di Detlev Schlichter
Integrare pienamente il denaro nell'ambiente economico si è dimostrata una sfida perenne per gli economisti. La maggior parte degli economisti del diciannovesimo secolo considerava il denaro come un velo che ricopre l'economia reale e che non interferisce con nessuna delle procedure economiche "reali" sottostanti. Il fatto che il denaro sia un mezzo di scambio e che alla fine le persone scambino beni e servizi per altri beni e servizi, con il denaro che semplicemente funge da intermediario, ha fornito una scusa per ignorare il denaro stesso come un fattore.
Uno scienziato sociale che tentò di rompere questo impasse fu l'economista austriaco Ludwig von Mises, il quale all'inizio del XX secolo fu il primo ad applicare la teoria del valore marginale all'analisi monetaria. Il suo libro, “Theory of Money and Credit” – pubblicato nel 1912, seconda edizione 1924 – divenne il testo fondamentale sull'argomento all'interno della Scuola Austriaca. Definisce ciò che viene chiamata la prospettiva "Austriaca".
Mises spiegò che qualsiasi espansione dell'offerta di moneta ha sempre un punto d'ingresso, dove il nuovo denaro viene iniettato nell'economia e da dove poi si diffonde attraverso una catena di transazioni. Ciò significa che alcuni prezzi aumentano prima di altri. Un'espansione dell'offerta di moneta non può mai far salire tutti i prezzi contemporaneamente, o con la stessa intensità.
Qualsiasi espansione dell'offerta di moneta cambia la ricchezza di specifici individui, o gruppi di individui. I primi destinatari del nuovo denaro possono spenderlo prima che si diffonda nell'economia più ampia e quindi prima che molti prezzi salgano. Pertanto i ricevitori primi ne beneficiano a spese dei destinatari successivi, i quali entrano in possesso del denaro ex novo solo alla fine di un certo numero di transazioni e dopo che esso ha perso parte del suo potere d'acquisto originario.
Ogni iniezione di denaro deve cambiare i prezzi relativi, la ricchezza e la distribuzione del reddito, e cambiare la direzione e la struttura dell'attività economica. In breve, il denaro non può mai essere neutrale. Dopo ogni espansione monetaria, l'economia non è la stessa di prima: prezzi più elevati e un PIL più grande. È, in molti modi, un'economia cambiata.
Vorrei enfatizzare la differenza con gli attuali dibattiti sulla politica monetaria, che spesso danno l'impressione che esista un legame diretto tra il denaro e il macro-aggregato del PIL e il livello dei prezzi, senza che tutto il resto ne possa essere influenzato. Ciò ha portato alla sfortunata idea che una politica di "denaro facile" riesca a sollevare tutte le barche contemporaneamente e allo stesso modo. Che questa sia una pericolosa semplificazione è un principio chiave della tesi Austriaca. A proposito, gli indici dei prezzi ora così popolari mascherano questi effetti e sono quindi misure inadeguate riguardo la gamma di conseguenze di eventuali cambiamenti nell'offerta di moneta.
Nell'economia di oggi la maggior parte del denaro viene creata dalle banche commerciali, ed è qui che Mises ha sviluppato la Teoria Austriaca del ciclo economico.
La caratteristica delle banche è che possono estendere il credito emettendo credito fiduciario che poi circola nell'economia più ampia come una forma di denaro. Se le banche sono disposte a ridurre i loro coefficienti di riserva, possono estendere i prestiti accreditando simultaneamente nuovi depositi sui conti dei mutuatari. Quindi le banche emettono nuovo denaro come sottoprodotto della loro attività di prestito.
Gli effetti di questo processo sono tassi d'interesse in discesa e l'aumento degli importi disponibili sul mercato dei prestiti. Questo a sua volta incoraggia ulteriori investimenti. Questi effetti sono gli stessi nel caso in cui la quantità di risparmi disponibili fosse aumentata, ma in realtà non ce n'è di più. I consumatori non hanno liberato risorse astenendosi dal consumo e non le hanno rese volontariamente disponibili per gli investimenti.
I tassi d'interesse artificialmente soppressi sono quindi segnali errati che ingannano gli imprenditori, i quali estendono la struttura del capitale ben oltre i risparmi disponibili. Come ha affermato Roger Garrison: gli investimenti finanziati dal risparmio portano ad una crescita stabile; gli investimenti finanziati dalla creazione di denaro portano al boom e al bust.
