzione diffusa che i tassi d'interesse rappresentino il costo del denaro preso in prestito. In un certo senso è vero, ma i pianificatori monetari centrali non indagano oltre. I banchieri centrali affermano quindi che se si riduce il costo del prestito, vale a dire il tasso d'interesse, la domanda di credito e l'impiego di tale credito nell'economia porta naturalmente ad un aumento del PIL. Ogni pianificatore centrale sogna una crescita costante del PIL e cerca di ottenerlo riducendo il costo del prestito.
L'origine di questo approccio è matematica. William Stanley Jevons nel suo The Theory of Political Economy, pubblicato per la prima volta nel 1871, fu uno dei tre scopritori della teoria dell'utilità marginale e si convinse che la matematica era la chiave per collegare i diversi elementi della scienza politica in un soggetto unificato. Per lui era naturale trattare i tassi d'interesse come un sintomo della domanda e dell'offerta di denaro quando passa da una mano all'altra con la promessa di un rimborso futuro.
Un altro degli scopritori della teoria dell'utilità marginale fu l'austriaco Carl Menger, il quale spiegò che i prezzi erano soggettivi ed avevano origine dalle menti di coloro che erano coinvolti in uno scambio. Sosteneva che fossero fondamentalmente una scelta umana e quindi non potessero essere previsti matematicamente. Ciò indebolisce l'assunto secondo cui l'interesse rappresenta semplicemente il costo del denaro, il che suggerisce che sia coinvolto un qualche tipo di elemento umano, separato dal puro costo. Eugen von Böhm-Bawerk, che seguì le orme di Menger, considerò la questione da un punto di vista più capitalistico: il denaro di un risparmiatore, che altrimenti non ha vita, era in grado di far guadagnare a suddetto risparmiatore una certa offerta di beni attraverso gli interessi guadagnati su di esso.
Böhm-Bawerk confermò che l'interesse produceva un reddito per il capitalista ed era un costo per l'imprenditore mutuatario, ma d'accordo con il suo mentore diceva anche che fosse un elemento della preferenza temporale, la differenza di valore tra possedere denaro oggi rispetto alla promessa di possederlo in una data futura. Il modo più semplice per capirlo è che i risparmiatori sono guidati principalmente dalle preferenze temporali, mentre i mutuatari sono guidati principalmente dal costo. Ecco perché i mutuatari devono aumentare i tassi d'interesse per persuadere i risparmiatori a prestare i loro fondi (la spiegazione del Paradosso di Gibson).
A quei tempi il denaro era l'oro e le valute erano sostituti dell'oro, cioè erano liberamente convertibili in oro. Il metallo giallo era il mezzo attraverso il quale i produttori trasformavano i frutti del loro lavoro in beni e servizi di cui avevano bisogno e che desideravano. Il suo ruolo era puramente temporaneo. Gli esseri umani valutavano l'oro come una merce speciale (denaro), ma come merce, il suo effettivo possesso valeva più di una semplice rivendicazione in futuro. Attribuiscono la stessa preferenza temporale alla valuta fiat? Per scoprirlo dobbiamo esplorare la natura della preferenza temporale come concetto.
Preferenza temporale nell'economia classica
La preferenza temporale è semplicemente il desiderio di possedere beni adesso piuttosto che dopo. Questo perché tutti preferiscono la proprietà immediata alla promessa di proprietà futura. Pertanto il valore futuro del possesso di un bene deve essere integrato con uno sconto rispetto al possesso effettivo, e più avanti nel futuro si materializzerà la proprietà effettiva, maggiore sarà lo sconto. Questa è la preferenza temporale. Ma invece di prezzare la preferenza temporale come se si trattasse di un bond con coupon a zero, lo trasformiamo nell'equivalente di un interesse annualizzato.
Ovviamente la preferenza temporale si applica principalmente ai prestiti per finanziare la produzione, che richiedono tempo tra l'inizio e la consegna. Il denaro preso in prestito deve coprire parzialmente o interamente le materie prime e tutti i costi necessari per realizzare un articolo finito e il tempo necessario per consegnarlo ad un utente finale. Un imprenditore deve rinunciare a parte del suo consumo presente se vuole investire nella propria produzione, e l'allocazione che fa delle sue risorse presenti a tal fine è governata in parte dalla preferenza temporale e dal profitto che anticipa. Se il suo processo di produzione richiede molto tempo tra l'investimento e la vendita di un prodotto finito, il suo sacrificio del consumo presente sarà proporzionalmente più lungo, quindi deve valerne la pena.
Il modo più semplice per isolare la preferenza temporale è di presumere che il nostro imprenditore debba prendere in prestito alcune o tutte le risorse necessarie. Successivamente considerare la posizione del creditore, a cui è richiesto di sacrificare il consumo presente a favore di uno futuro. La motivazione del creditore è che ha un surplus di denaro per i suoi bisogni immediati e invece di limitarsi a stare seduto su di esso, è pronto ad usarlo proficuamente. La sua ricompensa per cedere il suo surplus ad un imprenditore deve superare la sua preferenza temporale personale.
Il mezzo per abbinare investimenti e risparmi è ovviamente il denaro, perché sarebbe molto difficile coordinarli in un'economia di baratto. È questa funzione che il denaro facilita sopra ogni altra cosa. Diamo per scontata questa ovvia funzione e dimentichiamo che i tassi d'interesse sono in realtà l'espressione della preferenza temporale, la cui origine la possiamo ritrovare nel posticipare la proprietà dei beni di consumo. L'intermediazione da parte delle banche e di altre istituzioni finanziarie nasconde il legame tra interesse e preferenza temporale, spacciando l'ipotesi falsa che il risparmiatore non viene separato dal suo denaro quando lo deposita in banca.
La banca sembra dare al depositante qualcosa in cambio di niente rivestendo il suo ruolo di intermediario finanziario, ma nell'effettivo riduce il legame tra risparmiatori e mutuatari. Entrambe le parti in un'economia moderna finiscono per trattare con una banca anziché l'una con l'altra. Tuttavia, nonostante l'intermediazione di una banca, il rapporto di base tra risparmiatore e imprenditore attraverso una banca è il possesso del capitale del primo per un certo periodo di tempo. Si può nasconderla, ma non ci si può sbarazzare della preferenza temporale.
Quando un risparmiatore risparmia e un imprenditore investe, la transazione implica sempre che i risparmi di un creditore si trasformino nella produzione di beni e servizi in base all'elemento temporale. Per il creditore la preferenza temporale corrisponderà sempre alla perdita del possesso del suo capitale per un periodo di tempo stabilito.
Preferenza temporale e fiat money
Gli economisti di oggi non riconoscono le preferenze temporali. Per loro l'economia deve riguardare la matematica, le valute emesse dallo stato e l'esclusione dell'interesse umano. Dicono che ormai abbiamo superato l'economia arcaica del passato, ma possiamo vedere dai loro ripetuti fallimenti di addomesticare l'azione umana affinché si conformi ai loro modelli economici che anche gli economisti moderni non hanno le risposte. Tutto ciò che hanno fatto è coprire i loro fallimenti attraverso l'inflazione monetaria.
Le valute fiat scoperte dello stato introducono certamente nuove dimensioni nei prezzi e nel settlement differito. Non solo il risparmiatore è isolato dai mutuatari a causa dell'intermediazione bancaria e la convinzione che i suoi depositi siano ancora di sua proprietà, ma i suoi risparmi sono svalutati dall'inflazione monetaria a sua insaputa. L'interesse che si aspetta è trattato come un costo di produzione sconveniente, da minimizzare. Gli interessi maturati sono tassati come se fossero il profitto derivante da un commercio capitalista e non il risarcimento di una perdita temporanea del possesso.
Di conseguenza il risparmiatore viene spinto a speculare ben oltre le sue possibilità acquistando azioni. Scambia il rischio di credito per il rischio imprenditoriale. E poiché l'espansione del credito bancario dal nulla favorisce l'imprenditore rispetto al risparmiatore, la teoria dice che nel tempo viene compensato per la perdita degli interessi. L'intero sistema è cambiato, e anche i consumatori, che secondo il modello economico classico avrebbero rinviato parte del loro consumo, sono diventati mutuatari scoperti.
È questa evoluzione che ci ha portato a tassi d'interesse a zero o negativi. Tuttavia se il costo del denaro fosse semplicemente il suo tasso d'interesse, l'economia crescerebbe sempre e non ci sarebbe stato nessun ciclo del credito. Fortunatamente l'esperienza e la comprensione che l'economia è una scienza umana, ci dice il contrario. Nonostante la distribuzione di denaro gratuito, l'Eurozona si trova in una condizione economica e sistemica peggiore di quanto non fosse prima della crisi della Lehman dieci anni fa, con le azioni delle principali banche che languiscono ai minimi storici. E tutto ciò che i tassi d'interesse a zero hanno raggiunto, insieme alla svalutazione monetaria aggressiva, è stato il rinvio di una crisi bancaria e sistemica.
Ma i cicli del credito esistono ancora: alla radice c'è l'emissione di denaro e credito che non riflette la preferenza temporale. Il valore della proprietà nel presente rispetto alla promessa della stessa nel futuro deve essere rispettato, non è qualcosa che un pianificatore monetario centrale può decidere, perché è un fenomeno interamente di mercato. Nessuno, a parte i singoli consumatori, possono determinare questo fenomeno.
