venerdì 11 luglio 2025

La radice di tutte le tensioni in Medio Oriente: gli inglesi

 


di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-radice-di-tutte-le-tensioni-in)

Mettiamo un po' di cose in prospettiva per non perdere la bussola. L'amministrazione Trump sta cercando di rimuovere incrostazioni burocratiche negli Stati Uniti che vanno indietro di centinaia di anni. Più del Congresso, il suo compito è quello di convincere l'elettorato (come sta facendo Alberta in Canada affinché non vengano etichettati “separatisti”, o peggio dalla stampa). Portarlo dalla sua, che abbia fiducia è cruciale affinché non si debba improvvisare. La maggior parte delle affermazioni fatte sulla stampa sono fuorvianti, perché fino a ora i nemici lungo la strada non hanno fatto che moltiplicarsi... tutti quelli che nel precedente sistema dell'eurodollaro avevano privilegi. La stampa è uno di questi nemici e Trump piuttosto che dire apertamente le sue reali intenzioni deve sparare tutta una serie di bizzarrie prima di arrivare davvero al punto. Questo, a sua volta, significa dover accettare un certo livello di ambiguità e incertezza in questo momento storico di transizione. Transizione degli Stati Uniti da cosa? Dal sistema di “libero scambio” inglese al sistema americano di politica economica. La ricostruzione della credibilità passa anche da qui.

E questo ci porta altresì al motivo per cui ci sono tanti venti contrari contro la Big Beautiful Bill e perché ci sono tante menzogne a riguardo. Nell'alveo della Reconciliation Bill solo le spese non discrezionali possono essere toccate. Si può discutere del lato entrate e tasse, ma i tagli del DOGE alla spesa non possono essere approvati subito perché gran parte di essi riguardano la spesa discrezionale e vengono approvati nella Rescission Bill. La legge, quindi, è stata tenuta ostaggio dal Senato dai “soliti noti” affinché gli aiuti all'Ucraina, e quindi i dollari all'estero, continuassero a scorrere. Rand Paul e Massie, opponendosi, dato che non hanno mai affrontato una Reconciliation Bill, hanno fatto il gioco di neocon come Murkowski, Collins, Graham, ecc. (senza contare che molti senatori affrontano le elezioni l'anno prossimo, quindi è “comprensibile” un'opposizione da falchi sul lato fiscale dell'equazione). La cricca di Davos, quindi, non sta facendo altro che mettere pressione sui suoi infiltrati al Congresso affinché rallentino questo processo e si possa vendere la narrativa “l'amministrazione Trump non sta facendo niente” oppure “la legge aumenta il deficit”. Davvero? Ci siamo scordati della USAID? Senza contare che le proiezioni del CBO considerano erroneamente i tagli delle tasse come un aumento automatico delle spese.

Non solo, ma il momento era diventato più impellente perché a fine giugno terminavano gli ultimi aiuti all'Ucraina approvati dall'amministrazione Biden. Non solo, ma questa settimana scattano i dazi contro l'UE. Una crisi, quindi, di qualunque natura è necessaria per spostare questi eventi ancora più avanti nel tempo e farli coincidere inoltre con il rollover del debito ($7.000 miliardi) previsto per questa estate. Occasione che non mancherà di essere sfruttata dalla stampa e dagli utili idioti al seguito per far passare l'idea, erronea, che nessuno voglia i titoli di stato americani (ignorando comodamente il gioco portato avanti dalla cricca di Davos di vendere il back-end della curva dei rendimenti e comprare il front-end in modo da dare l'idea di un'inversione della stessa).

Infatti il front-end della curva dei rendimenti americana continua a mostrare un'inversione sempre più pronunciata, questo significa che i possessori esteri stanno vendendo per tenere liquidi i loro mercati e saldare i debiti denominati in dollari. Secondo gli ultimi dati TIC il Canada è stato il venditore più accanito di recente, questo soprattutto grazie al carry trade che è stato impostato da Carney tra la curva dei rendimenti canadese e quella americana tramite l'emissione a marzo di una tranche di bond denominati in dollari americani. Ecco perché Powell, tra l'altro, s'è ostinato a tenere alti i tassi e a tenere il DXY in una banda di prezzo definita facendo in modo che non cadesse al di sotto dei 90 punti: ha semplificato la vita agli esportatori, ha continuato a contrarre l'offerta di dollari ombra e, al contempo, ha reso la vita difficile a chi voleva ancora sfruttare il mercato dell'eurodollaro.

Tra gli altri venditori importanti è risultato Hong Kong che di recente ha visto una severa svalutazione del dollaro honkonghense rispetto a quello americano perdendo il “peg”. Due delle valute più importanti al mondo per il loro “peg” col dollaro americano sono il dollaro di Hong Kong e il riyal saudita. Quest'ultimo non sta mostrando nessun segno di stress, invece. Anche Singapore s'è mostrato un venditore di titoli di stato ad aprile e questo mi fa pensare che c'è canalizzazione di biglietti verdi, da queste “succursali”, laddove servono di più: a Londra. Se mettiamo le due cose insieme, ovvero fame di dollari a livello internazionale e i guai emergenti a Hong Kong, la scena potrebbe essere pronta per una nuova crisi sovrana con epicentro la città cinese e riverberarsi subito a Londra e Bruxelles. Per quanto anche gli USA possano essere travolti da una crisi del genere, la loro condizione economica è nettamente superiore rispetto a quella del resto del mondo. Infatti la maggior parte della salita dell'indice S&P500 è stata dovuta alle Mag 7 negli ultimi dieci anni o giù di lì. Una rotazione della liquidità da queste, e quindi una correzione degli indici azionari principali, all'economia generale significherebbe un buon periodo di consolidamento. Nel frattempo la fuga di capitali dall'Europa attenuerebbe la correzione delle azioni americane facendole tornare, meno traumaticamente, a una media storica sostenibile. Nel secondo trimestre l'Eurostoxx è già inferiore in quanto a performance rispetto al Dow Jones. Una crisi del debito sovrano seguirà a ruota, così come una monetaria. Ricordate, se l'euro e la sterlina sono riuscite a rimbalzare dal fosso in cui stavano finendo è perché hanno venduto (e continuano a vendere) asset denominati in dollari e dollari per ripagare i propri debiti in una valuta la cui offerta è in contrazione.

Per quanto Trump possa voler un dollaro relativamente “basso”, il DXY non può scendere oltre una certa soglia altrimenti ciò significherebbe importare inflazione in eccesso. Questo significa che il DXY tornerà a salire, rimanendo nel range dei 100-105. Più in alto significa che il mondo sta implodendo. Infatti i livelli attuali nei mercati dei cambi da parte di sterlina ed euro sono artificialmente gonfiati, considerando come Ripple sia destinato a disintermediare Londra dal Forex e dallo Swift (Bitcoin è un'altra cosa invece, più collaterale e asset al portatore digitale che fornitore di liquidità).

