venerdì 5 aprile 2019

Il dollaro: il re dei ratti tra le valute fiat in declino





di Alasdair Macleod


La spiegazione per l'arresto improvviso della crescita economica globale si trova nella coincidenza tra il picco del credito ed il protezionismo commerciale. La storia delle recessioni economiche indica una replica del periodo 1929-32, a differenza che all'epoca il denaro fiat era coperto da un gold standard. Le finanze pubbliche oggi sono in condizioni peggiori ed i mercati devono ancora apprezzare le conseguenze di una moderata contrazione del commercio globale. Tra nuove emissioni e la liquidazione di possedimenti in mano straniera, i compratori nazionali dovranno assorbire $2 miliardi di titoli del Tesoro statunitensi nel prossimo anno, quindi è lecito aspettarsi il ritorno del QE. Tuttavia Cina e Russia hanno i mezzi per sfuggire a questo destino, presumendo che abbiano il coraggio di farlo.



Introduzione

Potrebbe essere troppo presto per dire che il mondo stia entrando in una crisi economica, ma anche gli ottimisti cronici devono ammetterlo che le possibilità stanno aumentando. Gli analisti finanziari, sia bullish che bearish, si trovano di fronte ad una complessa matrice di fattori quando devono giudicare l'effetto futuro di qualsiasi contrazione sulle valute e sul dollaro in particolare.

Alcuni ritengono che una recessione globale continuerà a spingere le valute estere ad essere vendute in cambio di dollari, perché questi ultimi sono percepiti come meno rischiosi. Altri puntano il dito alle tensioni intorno all'euro, provenienti soprattutto da una crisi del debito in Italia e nei PIIGS rispetto alla relativa stabilità delle nazioni anseatiche. Alcuni analisti si aspettano che la Cina fungerà da innesco di una crisi quando la sua economia alimentata dal debito imploderà.

Con il progredire della recessione, è normale pensare al dollaro come ad un rifugio sicuro. Per un breve periodo, rispetto ad altre valute questo potrebbe essere vero... ma dopo?

Coloro che hanno successo nella loro analisi oltre il breve termine, ci riescono perché scartano ogni pregiudizio. Potrebbero quindi evidenziare che in caso di una congiuntura economica severa, potrebbe emergere una divisione tra est ed ovest. L'effetto di una recessione sul blocco asiatico, guidato da Cina, Russia e India, rischia di discostarsi dall'America e dall'Europa. È il nuovo contro il vecchio, gli stati asiatici con meno welfare state e le nazioni più mature con welfare state preponderante.

Quando consideriamo questi due gruppi, tendiamo ad analizzare la situazione attraverso la lente dei nostri pregiudizi. Anche rimuovendo questa predisposizione risulta chiaro che qualunque sia il punto di partenza in termini di debito/PIL e altre metriche, le prospettive per le nazioni con meno welfare state saranno nettamente migliori durante una recessione economica globale di quanto lo saranno quelle per nazioni gravate da ampi obblighi legati al welfare. La Cina e altri stati asiatici non dovranno affrontare lo stesso grado di escalation del debito di America, Giappone, Regno Unito e nazioni europee. Inoltre l'Asia ha economie molto più dinamiche, con il potenziale per una continua rivoluzione industriale.

Le finanze pubbliche svolgeranno un ruolo da protagoniste. Dato che si deteriorano durante le recessioni economiche, il punto di partenza e il ritmo di escalation del debito rappresenta tutto ciò che dovrebbe interessarci. Il rapporto debito totale/PIL della Cina è a circa il 260% mentre quello degli Stati Uniti si aggira intorno al 360%, quindi su questo aspetto il debito totale della Cina è significativamente inferiore. Il debito/PIL del governo degli Stati Uniti è superiore al 100%, mentre quello della Cina è meno del 45%. Tuttavia gli analisti occidentali ritengono che la Cina sia in una posizione debitoria più debole rispetto a quella degli Stati Uniti.

La forza principale dell'America, che tutti citano, è il ruolo di riserva della sua valuta. Tutti hanno bisogno di dollari. Tutti i Paesi senza mercati finanziari sofisticati accendono prestiti in dollari, i quali alla fine devono essere rimborsati. Tutto, dai prezzi delle materie prime ai mercati finanziari globali, è etichettato in dollari. Il dollaro è diventato anche un'arma, il mezzo per far rispettare la politica estera americana. È il Re dei Ratti del mondo delle valute.

Finché il mondo gode di una crescita economica, il ruolo dollaro è difficile da mettere in discussione. Quando la marea economica si inverte, tutto cambia. In questo articolo spiegherò perché l'economia globale si sta dirigendo verso una crisi, che per dimensioni potrebbe essere simile alla grande depressione. Se questa analisi è corretta, le prospettive del dollaro come valuta di riserva globale, e addirittura la sua esistenza, saranno minacciate e dovranno essere rivalutate sotto questa luce.



Il picco del credito coincide col protezionismo commerciale

L'accoppiata picco del credito e protezionismo commerciale è decisamente catastrofica. Questa combinazione fu devastante quando lo Smoot-Hawley Tariff Act fu approvato dal Congresso nell'ottobre 1929, in particolare se confrontata con le conseguenze relativamente minori dei dazi Fordney-McCumber del 1922. La differenza era che il Fordney-McCumber fu introdotto all'inizio del ciclo del credito e lo Smoot-Hawley al picco. Questa dissomiglianza fu la causa principale dietro il grave crash di Wall Street e della successiva depressione globale.

Oggi abbiamo una situazione così simile allo Smoot-Hawley e la sua coincidenza con la fase finale del ciclo del credito dovrebbe farci preoccupare. Ciò che è particolarmente allarmante è che il commercio internazionale sembra aver già smesso di espandersi, quasi come se si fosse imbattuto in un muro di mattoni. Un confronto con l'esperienza del 1929 ci dice che questo risultato è estremamente probabile. Quel precedente ci avverte che il commercio internazionale di oggi potrebbe rapidamente scivolare dall'espansione verso una contrazione severa, con conseguenze terribili per l'intera economia globale. Nel 1929 lo Smoot-Hawley e la fase finale del ciclo del credito si unirono per peggiorare la grande depressione.



L'impatto sul finanziamento del debito pubblico sarà immenso

Quale impatto avrà oggi sull'economia statunitense un ciclo del credito alle battute finali combinato con un'escalation di protezionismo commerciale (in particolare per quanto riguarda il finanziamento di un deficit di bilancio crescente visto che gli americani si sono abituati agli stranieri che acquistano in massa i loro bond del Tesoro)?

Per apprezzare tutte le implicazioni, dobbiamo rivisitare la connessione tra il commercio e il deficit di bilancio in base al presupposto che il deficit di bilancio aumenterà mentre i volumi commerciali diminuiranno. Ma prima di esaminare le conseguenze dobbiamo spiegare perché e come i due deficit sono collegati. Il modo più semplice per farlo è immaginare un mondo in cui c'è il sound money, in cui il denaro ed il credito totale sono fissi e la preferenza per detenere denaro rispetto ai beni non cambia.

Se la quantità di denaro e credito è costante, tutte le importazioni devono essere pagate dalle esportazioni. In altre parole, non possono emergere squilibri commerciali se non ci sono cambiamenti nel denaro circolante. Se viene esteso il credito ad un importatore, deve provenire da risparmiatori disposti a posticipare la loro spesa, invece di essere creato dal nulla come nel caso del sistema bancario a riserva frazionaria. Allo stesso tempo, lo stato può finanziare le sue spese solo aumentando le tasse e prendendo a prestito da privati. Il sistema bancario nel nostro esempio non può che fungere da intermediario e non può aumentare la quantità di denaro o credito per la spesa pubblica, né può espandere il credito per finanziare il commercio.