Ignorare la preferenza temporale è l'errore fondamentale alla base della pianificazione monetaria centrale. È per questo che in un'economia di successo, l'intervento monetario da parte dello stato è ridotto al minimo, o preferibilmente bandito del tutto. Invece ci si basa sull'errore dell'approccio matematico di Jevons e sulla messa al bando della scelta della valuta da parte della popolazione, che nel corso della storia è stata l'oro.
Oro
Qual è la relazione tra preferenza temporale e oro? Dovremmo considerarla alla luce dell'esperienza storica: la valuta fiat è sempre morta ed è stata sostituita dal denaro metallico. Anche l'oro e probabilmente l'argento torneranno a circolare come denaro.
Quando l'oro è usato come moneta, anche ad esso si applica la preferenza temporale, data la regola secondo cui il denaro è guadagnato/risparmiato da un lato e dall'altro i risparmi vengono impiegati nella produzione di beni e servizi. Un risparmiatore che presta il suo oro si aspetta che venga restituito alla fine del periodo di prestito con un importo aggiuntivo per riflettere la sua preferenza temporale, solitamente sotto forma di interesse.
A parte i tempi isolati di svalutazione monetaria, ciò è rimasto valido per millenni fino al secolo scorso, quando l'oro è stato gradualmente spodestato come moneta nel sistema monetario odierno. Finché la valuta ha agito come un sostituto coperto dell'oro, gli interessi guadagnati e pagati erano legati al tasso sull'oro. Tuttavia, se possiamo immaginare un sistema con moneta sia in oro che in valuta fiat, la preferenza temporale per l'oro fisico, a parità di altre condizioni, dovrebbe essere maggiore di quella per la valuta fiat (scarsità).
La prova di questa differenza si riflette nella Legge di Gresham. La maggior parte della popolazione umana tende a spendere la valuta emessa dallo stato piuttosto che l'oro. La discussione sui commercianti di oggi che non accettano monete d'oro non regge, perché l'oro si converte facilmente in valuta fiat per poterla spendere. Coloro che possiedono monete d'oro le considerano come ultima risorsa, non prima. Inoltre, se qualcuno volesse prendere in prestito il vostro oro per un periodo di tempo, quasi certamente darebbe un valore maggiore alla perdita temporanea della proprietà piuttosto che al tasso d'interesse in valuta fiat.
Ma questa supposizione ignora l'inflazione monetaria. Nel corso della storia l'espansione delle riserve d'oro estratte ha pressoché mantenuto il passo con la crescita della popolazione umana. La valuta fiat si espande senza limiti e la perdita del potere d'acquisto dovrebbe essere presa in considerazione in qualsiasi calcolo delle preferenze temporali. Il fatto che ciò non si rifletta nei tassi d'interesse è una funzione della soppressione dei mercati operata dalle banche centrali e dall'occultamento delle preferenze temporali attraverso l'intermediazione bancaria.
L'ultima cosa che i banchieri centrali vorrebbero vedere è il valore imputato alla preferenza temporale. Molti di loro sono probabilmente inconsapevoli della sua esistenza, essendo immersi nell'economia matematica di Jevons e dei suoi successori. E quando la popolazione noterà finalmente la soppressione delle preferenze temporali e quindi la valutazione errata di tutti i beni e servizi futuri, le conseguenze saranno quasi certamente significative.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
martedì 25 giugno 2019
Il costo reale (ed i benefici non visti) del mining di Bitcoin
di Stephan Livera
Gli opinionisti mainstream hanno opinato che il mining di Bitcoin sia troppo energivoro. Dicono che contribuisca al cambiamento climatico, o che richieda semplicemente più energia di quanto un sistema monetario possa giustificare, ed è un "guaio energetico potenzialmente catastrofico". Bitcoin e altre criptovalute sono spesso asset ad alta intensità energetica, dopotutto le criptovalute hanno un valore per i proprietari perché sono scarse e c'è un costo per la loro produzione. Tuttavia, è stato sottolineato dai critici, questo costo è prova di una mancanza di valore reale per le criptovalute.
Argomentazioni simili furono avanzate decenni fa da parte dei critici dell'oro. Sostenevano che uno standard monetario cartaceo fosse più economico dell'oro, che invece doveva essere estratto e immagazzinato fisicamente. Queste tesi sono state affrontate da Roger Garrison in The “Costs” of a Gold Standard. Garrison scrive: "Confrontare i costi dell'oro con i costi della carta non risolve il problema." Garrison sottolinea costi aggiuntivi sostenuti dalla società in uno standard cartaceo:
- i costi imposti da diverse fazioni politiche che cercano di ottenerne il controllo;
- costi imposti da gruppi d'interesse speciali che convincono i controllori della stampante monetaria affinché utilizzino in modo improprio la propria autorità (stampare più denaro);
- errate allocazioni indotte dall'inflazione delle risorse come risultato di un uso improprio dell'autorità monetaria;
- costi sostenuti dagli imprenditori nel loro tentativo di prevedere ciò che farà in futuro l'autorità monetaria.
Perché è necessario che Bitcoin sia così energivoro? Nick Szabo risponde a questa domanda in Money, Blockchains, and Social Scalability, sottolineando che l'elevato consumo di risorse da parte di Bitcoin gli fa acquisire qualcosa di ancora più prezioso: la scalabilità sociale. Il design computazionalmente costoso di Bitcoin offre una maggiore resistenza alla contraffazione, all'inflazione e al furto. Ciò è dovuto alla difficoltà di produzione e anche alla dinamica, facile da verificare, degli schemi di Proof of Work.
Bisogna inoltre prendere in considerazione i costi aggiuntivi sostenuti dalla società a causa del denaro fiat e l'inflazione risultante, quando si confrontano gli standard monetari. Ad esempio, pensate al finanziamento del debito pubblico in un ordine monetario fiat. Questo finanziamento consente a sua volta molti programmi estremamente costosi e distruttivi, come le guerre e lo stato sociale. Questi programmi statali richiederebbero altrimenti una maggiore tassazione esplicita dei contribuenti, che è molto più difficile far accettare, rispetto ai costi nascosti dell'inflazione.
Una tesi simile potrebbe essere applicata all'oro o alle criptovalute? Forse, ma allora la società dovrebbe fare i conti con i rischi della centralizzazione dell'oro, della confisca e/o cooptazione da parte dello stato. In termini della vasta scelta di criptovalute, dobbiamo ricordarci che (grazie a Carl Menger) c'è una tendenza a svegliere una singola moneta altamente liquida e vendibile. Quindi una persona che desidera speculare sull'oro o su una criptovaluta, dovrebbe credere che essa potrebbe arrivare a "vincere" sul mercato monetario.
Il futuro è incerto e non sappiamo se Bitcoin o altre criptovalute "vinceranno" nel mercato monetario mondiale. Tuttavia se dovesse instaurarsi un ipotetico Bitcoin standard, una considerazione più olistica dei costi e dei benefici invisibili del mining di Bitcoin includerebbe: una drastica limitazione delle dimensioni dello stato, la fine della riserva frazionaria e la riduzione del welfare/warfare state. Come scrive Garrison: "In definitiva, il costo di una qualsiasi azione, commodity, o istituzione è non comprare un'azione, una commodity, o una istituzione alternativa. Il costo d'opportunità è l'unico costo che conta."
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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lunedì 24 giugno 2019
Come la politica sui tassi d'interesse delle banche centrali sta destabilizzando le banche commerciali
di Justin Murray
In generale le banche commerciali operano sotto il concetto di trasformazione delle scadenze: incamerano veicoli di finanziamento a breve termine (meno di un anno), come i depositi dei clienti, e li usano per finanziare rendimenti a lungo termine (più di un anno). Questi rendimenti spaziano dai semplici prestiti, come quelli per auto ed i mutui, agli investimenti in azioni, obbligazioni e debito pubblico. Le banche fanno soldi sul differenziale di interessi tra ciò che pagano ai proprietari dei soldi e ciò che è guadagnato dalle operazioni. Le banche guadagnano anche su altri servizi, come la gestione patrimoniale e le commissioni contabili, sebbene siano attività relativamente piccole rispetto al business della trasformazione delle scadenze.
In termini di asset, quello principale detenuto da una banca è il deposito a vista. In sostanza sono i vostri risparmi nei conti correnti. Le banche vendono anche depositi all'ingrosso, come i certificati di deposito, hanno il capitale azionario e possono anche contrarre debiti, come i prestiti interbancari. Poiché questi asset sono di proprietà di qualcun altro, ciascuno di essi richiede un rendimento per il loro uso e fanno parte dei costi di gestione di una banca. Ci sono anche costi operativi fissi, come dipendenti, edifici e attrezzature.
Quindi una banca prenderà risorse e le trasformerà in prestiti. Come nella maggior parte del mondo, gli Stati Uniti operano in un sistema a riserva frazionaria, in cui le banche originano prestiti in eccesso rispetto ai depositi a disposizione. Date un'occhiata al bilancio di una grande banca regionale, 5/3 Bank, per esempio. Nell'anno fiscale 2018, 5/3 ha fatto registrare attività non capitalistiche pari a $94 miliardi e una base di depositi di $108 miliardi. Tuttavia la componente in denaro contante ed equivalenti era pari a $4,4 miliardi, o solo il 4% dei depositi a vista. È fondamentale, quindi, che la banca convinca i depositanti a mantenere i loro depositi presso di essa ed a non prelevarli. In caso contrario collasserebbe, poiché non sarebbe in grado di soddisfare rapidamente a richieste di prelievo superiori al 4% della base di depositi. Per evitarlo, la banca paga interessi ai depositanti.