Nel momento in cui il dollaro risalirà, seguito dal Dow Jones e dal back-end dei titoli di stato americani, insieme a una moderazione dell'inflazione, una crescita solida in generale e una riorganizzazione industriale degli USA, quello sarà anche il momento in cui la FED taglierà i tassi. Molto probabilmente già da questo mese e altre 3 volte durante gli ultimi 6 mesi di quest'anno. L'eccezione a questo percorso è un prezzo del petrolio sui $90 al barile, dato che un'inflazione spinta dalle materie prime più virulenta impedirà a Powell di tagliare i tassi. Se invece ci sarà moderazione nelle vicende geopolitiche, l'oro lateralizzerà e il dollaro salirà insieme al mercato azionario e quello obbligazionario americano, allora avrà le giustificazioni politiche per tagliare i tassi (al di là delle richieste di Trump). 

Il duplice mandato della FED, adesso, al di là dell'Humprey-Hawkins Act, è quello di stabilizzare i prezzi interni dopo la più grande botta d'inflazione mai vista dagli USA sulla scia del Build Back Better di Biden; l'altro punto è prosciugare l'offerta di dollari ombra all'estero. Il lavoro di Powell, da questo punto di vista, è stato tanto arduo quanto egregio... e continuerà a esserlo fintato che riduce il bilancio della FED, toglie il conservatorship da Fannie/Freddie e stabilizza i prezzi immobiliari e ci si sbarazza del SLR permettendo alle banche americane di usare il loro bilancio per rendere più efficiente il mercato dei mutui coprendolo coi titoli di stato statunitensi. I prezzi del 2010 non torneranno, troppe distorsioni monetarie sono accadute sin da allora; l'unica cosa che si può fare è stabilizzare l'economia. E un ulteriore modo di farlo è il processo di snellimento fiscale e taglio delle tasse.

Parecchi fronti sono aperti adesso ma quello fiscale è decisamente più importante. Più verrà ritardata la sua risoluzione, per qualunque motivo, più la cricca di Davos avrà leva nel sabotare gli USA. Non scordatevi le recenti parole di Dimon.

Poi c'è la politica estera. Infatti ho aperto questo pezzo parlando della Big Beautiful Bill perché parte tutto da essa. Inutile dire che nella maggioranza erpubblicana al Congresso ci sono franchi tiratori, come hanno dimostrato ad esempio Pompeo e Graham volati a Kiev per mandare un messaggio; oppure Massie e Paul che avrebbero voluto spacchettare la legge e farla approvare a pezzi... ma questo avrebbe significato una maggioranza di 60, non di 51, al Senato. Quindi piuttosto che continuare ad attenzionare un luogo su cui Trump ha, molto probabilmente, un dialogo con Putin, meglio dirottare il focus altrove e, in questo modo, accontentare i falchi neocon. I fronti aperti sono tanti e il tempo passa, e questa è una situazione che va a vantaggio della cricca di Davos.

Il Medio Oriente è uno di questi fronti, visto che il governo di Israele è facile da agitare. Anche qui, gli inglesi c'hanno messo lo zampino visto che “consigliano” entrambe le fazioni (Hamas in Qatar) e il loro gioco, come hanno sempre fatto, è tradire una di esse per creare una faida. Ed è quello che ha fatto l'MI6 il famoso 7 ottobre scatenando il vespaio a Gaza che vediamo ancora oggi. Gli Stati Uniti, con Trump, hanno lavorato per gettare le basi di una pacificazione nell'area, ecco perché gli arabi in Oman, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Siria, Turchia, Kuwait sono rimasti, all'atto pratico, in silenzio quando l'aviazione americana ha effettuato la sua operazione in Iran. Così come sono rimasti in silenzio Russia e Cina.

Francia e Inghilterra vedono cosa accade e gonfiano l'isterismo di Israele, perché vogliono continuare ad avere influenza nella regione e fare in modo che continui a essere instabile: va a loro vantaggio e tiene impantanati gli USA, con potenziale di intervento diretto e quindi spesa di dollari all'estero. Inutile dire che francesi e inglesi cercheranno altresì di approfittare della confusione nel governo iraniano per insinuarsi. È un gioco pericoloso e più si andrà avanti diventerà ancor più pericoloso, visto che c'è la sopravvivenza della cricca di Davos in gioco. L'azzardo americano è stato quello di lasciar scatenare Israele il giorno dopo la scadenza dei 60 giorni per un accordo sul nucleare: in questo modo si manda un messaggio che le deadline devono essere rispettate (power politics) e il mancato rispetto porta conseguenze per la parte attenzionata... che sono progressivamente più severe in proporzione alla sua reticenza a trattare (si veda la pronta capitolazione dell'UE sui dazi al 10%).

Come si inserisce in questo contesto l'attacco americano sul suolo iraniano? Ha spostato l'attenzione in Medio Oriente dalla Russia e accontentato i neocon (tutti in festa) affinché votassero per la Big Beautiful Bill; ha indispettito l'Iran al punto da voler chiudere lo Stretto di Hormuz (cosa che farà male solo all'UE in termini energetici); è stato un indispettimento mirato visto che gli USA hanno avvertito l'Iran per tempo prima di attaccare (e chissà se prima della deadline una bozza d'accordo sottobanco non sia stata raggiunta); ha accontentato Israele nella sua richiesta di intervento americano; quest'ultima è stata una soddisfazione, però, che ha fatto continuare lo scontro tra Iran e Israele, i due agitatori più pronunciati in quella zona. Con il ridimensionamento dell'Iran andranno a morire tutti quei gruppi terroristici che hanno messo a ferro e fuoco il Medio Oriente (Houthi, Hezbollah, Hamas); con il ridimensionamento di Israele potrebbe cadere l'attuale governo in carica di cui l'amministrazione Trump non si fida.

Il “vero” tradimento del MAGA sarebbe stato se il 30 giugno, alla scadenza degli aiuti in Ucraina, essi fossero stati rinnovati; il tradimento assoluto del MAGA sarebbe se venisse salvata la City di Londra. Fino ad allora si tratta solo di muovere la prossima tessera sul tavolo del GO.

Circa due settimane fa parlavo di come in Iran ci fossero fazioni così come in tutti gli altri Paesi del mondo. La fonte di destabilizzazione nell'aerea è sempre stata la sua possibilità di avere armi nucleari, cosa che ha dato a Israele la motivazione per essere costantemente agitato e opporsi a questa eventualità. Non è necessario che fosse reale adesso o in passato, il solo fatto che pendesse questa spada di Damocle nella regione era sufficiente per creare tensioni. E Israele aveva tutte le ragioni per opporsi; la power politics funziona così, bisogna farsene una ragione.