Pertanto il sound money rende impossibile uno squilibrio commerciale così come rende impossibile un deficit di bilancio. Ne consegue che, se le quantità di denaro e credito possono espandersi, si sviluppano squilibri nei bilanci commerciali o statali, o in entrambi. Un deficit non deve condurre all'altro, ma nella misura in cui non accade, allora la differenza deve riflettersi in un cambiamento nel tasso di risparmio. I risparmi devono essere spesi affinché aumenti il consumo che porta poi al deficit commerciale. In alternativa devono essere investiti, o spesi in futuro, affinché si possano ridurre.

Se un governo spende più di quello che riceve in tasse e il conseguente deficit di bilancio non si riflette in un analogo deficit nella bilancia commerciale, è perché gli individui rimandano la spesa e aumentano i loro risparmi acquistando titoli di stato. La loro spesa per gli articoli di consumo viene quindi ridotta, limitando la domanda di beni di consumo importati. Ovviamente ci sono altri asset in cui investire, come le obbligazioni societarie, motivo per cui i deficit gemelli non saranno mai esattamente uguali. Ma in generale, se non vi è alcun cambiamento nel tasso di risparmio, sia il deficit commerciale che quello di bilancio si approssimeranno tra loro.

Nel mondo odierno delle valute fiat, un deficit di bilancio deve pur sempre essere finanziato anche in assenza di un aumento dei risparmi. Le due fonti di finanziamento sono l'acquisto di debito pubblico da parte del sistema bancario e il reinvestimento di dollari in eccesso in mani straniere, principalmente a causa del deficit commerciale. Finché gli stranieri sono disposti a reinvestire le loro eccedenze in dollari invece di venderle, i deficit gemelli non sono destabilizzanti. Il problema arriva quando tale condizione viene a mancare, che è più probabile che accada quando il ciclo del credito è alle battute finali e vengono imposti dazi.

Inoltre le finanze pubbliche si deteriorano rapidamente quando si sviluppa una crisi economica. La tabella 1 qui sotto è un'illustrazione idealizzata di come aumenti il fabbisogno di fondi da parte del governo durante una recessione relativamente minore, a causa di una mutevole combinazione dei deficit gemelli.


I residenti e le banche degli Stati Uniti hanno dovuto trovare $184 miliardi nell'anno fiscale 2018 per colmare il deficit di finanziamento del governo federale. Questo è il requisito del finanziamento nazionale. Supponendo che le modifiche elencate nelle note della Tabella 1 valgano per l'anno fiscale 2019, il fabbisogno di finanziamento interno sale ad oltre mille miliardi di dollari, un aumento di oltre cinque volte. Fondamentalmente questo presuppone che le eccedenze di capitale che si accumulano in mani straniere vengano completamente riciclate in buoni del Tesoro USA.

Un'escalation delle esigenze di finanziamento interno la vedremo anche in tutti gli altri Paesi che abitualmente hanno deficit commerciali e devono far fronte a crescenti obblighi in materia di welfare state. Queste dinamiche non sono state prese in considerazione dalle aspettative del mercato, perché i rendimenti obbligazionari devono ancora riflettere l'aumento dell'offerta e il prezzo dell'oro non ha suggerito le implicazioni inflazionistiche di una reintroduzione di un quantitative easing in tutte le economie avanzate.

Ritornando alla nostra analisi riguardo la posizione degli Stati Uniti, l'aumento del fabbisogno di finanziamento interno implica che le importazioni di capitali dovrebbero aumentare drasticamente, anche durante una recessione moderata, se si vuole evitare una crisi di finanziamenti. È improbabile che ciò accada.

Supponendo che il commercio globale stia iniziando a contrarsi come suggerisce la nostra tesi, è più probabile che gli stranieri rimpatrino i fondi nelle proprie valute invece di investirli in dollari. Le ipotesi inizialmente ottimiste delle società straniere su un'espansione commerciale condurranno inevitabilmente ad una rivalutazione al ribasso delle loro esigenze in dollari. Anche l'aumento dei deficit di bilancio e l'emergere di investimenti improduttivi nelle loro giurisdizioni richiederanno finanziamenti.È quindi decisamente realistica l'ipotesi di una crisi dei finanziamenti pubblici locali che si trasforma in una crisi dei finanziamenti pubblici mondiale.

Fino a poco tempo fa gli investitori stranieri hanno continuamente aumentato i loro investimenti in obbligazioni del Tesoro USA, prevedendo una crescita ininterrotta del commercio transfrontaliero. Questo scenario è cambiato con le nuove politiche protezionistiche americane e le risposte cinesi ed europee. La prova di ciò la troviamo nei dati TIC del Tesoro USA, quando lo scorso dicembre gli stranieri sono risultati venditori netti per $91,4 miliardi, cifra che rappresenta quasi il doppio del deficit commerciale del mese precedente.

Questa potrebbe essere la prova iniziale che i flussi di capitale si stiano già invertendo. Senza afflussi di capitale, dovranno essere il sistema bancario americano e gli investitori privati a finanziare l'intero deficit di bilancio e ad assorbire ulteriori liquidazioni dall'estero. Giusto per essere chiari, la Tabella 1 di cui sopra ci dice che il fabbisogno interno di fondi passerà da $184 miliardi ad oltre $1.500 miliardi se gli stranieri smetteranno di comprare. Inoltre vi è il timore di ulteriori deflussi di capitale, se le cifre TIC di dicembre sono una guida. A quel ritmo gli stranieri liquideranno una parte significativa dei loro investimenti in dollari, cosa che include la cessione di buoni del Tesoro USA.

È molto probabile che queste vendite possano portare gli acquisti interni di titoli del Tesoro statunitensi a oltre $2.000 miliardi. Gli stranieri hanno accumulato ingenti investimenti in dollari nel corso degli anni ed a fine giugno 2018 hanno totalizzato $19.400 miliardi, a cui possiamo aggiungere fondi monetari detenuti tramite banche corrispondenti e strumenti monetari a breve termine per un totale di ulteriori $5.200 miliardi. Ad oltre il 110% del PIL, il totale di $24.600 miliardi in investimenti e liquidità è la più alta esposizione in dollari mai registrata in mani straniere.

Dobbiamo inoltre menzionare il feedback derivante dalla contrazione del commercio internazionale, poiché ciò indebolirebbe ancora di più le esportazioni statunitensi.

I Paesi con un surplus delle esportazioni subiranno quindi un duro colpo da una contrazione generale. Ma come ad esempio hanno costantemente dimostrato il Giappone e la Germania, l'abitudine al risparmio (una parte integrante delle loro eccedenze commerciali) limiterà le loro difficoltà rispetto a quelle affrontate dagli spendaccioni che invece hanno assassinato i loro risparmiatori. Inghilterra, Francia e gli stati mediterranei sono particolarmente a rischio e ci si può aspettare che le prospettive fosche sulla valuta, derivanti da ulteriori pressioni sull'euro-sistema, degenerino in una crisi monetaria europea.

In breve tempo il feedback negativo di queste catene di eventi rischia di indebolire ulteriormente le finanze statali ovunque, peggiorando la contrazione del commercio, riducendo le entrate fiscali e aumentando l'onere del welfare state. La Tabella 1 di cui sopra rifletterà solo l'inizio di un crollo più profondo, un risultato che probabilmente sarà impossibile da evitare, con gravi conseguenze per le valute (in quanto le banche centrali reagiranno con dosi maggiori di inflazione monetaria).