Come avviene il crollo
È qui che la stabilità degli interessi diventa un problema. Quando la Federal Reserve manipola i tassi d'interesse, le banche commerciali sono in grado di proiettare spese abbastanza costanti per le operazioni. Mentre ad un'azienda piace quando i costi operativi sono relativamente costanti, questo crea grossi problemi per il sistema bancario. Quando i tassi d'interesse vengono soppressi a quasi lo 0% diciamo per un decennio, il sistema bancario crea un portafoglio di entrate che è ancorato a quello vicino allo 0% del costo del denaro. Tornando al bilancio della 5/3, notiamo che i rendimenti della banca erano di $5,1 miliardi, ovvero un rendimento medio del 5% circa. $4 miliardi di questi rendimenti sono legati ai $94 miliardi di prestiti a lungo termine. Le spese per gli interessi ammontavano a $1 miliardo, o poco più dell'1%. La società aveva anche $3,9 miliardi in spese operative fisse.
Fondamentalmente la 5/3 Bank opera su margini di profitto piuttosto bassi rispetto alla base patrimoniale della banca, il che la rende altamente vulnerabile a qualsiasi fluttuazione dei tassi d'interesse.
Diciamo che la Federal Reserve inizi a rialzare il tasso d'interesse di riferimento. Poiché la FED riduce la concorrenza sul mercato e vende asset, i tassi d'interesse saliranno man mano che questi asset inizieranno a competere con quelli esistenti. 5/3 si imbatte in un problema: se il tasso privo di rischio inizia a salire, i depositanti guarderanno a quel misero rendimento sui depositi e cominceranno a chiedersi perché mantenere soldi in banca quando altri veicoli a basso rischio offrono rendimenti più alti. Dal momento che 5/3 non può permettersi di perdere molto denaro, alla banca verrà richiesto di iniziare ad aumentare i tassi di deposito, poiché vuole che i soldi rimangano in banca. Dovrà inoltre rifinanziare il debito revolving a breve termine ad un tasso più elevato.
Il dilemma della banca è che quasi tutto il suo flusso di entrate è costituito da veicoli a rendimento fisso. Lo spread effettivo tra costi totali e ricavi totali è solo dello 0,2% degli asset. Ciò significa che se i costi di finanziamento dovessero aumentare di oltre 20 punti base, la banca 5/3 inizierebbe a subire perdite. Poiché la banca ha concesso prestiti per oltre un decennio tenendo conto dei tassi estremamente bassi, ci vorrà del tempo per ricostruire un portafoglio di prestiti e investimenti a tasso più elevato per controbilanciare le perdite, o in alternativa la banca sarà costretta ad impegnarsi in investimenti ad alto rischio.
Per un'azienda normale questo non sarebbe un grosso problema, visto che può sopportare perdite per periodi di tempo anche lunghi. Infatti tende a costruire una base di liquidità per superare periodi deboli mentre riorganizza le sue operazioni. Una banca, tuttavia, manca di questa flessibilità in quanto deve mantenere i rapporti di liquidità per facilitare i prelievi dei depositanti. Un misero aumento dell'1% dei costi complessivi di finanziamento vedrà la 5/3 esaurire la liquidità in soli quattro anni, ma dal momento che la banca deve mantenere i rapporti, ciò la spingerà a vendere asset per concedere ulteriori prestiti.
Il problema si raddoppia da questo punto in poi: in primo luogo, gli asset primari generano reddito, quindi per ogni asset venduto per tenere a galla i rapporti di liquidità ciò non farà altro che esaurire di più la liquidità e ogni nuovo debito avrà spese per interessi da soddisfare; in secondo luogo, gli asset hanno tassi inferiori al tasso di mercato, quindi devono essere venduti ad uno sconto.
Ogni banca opera in questo modo. Ogni banca opera su margini sottili che presumono tassi quasi a zero perpetui. Se una banca deve vendere asset per mantenere intatti i rapporti di liquidità, tutte le banche faranno inevitabilmente la stessa cosa. L'elemento principale in un portafoglio è solitamente quello che tenta la liquidazione (nel 2007 i mutui per immobili). La vendita di asset è un processo che si auto-alimenta e crea un crollo, poiché non ci sono molte entità con denaro disponibile per assorbire questa vendita di massa. Ecco perché oggi la seconda classe di asset in pancia alla Federal Reserve è costituita da titoli ipotecari non performanti pre-2008 (i titolari di MBS, le banche stesse, erano finite in un vicolo cieco). Le banche si rivolsero all'ultima entità con denaro disponibile (quella che lo stampa) per un salvataggio.
Le banche centrali risponderanno inevitabilmente cercando di stabilizzare nuovamente i tassi, sopprimendoli al di sotto del livello del ciclo precedente. Le banche centrali, quindi, abbasseranno perpetuamente i tassi fino a quando non arriveranno alla barriera dello 0%, impegnandosi in una politica monetaria ben oltre la follia. Il Canada sin dal 1980 è un perfetto esempio, un ottovolante sempre in discesa.
Come evitare tutto questo
Se le banche non operassero in un mondo con tassi d'interesse costanti, una loro salita non sarebbe un problema particolarmente grande. Innanzitutto se i tassi fossero fluttuanti, le banche si proteggerebbero dalle variazioni dei tassi d'interesse. Qualora presentassero tassi ad un livello più alto e questi ultimi calassero, godrebbero di un rendimento medio più elevato quando i tassi saliranno di nuovo. In secondo luogo, se i tassi incidessero sulle fluttuazioni naturali, le banche sarebbero riluttanti a finanziare prestiti a lungo termine utilizzando veicoli a breve termine. La riserva frazionaria opera parzialmente sull'aspettativa che i tassi d'interesse rimarranno stabili a lungo termine. Se il costo del denaro il prossimo mese può essere superiore di 20 punti base a quello di questo mese, le banche avranno incentivi a cercare soluzioni di finanziamento fisse anziché sfruttare i soldi dei depositanti. In altre parole, le banche probabilmente smetteranno di impegnarsi nella trasformazione delle scadenze, poiché il rischio che i tassi d'interesse superino il rendimento dell'intero portafoglio sarebbe troppo alto. Ciò limita come minimo l'esposizione a questa forma di prestito e sopratutto lo limita a qualcosa inferiore ad un rapporto di leva di 27 a 1 e promuove le vendite di finanziamenti fissi come i certificati di deposito. L'incertezza del mercato e la rimozione del supporto del sistema bancario centrale creerebbero un sistema bancario commerciale più stabile, il che significa naturalmente passare ad un sistema di riserva intera.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
venerdì 21 giugno 2019
La forza dell'Europa risiede nella diversità degli stati membri
di Kai Weiss
Quando la Gran Bretagna ha deciso di lasciare l'Unione Europea, il 23 giugno 2016, le onde d'urto hanno attraversato Bruxelles e l'Europa. L'Unione Europea ha attraversato molte crisi negli ultimi decenni e, soprattutto negli anni della crisi dell'euro, l'insoddisfazione è salita in molti stati membri. Ma il fatto che uno dei più grandi e importanti stati membri abbia deciso di lasciare il progetto UE a titolo definitivo, è un precedente non indifferente.
All'inizio Bruxelles era in uno stato di totale shock, per molti sembrava che la fine dell'UE fosse vicina. La domanda cruciale allora era come riprendersi dalla Brexit. Quale direzione avrebbe dovuto prendere l'Europa continentale senza la Gran Bretagna?
Per molti sembrava ovvio che fosse giunto il momento di fare un'inversione di marcia. Dopotutto, gli inglesi non hanno votato per andarsene perché la loro integrazione a livello europeo era bassa. La crisi dell'euro rappresentava l'ennesimo esempio lampante del fatto che l'UE fosse andata troppo oltre. Inoltre la crisi migratoria ha dimostrato l'incapacità degli stati membri di trovare un minimo comune denominatore anche nelle crisi più urgenti. Nel frattempo le forze euroscettiche stavano guadagnando trazione in tutto il continente.
Ma incredibilmente Bruxelles ha preso una decisione sconvolgente, spalleggiata dal presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker e dal presidente francese Emmanuel Macron: difendere ancora più "un'unione più stretta". In tempi di populismo e di fiorente nazionalismo, secondo loro era il momento di difendere il progetto europeo più che mai.
Fino ad oggi è stato espresso un flusso infinito di idee su come si potrebbe fare e tutte queste idee sono state presentate in discorsi pomposi in parlamenti, università e in dibattiti televisivi. Tutte hanno un aspetto in comune: ci deve essere maggiore integrazione, maggiore centralizzazione nella capitale del Belgio, perché se l'Europa non continuerà su questa strada, l'Europa tornerà in un'era che nessuno vuole rivivere.
Come l'élite di Bruxelles e alcuni capi di governo possano essere arrivati a questa conclusione non è del tutto chiaro. Certo, i politici possono difendere l'UE definendola un progetto di pace e il successo del libero commercio e del liberalismo, quasi nessuno sarà in disaccordo.
Ma l'UE era già tutto questo diversi decenni fa. Ciò che Bruxelles ha fatto è lontano da quanto affermano i politici europei ed è lontano dagli ideali della democrazia liberale. Parlare di democrazia sarebbe comunque ipocrita a questo punto, dal momento che sin dagli anni '90 molti referendum in cui i Paesi hanno votato contro una maggiore integrazione sono stati ignorati. Ed è altrettanto discutibile se una potente burocrazia in una città lontana centinaia di miglia dalla maggior parte dei cittadini sia democratica.