È importante riconoscere la funzione di una recessione nell'interpretazione Austriaca. Invece di vedere la recessione come un incidente o un'aberrazione, secondo la teoria Austriaca la recessione è un processo necessario, sebbene doloroso, con cui l'economia torna in equilibrio. Attraverso la recessione, l'economia si purifica dalle cattive allocazioni del capitale che si sono accumulate nel boom precedente alimentato dal credito facile. Se non si vuole avere una recessione, bisogna evitare il boom artificiale alimentato dal denaro facile. Una volta che s'innesca un boom artificiale basato sul credito facile, la correzione sarà inevitabile.
La linea di politica da seguire è semplice: o si limita la capacità delle banche di estendere il credito tramite la creazione di denaro – come in effetti è stato fatto in Gran Bretagna nel 1844 attraverso il Peel Act – o, se questo è ritenuto troppo draconiano, almeno non incoraggiare o sovvenzionare tale pratica. Non socializzare i rischi e le conseguenze.
Cercherò ora di dimostrare che, negli ultimi 100 anni fino ad oggi, gli sviluppi sono andati quasi costantemente nella direzione opposta. La nostra infrastruttura finanziaria si è spostata sempre di più verso valute sempre più elastiche, sovvenzioni sistematiche al settore bancario e progressiva cartellizzazione delle banche sotto il controllo di una banca centrale. Ciò non è accaduto perché la Scuola Austriaca è stata smentita (e non lo è stata), o perché la gente al potere ha ritenuto il keynesismo o il monetarismo più convincenti (credetemi, non lo sono).
La forza trainante dietro l'evoluzione del nostro sistema monetario è stata semplicemente l'antica speranza che la prosperità potesse in qualche modo essere potenziata stampando più denaro e reprimendo artificialmente i tassi d'interesse.
Il mio rapido excursus storico si concentrerà sugli Stati Uniti, ma sicuramente non avrete difficoltà ad identificare parallelismi a livello internazionale.
Prima del 1914 gli Stati Uniti avevano un gold standard e non avevano una banca centrale. Due precedenti tentativi di istituire una Banca degli Stati Uniti erano falliti miseramente. Ma nel 1914 fu inaugurato il Federal Reserve System, apparentemente come una rete di sicurezza sponsorizzata dal governo centrale contro le corse agli sportelli. Si supponeva che la FED avrebbe aggiunto una certa elasticità al gold standard, e questo era inteso a ridurre il rischio di corse agli sportelli. Naturalmente potevamo aspettarci due conseguenze:
- il boom del credito sarebbe durato più a lungo, perché non sarebbe stato risolto prontamente dall'offerta limitata di riserve auree;
- le banche, sapendo d'avere le spalle coperte da un istituto di credito finanziato dal governo centrale, avrebbero espanso di più i loro bilanci e creato più denaro.
Infatti dal 1914 al 1920 più di 1.700 nuove banche iniziarono ad operare in undici stati, e il totale dei mutui agricoli crebbe di oltre il 9% annuo tra il 1910 e il 1920. L'economia statunitense era, ovviamente, piuttosto diversa 100 anni fa. Il principale beneficiario del denaro facile ancora non era l'edilizia abitativa, ma l'agricoltura.
Ma la deriva dall'obiettivo originario iniziò presto. Il Federal Reserve Act prevedeva che le banche Federal Reserve "fornissero una moneta elastica per elargire i mezzi con cui riscontare il commercial paper [...]", ma nel 1917 la FED iniziò a fornire servizi di prestito in cambio dei titoli di guerra emessi dal governo.
Tra il 1922 e il 1928, la Federal Reserve permise il raddoppio del credito bancario nazionale.
La sponsorizzazione da parte dello stato non rende i boom del credito innocui. Secondo la Teoria Austriaca, gli squilibri accumulati in un ciclo prolungato alla fine diventano più grandi. Il boom potrebbe durare più a lungo; il bust finale sarebbe quindi solo più grave.
Il boom terminò, naturalmente, e per gli Stati Uniti e un certo numero di altri Paesi si concluse con una grave depressione economica.