La scomparsa delle valute fiat

Nel 1929 la concomitanza tra lo Smoot-Hawley Tariff Act e le battute finali del ciclo del credito avveniva sotto un gold standard. La mitologia di quell'esperienza ha erroneamente apposto la colpa al gold standard per la depressione e ha alimentato le politiche inflazionistiche che vediamo oggi. In realtà c'è stata una confusione tra effetti e cause, e pochi economisti comprendono il ruolo distruttivo dei dazi durante il picco del ciclo del credito. Ciononostante tutti sanno quale sarà la risposta dei banchieri centrali questa volta: sosterranno i deficit dei loro governi in congiunzione con l'aumento delle riserve delle banche commerciali mediante l'espediente già testato di un quantitative easing.

Il QE per risolvere difficoltà di questo tipo è stata la risposta alla grande crisi finanziaria. È impossibile per gli americani e gli altri risparmiatori finanziare il crescente deficit di bilancio quando sono essi stessi già indebitati, disoccupati e i loro investimenti finanziari soffriranno a causa di un bear market. La ricetta neo-keynesiana è quella di incoraggiare la spesa e scoraggiare il risparmio, in base alla convinzione che la grande depressione sia stata peggiorata dalla tendenza al risparmio. Invece l'inflazione sostituirà il risparmio, accelerando la distruzione della ricchezza personale. In breve, le banche centrali non vedono alternativa all'inflazione, nonostante i ripetuti fallimenti nel raggiungere qualcosa di positivo in passato... a parte la sopravvivenza dei loro stati.

Mentre non sembra esserci alternativa a spremere le ultime gocce di sangue dal settore privato per sostenere i governi e il sistema bancario internazionale, l'escalation dell'inflazione monetaria potrebbe distruggere le valute fiat. Invece di un calo dei prezzi delle commodity e delle materie prime come negli anni '30, a questo giro i prezzi saliranno quando le valute fiat si schianteranno. Quindi, dopo uno shock finanziario iniziale, è probabile che i valori delle proprietà residenziali, le scorte minerarie e le quotazioni azionarie delle imprese che possono sopravvivere ad un crollo della valuta potrebbero iniziare a recuperare.

Il problema più urgente, però, oltre al crollo economico e al crollo della valuta, è la perdurante crisi delle finanze pubbliche. Si presume comunemente che la svalutazione degli oneri statali favorisca lo stato, ma questo punto di vista ingenuo non tiene conto dell'escalation dei costi dei futuri del welfare state. È difficile immaginare che gli stati gravati da questi oneri ingombranti abbiano l'autorità di invertire la legislazione socialista degli ultimi novanta anni al fine di stabilizzare le loro finanze.

Tuttavia un aumento della base monetaria attraverso il QE e la conseguente espansione delle riserve bancarie continueranno ad essere viste come una politica monetaria necessaria. È solo più tardi che diventeranno pienamente evidenti gli orrori insiti nel livello generale dei prezzi. A quel punto sarà troppo tardi, se non lo è già, per affrontare una crescente perdita di fiducia della popolazione nel potere d'acquisto della moneta. Nel caso del dollaro, non appena gli stranieri sovraesposti diventeranno consapevoli di tale tendenza, è probabile che ne accelereranno la vendita. Ciò vale in particolare per i cinesi ed i giapponesi, i maggiori creditori dell'America, i quali smetteranno di prostrarsi davanti alle politiche commerciali americane e si concentreranno per sostenere le loro economie.

Con un dollaro in calo misurato in yuan, yen e persino euro (se tale valuta esisterà ancora per allora), il livello generale dei prezzi in America inizierà a salire ad un ritmo tanto sostenuto che non potrà più essere nascosto attraverso la manipolazione statistica.

E così, la differenza tra il crollo del 1929 e quello attuale è l'oro. Novant'anni fa i prezzi venivano misurati in oro, a $20,67 l'oncia. Ciò portò ad una svalutazione del 40% del dollaro nel gennaio 1934. Oggi, sebbene i dazi siano inferiori a quelli dello Smoot-Hawley e non ancora pienamente entrati in vigore, l'inflazione monetaria dietro al ciclo del credito è stata decisamente più estrema. Se ciò che accadde nel 1929 rimane un precedente valido per quello che succederà nel prossimo anno o due, il destino del dollaro è quello di affrontare una perdita di fiducia come valuta nazionale ed internazionale affidabile.



Sfuggire alla svalutazione del denaro fiat

Da quanto detto, è chiaro che è iniziata una serie di eventi che minacciano di innescare una crisi mondiale del credito centrata sul Re dei Ratti tra le valute fiat: il dollaro. Altre valute fiat affrontano problemi analoghi: deficit gemelli, mancanza di risparmiatori, aumento degli oneri del welfare state e diminuzione delle entrate fiscali. Queste valute fiat sono minacciate dalla stessa sorte del dollaro, ma forse non contemporaneamente.

Questi fatti non sorprenderanno affatto i seguaci della teoria Austriaca del ciclo economico, ma è probabile che le banche centrali occidentali, intuendo vagamente un'altra crisi del credito, abbiano cercato di isolare le vie di fuga. Hanno persuaso le loro popolazioni che l'oro non è più denaro, hanno incaricato le banche di limitare i prelievi di denaro contante e hanno protetto i loro governi da una crisi sistemica stringendo le normative e promulgando leggi per i bail-in. L'effetto di queste misure in una crisi non può che essere indovinato, ma è probabile che accelerino la distruzione del potere d'acquisto di una valuta, se invece di incassare depositi (cioè persone che escono dal sistema bancario ma non dalla valuta) le persone sono costrette a scambiare i saldi bancari con beni fisici e criptovalute per sfuggire dal rischio sistemico.

Si potrebbe obiettare che i piccoli depositanti siano protetti dall'assicurazione sui depositi, ma non sono i piccoli depositanti che inizieranno una fuga precipitosa verso le alternative ai depositi bancari: saranno i grandi depositanti ed i possessori di obbligazioni bancarie che si proteggeranno dai bail-in.

Le valute emesse da nazioni che hanno conservato una cultura del risparmio e i cui governi non sono gravati da ingenti oneri del welfare state, possono sopravvivere se intraprenderanno azioni appropriate. Indubbiamente dovranno resistere alla persuasione dei propri inflazionisti neo-keynesiani che suggeriranno di mantenere "competitive" le loro valute, almeno inizialmente. Quando ciò porterà ad un rialzo dei tassi di interesse interni, queste politiche saranno molto probabilmente abbandonate a favore di un finanziamento solido sotto forma di una copertura con l'oro.

Le valute scoperte con maggiori probabilità di tornare coperte sono lo yuan cinese e il rublo russo. Sia la Cina che la Russia hanno abbracciato l'oro come moneta onorata dal tempo, superiore alle valute fiat in continua svalutazione. Oltre a stabilizzare la situazione monetaria panasiatica a vantaggio del commercio eurasiatico, un gold exchange standard credibile introdurrebbe disciplina monetaria ed abbasserebbe i tassi d'interesse verso il livello concordato reciprocamente da creditori e mutuatari.

Anche se non possiamo prevedere con certezza questo risultato, sappiamo che per l'Asia sarà disponibile l'opportunità di sfuggire alla distruzione della valuta. Possiamo andare ancora oltre, e dire che non ci sarà un'alternativa credibile e che oggi in Cina e in Russia ci sono specialisti abbastanza lungimiranti da comprendere il punto. Dopo tutto, la Russia ha già venduto i suoi dollari in cambio d'oro e la Cina si è mossa per controllare il mercato globale dei lingotti. Inoltre gli ultimi tre mesi di rapporti sullo stato delle sue riserve mostrano che la Cina sembra aver smesso di accumulare dollari e invece li stia vendendo per comprare altro oro. È importante sottolineare che ora non le dispiaccia sbandierarlo ai quattro venti.