Anche il dinamismo economico è stato lasciato indietro: a lungo sono stati ignorati il rafforzamento del mercato comune e lo smantellamento delle barriere, ed è stato a lungo dimenticato il libero scambio con il mondo esterno. Invece sono stati sviluppati aspetti sempre più protezionistici e normativi. Al giorno d'oggi le aziende di successo vengono penalizzate, mentre la Commissione Europea sta cercando di finanziare l'apparato di Bruxelles (e naturalmente i miliardi di sussidi agricoli e programmi di ridistribuzione verso l'Europa meridionale e orientale) a spese di aziende private e cittadini.
L'euro, descritto da eminenti economisti come Hans-Werner Sinn come un "errore storico", ha subito un'enorme perdita di valore a causa della politica monetaria della Banca Centrale Europea. Ciò ha portato all'impoverimento economico di diversi Paesi e all'erosione della ricchezza personale dei cittadini ordinari e ha creato una bolla che alla fine esploderà.
Allo stesso tempo, la popolarità dell'UE tra gli europei non è migliorata. Può essere vero che la stessa UE come istituzione è più popolare che mai, ma non si può dire lo stesso del lavoro dell'élite di Bruxelles.
In sintesi, si può quindi affermare che i tentativi di integrazione degli ultimi decenni abbiano fallito, tanto per usare un eufemismo. Allora perché i federalisti, i sostenitori di un'Europa federale unita, pensano che tutto ciò che dobbiamo fare sia spingersi ancora oltre lungo una strada che ha fallito?
Se ascoltiamo i federalisti scopriamo che per loro l'UE è più di una semplice organizzazione sovranazionale per il coordinamento dei singoli stati. Per loro l'UE è l'Europa e l'Europa è l'UE. Se una scompare, anche l'altra scompare. Se ne criticate una, criticate anche l'altra. Vivono per questo progetto; per loro il successo dell'UE è più importante di qualsiasi altra cosa. Si potrebbe quasi dire che sentono il "Pulse of Europe", o almeno così credono.
In questo senso, i federalisti seguono una visione fortemente progressista dell'UE. Per loro un'Europa unita, imitando gli Stati Uniti d'America, è l'obiettivo finale per raggiungere la pace e la prosperità in Europa. Gli stati-nazione sono semplici reliquie del passato, forse anche la ragione principale delle grandi guerre del XX secolo, le quali hanno reso necessaria l'UE. Invece di contare sulla sovranità e sull'identità nazionale, tali concetti dovrebbero fare strada a qualcosa di molto più grande: una sovranità europea e un'identità europea.
Per questo motivo ovvi problemi come l'euro, ad esempio, vengono ignorati. Per i fanatici dell'UE l'euro non è una valuta che è fallita, per loro è un simbolo del progetto europeo e criticarlo equivarrebbe a criticare l'Europa in generale.
Invece aumentare l'integrazione è l'unico modo per rimanere nella "parte giusta della storia". Gli Stati Uniti d'Europa sono la destinazione finale e viene seguito il modo più veloce per arrivarci, indipendentemente dagli ostacoli.
Ma i federalisti devono rendersi conto, e forse la Brexit ha rappresentato un monito sufficiente, che la loro filosofia progressista dell'Unione Europea finirà nel caos. I disastri economici vengono ignorati a causa di un'infatuazione irrazionale e per i fanatici l'opposizione degli stati membri e dei cittadini non ha alcun significato, addirittura secondo loro non sarà più un problema una volta creata un'identità europea. I cittadini europei dovrebbero considerarsi esattamente così: cittadini dell'Europa, non della Germania o della Francia.
Ed i federalisti hanno ragione su questo, almeno in una certa misura: perché se le persone si vedessero principalmente come europei, la centralizzazione nella capitale europea sarebbe davvero molto meno assurda e più facilmente accettata. Ma chi in Europa si vede prima di tutto come europeo? È una minoranza incredibilmente piccola e consiste in gran parte nella generazione Erasmus, cioè in coloro che, a spese dei loro concittadini, vanno a "studiare" all'estero e gozzovigliano per tre mesi sulle spiagge in Spagna o in Portogallo con il loro nuovo amici. E ora credono che ciò giustifichi disastri come l'euro o l'armonizzazione fiscale.
Nel frattempo l'élite di Bruxelles sta considerando come diffondere l'identità europea tra i cittadini comuni. Ma questo non può essere fatto dall'alto, tranne attraverso la coercizione. Qualora dovesse nascere un'identità europea, dovrebbe farlo dagli stessi cittadini. Finché questo non accade, i federalisti dovranno accettare la realtà che gli europei non condividono il loro entusiasmo per l'abolizione dei loro stati-nazione a favore di un grande apparato europeo.
E non c'è niente di sbagliato in questo, dopotutto uno dei punti di forza dell'Europa è sempre stata la sua diversità. L'ex-primo ministro britannico, Margaret Thatcher, l'ha riassunto nel suo famoso discorso di Bruges del 1988: "L'Europa sarà più forte proprio perché c'è la Francia che è la Francia, la Spagna che è la Spagna, la Gran Bretagna che è la Gran Bretagna, ognuna con i suoi costumi, tradizioni e identità. È follia cercare di inserirli in una sorta di personalità europea".
Dopotutto questo decentramento è una caratteristica che ha sempre reso l'Europa unica. Per secoli i più grandi pensatori si sono chiesti perché il liberalismo e il capitalismo siano nati in Europa. Ci sono tante risposte e, in realtà, quella giusta è probabilmente una mix di molte altre. Tuttavia è ampiamente riconosciuto che la Kleinstaaterei, vale a dire le centinaia e le centinaia di piccoli stati in Europa, era una ragione importante e come minimo una precondizione.
La storia dice che questo pluralismo ha permesso alle persone di spostarsi rapidamente da uno stato all'altro, consentendo ai cittadini europei di scegliere dove stabilirsi. Questa libertà di scelta e la semplicità di spostarsi rapidamente ha creato una competizione tra gli stati per offrire il posto più attraente in cui vivere. E poiché una politica che fosse il più possibile votata alla libertà s'è rivelata particolarmente efficace per le persone, c'è stato un incentivo affinché gli stati seguissero questa strada.
Certo, non sono solo le idee della libertà individuale, del decentramento e della diversità che sono apparse per la prima volta in Europa. Altre idee sono emerse in questo continente e rappresentano l'esatto opposto: centralismo, collettivismo e disumanizzazione. Queste idee sono state quelle che hanno mostrato la loro brutta faccia, e il volto più brutto dell'Europa, nel ventesimo secolo.
Oggi l'Unione Europea ha la possibilità di scegliere da che parte stare, quale dei due elementi della storia europea vuole propagare. È certamente lontana dai regimi totalitari del secolo scorso e si può presumere (e sperare) che sarà sempre così. E, naturalmente, nessuna delle élite di Bruxelles ha intenzione di andare in quella direzione.
Ciononostante le idee che hanno i federalisti condividono le stesse basi: vogliono centralizzare le decisioni a Bruxelles, vogliono impedire che la libera impresa sia libera, vogliono isolarsi dal mondo esterno, vogliono creare un'identità che non è mai esistita prima. E chiunque si oppone a questi piani, deve essere diffamato come un populista, nazionalista, o con qualsiasi altro insulto vuoto e insensato.
I federalisti potrebbero pensare che la loro visione di "un'unione sempre più stretta" sia innovativa, ma l'idea di creare un mega-stato non è nuova; il fatto che questa idea sia ancora contemplata nel XXI secolo è un triste esempio di quanto velocemente si possa dimenticare il passato.
Se il progetto europeo degenerasse fino a questo punto, l'UE sarebbe destinata al fallimento: o collasserebbe a causa della sua stessa cecità o, ignorando i voti dissenzienti, causerebbe una rivolta ancora più forte delle attuali forze nazionaliste (producendo esattamente ciò che è più temuto e che si è voluto prevenire mediante l'integrazione europea).
Tuttavia esiste un'alternativa: un'Europa che riscopra i benefici del decentramento e del pluralismo; un'Unione Europea in cui stati nazionali liberi e sovrani si uniscano per cooperare; un'Unione Europea in cui venga promossa la libertà economica e vengano ridotte le barriere commerciali; un'Unione Europea con la quale i Paesi europei possano riunirsi per interagire più liberamente con il resto del mondo; un'Unione Europea in grado di fornire sicurezza in tempi di crisi, in tempi di guerra e in tempi di terrorismo, invece di finire nel nichilismo e auto-illudersi in un'idea di riforma.
Innanzitutto dovrebbe essere un'Unione Europea in cui tutti i cittadini abbiano voce in capitolo; un'Europa in cui, per quanto possibile, le decisioni siano prese a livello locale, non lontano a Bruxelles. Tale UE produrrebbe il meglio che l'Europa ha da offrire, sarebbe un'Unione Europea veramente a garanzia della pace e promotrice della prosperità invece di essere intrappolata in sogni utopici.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
giovedì 20 giugno 2019
L'inevitabile bancarotta dei fondi pensione
di Justin Murray
A meno che la vostra principale fonte d'informazione sia Facebook, probabilmente sapete che le pensioni pubbliche hanno grossi problemi con i finanziamenti. Essendo questo un blog votato alla libertà ed impostato secondo una visione coincidente con l'economia Austriaca, la reazione immediata è di pensare che questi sistemi pensionistici pubblici, dato che sono gestiti dal settore pubblico, farebbero meglio se fossero gestiti dal settore privato. Tuttavia essere un'istituzione gestita dallo stato è solo uno dei problemi, il quale sarà discusso più avanti. Innanzitutto è importante riconoscere che il motivo per cui i sistemi pensionistici del settore pubblico stanno fallendo è più un problema di matematica che uno di gestione da parte dello stato.