Torniamo un attimo indietro nel tempo. L'accordo JCPOA stretto da Obama con l'Iran serviva a far arrivare gas e petrolio in Europa a prezzi più convenienti. Di contro l'Iran ci guadagnava la possibilità di accedere a fonti di uranio per scopi civili. Gli USA non ci guadagnavano niente e servivano solo da garanti dell'accordo. Anzi, ci avrebbero rimesso solamente in caso di guai, ma sappiamo che l'amministrazione Obama non lavorava nell'interesse della nazione. C'è da aggiungere, anche, che gli inglesi sono i responsabili dietro le quinte per le tensioni nella regione dato che il loro obiettivo, oltre che controllare indirettamente l'Iran tramite un governo fantoccio, è quello di impedire alla Russia di collegarsi con l'Oceano indiano bypassando così il Mar Nero. Iran e Russia sono due vecchi pallini inglesi. Questi ultimi si sono garantiti che una ferrovia da San Pietroburgo fino a Chabahar non venisse mai costruita (così come si sono assicurati che non fosse costruita dall'Alaska alla Russia). Anche il fermento in Georgia si inserisce in questo contesto.

Comunque, sin dall'accordo Sykes-Picot e dalla Dichiarazione di Balfour (anche perché la Prima guerra mondiale è stata scatenata per smantellare definitivamente l'impero ottomano), gli inglesi hanno continuato a manovrare nell'ombra in Medio Oriente per estendere e conservare la loro impronta colonialista. Questo significa tramite Israele e anche attraverso il proxy Stati Uniti. Quando questi ultimi, però, hanno iniziato a emanciparsi dall'influenza della City di Londra, principalmente con l'abbandono del LIBOR, ciò ha sparigliato le carte anche a livello geopolitico. Il caos è stata una conseguenza, soprattutto a livello bellico col moltiplicarsi dei conflitti a livello mondiale sulla scia di un riassestamento delle alleanze a immagine e somiglianza di suddetta indipendenza americana. Uno di questi conflitti è stato ovviamente quello tra Israele e Palestina, dove entrambi i popoli sono stati traditi dagli inglesi per accendere la miccia e far continuare poi ad ardere il fuoco della guerra. Ecco perché è saltata fuori adesso la storia che Israele ha finanziato per anni Hamas. Ecco perché, da due anni a questa parte, è diventato legittimo criticare aspramente gli israeliani. Il 7 ottobre è stata un'operazione palesemente portata avanti dai servizi segreti inglesi dell'MI6, i quali hanno ha usato il proxy di Hamas in Qatar per attivare la falange in Palestina e quindi “tradire” Israele.

Ecco perché Netanyahu è stato messo da parte durante i negoziati di Trump in Medio Oriente con gli altri stati arabi ed è stato pronto ad attaccare l'Iran senza esitazione per conto degli USA. Questi ultimi avevano bisogno di una dimostrazione di forza per pacificare l'Iran, mandare un segnale agli altri player mondiali che l'amministrazione Trump fa sul serio quando imposta delle deadline (messaggio rivolto a Bruxelles e Ottawa) e accontentare i neocon al Senato affinché togliessero il “veto” alla Big Beautiful Bill. In questo contesto Netanyahu rimane uno strumento di persuasione, come ha potuto constatare lui stesso avendo dovuto combattere da solo contro l'Iran. Ritengo che il suo ascendente sul resto del mondo fosse dovuto all'affiliazione con gli inglesi, ma adesso quei tempi sono andati e, ciononostante, rimane comunque inaffidabile visto che s'è fatto terra bruciata intornio a lui a livello politico. Altresì, per quanto l'AIPAC abbia finanziato la campagna di Trump, non ha la stessa influenza che aveva durante il suo primo mandato.

E questo ci porta al momento attuale, dove le fazioni all'interno dell'Iran si stanno dando battaglia per determinare chi emergerà come classe dirigente. Sono dell'idea che gli inglesi non si lasceranno scappare l'opportunità creata dagli USA per intrufolarsi finalmente nel Paese, come leggiamo dalla seguente notizia. È un modus operandi già conosciuto ai lettori del mio blog. Credo altresì che l'amministrazione Trump abbia staccato il proprio accordo una delle fazioni in Iran affinché emerga come vincitrice in quella che adesso è una guerra civile sotterranea nel Paese mediorientale. Ecco perché ha dichiarato la scorsa settimana che “otterremo ciò che vogliamo in Iran”. Questa partita ancora non è finita e gli inglesi, per quanto ridimensionati a ogni livello (sociale, finanziario, geopolitico), non sono sconfitti. La loro rete d'influenza va indietro di centinaia di anni e non sarà affatto facile incrinarla. Sta di fatto, però, che Russia e Cina sono rimasti a bordo campo, e questo mi fa pensare che sottobanco Putin e Xi siano d'accordo con la riorganizzazione della regione mediorientale portata avanti da Trump. Così come gli altri stati arabi che hanno stretto accordi commerciali con l'amministrazione Trump.

È un gioco ricco di azzardi e qualunque cosa potrebbe andare storta da adesso in poi. Ad esempio, tra Israele e Iran c'è la Siria ed essa è un punto di pressione nell'area. Inutile dire che gli inglesi sono molto presenti anche lì, attraverso di essa sarebbe relativamente facile far deragliare la pace di Trump. In aggiunta a ciò ci sono anche i Balcani, dove ci sono i serbi che sono cristiani ortodossi, i croati che sono cattolici e i musulmani. Di conseguenza è relativamente facile che “qualcosa vada storto” da quelle parti, ma non perché quelle persone si odino a vicenda bensì attraverso il solito modo di fomentare attriti attraverso eventi terroristici che attizzano un odio artificiale tra i vari gruppi religosi/etnici. Ho già descritto il meccanismo in un altro pezzo e ciò avviene tramite ONG, lavoratori dell'ONU, organizzazioni filantropiche, media generalisti, organizzazioni di relazioni pubbliche, ecc. Poi uno si ricorda dei legami rafforzati a livello di intelligence tra Bosnia e Inghilterra e il quadro diventa più chiaro. A tutti questi punti di pressione dobbiamo aggiungere anche l'area del Baltico, dove anche qui gli inglesi stanno avendo influenza in particolar modo sull'Estonia. Insomma il minimo comun denominatore è che le aree menzionate sono state riempite di dinamite e il “divide et impera” per gli inglesi è una passeggiata nel parco; sono maestri nell'agitare, scuotere e destabilizzare.

Purtroppo non sarà un percorso in linea retta e sarà irto di ostacoli. Ma badate bene sempre a un fattore per capire chi vuole cosa: fate caso a coloro che parlano di accordi e coloro che invece vogliono alimentare il conflitto per il proprio tornaconto. 


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giovedì 10 luglio 2025

Oro & Bitcoin: il vincitore è...