La Cina e la Russia si trovano in una posizione simile alla Gran Bretagna dopo le guerre napoleoniche. In seguito alla reintroduzione formale del gold standard nel 1821 (il sovrano d'oro era stato introdotto nel 1816), il valore del debito pubblico in mani private aumentò col diminuire dei tassi d'interesse e la credibilità finanziaria del governo migliorò. La creazione di ricchezza da questo semplice atto fu uno dei principali contributi al successo della rivoluzione industriale, che spinse la Gran Bretagna nella sua preminenza globale. La Cina ha ambizioni simili e capisce che solo permettendo ai suoi cittadini di accumulare ricchezza personale può raggiungere i suoi obiettivi economici.

Sarebbe stupida a non seguire l'esempio britannico del diciannovesimo secolo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


giovedì 4 aprile 2019

Il mito dei prezzi predatori

È notizia di questi giorni che, dopo i licenziamenti dell'anno scorso, il colosso del mining Bitmain continua ad affrontare difficoltà d'impresa. Terrorizzati da un possibile attacco 51% da parte di questa azienda, vediamo ex post che tali paure erano infondate (sebbene lo fossero già ex ante). Infatti il libero mercato bilancia i presunti squilibri precedenti, permettendo a nuovi attori di ricoprire il ruolo ricoperto in precedenza da un presunto monopolizzatore. L'ennesima prova di come il libero mercato sia un sistema economico/sociale di gran lunga più "democratico" rispetto all'attuale stato di cose, soprattutto perché la maggior parte delle persone è incapace di vedere le storture proprio sotto il loro naso e trova faticoso il ragionamento logico lasciandosi trascinare invece dagli slogan. Oggi gli otto principali settori industriali, che controllano circa il 92% dell'economia USA, sono dominati da interessi speciali che ricevono politiche preferenziali. L'attività bancaria (8%) è monopolizzata dalla banca centrale che favorisce le grandi banche, soprattutto quando manipola i tassi d'interesse attraverso l'acquisto e la vendita di obbligazioni dalle grandi banche. L'immobiliare (15%) è monopolizzato attraverso il duopolio di Fannie/Freddie e la Federal Housing Administration che finanzia e promuove abitazioni più grandi e l'espansione urbana selvaggia; mentre i politici favoriscono i loro clientes. L'assistenza sanitaria (18%) è monopolizzata attraverso la concessione di licenze statali che limitano l'offerta di medici e altri professionisti e l'offerta di ospedali, i brevetti federali sui farmaci e altre leggi sulla proprietà intellettuale. L'agricoltura (8%) è monopolizzata attraverso sussidi. I sussidi scoraggiano lo sviluppo di colture alternative, fattorie familiari diversificate e alimenti più sani. Le esportazioni di colture sovvenzionate hanno reso non competitiva l'agricoltura dei Paesi in via di sviluppo. L'energia (12%) è monopolizzata attraverso il cartello petrolifero dell'OPEC incoraggiato dal governo negli Stati Uniti, mentre i mercati statunitensi dell'elettricità e del gas naturale sono controllati da monopoli territoriali. Tali monopoli favoriscono i loro clientes. Poi c'è il sottoprodotto del fracking petrolifero, il gas naturale, il quale è favorito rispetto al carbone meno costoso. L'energia eolica e solare, nonché il carburante per veicoli a base di etanolo ricavati da mais e cellulosa, ricevono sussidi che bloccano lo sviluppo di altre energie potenzialmente a basso costo, comprese le energie rinnovabili. Il trasporto (10%) è monopolizzato attraverso regolamenti governativi, compresi i salvataggi statali, favorendo le grandi case automobilistiche e le quattro principali compagnie aeree. La tecnologia (8%) è monopolizzata attraverso le leggi sui brevetti e sul copyright, mentre le franchigie territoriali regolamentate vengono assegnate ai monopoli locali della telefonia e via cavo. Il governo (13%) ha creato monopoli pubblici attraverso finanziamenti federali, statali e locali, in particolare nell'istruzione.
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di Donald J. Boudreaux


La realtà economica è enorme e complessa. Ogni momento fa emergere innumerevoli azioni, reazioni, correzioni di rotta e scoperte inaspettate. Per dare un senso a tutto ciò è necessaria una teoria solida ed una sana conoscenza della storia.

Tra i compiti importanti che la teoria solida e la conoscenza della storia ci permettono di avere è quello di distinguere ciò che è possibile da ciò che è probabile. La gamma di tutto ciò che è possibile è vasta e comprende, per esempio, la scoperta di un vaccino contro il cancro mentre si modifica una ricetta per la zuppa di tartaruga.

È infatti possibile che il cancro possa essere prevenuto in questo modo. Eppure nessuno arriva a dare credibilità a questa remota possibilità, la quale potrebbe portare alla conclusione di tutte le ricerche mediche sul cancro.

Quasi tutto ciò che è possibile non accadrà mai.



La teoria

Questa verità è importante quando si discute dei cosiddetti prezzi predatori. Si dice che i prezzi siano predatori quando sono sottocosto e usati come mezzo per monopolizzare un mercato. A livello superficiale ha senso questo ragionamento. Dopotutto, se un'impresa oggi fa pagare prezzi sottocosto, non solo rinuncia ai profitti oggi, ma i suoi prezzi bassi minacciano l'esistenza dei suoi rivali. Una volta che i rivali abbandonano tutti gli affari, il predatore avrà il monopolio e poi farà salire i prezzi ai livelli di monopolio. I consumatori subiscono un danno ingiustificato.

È possibile, ma questo risultato non è più probabile di un vaccino contro il cancro mentre si cucina la zuppa di tartaruga. Le ragioni sono molte.



La realtà

Affinché un'azienda riesca a far fallire i suoi concorrenti facendo pagare prezzi "eccessivamente bassi", non solo deve tagliare i suoi prezzi ma anche espandere le sue vendite. Ricordate, l'obiettivo è di togliere così tante vendite alle aziende concorrenti da farle fallire tutte; ma quando un'impresa aumenta le sue vendite a prezzi inferiori al costo, tale impresa subisce necessariamente enormi perdite. I rivali dei predatori, sebbene possano essere obbligati a vendere anche a prezzi sottocosto, hanno un vantaggio che il predatore non ha: possono ridurre le loro vendite durante la guerra dei prezzi al fine di mantenere le loro perdite al minimo.

La teoria economica di base chiarisce che un'impresa che cerca di monopolizzare un mercato facendo pagare prezzi inferiori al costo si auto-infligge perdite superiori a quelle che infligge ad una qualsiasi delle imprese che sta tentando di mandare in bancarotta. E maggiore è il numero di aziende concorrenti che devono essere spinte verso la bancarotta, maggiore sarà il numero di vendite che il predatore deve fare a prezzi inferiori e, quindi, più pesanti saranno le perdite che il predatore si auto-infliggerà. Questa realtà ha spinto Robert Bork a dire che "il miglior metodo di predazione è convincere il vostro rivale che siete una probabile vittima e attirarlo in uno spietato attacco di riduzione dei prezzi".

Coloro che cercano disperatamente di giustificare la teoria dei prezzi predatori, insistono sul fatto che le imprese predatrici hanno tasche più profonde rispetto ai loro rivali. Queste tasche più profonde permetterebbero alle imprese predatrici di subire pesanti perdite mentre i loro rivali, essendo a corto di contanti, dovrebbero chiudere perché non potrebbero permettersi nemmeno perdite leggere.