Una spiegazione elementare delle pensioni
Prima di entrare nel vivo della discussione, ecco un breve riassunto su cosa sia un sistema pensionistico. Nel lessico comune, quando viene menzionata la parola pensione, ciò di cui stiamo discutendo è la cosiddetta pensione a prestazione definita. In base a questa forma di pensionamento, il fornitore promette un rendimento fisso garantito, di solito aggiustato al costo della vita, una volta raggiunta l'età pensionabile. Per fare ciò, il fornitore finanzierà un portafoglio di investimenti in cui copre i costi futuri e costruisce il contributo nelle retribuzioni del dipendente. L'eventuale deficit viene successivamente coperto dal fornitore, mentre i guadagni sono mantenuti da quest'ultimo nel sistema pensionistico, il che è una forma di trasferimento del rischio. Il piano pensionistico si assume tutti i rischi per proteggere il destinatario dalla volatilità del mercato, il che significa che il beneficiario non perde denaro durante un anno negativo, né raccoglie i guadagni durante un anno positivo. Inoltre in questo piano il beneficiario non possiede gli asset ed i benefici cessano al momento della morte e sono fissi sia che il destinatario lo desideri o no.
L'altra forma di pensione è denominata pensione a contribuzione definita; questa è più comunemente indicata come 401k. Il fornitore si impegna a depositare in un conto una somma concordata, in base ad una certa percentuale dello stipendio, affinché venga gestito dal beneficiario. Tutto il rischio è a carico di quest'ultimo, il fornitore non deposita extra in caso di deficit o benefici da un rendimento più elevato. Inoltre il beneficiario possiede tutti gli asset e può tramandarli agli eredi dopo la morte e ha flessibilità nei prelievi, quindi i beneficiari possano adeguare quanto viene prelevato per approfittare delle fluttuazioni del mercato.
L'instabilità della prestazione definita
Il problema nelle pensioni a prestazione definita è il trasferimento del rischio. Poiché il futuro è inconoscibile, i piani pensionistici devono fare ipotesi sul tasso di rendimento e in genere si basano sulle medie a lungo termine. Mentre è vero che per un lungo periodo di tempo i mercati azionari tendono a mostrare una media del 7%, questi ritorni sono espressi secondo il metodo d'investimento "buy & hold". A differenza dei 401k individuali, le pensioni a prestazione definita sono fondi aggregati: i lavoratori attuali pagano, mentre gli attuali pensionati ne traggono vantaggio. Laddove il detentore del piano 401k trascorresse alcuni decenni non facendo altro che contribuire al suo fondo pensione, riceverebbe la pensione ed i contributi ad ogni ciclo di pagamento. Inoltre i piani pensionistici maturi pagano sempre più benefici di quelli ricevuti dai contributi ed utilizzano i rendimenti di mercato per coprire la differenza.
Se il mercato sale o scende, l'importo versato è relativamente fisso. Peggio ancora, poiché le pensioni sono in genere pianificate su un tasso medio di rendimento, il piano non può passare ad una forma di investimento più prevedibile, ma più basso, man mano che il beneficiario si avvicina alla pensione, cosa che un 401k invece facilita. Le pensioni a prestazione definita non sono in grado di farlo poiché richiederebbero maggiori contributi e/o minori pagamenti per coprire le ipotesi di un rendimento inferiore, in particolare in un'era di tassi d'interesse artificiosamente soppressi.
A causa di questo disallineamento le pensioni devieranno dal fantomatico 7%, dal momento che i pagamenti vengono effettuati sia che il mercato scenda o salga. Per mantenere il 7%, la media del mercato deve superare il 7% per invertire le perdite negli anni deboli.
Un esempio
Per dimostrarlo userò i dettagli finanziari dei CALPERS dell'anno fiscale 2016-17. In quell'anno i CALPERS hanno ricevuto $16.5 in contributi e hanno speso $22 miliardi in benefici e spese amministrative. La differenza è stata finanziata da $326 miliardi in asset d'investimento. Usando questa e le precedenti performance del mercato, simulerò due portafogli ipotetici. Se ipotizziamo una crescita annua del 3% per i contributi e le spese, quando confrontiamo un ipotetico portafoglio di rendimento annuo del 7% con la performance del Dow Jones negli ultimi 20 anni, vediamo perché le pensioni a prestazione definita tendono ad essere problematiche (numeri in milioni):
L'anno 1 corrisponde al 1998 e il 20 al 2017. Come vediamo, quando il mercato è caldo, il piano è in surplus. Alla fine gli anni più deboli cominciano a combinarsi con il divario dei pagamenti e inizia ad emergere uno scenario sotto-finanziato. Entro l'anno 20, anche se il mercato ha registrato una media del rendimento del 7% nel corso di 20 anni, il piano pensionistico è sotto-finanziato per un ammontare di $248 miliardi, il che equivale ad ipotizzare un rendimento fisso del 5.5% rispetto alla media del mercato del 7%. In sostanza, la gestione di una pensione a prestazione definita è una forma di gioco d'azzardo perdente.
Questo scenario sotto-finanziato alla fine deve essere chiuso con fondi aggiuntivi, fondi non forniti dai pensionati.
Dove la parte pubblica è il problema
Se si trattasse di una società privata, ciò non rappresenterebbe un problema in quanto essa avrebbe molte opzioni, in particolare eliminare gradualmente i benefici definiti e convertirli in contributi definiti. E questo problema matematico è esattamente il motivo per cui la pensione a prestazione definita è effettivamente svanita dal settore privato.
Il problema delle pensioni gestite dallo stato è che ora sono viste come diritti costituzionali ed i sistemi giudiziari hanno sistematicamente respinto ogni tentativo di modificare contributi, pagamenti o addirittura convertirli in un piano a contributo definito, non che molti politici desiderino modificare questo accordo, in quanto i sindacati dei dipendenti del settore pubblico sono una delle principali fonti di finanziamento e voti. Qualsiasi tentativo di colmare il deficit nel sistema pensionistico passerà attraverso la tassazione involontaria. Un'impresa privata che fa questo deve sperare o che il mercato sia disposto a sopportare un aumento dei prezzi per coprire i deficit di finanziamento, o dovrà spiegare agli investitori che i rendimenti saranno inferiori e sperare che ciò non si traduca in una perdita di quote di mercato o in bancarotta. Lo stato, che non ha investitori o clienti, lo prenderà semplicemente dalla popolazione, o attraverso tasse più elevate oppure imponendo un onere aggiuntivo di debito, poiché gli stati prendono in prestito per coprire la differenza.
L'elefante nella stanza: la previdenza sociale
Il grande elefante nella stanza è la previdenza sociale, il più grande sistema pensionistico della nazione. Insieme ad altre entità come il Medicare, ha circa $210,000 miliardi di passività non finanziate, sebbene le stime differiscano date le dimensioni e la portata dei programmi. Ciò significa che la previdenza sociale dovrebbe ritrovarsi questa cifra sul lato degli attivi per evitare di aumentare i contributi (tasse) o tagliare i benefici.
Tuttavia questa è una falsa affermazione, data la natura della previdenza sociale. Se si trattasse di un piano pensionistico tradizionale, o addirittura di un piano pensionistico gestito dallo stato, sarebbe un'equa valutazione delle passività future ed un'urgenza a rimanere solvibili, supponendo la presenza continua di rendimenti fissi. Il problema è che la previdenza sociale non è un sistema pensionistico, ma il più grande schema Ponzi della storia. Poiché la previdenza sociale è tenuta ad acquistare titoli del Tesoro statunitensi, il fondo non investe in nulla. Questo è poco più di un sistema che promette agli attuali contribuenti che altri contribuenti in futuro copriranno il loro pensionamento, poiché tutti i contributi che hanno versato sono stati pagati ai pensionati esistenti o utilizzati per finanziare lo stato nel presente. I titoli di stato statunitensi non sono basati su alcun asset produttivo e sono onorati solo fino a quando il governo degli Stati Uniti riuscirà ad estrarre risorse da qualche altro gruppo di contribuenti. Anche voi potete creare un fondo previdenziale per la previdenza sociale scrivendo su un foglio "Devo a me stesso $3,000 miliardi" e mettendolo in un barattolo.
In altre parole, se il governo lo volesse potrebbe facilmente "finanziare" la previdenza sociale consegnando un titolo di stato speciale da $210,000 miliardi che solo la previdenza sociale potrebbe possedere e potrebbe persino essere escluso dalle metriche del debito pubblico dal momento che non sarebbe negoziabile; un po' come quando venne creata la banconota da $100,000 esclusivamente per trasferire fondi tra le varie Federal Reserve bank prima del commercio elettronico e non è stata conteggiata nell'offerta di moneta. Questo è solo un processo contorto oltre a quello canonico usato per indurre le persone a pensare di aver "pagato" un sistema pensionistico, quando invece il veicolo d'investimento è solo un modo per mascherare il fatto che il governo ha usato le tasse OASDI per bombardare il Medio Oriente e comprare voti con programmi di welfare. Convertire lo status della previdenza sociale da "non finanziato" a "IOU" è banale semantica.