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Nick Giambruno

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/oro-and-bitcoin-il-vincitore-e)

La competizione definitiva per diventare la moneta dominante al mondo avrà un solo vincitore.

Qualsiasi altra cosa equivarrebbe a un sistema di baratto inefficiente ed è per questo che le reti monetarie internazionali tendono a convergere su un unico elemento come moneta dominante.

In precedenza, la moneta dominante era l'oro; oggi sono il dollaro statunitense e i titoli del Tesoro americani. In futuro credo che saranno Bitcoin od oro.

Nel lungo termine miliardi di persone, attraverso migliaia di miliardi di transazioni – in altre parole, il libero mercato – decideranno in ultima analisi se vincerà l'oro o Bitcoin.

Sono assolutamente a favore della concorrenza del libero mercato nel settore monetario.

Io dico che vincerà la moneta migliore.

In un articolo recente ho analizzato i dieci attributi monetari più decisivi e ho verificato se l'oro o Bitcoin abbiano un vantaggio. La tabella seguente riassume i risultati.

Bitcoin vince in 6 delle 10 categorie, inclusa la durezza (resistenza alla svalutazione), che credo sarà il fattore più decisivo.

Sebbene l'oro abbia un vantaggio su Bitcoin in termini di durevolezza, tale vantaggio sarà rilevante solo nel caso di un inevitabile ritorno globale all'età della pietra. Un risultato talmente improbabile non è rilevante per le decisioni di investimento odierne.

L'oro ha anche un vantaggio fugace in termini di liquidità, fungibilità, privacy e riconoscimento. Tuttavia Bitcoin sta erodendo questi vantaggi ogni giorno.

Se le tendenze attuali continuano, credo che Bitcoin supererà l'oro in queste categorie negli anni a venire.

Riassumendo, i vantaggi dell'oro su Bitcoin sono irrilevanti o stanno scomparendo.

La conclusione inevitabile è che Bitcoin possiede caratteristiche fondamentali superiori che lo rendono uno strumento migliore per trasferire valore attraverso il tempo e lo spazio.

L'oro digitale è migliore dell'oro analogico.

In breve, è probabile che Bitcoin vinca la competizione finale e diventi la moneta dominante al mondo.

Permettetemi di spiegare come vedo la situazione...

Non sto dicendo che sia certo al 100% che Bitcoin demonetizzerà l'oro.

Quello che voglio dire è questo: nel lungo termine – misurato in anni, probabilmente decenni – ci sono buone probabilità che Bitcoin demonetizzi l'oro perché ha proprietà monetarie superiori.

Tuttavia la stragrande maggioranza dell'umanità non capisce che Bitcoin ha il potenziale per diventare la moneta dominante... ancora.

Ci troviamo di fronte a un'enorme asimmetria informativa.

Con Bitcoin, è come se avessi scoperto l'oro prima che la maggior parte del mondo capisse che esso era utile come moneta.

Pensateci...

Avreste la possibilità di anticipare i principali investitori, le grandi multinazionali e persino gli stati, entrando in questo trend prima di loro.

La potenziale ascesa di Bitcoin a moneta dominante – un megatrend che mi piace chiamare la supremazia di Bitcoin – è un'enorme opportunità irripetibile e la più grande storia di investimento che abbia mai visto.

Ci sono un paio di chiarimenti necessari a questa analisi.


Chiarimento n°1: cigni neri

Qualsiasi evento con effetti attualmente inconcepibili e impossibili da prevedere – l'avvento dell'informatica quantistica, l'estrazione da asteroidi, la nanotecnologia, ecc. – potrebbe far pendere la bilancia in una direzione o nell'altra.


Chiarimento n°2: tempistica

Non credo che Bitcoin rappresenti una minaccia immediata per l'oro.

Molto probabilmente l'oro verrà rimonetizzato con il crollo del sistema monetario fiat, per poi essere demonetizzato da Bitcoin negli anni e nei decenni successivi.

Sebbene Bitcoin abbia migliori caratteristiche monetarie rispetto all'oro, potrebbero volerci molti anni, potenzialmente decenni, prima che la maggior parte delle persone se ne renda conto.

Un fattore importante nella tempistica è la velocità con cui il sistema monetario fiat crollerà.

Se dovessi pronosticare quando ciò accadrà, direi intorno al 2030.

Se il sistema monetario fiat crollerà più velocemente del previsto, probabilmente ne trarrà beneficio l'oro. Esso ha una maggiore riconoscibilità e più persone graviteranno verso ciò con cui hanno familiarità. Bitcoin è una novità e incompreso.

Se il crollo del sistema monetario fiat dovesse protrarsi a lungo, Bitcoin potrebbe trarne beneficio. Questo perché, con il passare del tempo e la crescente notorietà di Bitcoin, le persone si sentiranno più a loro agio con esso come alternativa alla moneta fiat. Salteranno l'oro e passeranno direttamente dalla moneta fiat a Bitcoin.

In ogni caso credo che Bitcoin non inizierà a demonetizzare l'oro sul serio prima che il crollo del sistema monetario fiat sia completo. La mia ipotesi è che ciò potrebbe accadere intorno al 2030 e poi potrebbero passare molti anni, forse decenni, prima che Bitcoin demonetizzi completamente l'oro.

Detto questo, un Bitcoin standard potrebbe emergere spontaneamente più velocemente di quanto chiunque si aspetti. Questo rappresenta un rischio per l'oro e un'ottima ragione per esporsi a Bitcoin.


Chiarimento n°3: allocazione del portafoglio

Non credo abbia senso puntare tutto su Bitcoin... o su qualsiasi altra cosa.

Un'esposizione al 100% su qualsiasi asset non è una gestione prudente del rischio, perché nulla nella vita è certo al 100%. Con l'aumento esponenziale della tecnologia, nemmeno la morte è certa, ma questa è una storia per un altro giorno.

Quello che posso dire con la massima sicurezza è che, per la prima volta in oltre 5.000 anni, l'oro ha un concorrente serio che potrebbe demonetizzarlo nei prossimi decenni.

Come minimo considero l'oro una copertura se Bitcoin non emergesse come la valuta dominante a livello mondiale nel lungo termine.

Nell'immediato futuro l'oro rappresenta un'alternativa monetaria superiore alla valuta fiat. Credo che ne trarrà i principali benefici dal crollo dell'attuale sistema monetario fiat negli anni a venire.

A mio parere la cosa prudente da fare è allocare capitale in oro e Bitcoin e aggiornare tale allocazione con il passare del tempo e l'evolversi dei fatti.

Nel breve e medio termine credo che sia l'oro che il Bitcoin prospereranno con il crollo del sistema monetario fiat.