Il capitale cambia tutto

Suddetto punto di vista trascura l'esistenza dei mercati dei capitali. Una funzione fondamentale dei mercati dei capitali e delle loro istituzioni (come banche, venture capitalist e angel investors) è di canalizzare la liquidità necessaria per le imprese potenzialmente redditizie. Le aziende con buoni risultati, promettenti business plan e affidabili team di gestione, hanno accesso immediato ai mercati dei capitali globali, i quali sono enormi. (Il valore dei prestiti commerciali e industriali totali delle sole banche statunitensi è ora di circa $2.300 miliardi.)

Poiché le imprese che possono operare proficuamente nel lungo periodo investono abitualmente nei mercati dei capitali per ottenere liquidità, le tasche di ciascuna impresa sono tanto profonde quanto la grandezza delle sue capacità, l'ingegnosità delle sue idee e la potenza della sua integrità. Quindi le tasche dei predatori più ricchi non sono più profonde di quelle dei suoi rivali molto abili.

È possibile che tutti i rivali di un predatore non saranno in grado di convincere banche o altri investitori a fornire loro la liquidità necessaria. Possibile nel senso che questo risultato può essere immaginato, ma è estremamente improbabile.

Tuttavia, supponiamo che l'improbabile si verifichi e il ricco predatore riesca a mandare in bancarotta tutti i suoi rivali. Essendo ora il fornitore solitario in un certo mercato, il predatore ha il potere di monopolio per il quale ha pagato così caro.

Questo potere monopolistico è inutile per il predatore, a meno che non alzi i prezzi al di sopra dei costi per raccogliere profitti di monopolio. Può farlo, ma i prezzi al di sopra dei costi attirano nuovi concorrenti. Quindi mandare in bancarotta tutti i rivali esistenti non è sufficiente affinché il predatore possa assicurarsi un potere monopolistico; il predatore deve anche impedire ai nuovi rivali di competere dopo aver mandato in bancarotta i suoi rivali precedenti. Segue un altro giro di discese dei prezzi, con il predatore che ancora una volta subisce perdite maggiori di quelle subite dai suoi nuovi rivali.

Di nuovo, è possibile immaginare che tutti i nuovi entranti andranno in bancarotta, proprio come tutti i concorrenti iniziali del predatore non sono riusciti a ottenere liquidità sufficiente e saranno quindi mandati in bancarotta dai prezzi bassi del predatore. Ma proprio il bisogno di mettere insieme tante bizzarre possibilità rende chiaro che abbassare i prezzi al di sotto dei costi è un modo improbabile di monopolizzare i mercati. Questa possibilità è così remota che non dovrebbe mai essere presa sul serio.

Ciononostante molte persone, incluse le autorità antitrust e gli operatori commerciali, continuano a considerare i prezzi predatori come un mezzo plausibile per monopolizzare i mercati. Ironia della sorte, questo rifiuto di considerare irrealistici i prezzi predatori ha una forte probabilità di creare esso stesso un potere di monopolio.



Intervento statale

Proprio perché una caratteristica chiave di una sana competizione di mercato è la pressione al ribasso sui prezzi, se gli stati intervengono per limitare i "prezzi predatori", le imprese che non sono in grado o non vogliono competere in modo equo cercheranno riparo dalla competizione accusando i loro rivali di tale predazione. Inoltre, timorosi di essere perseguite, le imprese più competitive saranno più riluttanti ad abbassare i loro prezzi se gli stati si impegneranno attivamente contro tale pratica. La competizione economica viene quindi ostacolata piuttosto che stimolata.

La storia ci conferma che non esiste un singolo esempio di un'azienda che abbia avuto un vero potere di monopolio attraverso i cosiddetti prezzi predatori.

Tutti gli stati e tutti i tribunali di tutto il mondo, se fossero veramente impegnati a mantenere i mercati il ​​più competitivi possibile, annuncerebbero incondizionatamente che non prenderebbero mai più sul serio le accuse di prezzi predatori.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


mercoledì 3 aprile 2019

Il rallentamento della Cina sta mettendo in evidenza le crepe nell'economia mondiale





di Claudio Grass


Gli ultimi numeri pubblicati dall'ufficio statistico cinese hanno alimentato timori riguardo le prospettive dell'economia mondiale, dal momento che la superpotenza asiatica ha fatto registrare il tasso di crescita più lento sin dal 1990. I dati mostrano una crescita del 6,6% per il 2018, confermando l'opinione diffusa che il motore della crescita economica mondiale sta perdendo energia.



Le vulnerabilità vanno al di là della guerra commerciale

L'indebolimento della crescita della Cina è stato ampiamente attribuito alle frizioni commerciali con gli Stati Uniti. In una certa misura questo è vero, in quanto la controversia commerciale pesa su entrambi i Paesi con miliardi di dollari di dazi da una parte e dall'altra. Il "cessate il fuoco" di 3 mesi concordato durante l'ultima conferenza del G20 a Buenos Aires si è concluso tre giorni fa e se non si raggiungerà un nuovo accordo, le ostilità sono destinate a riprendere. Donald Trump ha minacciato un dazio del 25% su $200 miliardi di importazioni cinesi, un passo che alimenterà forti pressioni sulla già vulnerabile economia cinese e ne peggiorerà le prospettive.


Tuttavia la guerra commerciale è solo uno dei tanti problemi della Cina. Anche se sarà siglato un nuovo accordo commerciale, sarà probabilmente solo temporaneo. Le ragioni del rallentamento della crescita sono molto più profonde e dipingono un'immagine davvero preoccupante del futuro. E mentre le crepe stanno appena iniziando ad uscire fuori, le loro origini risalgono addirittura al 2008.

All'indomani della crisi finanziaria, la Cina sembrava essere uno dei pochi Paesi ad esserne uscita incolume. Mentre i suoi pari occidentali sprofondavano nel caos e nella disperazione, la sua economia continuava ad andare bene, quasi come se nulla fosse realmente cambiato. Tuttavia questa situazione ha avuto un costo estremamente elevato. La Cina ha accumulato una quantità senza precedenti di debito. Già a metà del 2018 il debito pubblico totale in rapporto al PIL era salito oltre il 250%, un'esplosione gigantesca dal 140% di un decennio prima. Oggi, secondo i numeri di Goldman Sachs, supera il 300%, rendendo vani gli sforzi del governo di progettare un "atterraggio morbido".


Mentre il governo cinese cercava di ridurre la leva finanziaria e di frenare alcuni dei suoi eccessi passati, l'entità del danno è iniziata a venire alla luce. Il Paese è pieno di fabbriche in perdita, con capacità produttiva in eccesso e società "zombi" insolventi, tutte parti di un'economia creata dal debito, dalla corruzione e dall'estrema centralizzazione del potere nelle mani del Partito comunista cinese. Dopo anni di spese aziendali folli con denaro preso in prestito, nel 2018 il tasso di insolvenza del debito societario ha stabilito nuovi record.

Anche il settore bancario è paralizzato, con prestiti non performanti che raggiungono il livello più alto da un decennio a questa parte. Poiché le cifre ufficiali della Cina sono in gran parte inattendibili, l'analisi indipendente e le stime condotte dalla ricerca autonoma ci dicono che le perdite effettive delle banche cinesi arrivano a $8.500 miliardi. Tale cifra rappresenta il 24% del credito totale, moltiplicando per cinque le stime delle proiezioni ufficiali riguardo i prestiti su cui i debitori non riescono a tenere il passo con rate pianificate o pagamenti degli interessi.