Alla fine, i problemi di finanziamento del sistema pensionistico pubblico sono un risultato inevitabile del tentativo di utilizzare le medie per pianificare i rendimenti futuri. Questo tipo di piano pensionistico, non importa chi lo gestisca, è destinato a fallire. La parte pubblica è solo uno dei problemi, perché la pensione non andrà mai via e ogni deficit verrà forzatamente chiuso attraverso la tassazione.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
mercoledì 19 giugno 2019
Può la FED riuscire a far andare ancora avanti questo lungo ciclo?
di Brendan Brown
L'attuale ciclo economico lunghissimo è una maledizione monetaria. Se avessimo avuto il sound money non esisterebbe e con il gold standard pre-1914 non è mai accaduta una cosa del genere. L'attuale fase espansiva del ciclo economico negli Stati Uniti, la più lunga di sempre, arriva sulla scia di tre recenti fasi espansive di un super ciclo: 1991-2000, 1982-90 e 1961-69. Probabilmente il primo ciclo super lungo è stato quello dal 1921 al 29.
Qual è il "segreto della lunga vita" di queste fasi espansive del ciclo economico? Ripetuti stimoli da parte della FED in risposta a qualsiasi segnale di rallentamento economico e pericolo correlato. Qualsiasi ribasso naturale dei prezzi (a volte descritto in modo fuorviante come "forze disinflazionistiche") aumenta la possibilità di uno stimolo da parte della banca centrale in qualsiasi fase del ciclo economico (se si tratta di accelerare la ripresa da una depressione, o combattere la potenziale debolezza più tardi).
Il ritmo discendente potrebbe derivare da un'ondata di cambiamenti tecnologici compresa la globalizzazione, la quale esercita una pressione diretta verso il basso sui costi, o un'impennata della crescita della produttività. Laddove il sistema monetario persegua un obiettivo di prezzo o di inflazione, il ritmo discendente significa che la banca centrale può ricorrere allo "stimolo" piuttosto che lasciare che i prezzi scendano come accadrebbe invece nel contesto di un sound money.
Sotto il gold standard pre-1914, al contrario, i periodi di sostenuta discesa dei prezzi nei mercati di beni e servizi (comprese le fasi di recessione del ciclo economico) erano una parte essenziale del processo attraverso il quale i prezzi di beni e servizi nel lungo periodo sarebbero tornati alla media . La fiducia tra la popolazione in questa progressione era fondamentale per la reputazione del denaro come riserva di valore.
Nel mondo del fiat money, qualsiasi discesa dei prezzi delle merci è un'opportunità di stimolo monetario. Cogliere questa opportunità è essenziale per la generazione di un ciclo lungo. Il sottoprodotto altamente distruttivo dello stimolo in queste condizioni è l'inflazione dei prezzi degli asset. Nel ciclo attuale ci sono state opportunità senza precedenti.
Gli elementi costitutivi di un ciclo super lungo sono i sub-cicli descritti come "cicli di crescita". I periodi sostenuti di crescita al di sopra del trend (circa 2 anni in media sin dagli anni '50) sono etichettati come "cicli di crescita" e quelli al di sotto del trend "rallentamenti del ciclo di crescita" (in media poco meno di 2 anni). La FED è stata determinante in molte occasioni, non sempre con successo, ad utilizzare i suoi strumenti di stimolo per impedire che la recessione del ciclo di crescita si trasformasse in una recessione completa.
Secondo l'Economic Cycle Research Institute, ci sono già stati tre cicli di crescita completi nell'attuale ciclo economico super lungo. Ora siamo nella fase discendente del quarto (dal suo picco nell'aprile 2018).
Dall'inizio di quest'anno la FED di Powell si è impegnata a combattere la crisi e il Presidente Trump ha un interesse fondamentale affinché abbia successo. L'entità della forza della recessione potrebbe essere più forte di quella stimata dai funzionari della FED (e troppo grande affinché un qualsiasi aggiustamento possa essere efficace). Oppure i loro calcoli possono essere sbagliati e fare troppo poco troppo tardi.
"Cicli lunghi" del passato
Possiamo rivolgerci al laboratorio della storia per capire meglio.
Primo, c'è il lungo ciclo del 1921-9 (interrotto da una recessione molto mite, dall'ottobre 1926 al novembre 1927, più simile al rallentamento del ciclo di crescita che ad una recessione vera e propria). Benjamin Strong approfittò della disinflazione portata dalla rapida crescita della produttività e dall'eccesso di materie prime per riaccendere il boom e dare propellente al mercato azionario.
Quando si arrivò il rallentamento del ciclo di crescita successivo, che si manifestò tra la fine del 1928 e gli inizi del 1929, la FED sotto la nuova leadership era determinata a spezzare la mania speculativa a Wall Street. Il presidente Hoover (insediatosi nel marzo del 1929) fu d'accordo. In ogni caso, non vi erano preoccupazioni per la FED o per il mercato per un possibile grave rallentamento, nonostante i segnali di recessione provenienti dalla Germania sin dall'autunno 1928.
Secondo, il lungo ciclo del 1961-9. La crescita della produttività registrata nei primi anni '60 era una potente influenza "disinflazionistica", la quale consentì alla FED di condurre una politica di stimolo aggressiva senza un conseguente aumento dell'IPC (quasi piatto fino al 1965). L'inflazione dei prezzi degli asset fu virulenta. Con netto ritardo la FED ed il suo presidente Martin reagirono nell'inverno del 1965/6 ad un improvviso balzo dell'inflazione generale, ma andarono nel panico mentre l'economia rallentava bruscamente; i mercati azionari iniziarono a schiantarsi e la Casa Bianca di Johnson fece pressioni sulla banca centrale, azione culminata con il famoso stimolo monetario nell'inverno 1966-7. Lo stimolo pose le basi per un potente rimbalzo economico nel 1967-8; nel bel mezzo della guerra del Vietnam e del rallentamento della crescita della produttività, l'inflazione dell'IPC decollò.
Terzo, la lunga fase espansiva del ciclo 1982-90 fu caratterizzata dal grande stimolo monetario di Paul Volcker quando collaborò con il nuovo Segretario al Tesoro del Presidente Reagan, James Baker, per svalutare il dollaro. Il famigerato Accordo del Plaza (autunno 1985) arrivò nel mezzo di un difficile rallentamento del ciclo di crescita, in vista delle cruciali elezioni di metà mandato (novembre 1986). La successiva forte ripresa economica della fine degli anni '80 fu segnata da un'inflazione elevata e da un'inflazione dei prezzi degli asset in tutto il mondo (il Giappone fu l'epicentro).
Avanziamo rapidamente verso l'attuale e lunga fase espansiva (saltando i ripetuti tentativi di mantenerla viva da parte di Greenspan negli anni '90, nel 1995 e nel 1998).
La FED di Bernanke ha risposto al rallentamento del ciclo di crescita dal febbraio 2012 al gennaio 2013 (il motivo la crisi europea del debito sovrano) con uno stimolo monetario significativo. Il rallentamento del ciclo di crescita successivo, dal dicembre 2014 al maggio 2016 (scoppio della bolla energetica, "recessione" della Cina), è stato arginato dalla FED della Yellen cancellando tutti i rialzi previsti dei tassi d'interesse per quasi un anno intero (2016) e le banche centrali estere si sono impegnate nell'aggressività monetaria (es. QE e tassi negativi in Europa e in Giappone). Una potente disinflazione a livello globale (soprattutto l'eccesso di commodity e la digitalizzazione) ha reso possibile tutto questo senza abbandonare lo standard d'inflazione al 2%.
Quindi arriviamo al quarto rallentamento del ciclo di crescita che l'ECRI fa risalire alla primavera del 2018, alimentato dai mercati emergenti (compresa la Cina) e dall'Europa. La FED di Powell, convinta che i tagli delle tasse sulle imprese e la de-regolamentazione avrebbero trionfato sulle forze della recessione dall'estero, è in un primo momento andata avanti con rialzi dei tassi preordinati. Ora con la disinflazione che continua imperterrita e il riconoscimento che, nonostante tutto, gli Stati Uniti sono effettivamente in una fase di rallentamento del ciclo di crescita, questi rialzi sono cessati.
Nei primi mesi di quest'anno il punto di vista generale sul mercato è stato che "l'azione della FED" avrà successo nel prevenire il passaggio dell'attuale rallentamento del ciclo di crescita ad una recessione vera e propria, e che emergerà una nuova fase di crescita entro l'inverno 2019/2020. Non c'è nessuna preoccupazione che questa ripresa del ciclo di crescita sarà accompagnata (a differenza dei precedenti cicli di crescita) da un serio rialzo dell'inflazione di beni e servizi. Ma chi può esserne davvero così sicuro? La pressione al ribasso dei prezzi dovuta alla digitalizzazione potrebbe improvvisamente allentarsi... È inconoscibile l'estensione dell'inflazione monetaria nei mercati di beni e servizi.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
martedì 18 giugno 2019
Le manipolazioni delle valute si diffondono in tutto il mondo
di Brendan Brown
Come di consueto la pubblicazione dell'ultima relazione semestrale del Tesoro USA sulla manipolazione dei cambi (“Macroeconomic and Foreign Exchange Policies of Major Trading Partners of the United States") è stata accolta bene dai media, anche se la loro analisi è talmente viziata da essere una farsa.