Al momento desidero essere esposto a entrambi e alle azioni di società che beneficiano dell'aumento dei prezzi dell'oro e di Bitcoin.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 9 luglio 2025

Lo zombi UE usa Trump come spauracchio per divorare i suoi cittadini

È davvero sconcertante come la stampa finanziaria (inglese) riesca a rimbambire talmente tanto le presunte voci “indipendenti” da farle ripetere a pappagallo determinate tesi senza che esse si fermino un attimo a riflettere. Uno di questi esempi è il rollover americano dei $7000 miliardi. Tutti preoccupati, tutti pronti a essere gli avvoltoi sul cadavere americano... Un noto aforisma di Twain recita che “le voci sulla mia morte sono state enormemente esagerate” ed è quanto di più calzante ci possa essere in questo contesto. Infatti esiste già un cadavere e puzza da fare schifo. Anzi due: Banca d'Inghilterra e BCE. Qui c'è da ricordare che l'Ucraina ha mancato un importante pagamento dei propri debiti e che gli asset emessi a supporto di essi circolano nel mercato dei finanziamenti rapidi europeo, il cui collaterale accettato vedrà un significativo allentamento in termini di normative riguardanti la cartolarizzazione. Entrambe suddette istituzioni stanno liquidando i rispettivi Paesi. La FED invece sta facendo il contrario. Questo significa altresì che non c'è più un canale coi dollari che possa salvare la baracca nel momento del bisogno a scapito degli Stati Uniti. La BCE e la BoE devono mettere in campo il loro di capitale se vogliono sopravvivere (ovvero il contribuente inglese ed europeo, dapprima). Infatti l'unica cosa che la BCE può fare è comprare debito deteriorato della periferia europea e parcheggiarlo presso la Bundesbank, ma ormai anche la Germania ha perso quel blasone che l'ha caratterizzata storicamente. Questo gioco può andare avanti per il momento grazie all'enorme  mole di debito americano immagazzinato da inglesi ed europei durante la presenza della Yellen al Dipartimento del Tesoro e al surplus commerciale (strutturale) nei confronti degli USA. Il rialzo dei tassi da parte di Powell e i dazi di Trump fanno parte della stessa strategia per annullare questi “vantaggi”. La velocità del primo fenomeno ha reso sommerso il bilancio delle banche europee, dato che hanno comprato diversi asset con rendimenti ridicoli in passato e adesso sono incagliati; il secondo vuole chiudere il rubinetto commerciale in modo da contrarre ulteriormente l'offerta di eurodollari. Nel frattempo i capitali continuano a essere attirati negli USA e, attraverso il GENIUS Act, il mercato dei titoli del Tesoro americano avrà una portata più capillare a livello internazionale dato che verranno tokenizzati tramite Tether e coperti da un hard asset come Bitcoin. Chi è quindi che si trova DAVVERO nei guai? Chi naviga nel collaterale non contabilizzato in modo appropriato, come gli USA, o chi non ha niente come l'Europa?

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di Conor Gallagher

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/lo-zombi-ue-usa-trump-come-spauracchio)

Donald Trump è il movente che continua a mantenere in piedi la classe dirigente occidentale. Qualsiasi imbroglio antidemocratico presente nella lista dei desideri dell'UE viene ora spacciato come rimedio contro di lui (e se non è Trump, è la Russia).

Secondo loro gli Stati Uniti non sono più un partner affidabile nella difesa. Dobbiamo, quindi, dare più potere a Bruxelles e inviare miliardi alle aziende produttrici di armi.

Secondo loro gli Stati Uniti non sono più un partner economico affidabile. Dobbiamo, quindi, aumentare la competitività indebolendo il lavoro e rafforzando la finanza.

Gli elettori del Regno Unito potrebbero aver optato per la Brexit, ma Londra e Bruxelles stanno “sfidando Trump” con una dichiarazione di “libero e aperto scambio” che include negoziati “su difesa e sicurezza, pesca ed energia, nonché un'intesa comune su quali argomenti saranno trattati nei negoziati intensivi per il ripristino della Brexit quest'anno”.

La cosa strana di questi piani, tuttavia, è che prevedono la dipendenza dalle armi e dall'energia degli Stati Uniti e l'allineamento con gli obiettivi geopolitici e geoeconomici degli Stati Uniti.

Un recente commento di Rosa Balfour, direttrice di Carnegie Europe, riassume perfettamente queste argomentazioni. In un articolo intitolato, “L'Europa ha cercato di proteggersi da Trump, ora sta elaborando un piano B”, spiega perché l'UE non ha altra scelta che riorientare la spesa sociale verso l'industria bellica.

La versione romantica della storia recente secondo la Balfour inizia il 28 febbraio. È allora che ha avuto luogo “l'umiliazione televisiva del presidente ucraino Vladimir Zelensky” e “l'Europa si è resa conto di non poter più contare sul suo alleato di lunga data, gli Stati Uniti”.

La sconvolgente profondità di questa presa di coscienza non può essere sopravvalutata. I leader politici degli stati europei, dell'Unione Europea e della NATO hanno dato prova di compostezza e coordinamento, ma dietro le quinte la colonna sonora è una frenetica jam session di free jazz con tonfi drammatici e una lunga pausa: il silenzio che accompagna la consapevolezza che la zona di comfort europea è finita.

E ora cosa stanno facendo questi “leader politici” composti e coordinati? Annunciano che l'Ucraina è la prima linea di difesa dell'Europa, elaborano grandi progetti per una “coalizione dei volenterosi” e dichiarano che l'Ucraina diventerà un “porcospino d'acciaio”.

La coalizione dei volenterosi si è disgregata, il porcospino d'acciaio è stato ridicolizzato e mentre quelli al Cremlino non stanno perdendo il sonno, gli europei invece sì. Questo perché, come scrive la Balfour, la Commissione europea “può svolgere un ruolo di supporto mobilitando risorse finanziarie e gestendo complesse trattative interne”.

Questo è uno dei tanti modi di dirlo...

La Commissione si sta lentamente avvicinando all'invocazione di poteri di emergenza per far approvare parte del suo fondo di riarmo. Il Parlamento europeo sta reagendo, ma il fatto è che Ursula può comunque farlo con un sostegno minimo da parte dei governi dell'UE. Probabilmente sta solo aspettando il momento giusto. Diamo un'occhiata allo stato dei miliardi destinati alla militarizzazione europea.

Il 19 marzo la Commissione ha presentato una proposta da €150 miliardi, la prima tranche di un totale di almeno €900 miliardi, per istituire lo strumento di azione per la sicurezza in Europa (SAFE) attraverso il rafforzamento dell'industria europea della difesa.