Come spiega la Teoria Austriaca, la recessione era diventata un processo importante per riportare l'economia in equilibrio. Secondo l'analisi Austriaca non c'era alcuna alternativa razionale all'aggiustamento dei prezzi e alla liquidazione degli investimenti inadeguati. Questo non ha nulla a che fare con "l'azzardo morale". Non ha nulla a che fare con la punizione degli eccessi precedenti. È anche sbagliato suggerire che la Teoria Austriaca inciti la deflazione. La Scuola Austriaca sostiene semplicemente che il boom alimentato dal credito facile introduce necessariamente distorsioni nei prezzi e nell'allocazione del capitale. Queste sono le principali cause alla radice della recessione. L'economia può logicamente adattarsi e tornare all'equilibrio se i prezzi possono tornare a riflettere la nuova realtà. Ciò che lo stato non dovrebbe fare in nessuna circostanza è ostacolare le forze di mercato. Più velocemente l'economia può aggiustarsi alle nuove condizioni, più breve sarà la correzione.
Certo, ostacolare le forze di mercato è esattamente ciò che fece l'amministrazione Roosevelt, come ha fatto anche la maggior parte delle amministrazioni sin da allora; lo stato ha introdotto interventi nei mercati su una scala senza precedenti, con molte delle sue politiche mirate a sostenere i prezzi, compresi i salari. Quasi tutti gli interventi anti-crisi fino ad oggi sono di natura conservatrice: mirano a sostenere le strutture di prezzo e l'allocazione delle risorse esistenti, anche se queste vengono distorte dal boom precedente. Ostacolano quindi la liquidazione e il riequilibrio economico, e tendono a prolungare la recessione. Gli Austriaci non negano che tali politiche possano generare riprese temporanee, ma di solito non durano tanto. L'economia americana rimbalzò nel 1933, solo per tornare in profonda recessione nel 1937. Il verdetto è chiaro: fu il New Deal a porre l'aggettivo "Grande" nella Grande Depressione.
È importante sottolineare che il contesto istituzionale per la creazione di credito bancario venne allentato ulteriormente. Alle banche venne concessa la possibilità di andare in default sulle loro promesse ai depositanti: riscattare i depositi in oro. Praticamente potevano rimanere aperte senza preoccupazioni. Nel 1933 attraverso un ordine esecutivo, Roosevelt confiscò tutto l'oro privato negli Stati Uniti e vietò ai cittadini statunitensi di possedere il metallo giallo, un divieto che durò fino al 1974. Essendo già stato ferito mortalmente dalle politiche dei precedenti due decenni, il gold standard venne infine sotterrato, almeno sul piano nazionale.
A livello internazionale, tuttavia, l'oro era ancora considerato essenziale per la stabilità monetaria. Dopo la seconda guerra mondiale fu respinto il ritorno ad un gold standard classico. Invece venne messo in atto una sorta di gold standard annacquato: il sistema di Bretton Woods. Come tutti i precedenti gold standard, o quasi gold standard, anche questo entrava in collisione con il desiderio perenne di tenere bassi i tassi d'interesse, di tenere allentato il credito e di aumentare i deficit. Negli anni '60 l'abitudine di avere deficit di bilancio persistenti si era impadronita degli Stati Uniti e presto iniziò ad indebolire la fiducia nella volontà americana di mantenere una parità aurea con il dollaro sui mercati internazionali. Il 15 agosto 1971 si verificò un altro default di fatto, quando gli Stati Uniti si rimangiarono i propri impegni internazionali riguardo l'oro, ponendo così fine a Bretton Woods.
Val la pena di sottolineare che il nuovo sistema – o meglio il non-sistema – nato in quel momento, non rifletteva una teoria attentamente ponderata su un ordine monetario sostenibile; non era ampiamente sostenuto dagli economisti accademici. Nixon nel 1971, proprio come Roosevelt nel 1933, agì d'impulso e in risposta a ciò che percepiva come emergenze nazionali.
Dall'agosto del 1971 il mondo intero finì per avere, per la prima volta nella storia, uno standard cartaceo completamente scoperto. Oggi la produzione di moneta non è affatto limitata da un collegamento con una merce avente offerta limitata. Quindi era stato compiuto il passo finale verso un sistema monetario pienamente elastico: dal gold standard al fiat standard.