Il segretario al Tesoro Mnuchin ne ha avallato i risultati, concludendo che non esiste alcuna manipolazione da nessuna parte. Sì, esiste un elenco di Paesi, tra cui Giappone, Germania e altri sei, i cui risultati meritano l'inclusione in un elenco di monitoraggio speciale, Cina esclusa. Quest'ultima è stata inserita in un monitoraggio separato in base a diverse preoccupazioni e le riforme raccomandate sono di ampia portata (incluso lo smantellamento degli handicap per gli investitori stranieri in Cina).
Per contro, la prescrizione generale per i Paesi sulla lista di monitoraggio è quella di adottare misure, di bilancio e strutturali, per aumentare la domanda interna. I manipolatori della valuta a Berlino, Francoforte, Tokyo, Zurigo, Londra ed a Pechino devono ridere di fronte a questa manifestazione di incompetenza del Tesoro degli Stati Uniti. Il mezzo più potente che scatena una guerra tra valute (politica monetaria e varie forme di repressione finanziaria) non è affatto menzionato nella relazione. Una scelta a dir poco bizzarra.
Prendete in considerazione la politica economica del primo ministro giapponese Abe: il capo della banca centrale mantiene basso lo yen tenendo in zona negativa i tassi d'interesse, nonostante un boom della spesa in conto capitale, fissando rigorosamente i tassi d'interesse a lungo termine a pochi punti base sopra lo zero. Tutto questo per portare l'inflazione IPC fino al 2%, in spregio ad un continuo calo dei prezzi. Questa debolezza dei prezzi dei beni e dei servizi riflette l'integrazione con l'Asia orientale, la digitalizzazione e la metamorfosi nel mercato del lavoro (deregolamentazione e declino del sistema delle retribuzioni di anzianità). Contemporaneamente la repressione finanziaria diminuisce ulteriormente l'attrazione per gli asset monetari giapponesi, aumentando così la forza dei deflussi di capitali. La relazione del Tesoro degli Stati Uniti non critica nulla di tutto ciò.
Mnuchin ha affermato che l'accordo di libero scambio tra Stati Uniti e Giappone deve includere un capitolo che bandisca la manipolazione della valuta; ma non ci dovrebbe essere eccitazione né sul suo contenuto, né più in generale sulla possibilità di raggiungere un accordo. Tokyo, come Berna, è un maestro delle tattiche di dilatazione dei tempi.
Possibile che nessun alto funzionario dell'amministrazione Trump capisca tutto ciò?
I funzionari pubblici tendono ad attenersi alle linee guida e al protocollo stabilito e l'amministrazione Obama ha già dimostrato questo punto. Mnuchin ha accennato (a Gerusalemme, 21 ottobre) ad una revisione di tutto questo, insoddisfatto della sua mancanza di opzioni nei confronti della Cina; ma non vi è alcuna base per aspettarsi che la questione essenziale delle armi monetarie sia inclusa in un qualsiasi discussione ufficiale su questi temi.
Il Trade Facilitation and Trade Enforcement Act del 2015 chiede al Segretario del Tesoro di monitorare le politiche macroeconomiche e monetarie dei principali partner commerciali e di effettuare analisi avanzate di questi partner se attivano determinati criteri oggettivi che forniscono informazioni su eventuali pratiche monetarie sleali. Il sottosegretario Lew ai tempi di Obama ha quindi stabilito tre criteri oggettivi.
- Primo: il surplus commerciale bilaterale di un dato Paese supera i $20 miliardi con gli Stati Uniti?
- Secondo: il surplus delle partite correnti è superiore al 3% del PIL?
- Terzo: l'intervento in valuta estera è persistente e unilaterale, cumulandosi oltre il 2% del PIL nell'arco di 12 mesi?
Sia nella teoria che nella pratica, questi test non hanno senso.
Le eccedenze commerciali bilaterali con gli Stati Uniti potrebbero essere ampie (e compensate da altri deficit commerciali bilaterali), senza la presenza di manipolazioni della valuta. Piuttosto le variazioni delle forniture internazionali e il vantaggio comparato potrebbero essere le principali variabili esplicative.
Un ampio avanzo delle partite correnti potrebbe essere pienamente coerente con le divergenze sottostanti nei risparmi e nei comportamenti di investimento tra Paesi, come in un sistema con sound money; gli studenti di storia sanno che la Francia e la Gran Bretagna avevano eccedenze delle partite correnti di quasi il 10% del PIL nei due decenni precedenti alla prima guerra mondiale sotto il gold standard.
E per quanto riguarda l'intervento sul mercato dei cambi, questo dovrebbe sicuramente essere espresso in termini di stock piuttosto che di flusso. Il Giappone non è intervenuto in modo significativo per molti anni nei mercati delle valute, ma perché il Paese continua a detenere massicce riserve in valuta estera (accumulate durante le precedenti fasi di intervento per mantenere ordinati i mercati delle valute) piuttosto che ridurle gradualmente a livelli normali?
Se venissero applicati test reali per verificare la manipolazione effettiva di una valuta (armi monetarie e repressione finanziaria) le accuse sarebbero giustificate non solo nei confronti del Giappone, ma anche della Cina e dell'Europa.
La Cina difende le politiche di allentamento monetario perseguendo il proprio obiettivo di inflazione al 3%. Ma perché un'economia di un mercato emergente con una crescita della produttività abbastanza rapida punta ad un'inflazione del 3% piuttosto che a prezzi stabili? E per quanto riguarda la repressione finanziaria, il controllo statale sulle istituzioni finanziarie, il quale va a deprimere i rendimenti per i risparmiatori, sono così note da spiegare l'elevata domanda di asset esteri (nonostante le restrizioni) e la debole domanda estera di asset finanziari cinesi.
In Europa abbiamo ancora la BCE di Draghi, con l'importantissima autorizzazione della Cancelleria di Berlino, che mantiene i tassi d'interesse negativi e un'espansione aggressiva della base monetaria nonostante l'economia tedesca sia in pieno boom e l'inflazione al 2%. Tutto ciò con il pretesto che l'area esterna della zona Euro richieda un lungo periodo di adeguamento dei prezzi al ribasso e questo obiettivo è più facile da raggiungere se i prezzi in Germania aumentano in modo significativo. Parallelamente la repressione finanziaria fa sì che i risparmi tedeschi vengano mobilitati attraverso le banche nazionali per finanziare gli stati deboli, soprattutto l'Italia.
Sì, questo è ciò che Draghi aveva in mente quando si vantava di voler fare tutto il necessario per "salvare l'euro". Ma gli Stati Uniti dovrebbero accettare passivamente le conseguenze di un euro super basso e di un gigantesco surplus commerciale tedesco? Non guardate la relazione del Tesoro USA per avere risposta!
Non vi è alcuna base per immaginare che l'amministrazione Trump si stia preparando per una nuova politica contro i manipolatori delle valute. Qualunque inasprimento della politica anti-manipolazione delle valute significherebbe una riforma monetaria finora assente nell'agenda politica internazionale. Inoltre se gli Stati Uniti dovessero censurare le politiche monetarie straniere che apparentemente vengono giustificate dalla ricerca di un'inflazione al 2%, allora dovrebbe essere messa in discussione tale linea di politica e non godere di un rispetto acritico.
Come minimo gli Stati Uniti dovrebbero prendere di mira il FMI e le sue squadre di sorveglianza dei tassi di cambio, le quali giustificano tutti i tassi di cambio con la formula standard "l'equilibrio sottostante". Criticare il FMI potrebbe essere attraente per l'amministrazione Trump, ma sarà tutto fumo e niente arrosto se non avrà luogo una riforma monetaria internazionale.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://francescosimoncelli.com/
lunedì 17 giugno 2019
L'economia italiana che affonda è solo la punta dell'iceberg?
La risposta a questa domanda non può che essere affermativa a causa dell'immenso sistema di ridistribuzione nato con l'UE: Target2. Se, ad esempio, una impresa italiana acquista qualcosa da una impresa tedesca, il credito dell'impresa tedesca aumenta sul saldo target della Deutsche Bundesbank e aumenta la passività della Banca d'Italia. Sono proprio questi saldi della Bundesbank che ora stanno salendo a vette esorbitanti. Le passività dell'Italia e della Spagna, in particolare, si stanno spostando nella direzione opposta a quelle della Germania. Dall'inizio del 2015 queste passività sono aumentate vertiginosamente e la ragione è il programma di acquisto di obbligazioni della zona Euro. Poiché molte banche commerciali piene di tali titoli si trovano in Germania, o hanno il loro conto Target2 presso la Bundesbank per vari motivi, le passività ed i crediti associati presso la Bundesbank aumentano ancora di più quando la Banca d'Italia acquista titoli. L'Unione Sovietica, per inciso, aveva un sistema simile, con il Tagikistan che accumulava passività nei confronti della Russia fino a circa l'80% del suo PIL all'epoca. Inutile dire che queste passività non sono mai state rimborsate. Un monopolio sulla creazione di denaro non è lontano dai sogni comunisti. Karl Marx parlava di banca centrale già nel 1848 nel suo piano in 10 punti per istituire uno stato comunista. Se manipolare i tassi d'interesse e cercare di pianificare centralmente l'economia non è una prova abbastanza convincente da mostrare che le banche centrali stesse (nel nostro caso la BCE) non sono utili per una prosperità di lungo periodo, siamo ben oltre la redenzione. La storia di altre unioni monetarie ci mostra che l'euro è stato costruito senza tenere conto delle esperienze passate e come queste ultime finirà in bancarotta.