Vuole procedere con l'articolo 122, che prevede poteri di emergenza, e richiede solo una maggioranza qualificata in Consiglio – a differenza del consueto consenso – articolo che consente a Ursula e ai suoi amici di aggirare i fastidiosi veti dei Paesi membri. La procedura per l'articolo 122 è la seguente:

1) la Commissione propone una misura del Consiglio; in seguito a ciò 2) il Consiglio adotta la misura in linea con [voto a maggioranza qualificata]. Non sono previsti ulteriori elementi o partecipanti.

Questo articolo consente alla proposta di bypassare i negoziati parlamentari e di passare direttamente al Consiglio per la negoziazione e l'adozione. Il ruolo del Parlamento si riduce a presentare suggerimenti e richiedere dibattiti.

Tanti cari saluti al vostro ordine basato sulle regole democratiche...

Con una votazione a scrutinio segreto del 23 aprile, la commissione giuridica del Parlamento europeo ha appoggiato all'unanimità un parere legale che respingeva il tentativo della Commissione di aggirarlo sul fondo di riarmo da €150 miliardi.

Sebbene si trattasse di un voto non vincolante, segnalava sì un'opposizione al piano di Ursula, ma non si trattava di una presa di posizione di principio a favore della volontà del popolo o di un'idea romantica del genere.

No, si trattava piuttosto di dividersi le fette della torta, dato che i lobbisti dell'industria bellica europea  sono sempre più attivi a Bruxelles e cercano di assicurarsi che i loro clienti vengano ricompensati. E gran parte della debole opposizione riguarda l'introduzione di una clausola “acquista solo europeo” più forte nel SAFE (che attualmente richiede che il 65% dei materiali di consumo e dei sistemi complessi per la guerra provenga dall'UE, dall'Ucraina o dagli stati SEE/EFTA, tra cui Turchia e Norvegia).

Perché la commissione di Ursula deve mettere da parte il Parlamento e alcuni stati membri per spendere €900 miliardi in acquisti militari? È spiegato chiaramente nella loro proposta. C'è la solita sciocchezza sulla Russia:

L'UE e i suoi stati membri si trovano ora ad affrontare un'aggressione russa sempre più intensa contro l'Ucraina e una crescente minaccia alla sicurezza da parte della Russia. È ormai chiaro che tale minaccia persisterà nel prossimo futuro, considerando che la Russia è passata a un'economia di guerra che le consente un rapido potenziamento delle sue capacità militari e la ricostituzione delle sue scorte. Il Consiglio europeo ha pertanto sottolineato, nelle sue conclusioni del 6 marzo 2025, che “la guerra di aggressione della Russia contro l'Ucraina e le sue ripercussioni sulla sicurezza europea e globale in un contesto in evoluzione costituiscono una sfida esistenziale per l'Unione europea”.

Ovviamente c'è anche la scusa di Trump:

Allo stesso tempo gli Stati Uniti, tradizionalmente un forte alleato, ritengono chiaramente di essere troppo impegnati in Europa e di dover riequilibrare la situazione, riducendo il loro ruolo storico di principale garante della sicurezza.

Una domanda che viene spontanea è cosa succederà a quest'ultimo argomento ora che l'amministrazione Trump si è legata all'Ucraina attraverso il cosiddetto accordo sulle terre rare, ma sicuramente se le potenze europee sono arrivate fin qui con crisi create ad arte, saranno in grado di superare questo ostacolo sottolineando l'insistenza di Trump su quella che chiamano una pace ingiusta per l'Ucraina.

Da qui il “riarmo” per decreto tramite emergenza sovranazionale – con la Balfour del Carnegie e tutti gli altri plutocrati buffoni di corte nei think tank transatlantici che lo acclamano come una vittoria contro le orde autocratiche fuori dalle mura dei loro sepolcri imbiancati. Ecco di nuovo la Balfour che riassume lo stato d'animo di questa folla:

[...] è stata tracciata una traiettoria di cambiamento, con un potenziale trasformativo, non solo per il continente europeo, ma anche per la riorganizzazione globale delle relazioni internazionali post-americane. La jazz band ha trovato il ritmo, anche se la melodia non è del tutto armonica.

Non so se sia la musica che la Balfour sta ascoltando, o il tintinnio dell'oro e dell'argento. Anche se può essere difficile sentire qualcosa al di fuori del frastuono proveniente dall'élite, c'è sempre un accordo mancante nel genere militarista. Di sicuro la Balfour, appassionata di jazz, saprà che la curiosità era considerata uno degli ingredienti essenziali della musica. Se applichiamo questo concetto alla sua metafora jazzistica, potremmo iniziare a porci alcune domande come:

• Perché l'UE ha bisogno di mettere in atto tutta questa militarizzazione?

• Perché non può esserci pace con la Russia?

• Perché le nazioni europee hanno contribuito a sabotare i negoziati di pace tra Kiev e Mosca?

• Perché l'UE ha aiutato gli USA a rovesciare il governo dell'Ucraina e a usare il Paese come ariete contro la Russia?

• Perché l'élite dell'UE desidera così tanto la guerra contro la Russia?

• L'UE non è forse più sicura e prospera grazie a legami amichevoli e a scambi commerciali con la Russia?

E perché l'UE, che nel complesso è già seconda al mondo per spesa per la difesa, deve spendere cifre ancor più esorbitanti? Quanto la renderà sicura, competitiva e indipendente?

Queste domande non vengono mai affrontate. Tutto invece rientra nell'ordine naturale delle cose, ovvero che la Russia sia nemica dell'UE e che quest'ultima debba dotarsi di armi costose e di grandi dimensioni a causa della cattiveria di Trump. La cosa triste è che questo messaggio incessante diffuso dai media europei sta funzionando, almeno secondo i sondaggi dell'UE stessa. Ciò non sorprende affatto, considerando che questo messaggio viene pompato senza sosta dai media dell'UE.

In ogni caso, i governi europei stanno correndo. Sedici Paesi chiedono all'UE maggiore margine di manovra fiscale per investire ingenti somme nella difesa – richieste che non vengono mai avanzate durante l'infinita austerità sociale.

Sì, i cittadini dell'Unione continueranno a vedere il loro tenore di vita scendere, ma non preoccupatevi, l'allargamento dell'UE e la maggiore spesa per la militarizzazione porteranno a una maggiore “competitività”. Non ditemi che non l'avete già sentita questa panzana...

Nonostante i notevoli ostacoli che l'industria europea della difesa deve affrontare (e un breve periodo di raffreddamento dovuto allo shock dei dazi), i prezzi delle sue azioni stanno salendo poiché gli investitori si aspettano un sostegno incondizionato da parte di Bruxelles.

A proposito di ostacoli…

Una ricerca dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) dimostra che negli ultimi cinque anni l'Europa ha aumentato le sue importazioni di armi di due volte e mezzo rispetto ai cinque anni precedenti, con i due terzi provenienti dagli Stati Uniti.