In base alla Teoria Austriaca, quali conseguenze avremmo dovuto aspettarci da tale organizzazione? I boom possono ora essere ampliati ulteriormente. Certo, squilibri ed allocazioni errate di capitale possono ancora accumularsi, rendendo le recessioni occasionali ancora necessarie e inevitabili, ma le banche centrali ora non hanno più alcuna restrizione significativa nell'allentamento delle condizioni monetarie. Potrebbero quindi essere in grado di abbreviare le correzioni, di ostacolare il processo di pulizia e persino innescare un nuovo boom, prima che la recessione possa liquidare completamente le distorsioni del precedente boom. Sembra quindi ragionevole presumere che nel tempo si accumuleranno squilibri – come, ad esempio, bilanci bancari gonfi ed elevati livelli di debito. Di conseguenza la politica monetaria dovrà correre sempre più velocemente, per così dire, e dovrà diventare sempre più accomodante per contrastare le forze di liquidazione, e sarà sempre più difficile generare il prossimo boom artificiale. Ironia della sorte, poiché la linea di politica diventa sempre più spudoratamente accomodante, diventa anche meno efficace.
Diamo un'occhiata ad alcune delle cose che sono accadute dal 1971 e poniamoci la domanda: il mondo è diventato più stabile? Le prove ci dicono di no. Nel loro studio, This Times is Different, del 2011, Carmen Reinhard e Kenneth Rogoff – due economisti difficilmente riconducibili alla Scuola Austriaca – hanno dimostrato che dal 1971 il numero e l'intensità delle crisi bancarie in tutto il mondo è aumentato. Abbiamo avuto la crisi latino-americana del debito negli anni '80, la crisi messicana nel 1994 e la crisi asiatica del debito nel 1997. I Paesi scandinavi hanno subito una grave crisi bancaria nei primi anni '90.
Il Giappone ha sperimentato una crescita fenomenale nel suo settore bancario negli anni '80, alimentata da un massiccio boom nel mercato immobiliare e azionario. Nel 1987 le dieci più grandi banche del mondo misurate per volume di depositi erano tutte giapponesi. Da quando il boom si è trasformato in bust nei primi anni '90, il Giappone ha faticato a riguadagnare una significativa crescita economica e il Paese è praticamente diventato un gigantesco banco di prova per prescrizioni monetarie di stampo keynesiano. Decenni di soppressione dei tassi d'interesse e di persistente deficit di bilancio – tutti in nome della reflazione e dello "stimolo della domanda aggregata" – hanno lasciato il Giappone con il più grande debito pubblico sul pianeta. Mi sono meravigliato che per 30 anni gli economisti keynesiani e monetaristi abbiano detto ai giapponesi che le loro politiche fossero giuste, che alla fine avrebbero funzionato – le autorità giapponesi devono semplicemente aumentare il dosaggio. Da una prospettiva Austriaca, queste politiche sono controproducenti.
La popolazione degli Stati Uniti ha beneficiato dal passaggio al denaro completamente elastico? Non credo proprio. Negli Stati Uniti il tasso del risparmio personale ha raggiunto il picco del 13.3% nel 1971. I salari orari effettivi, ovvero i salari aggiustati all'inflazione, hanno raggiunto il picco nel 1972; da allora il salario orario medio è stato sostanzialmente piatto.
Naturalmente, come spiegato da Mises 100 anni fa, i primi ricevitori beneficiano del denaro appena iniettato a spese dei ricevitori successivi. Quindi alcune persone ne hanno beneficiato. Man mano che i nuovi soldi vengono canalizzati attraverso il sistema bancario e i mercati finanziari, è probabile che coloro che possiedono asset finanziari o immobiliari, o che lavorano in settori correlati, si siano ritrovati ragionevoli risultati positivi. Val la pena di stare vicino al rubinetto monetario.
Che dire dell'ipotesi secondo cui il sistema si deteriora progressivamente e che le banche centrali debbano diventare sempre più interventiste per raggiungere i loro obiettivi? Le prove potrebbero essere aneddotiche, ma penso che siano ovunque.
Quando la crisi asiatica e il default della Russia innescarono il crollo dell'hedge fund LTCM nel 1998, la FED tagliò i tassi per evitare la minaccia del deleveraging. I mercati azionari e del credito salirono rapidamente – e nacque la cosiddetta "Greenspan put". Investitori e trader appresero che la banca centrale copriva loro le spalle. Sempre più spesso ormai la banca centrale non poteva più permettersi di non farlo.