Anche i deflussi di capitali rappresentano una seria sfida: nonostante le severe misure del Paese e gli sforzi per prevenirli, la fuga di capitali è dilagante. Gli investitori cinesi sono stati accusati di far salire i prezzi degli immobili in molte capitali occidentali, un concetto non del tutto infondato visto che nel 2018, secondo la National Association of Realtors, sono risultati i migliori compratori di immobili residenziali negli Stati Uniti per sei anni consecutivi.

Infine anche le prospettive di lungo termine della Cina appaiono fosche. Le tendenze demografiche rappresentano un pesante onere per il Paese e per la sua capacità di sostenere la crescita economica. Nonostante gli sforzi del governo negli ultimi anni per incoraggiare i suoi cittadini ad avere più figli, gli ultimi dati mostrano che il tasso di natalità sta raggiungendo i livelli minimi sin dal 1949, poiché il numero di bambini nati in Cina nel 2018 è sceso di 2 milioni. Sebbene nel 2016 il Paese abbia finalmente allentato la politica del figlio unico, i tassi di natalità non sono aumentati, mentre a lungo termine sono stati arrecati gravi danni al suo sviluppo sociale ed economico. Oltre alla palese repressione e alle violazioni dei diritti umani (che si stima abbia prevenuto circa 400 milioni di nascite), ha anche provocato una diminuzione della forza lavoro, squilibri di genere e l'aumento di quella parte di popolazione composta da vecchi. Secondo uno studio della China Academy of Social Sciences (CASS), la popolazione del Paese, ora a 1,4 miliardi, dovrebbe raggiungere un picco di 1,44 miliardi entro il 2029. Successivamente si prevede che entrerà in un periodo prolungato di "inarrestabile" declino, con la popolazione nella forza lavoro che scenderà di ben 200 milioni entro il 2050, mentre la proporzione di pensionati è destinata ad aumentare costantemente fino al 2060.



Impatto a livello globale

L'economia cinese rappresenta quasi un terzo della crescita mondiale e ha il primato nel commercio mondiale, trainandosi dietro tutti gli altri Paesi. Ciò significa che un rallentamento economico non è solo un problema della Cina, influisce su molti Paesi che hanno diversi gradi di esposizione alla superpotenza asiatica. Alla fine di gennaio il Fondo Monetario Internazionale ha tagliato le sue stime riguardo la crescita globale al 3,5%, un calo notevole rispetto al tasso del 3,7% registrato nel 2018 e un'inversione rispetto ai tassi di crescita degli anni precedenti. Questo pessimismo è tutt'altro che esclusivo al FMI, perché anche le previsioni della Banca mondiale e dell'OCSE sono altrettanto pessimiste. Tra le ragioni comuni per il rallentamento della crescita c'è la preoccupazione per la Cina. Come ha avvertito Citigroup in una nota a metà gennaio, un crollo in Cina può "spazzare via l'economia globale".

Un rallentamento economico sarebbe particolarmente doloroso per l'Asia e per molti mercati emergenti, poiché per gran parte dell'ultimo decennio sono diventati dipendenti dalla Cina e dalla sua robusta domanda di materie prime e materiali. Tuttavia non sarà solo l'Asia a risentire dell'impatto della contrazione della domanda: anche Germania, Stati Uniti e Australia sono fortemente esposti a questo rischio. Ciò è particolarmente preoccupante nel caso della Germania, poiché essa gioca un ruolo decisivo nel futuro economico dell'Eurozona. Dato che è già debole e si trova di fronte a forti venti contrari, le ulteriori pressioni provenienti dalla Cina non potrebbero arrivare in un momento peggiore.

L'impatto delle preoccupazioni economiche in Cina è già stato avvertito da aziende di livello internazionale. Le vendite di auto in Cina sono scese ad un minimo di 7 anni, indebolendo case automobilistiche come Volkswagen e Toyota, mentre un significativo calo delle vendite di iPhone ha inferto un duro colpo al prezzo delle azioni di Apple.

Nel complesso, i problemi affrontati dalla Cina erano ampiamente prevedibili. Una nazione sepolta da montagne di debiti avrebbe dovuto affrontare l'elefante nella stanza: la crescita alimentata dal credito è solo un'illusione e non è sostenibile. A mano a mano che la realtà bussa alle sue porte, le cupe previsioni per la Cina dovrebbero servire da monito per gli investitori in Occidente, dove i governi hanno tentato di usare gli stessi metodi per sostenere le loro economie.

A questo punto il danno è irreversibile e l'imminente rallentamento economico globale esporrà le profonde crepe nel nostro sistema. Per gli investitori, mentre la tempesta inizia ad insinuarsi, è giunto il momento di adottare misure proattive e proteggere la propria ricchezza attraverso un solido portafoglio di metalli preziosi e criptovalute.

Infine, è particolarmente significativo il fatto che la Cina abbia accelerato i suoi acquisti di oro negli ultimi decenni e aggiunto grandi quantità alle sue riserve. Sebbene la People's Bank of China (PBoC) si collochi ancora al quinto posto tra le nazioni del mondo che accaparrano oro, le stime dei possedimenti totali d'oro tra gli individui, le grandi aziende ed i minatori segnalano 20.000 tonnellate. Questo dimostra che le persone hanno capito da molto tempo che se si vuole essere indipendenti, bisogna proteggere la propria ricchezza ed i propri risparmi con un asset che non può essere creato dal nulla, svalutato e manipolato arbitrariamente.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


martedì 2 aprile 2019

La differenza tra offerta di denaro e liquidità





di Frank Shostak


Talvolta si sostiene che i cambiamenti nei depositi governativi presso la Federal Reserve (FED) mettano in modo variazioni nella liquidità e che ciò abbia effetti sui mercati finanziari. Secondo questo punto di vista, un aumento dei depositi governativi presso la FED porterebbe da un calo dell'offerta di moneta e quindi ad un calo della liquidità monetaria. Viceversa, un calo dei depositi governativi presso la banca centrale si tradurrebbe in un aumento dell'offerta di moneta e della liquidità monetaria. Un'ipotesi implicita in questo punto di vista è che un aumento dell'offerta di moneta e un aumento della liquidità rappresentino la stessa cosa.



Il significato della liquidità monetaria

Mentre molte persone parlano di denaro e liquidità in modo intercambiabile, la realtà è che questi sono concetti molto diversi. Mentre il termine denaro si riferisce semplicemente all'offerta di denaro, il termine liquidità riguarda l'interazione tra l'offerta e la domanda di denaro.

Le persone domandano denaro principalmente per facilitare il commercio. Per mezzo del denaro, un prodotto di uno specialista viene scambiato con il prodotto di un altro specialista. Ciò che rende denaro una qualsiasi merce (cioè un mezzo di scambio) è il suo maggiore potere d'acquisto rispetto a qualsiasi altra merce. Il denaro (essendo la merce più commerciabile) consente ad un individuo di assicurarsi una maggiore varietà di merci rispetto a qualsiasi altra merce, ovvero, ha un potere d'acquisto molto maggiore. Pertanto, quando le persone cercano più denaro, non vogliono più denaro in tasca ma, piuttosto, più potere d'acquisto.

Così scrisse Mises a pag. 421 dell'Azione Umana:
I servizi svolti dal denaro sono condizionati dal suo potere d'acquisto. Nessuno vuole avere tra i suoi possedimenti un certo numero di pezzi di denaro, o un determinato peso di denaro; vuole conservare un certo ammontare di liquidità con una certa quantità di potere d'acquisto.

Quando la banca centrale intraprende una politica monetaria allentata, per un dato livello di potere d'acquisto e domanda di denaro, l'aumento della quantità di denaro comporterà un suo surplus. Di norma, nessun individuo vorrà trattenere più denaro del necessario. Di conseguenza gli individui cercheranno di liberarsi del surplus di denaro convertendolo in (cioè acquistando) beni e servizi. In questo modo aumenteranno i prezzi di beni e servizi, ovvero, si ridurrà il potere d'acquisto del denaro. Questo declino nel potere d'acquisto porterà all'equilibrio la quantità di denaro domandata con la quantità di denaro offerta.