Anche altri membri di Carnegie Europe nutrono dubbi sul programma UE. Ecco cosa dice Judy Dempsey, ricercatrice senior di Carnegie Europe:

Ditelo alla Polonia. Sta rapidamente potenziando la sua infrastruttura di difesa acquistando kit americani. Quando Varsavia ha voluto fare acquisti altrove, come in Corea del Sud, ha subito forti pressioni da parte di Washington affinché non lo facesse. Questo è un punto importante. Gli Stati Uniti vogliono che l'Europa si assuma maggiori responsabilità per la propria difesa, ma non a spese dell'industria militare americana. Gli Stati Uniti sono un importante fornitore di componenti militari per molti Paesi europei. Per fare questo passo ci vorrebbero tempo e la volontà politica dell'Europa di costruire una strategia comune di difesa e approvvigionamento.

Oltre alla considerevole pressione politica, c'è anche il fatto che i tempi di consegna per quanto riguarda le capacità di difesa sono lunghi. Quindi, parte della strategia dell'UE è quella di inviare miliardi di dollari in più all'Ucraina affinché possa potenziare la sua industria della difesa. Un modo molto più economico per produrre armi piuttosto che in Europa occidentale e ha già un settore manifatturiero per la difesa attivo e funzionante.

Bene... ma ci sono delle falle in questa logica?

Innanzitutto l'Ucraina è ora il maggiore importatore di armi al mondo, assorbendo l'8,8% dei trasferimenti globali. In secondo luogo i Kinzhal russi potrebbero avere voce in capitolo nella produzione dei produttori di armi ucraini.

È difficile capire cosa tutto questo significhi per la competitività europea, figuriamoci per il medio Josef, José, o Giusseppe. Ecco cosa dice la Balfour su questo tema che dovrebbe essere venduto ai proletari:

Dal punto di vista politico, per garantire il sostegno pubblico al riarmo europeo e compensarne gli inevitabili costi, gli sforzi del settore della difesa dovrebbero essere parte di una più ampia strategia di innovazione economica e tecnologica. Infatti questi sforzi potrebbero dare impulso all'economia europea stagnante. A livello UE le ricette sono disponibili nelle recenti raccomandazioni in materia di competitività, produttività e innovazione tecnologica.

I primi 100 giorni di Trump stanno spingendo l'UE a dare slancio a progetti in corso ormai da anni. Legare questi obiettivi all'allargamento dell'UE a Ucraina, Moldavia e Balcani occidentali offre una nuova prospettiva per l'espansione del mercato unico. L'ampliamento dell'UE e l'approfondimento delle relazioni con altri Paesi europei – come Regno Unito, Svizzera e Norvegia – contrasterebbero la frammentazione che la competizione tra grandi potenze e le disgregazioni politiche interne stanno infliggendo al continente.

È spaventoso per la sua sicurezza meccanica e semplicistica. Da nessuna parte in questo PowerPoint si intravedono i notevoli svantaggi, che, al limite più disastroso dello spettro, includono la completa distruzione dell'Europa.

Forse la speranza migliore è che i piani di questi folli per il riarmo dell'UE siano solo un gigantesco racket. Ma si potrebbe dire lo stesso del complesso militare-industriale statunitense, e guardare cosa ha scatenato: morte e distruzione senza fine e numerose guerre perse. Una differenza fondamentale tra i piani di militarizzazione transatlantici, tuttavia, è che gli Stati Uniti sono isolati tra due oceani. L'UE confina non solo con la Russia, ma anche con un regime neonazista al collasso in Ucraina, il che rende l'adesione a un complesso militare-industriale una proposta molto più rischiosa.

I racket hanno un modo tutto loro di prendere vita. Anzi, si potrebbe sostenere che l'attuale traiettoria dell'UE sia quella di uno zombi spinto dalla russofobia, che ridistribuisce denaro verso l'alto in nome di tale odio. Il problema è che l'aspettativa di vita non è lunga per gli zombi e per chi li circonda.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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martedì 8 luglio 2025

Echi di tirannia

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Joshua Stylman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/echi-di-tirannia)

Anni dopo l'imposizione dell'obbligo di vaccinazione contro il Covid-19, mi ritrovo in uno stato di riflessione, alle prese con i cambiamenti epocali che si sono verificati in quel periodo. Il mondo che conoscevamo è cambiato radicalmente, quasi da un giorno all'altro. Gli stati hanno emanato provvedimenti drastici e libertà che molti di noi davano per scontate sono improvvisamente diventate privilegi. È stato un periodo pieno di paura, confusione e pressione. Ora, con il senno di poi, il peso di ciò che è accaduto sembra ancora più pesante.

Ho capito che abbiamo vissuto una delle violazioni dei diritti umani più sconcertanti della storia recente. Al centro di questa crisi si trova il passaggio di due Rubiconi: l'erosione del Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti e la violazione del Codice di Norimberga. Entrambi sono stati creati sulla scia di tragedie storiche: una dopo la Rivoluzione americana, l'altra dopo la Seconda guerra mondiale. Entrambe sono fondamentali, concepite per salvaguardare i diritti umani e proteggere dagli abusi di potere. Trasgredendo questi confini, ci siamo addentrati in un territorio pericoloso che richiede urgenti riflessioni e azioni concrete.


Le prime regole: pilastri della libertà e dell'etica

La garanzia della libertà di parola sancita dal Primo Emendamento è una pietra angolare della democrazia, nata dal crogiolo della rivoluzione contro la tirannia. I nostri Padri fondatori, avendo sperimentato in prima persona l'oppressione di un governo che soffocava il dissenso, sancirono questo diritto a proteggere la libera circolazione delle informazioni, consentendo alle persone di ascoltare tutti i lati di una questione e prendere le proprie decisioni. Durante la pandemia abbiamo oltrepassato questo confine sacro. La censura ha prevalso e le prospettive alternative sui vaccini, comprese le legittime preoccupazioni sulla loro sicurezza e sui loro effetti a lungo termine, sono state soppresse. I media generalisti, i social media e i governi hanno fatto eco a un messaggio univoco: “Sicuro ed efficace”. Le voci dissidenti sono state etichettate come disinformazione e messe a tacere, tradendo il principio stesso che avrebbe dovuto prevenire tali abusi di potere.

Altrettanto importante è il Codice di Norimberga, emanato dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale, il quale avrebbe dovuto costituire uno standard internazionale inderogabile. La sua prima e più importante regola afferma: “Il consenso volontario del soggetto è assolutamente essenziale”. Questo principio è così importante che, dopo i Processi di Norimberga, vennero giustiziate persone per averlo violato. Eppure, durante la pandemia, abbiamo oltrepassato anche questo limite.