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di Vijay Victor
L'Unione Europea al momento è indubbiamente ad un bivio. Le economie che un tempo erano considerate pilastri forti dell'UE sono ora sull'orlo di cadere. Gli economisti hanno lanciato numerosi avvertimenti a seguito della crisi finanziaria del 2008 sulle crescenti problematiche legate al debito in molte economie dell'UE. L'incubo dell'UE è iniziato con la crisi economica della Grecia nel 2015. Sebbene il piano machiavellico di Merkel sulle misure di austerità abbia evitato la Grexit, non è stato possibile fare qualcosa per ostacolare l'inevitabile Brexit.
Uno dopo l'altro, i nodi vengono al pettine, rendendo l'intera trama difficile da gestire ai registi di Bruxelles. Il Paese che adesso è finito nell'occhio del ciclone non è altro che l'Italia. La terza economia più grande nell'Eurozona è una nave che affonda. Le ultime statistiche rivelano che l'attuale debito dell'Italia è pari a circa il 130% del PIL totale, circa $2.600 miliardi, quasi uguale alla dimensione dell'economia indiana in termini di PIL nominale. L'economia italiana è 10 volte più grande di quella della Grecia, alludendo ulteriormente all'intensità di questa crisi economica. John Higgins e Adam Hoyes, economisti di Capital Economics, osservano che: "A differenza dell'Italia, il rapporto debito/PIL della Grecia è su una traiettoria discendente e il suo debito è stato ristrutturato molto meglio rispetto a quanto accaduto in Italia. Il debito è molto più grande in termini assoluti e pone un rischio sistemico molto più grande per l'area Euro nel suo complesso ".
Guardando alle prospettive di crescita a lungo termine, le statistiche mostrano un risultato disarmante: il PIL pro-capite italiano è rimasto stazionario negli ultimi 18 anni.
Le banche italiane sono già finanziariamente deboli, gravate dal peso di dover rifinanziare le loro emissioni obbligazionarie e gli enormi debiti. Ciò ha ridotto la loro capacità di prestare fondi al settore privato, già con un piede nella fossa. Data la dimensione dell'economia italiana, anche un eventuale aiuto da parte della Banca Centrale Europea potrebbe non essere sufficiente. Le questioni economiche in Italia hanno già posto gravi minacce agli obiettivi monetari della Banca Centrale Europea. La crisi in Italia, se non contenuta, frantumerà la fiducia del mercato nei confronti dell'intera Eurozona.
A chi dovremmo dare la colpa?
Indubbiamente lo scenario politico in Italia ha aggravato la crisi. Le misure del nuovo governo populista in Italia stanno minacciando l'autonomia della banca centrale italiana, la Banca d'Italia. Il nuovo governo vuole prendere il controllo delle ingenti riserve auree della banca centrale italiana. "L'oro è proprietà del popolo italiano e di nessun altro", ha detto Matteo Salvini, vice primo ministro e leader della Lega, chiarendo cosa vorrebbe fare il governo: svalutazione.
Nel 2018 il governo italiano ha cercato di aumentare il deficit di bilancio al 2,4% per i successivi tre anni. Questa proposta non è stata accettata dall'UE e da lì sono emersi i conflitti d'interesse tra il governo e l'UE. Con una moneta comune è impossibile per gli economisti italiani pensare ad una svalutazione e il Paese ora potrebbe pentirsi della sua decisione di essere passato dalla Lira all'Euro. Ciononostante non è una buona scelta tornare indietro alla Lira in questo momento, in quanto ciò provocherebbe ingenti perdite agli investitori in tutta Europa, con il risultato di una crisi economica globale senza precedenti.
Questa instabilità persistente nell'Eurozona mostra il fallimento nell'affrontare una politica fiscale e monetaria comune che mette in discussione anche la logica del concetto di Unione Economica. Infatti le economie con le migliori performance sono anche minacciate dalle assurde decisioni politiche ed economiche prese dai leader nei Paesi membri.
La crisi italiana pone ora una seria minaccia all'esistenza dell'intera Eurozona. Riconciliare l'ambizione del governo italiano col rimanere in linea con le politiche dell'UE darà vita ad una bagarre continua nel prossimo futuro. Tuttavia la crisi economica italiana è solo la punta di un iceberg. Anche le questioni legate al debito in altre economie europee, tra cui il Portogallo e la Spagna, sono importanti: "I fondamentali economici in molti Paesi europei sono relativamente deboli. La Spagna ha ancora un deficit eccessivo, così come la Francia", ha dichiarato Michael Leithead, responsabile degli investimenti a reddito fisso presso EFG Asset Management. Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea, ha menzionato nel 2012 che avrebbe fatto "tutto il necessario" per salvare l'euro. È una questione di tempo, ormai, vedere quanto costerà all'UE porre fine a questo contagio virulento del debito.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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di Vijay Victor
L'Unione Europea al momento è indubbiamente ad un bivio. Le economie che un tempo erano considerate pilastri forti dell'UE sono ora sull'orlo di cadere. Gli economisti hanno lanciato numerosi avvertimenti a seguito della crisi finanziaria del 2008 sulle crescenti problematiche legate al debito in molte economie dell'UE. L'incubo dell'UE è iniziato con la crisi economica della Grecia nel 2015. Sebbene il piano machiavellico di Merkel sulle misure di austerità abbia evitato la Grexit, non è stato possibile fare qualcosa per ostacolare l'inevitabile Brexit.
Uno dopo l'altro, i nodi vengono al pettine, rendendo l'intera trama difficile da gestire ai registi di Bruxelles. Il Paese che adesso è finito nell'occhio del ciclone non è altro che l'Italia. La terza economia più grande nell'Eurozona è una nave che affonda. Le ultime statistiche rivelano che l'attuale debito dell'Italia è pari a circa il 130% del PIL totale, circa $2.600 miliardi, quasi uguale alla dimensione dell'economia indiana in termini di PIL nominale. L'economia italiana è 10 volte più grande di quella della Grecia, alludendo ulteriormente all'intensità di questa crisi economica. John Higgins e Adam Hoyes, economisti di Capital Economics, osservano che: "A differenza dell'Italia, il rapporto debito/PIL della Grecia è su una traiettoria discendente e il suo debito è stato ristrutturato molto meglio rispetto a quanto accaduto in Italia. Il debito è molto più grande in termini assoluti e pone un rischio sistemico molto più grande per l'area Euro nel suo complesso ".
Guardando alle prospettive di crescita a lungo termine, le statistiche mostrano un risultato disarmante: il PIL pro-capite italiano è rimasto stazionario negli ultimi 18 anni.
Fonte: OCSE |
Le banche italiane sono già finanziariamente deboli, gravate dal peso di dover rifinanziare le loro emissioni obbligazionarie e gli enormi debiti. Ciò ha ridotto la loro capacità di prestare fondi al settore privato, già con un piede nella fossa. Data la dimensione dell'economia italiana, anche un eventuale aiuto da parte della Banca Centrale Europea potrebbe non essere sufficiente. Le questioni economiche in Italia hanno già posto gravi minacce agli obiettivi monetari della Banca Centrale Europea. La crisi in Italia, se non contenuta, frantumerà la fiducia del mercato nei confronti dell'intera Eurozona.
A chi dovremmo dare la colpa?
Indubbiamente lo scenario politico in Italia ha aggravato la crisi. Le misure del nuovo governo populista in Italia stanno minacciando l'autonomia della banca centrale italiana, la Banca d'Italia. Il nuovo governo vuole prendere il controllo delle ingenti riserve auree della banca centrale italiana. "L'oro è proprietà del popolo italiano e di nessun altro", ha detto Matteo Salvini, vice primo ministro e leader della Lega, chiarendo cosa vorrebbe fare il governo: svalutazione.
Nel 2018 il governo italiano ha cercato di aumentare il deficit di bilancio al 2,4% per i successivi tre anni. Questa proposta non è stata accettata dall'UE e da lì sono emersi i conflitti d'interesse tra il governo e l'UE. Con una moneta comune è impossibile per gli economisti italiani pensare ad una svalutazione e il Paese ora potrebbe pentirsi della sua decisione di essere passato dalla Lira all'Euro. Ciononostante non è una buona scelta tornare indietro alla Lira in questo momento, in quanto ciò provocherebbe ingenti perdite agli investitori in tutta Europa, con il risultato di una crisi economica globale senza precedenti.
Questa instabilità persistente nell'Eurozona mostra il fallimento nell'affrontare una politica fiscale e monetaria comune che mette in discussione anche la logica del concetto di Unione Economica. Infatti le economie con le migliori performance sono anche minacciate dalle assurde decisioni politiche ed economiche prese dai leader nei Paesi membri.
La crisi italiana pone ora una seria minaccia all'esistenza dell'intera Eurozona. Riconciliare l'ambizione del governo italiano col rimanere in linea con le politiche dell'UE darà vita ad una bagarre continua nel prossimo futuro. Tuttavia la crisi economica italiana è solo la punta di un iceberg. Anche le questioni legate al debito in altre economie europee, tra cui il Portogallo e la Spagna, sono importanti: "I fondamentali economici in molti Paesi europei sono relativamente deboli. La Spagna ha ancora un deficit eccessivo, così come la Francia", ha dichiarato Michael Leithead, responsabile degli investimenti a reddito fisso presso EFG Asset Management. Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea, ha menzionato nel 2012 che avrebbe fatto "tutto il necessario" per salvare l'euro. È una questione di tempo, ormai, vedere quanto costerà all'UE porre fine a questo contagio virulento del debito.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/