Viceversa, se (per una data massa monetaria) si verifica un aumento dell'attività economica, ovvero, un aumento della produzione di beni, emergerà un probabile aumento della domanda di denaro; ora è necessario più denaro a fronte di un maggiore volume di produzione. Quindi, per un dato potere d'acquisto del denaro, la quantità di denaro domandata supererà la quantità di denaro offerta. Dato che ora abbiamo più beni rispetto al denaro, i prezzi delle merci diminuiranno, cioè aumenterà il potere d'acquisto del denaro. Con il maggiore potere d'acquisto del denaro, la quantità di denaro domandata tornerà in linea con la quantità offerta.

Il divario, o la differenza, tra i tassi di crescita della quantità di denaro offerta rispetto a quella domandata viene etichettata come liquidità. Un calo di questo divario rappresenta un calo della liquidità, mentre un aumento del divario rappresenta un aumento della liquidità.


Si noti che la liquidità è la differenza tra il ritmo di crescita dell'offerta di denaro rispetto alla domanda di denaro.

Liquidità = variazione percentuale dell'offerta di denaro - variazione percentuale della domanda di denaro

I componenti più comuni che guidano i cambiamenti nella domanda di denaro sono i cambiamenti nella produzione e l'inflazione dei prezzi.

Si noti nuovamente che la liquidità emerge una volta che la quantità di denaro offerta e domandata sono fuori equilibrio a causa dell'interazione tra l'offerta e la domanda di denaro. L'emergere della liquidità mette in moto un processo equilibratore mediante le variazioni dei prezzi delle merci. Attraverso questo processo, possiamo quindi vedere che il cambiamento nel potere d'acquisto del denaro serve a bilanciare la quantità di denaro offerta con la quantità di denaro domandata, cioè l'eliminazione della liquidità. In realtà questo equilibrio non può mai essere raggiunto, tuttavia ciò che importa sono le dinamiche che spingono verso l'equilibrio. Queste dinamiche sono messa in moto dalla differenza tra la quantità di denaro offerta e la quantità di denaro domandata, cosa che attiva cambiamenti nel potere d'acquisto del denaro.



I cambiamenti nella liquidità influenzano i mercati dopo un certo lasso di tempo

Un cambiamento nella liquidità non influisce immediatamente su tutti i beni ed i prezzi, ma dopo un certo lasso di tempo. Diciamo che si verifichi un aumento dell'offerta di denaro rispetto alla sua domanda. Questo evento tenderà a far scendere il potere d'acquisto del denaro. Questo conseguente aumento della liquidità viaggerà da un mercato all'altro fino a quando, in media, i prezzi delle merci aumenteranno fino al punto in cui la quantità di denaro offerta sarà uguale alla quantità di denaro domandata. (Con il minore potere d'acquisto del denaro, la maggiore quantità di denaro offerta sarà in equilibrio con la quantità domandata.)

Viceversa, un calo delle iniezioni monetarie tenderà a far aumentare il potere d'acquisto del denaro e ciò servirà a portare all'equilibrio la quantità di denaro offerta con quella domandata. (Con il maggiore potere d'acquisto del denaro, la minore quantità di denaro offerta sarà in equilibrio con la quantità domandata).

Dato che le fluttuazioni della liquidità esercitano il loro effetto sui mercati di beni ed asset dopo un certo lasso di tempo, dovremmo aspettarci che le variazioni dei prezzi di vari beni ed asset finanziari seguano i cambiamenti della liquidità.



Crescita monetaria e liquidità sono correlati positivamente?

Dato che la liquidità è il prodotto dell'interazione tra l'offerta e la domanda di denaro, non è necessariamente sempre il caso che un aumento dell'offerta di denaro porti ad un aumento della liquidità. Infatti un aumento del tasso di crescita dell'offerta di denaro potrebbe essere associato ad un calo della liquidità. Viceversa, è del tutto possibile che un calo del tasso di crescita dell'offerta di denaro potrebbe essere associato ad un aumento della liquidità.

Ad esempio, se l'offerta di moneta diminuisse del 10% e fosse accompagnata da un calo dell'attività economica del 10% e un calo dell'inflazione dei prezzi del 5%, ciò comporterebbe un aumento della liquidità del 5%, calcolato come segue:

Liquidità = -10% - (-10%) - (-5%) = +5%

Storicamente ci sono state diverse occasioni in cui l'offerta di denaro e la liquidità non si sono mosse in tandem. Tra l'ottobre del 1929 ed il luglio 1932, ad esempio, il tasso di crescita annuale dell'offerta di denaro calò dall'8,3% a -14,5%, mentre nello stesso periodo la liquidità passò dallo 0,2% al 26,5%. Inoltre, durante il periodo compreso tra l'ottobre 1970 e l'agosto 1972, il tasso di crescita annuale dell'offerta di denaro salì dal 5,5% al 6,1%. Durante questo periodo la liquidità scese dal 6,3% a -7,9%.


Anche se i vari commentatori avessero ragione e l'economia degli Stati Uniti si trovasse di fronte a massicci aumenti nella crescita dell'offerta di denaro durante il primo trimestre a causa delle spese governative, questo potrebbe non avere un forte impatto sui mercati finanziari. Poiché le variazioni dell'offerta di denaro e della liquidità influenzano i mercati con un certo ritardo, la traiettoria dei mercati finanziari nel trimestre corrente (marzo) è già ampiamente determinata dalle precedenti variazioni della liquidità.

Per gli Stati Uniti il ritardo medio tra la variazione della liquidità e la variazione dei prezzi degli asset finanziari è di circa 20 mesi. Pertanto, a seguito delle variazioni della liquidità di circa 20 mesi fa, è probabile che il tasso di variazione dell'indice S&P500 subisca una pressione al ribasso per gran parte del 2019. Si noti che questa valutazione viene presa solo da una prospettiva riguardante la liquidità.




Conclusioni

I cambiamenti nell'offerta di denaro e nella liquidità, non sono la stessa cosa. La liquidità è il risultato dell'interazione tra l'offerta e la domanda di denaro. Contrariamente alle credenze comuni, è possibile che i cambiamenti nell'offerta di denaro e nella liquidità possano muoversi in direzioni diverse. Inoltre, anche se assistiamo a forti aumenti dell'offerta di denaro nel primo trimestre, come suggerito da alcuni commentatori, questo non è necessario per essere rialzisti riguardo il mercato azionario, visti i probabili effetti negativi delle fluttuazioni passate nella liquidità.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


lunedì 1 aprile 2019

Cosa accade all'Europa quando l'economia della Germania rallenta?





di Claudio Grass


Fino a poco tempo fa la Germania era il cavallo da corsa, apparentemente indistruttibile, che ha allontanato l'economia europea dall'orlo del baratro e l'ha tenuta compatta attraverso una miriade di pressioni interne ed esterne, nonché crisi politiche, nell'ultimo decennio. Quale leader innegabile del blocco europeo, il Paese tedesco ha guidato e supportato piani di salvataggio per i soggetti più deboli dell'Eurozona, nonché una serie di politiche controverse che miravano ad una maggiore centralizzazione dell'UE. Tuttavia, con nuvole nere che ora si addensano all'orizzonte riguardo le prospettive economiche della Germania, stanno aumentando le preoccupazioni sui potenziali effetti a catena sull'intera unione monetaria.