Dopo lo scoppio della bolla del NASDAQ nel 2000 e nel periodo in cui Enron e Worldcom andarono in bancarotta nel 2002, la FED ha portato all'1% il tasso Fed Funds e l'ha lasciato così per più di tre anni. La politica ultra-allentata della FED in quegli anni è stata determinante nel gonfiare la gigantesca bolla immobiliare che è scoppiata nel 2007 e che ha dato il via alla crisi finanziaria globale del 2008. Dopo tre round di quantitative easing e oltre 7 anni di tassi d'interesse a zero, la FED ha iniziato un processo di "normalizzazione". In una conferenza qui a Londra, solo due settimane fa, Janet Yellen ha detto che non crede che vedremo un'altra crisi finanziaria nella nostra vita. Spero che la Yellen abbia una vita lunga e sana, soprattutto per vedere come si sbagliasse.
Credo che vedremo più crisi in un futuro non troppo lontano e credo che non avverrà una significativa "normalizzazione". Se il "denaro facile" ha sottoscritto la ripresa, com'era nelle intenzioni delle banche centrali, allora lo ha fatto introducendo nuove allocazioni errate nell'economia e seminando così i semi della prossima recessione. Questo è quanto afferma la Teoria Austriaca e si lega bene a ciò che abbiamo visto nei mercati negli ultimi 30 anni. Il sistema è diventato sempre più dipendente dal supporto della politica monetaria e qualsiasi rimozione di tale supporto ha portato a sintomi di astinenza progressivamente peggiori.
Purtroppo ci siamo allontanati progressivamente dai principi di libero mercato nel campo monetario. 100 anni fa, con un gold standard, i banchieri si trovavano di fronte ad un rischio più pressante di bancarotta, ma le banche erano ancora imprese capitaliste. I banchieri dovevano soppesare il profitto di un'estensione del bilancio col rischio di perdere la fiducia dei loro depositanti. È importante sottolineare che i banchieri erano ancora responsabili nei confronti dei loro depositanti. 100 anni dopo, sulla scia di un'estesa regolamentazione bancaria e un'assicurazione sui depositi gestita dal governo centrale, e ora con il supporto di una banca centrale che utilizza le banche commerciali come canale per le sue politiche macroeconomiche, le banche commerciali non prestano quasi più attenzione al consumatore e ora rispondono ai loro regolatori e alla banca centrale.
Anche la banca centrale è cambiata radicalmente. Ricordate, la FED venne fondata per "fornire una moneta elastica per elargire i mezzi con cui riscontare il commercial paper [...]", ma sin da allora è diventata il più grande acquirente e proprietario di titoli di stato statunitensi e un massiccio investitore in titoli garantiti da ipoteca. Negli anni '50 la FED continuava a concentrare le sue operazioni di mercato aperto sul lato corto della curva dei rendimenti, in modo da non influenzare i prezzi delle obbligazioni con scadenze più lunghe. Con l'Operation Twist del 2011, la FED ha assunto il compito di modellare la forma della curva dei rendimenti. Altre banche centrali hanno compiuto i passi successivi: la BCE e la Banca d'Inghilterra acquistano obbligazioni societarie con l'obiettivo di gestire gli spread creditizi; la Banca del Giappone e la Banca Nazionale Svizzera acquistano titoli azionari e fondi comuni d'investimento nel settore immobiliare. E lo scorso anno, la Banca del Giappone è stata la prima banca centrale, per quanto ne so, ad annunciare un obiettivo specifico per i rendimenti decennali sul debito pubblico. (Perché non annunciare anche un target per il mercato azionario?) James Grant ha definito questo sistema il Phd-standard: piuttosto che basarsi su regole rigide, il sistema ripone tutta la sua fiducia nell'abilità degli economisti che ora gestiscono le grandi banche centrali e nelle teorie che attualmente sottoscrivono.
Dal punto di vista Austriaco, è improbabile che questi sviluppi determinino stabilità e crescita sostenibile. Ma tutto ciò che possiamo fare, rappresentando l'opinione della minoranza, è di incoraggiare un ripensamento su quale dovrebbe essere il corretto ruolo della banca centrale nell'economia moderna.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/