Scendere sotto le aspettative

Le tensioni commerciali, la minaccia di una hard Brexit e la debole crescita dei mercati emergenti hanno contribuito a smorzare la ripresa economica della Germania durata nove anni. Il 2018 è stato un anno difficile per il terzo esportatore mondiale, poiché la Germania ha visto diminuire il suo surplus commerciale. Con le importazioni che crescono più velocemente delle esportazioni, l'impatto delle dispute commerciali tra gli Stati Uniti e Cina/Unione Europea è stato ampiamente sentito dai leader nel settore industriale.

I dati recenti gettano grandi ombre sul formidabile settore manifatturiero tedesco, con una produzione industriale molto inferiore alle attese. A novembre la produzione industriale è diminuita dell'1,9%, mentre il calo anno/anno è stato del 4,7%. Queste cifre, le peggiori dalla fine della crisi del 2008, stanno facendo sorgere timori tra gli investitori e gli analisti di una recessione imminente.

Inoltre è improbabile che il nuovo anno riesca ad invertire questo trend, poiché si prevede che l'economia tedesca cresca ad un tasso inferiore all'1,5%, una stima rivista verso il basso da marzo. Allo stesso tempo il sentimento da parte dei leader del settore industriale e degli investitori si sta spostando dalla prudenza al puro pessimismo per ciò che ci aspetta. Secondo un recente sondaggio dell'associazione di categoria BVMW, il 53% delle piccole e medie imprese tedesche ritiene che il paese scivolerà in recessione il prossimo anno.



Fattori aggravanti

Il rallentamento economico può avere gravi conseguenze in sé e per sé, tuttavia la situazione è destinata a peggiorare a causa di una serie di sviluppi esterni ed interni. In primo luogo, poiché la Banca Centrale Europea (BCE) si sforza di normalizzare la propria posizione monetaria, il contesto estremamente accomodante in cui i mercati e le società hanno operato negli ultimi anni diventerà un lontano ricordo.

Le forze interne contribuiranno ad andare contro l'economia tedesca, con il mercato del lavoro che è diventato uno dei problemi chiave. La crescente penuria di lavoratori qualificati ha messo in grosse difficoltà i datori di lavoro ed è stata dannosa per le loro operazioni. In media ci vogliono 100 giorni affinché un'azienda riempia un posto vacante ed i settori più duramente colpiti sono quelli dell'industria tecnologica, edilizia e sanità. Come mostra una nuova relazione dell'istituto di ricerca economica Prognos, il problema è destinato a peggiorare. La relazione prevede una carenza di circa 3 milioni di lavoratori qualificati entro il 2030, stima che salirà a 3,3 milioni entro il 2040. I dati demografici della Germania, in particolare i bassi tassi di natalità, sono i principali colpevoli di questo disallineamento, in quanto la prossima generazione di lavoratori non sarà sufficiente a sostituire la popolazione attiva che si sta ora spostando verso la pensione. L'ondata migratoria iniziata nel 2015, nonostante le previsioni contrarie, non è riuscita a colmare tale lacuna, poiché l'integrazione nella forza lavoro è ampiamente fallita e la maggior parte dei candidati non ha le competenze linguistiche e tecniche richieste per coprire i posti vacanti.

La carenza di manodopera è una ferita auto-inflitta per la Germania, proprio come i problemi nel settore dei servizi. L'eccessiva regolamentazione, gli ampi interventi e le inevitabili inefficienze di un'economia pianificata centralmente stanno creando ostacoli significativi che frenano la crescita e la competitività. Requisiti eccessivamente restrittivi e imposti dallo stato per l'accesso a varie professioni riducono drasticamente il numero di candidati idonei, rendendo ancora più difficile per i datori di lavoro riempire i posti vacanti. Inoltre i costi esorbitanti di previdenza sociale ed altre imposte, nonché le severe restrizioni sulle condizioni di licenziamento dei dipendenti, impongono un pesante onere sulle aziende, in particolare per coloro che cercano di competere a livello internazionale. In altre parole, la demografia è uno dei candidati per spiegare le difficoltà tedesche, ma il suo ruolo dannoso è ampiamente amplificato dalle inefficienze sistemiche esistenti e dalle restrizioni al mercato.

Ultimo, ma non meno importante, è il profilo dell'economia tedesca stessa. Nonostante la retorica dell'ottimismo e le proposte che ascoltiamo regolarmente dal governo tedesco e dai suoi rappresentanti, la maggior parte delle idee non sono passate dalla teoria alla pratica. Il Paese non è riuscito a sfruttare i suoi anni di boom per migliorare la competitività del suo settore dei servizi, modernizzare e digitalizzare aspetti chiave del suo settore industriale, fare passi in avanti sulla riforma fiscale o imporre misure significative per sostenere le pensioni che sono vicino al punto di rottura. In altre parole, aver perso l'opportunità di prepararsi potrebbe rivelarsi una mancanza fatale quando la Germania dovrà rispondere alla prossima crisi economica.



Effetto domino

Il ruolo della Germania come locomotiva dell'intero blocco europeo è stato cruciale nell'ultimo decennio e le crepe nella sua economia non potevano emergere in un momento peggiore. L'Eurozona nel suo insieme sta già affrontando forti venti contrari, con stime di crescita che già fanno segnare nuovi minimi. Secondo un recente sondaggio condotto dal Consensus Economics, la crescita del PIL per il 2019 sarà appena al di sotto dell'1,6%, ovvero dello 0,4% in meno rispetto alla precedente previsione di marzo. Questo sarebbe il secondo calo consecutivo annuale, con i dati sulla crescita per il 2018 inizialmente previsti all'1,9%, molto al di sotto del 2,4% registrato nel 2017.

Non scordiamoci delle pressioni periferiche, sia economiche che politiche. La Francia, un tempo alleato politico affidabile della Germania e una forte presenza economica nell'Unione Europea, è gravemente indebolita da disordini interni e perdita di fiducia della popolazione nei confronti del governo, mentre per la prima volta sin dal 2016 il suo settore privato è scivolato in una contrazione. L'Austria, anch'essa ex-sostenitrice delle iniziative tedesche nell'UE, si è spostata su una posizione più critica, opponendosi ferocemente alle proposte di migrazione guidate dalla Germania e schierandosi invece con Ungheria, Polonia e altri stati membri che la pensano allo stesso modo. Nel frattempo la prospettiva di una Brexit "senza accordo", una volta impensabile per Bruxelles, sta lentamente prendendo piede, così come le sue implicazioni economiche per il blocco europeo.

Sullo sfondo delle tensioni sociali e politiche che sono spuntate in tutto il continente da oltre due anni, le elezioni del Parlamento europeo che si terranno a maggio di quest'anno suscitano timori di una "rimonta" euroscettica. Profonde divisioni ed una cronica mancanza di dialogo hanno significativamente indebolito la coesione sociale in Europa, attenuando la voce dell'individuo e spostando il potere sulle strutture di gruppo e sulle identità collettive. I dibattiti su questioni politiche ed economiche vitali sono stati in gran parte sostituiti da discussioni inutili, semplicistiche e populiste, poiché l'interesse pubblico per la politica e la fiducia nei politici sono colati a picco. La recente sommossa dei "Gilet Gialli" ha ispirato proteste in tutto il continente, fornendo forti segni di questo pubblico scontento nei confronti dello status quo.

Complessivamente sembrerebbe che la Germania sia come la corda che mantiene unito il blocco europeo e se si dovesse spezzare, potrebbero emergere molteplici problemi che minaccerebbero il futuro dell'Eurozona e la coesione dell'UE. A causa delle crescenti difficoltà politiche e del rallentamento economico, le prospettive per i mercati europei e per l'euro sono tutt'altro che incoraggianti.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/