Le persone venivano costrette a vaccinarsi sotto la minaccia dell'esclusione dalla vita pubblica. Ci veniva detto che avremmo perso il lavoro o che ci sarebbe stato negato l'accesso a vari aspetti della società se avessimo rifiutato il vaccino. Bambini sani venivano esclusi dagli spazi pubblici perché i loro genitori non volevano somministrare loro un farmaco sperimentale. Le famiglie si trovavano di fronte a scelte impossibili sotto un'immensa pressione sociale ed economica, in palese violazione del Codice di Norimberga che impone che tutti gli interventi medici fossero volontari e liberi da coercizioni.


L’erosione dei diritti e della fiducia

La violazione di questi due principi fondamentali ha creato un ambiente di coercizione e disinformazione. Le persone non sono state solo costrette a sottoporsi a interventi medici; sono state costrette al silenzio. Ogni tentativo di mettere in discussione la narrazione ufficiale o di chiedere maggiori informazioni è stato accolto con censura ed esclusione. Questa erosione dei diritti ha avuto conseguenze di vasta portata.

  1. Mancanza di consenso informato: senza la piena trasparenza sugli ingredienti del vaccino e sui potenziali rischi a lungo termine, un vero consenso informato era impossibile. Le persone venivano invitate a prendere decisioni che avrebbero cambiato la loro vita senza informazioni cruciali.

  2. Soppressione del dibattito: la censura dei punti di vista alternativi ha impedito la possibilità di un consenso informato. Senza un dibattito aperto e l'accesso a diverse prospettive, come si può affermare che le persone abbiano fatto una scelta veramente informata?

  3. Violazione dell'autonomia fisica: gli operatori sanitari in prima linea, un tempo considerati eroi, venivano licenziati quando sceglievano di non rispettare le disposizioni. Molti avevano già un'immunità naturale da precedenti infezioni, eppure le loro decisioni mediche personali non venivano rispettate.

  4. Politica sanitaria pubblica illogica: è diventato chiaro che i vaccini non bloccavano la trasmissione del Covid-19, che era la giustificazione centrale per i provvedimenti obbligatori. Se i vaccini non fossero riusciti a prevenire la diffusione, la vaccinazione sarebbe diventata una decisione personale in materia di salute, proprio come decidere cosa mangiare o bere. Eppure le persone erano comunque costrette a rispettarla nonostante gravi minacce.

  5. Impatto personale: gli obblighi hanno cambiato l'intero corso della mia vita e di quella di molti altri. Le relazioni si sono logorate, le situazioni lavorative sono state compromesse e le traiettorie geografiche si sono spostate, mentre le persone cercavano ambienti in linea con i propri valori.


Una crisi dei diritti umani e della fiducia istituzionale

L'assenza di un riconoscimento pubblico di queste violazioni è impressionante. Come abbiamo potuto sopravvivere a un disprezzo così palese per i diritti umani senza alcun riconoscimento o assunzione di responsabilità? Il Primo emendamento è stato sancito per proteggere la libertà di parola e il Codice di Norimberga è stato creato per prevenire questo tipo di abusi; eppure entrambe queste tutele fondamentali sono state violate su larga scala.

Questa combinazione – la perdita della libertà di parola e l'abbandono del consenso informato – ha creato una crisi di fiducia che potrebbe richiedere generazioni per essere sanata. Come possiamo fidarci dei governi, dei media generalisti, o persino delle istituzioni mediche quando nascondono le informazioni e ci costringono ad obbedire senza fornire tutti i fatti?


Le lezioni dimenticate della storia

Ciò che forse è più sorprendente è quanto poche persone sembrassero conoscere appieno le implicazioni del Primo emendamento o fossero addirittura a conoscenza dell'esistenza del Codice di Norimberga. Come siamo arrivati ​​a questo punto? Forse perché gli anziani che hanno vissuto le conseguenze della Seconda guerra mondiale – coloro che hanno compreso le lezioni della storia – sono scomparsi. Gli echi delle tragedie storiche erano fin troppo inquietanti: le stesse tattiche di disinformazione, paura ed ingerenza governativa hanno manipolato il sentimento pubblico, trasformando l'empatia in paura.

Nel corso della storia, quando l'umanità ha affrontato i suoi momenti più bui, siamo emersi con nuova saggezza e nuove garanzie. La Rivoluzione americana ha dato vita alla Costituzione e alla sua Carta dei diritti. Le atrocità della Seconda guerra mondiale hanno portato al Codice di Norimberga e alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Questi documenti rappresentano i migliori sforzi dell'umanità per imparare dai nostri errori e prevenire futuri abusi. Ora, dopo aver violato questi sacri principi, ci troviamo a un altro momento cruciale. È tempo di riflettere sulle nostre azioni, riconoscere i nostri passi falsi e forgiare nuove tutele per il futuro.


I pericoli del silenzio

Senza una presa di coscienza pubblica, ci stiamo muovendo su un terreno pericoloso. Se non c'è il riconoscimento di queste violazioni, se non c'è una riflessione collettiva, allora diamo il via libera a questo fenomeno. La mancanza di responsabilità invia un messaggio chiaro: non esiste limite che non possa essere oltrepassato, nessun principio che non possa essere ignorato e nessun abuso di potere che non sarà tollerato.

Mentre andiamo avanti, è fondamentale ricordare questo capitolo della nostra storia, non per soffermarci sul passato, ma per garantire che non ripeteremo mai più questi errori. Dobbiamo riaffermare il nostro impegno per i diritti umani, il consenso informato e la libertà di parola. Solo riconoscendo quanto accaduto e chiedendo conto ai responsabili possiamo sperare di costruire un futuro in cui tali violazioni siano impensabili.


Una strada da percorrere: proteggere i nostri diritti fondamentali

Mentre emergiamo dall'ombra degli obblighi di vaccinazione contro il Covid-19, ci troviamo in una fase cruciale. Gli eventi degli ultimi anni hanno rivelato la fragilità delle nostre libertà più care e la facilità con cui i principi sanciti dal Primo emendamento e dal Codice di Norimberga possono essere erosi. Tuttavia questo periodo difficile ha anche risvegliato una rinnovata consapevolezza di questi diritti fondamentali. Ora dobbiamo incanalare questa consapevolezza in azione, lavorando instancabilmente per prevenire future violazioni e sanare le profonde ferite inflitte alla nostra società.

Il nostro percorso futuro inizia con il rendere il nostro governo responsabile. Dobbiamo sostenere la creazione di una commissione bipartisan per indagare sulla gestione della pandemia, concentrandosi in particolare sulle potenziali violazioni della libertà di parola e del consenso informato. Questa commissione non dovrebbe fungere da caccia alle streghe, ma da mezzo per comprendere i nostri passi falsi e garantire che non si ripetano mai più. Allo stesso tempo dobbiamo promuovere una legislazione che rafforzi la tutela di informatori e dissidenti, soprattutto in tempi di crisi. La nostra democrazia prospera grazie al libero scambio di idee e dobbiamo garantire che punti di vista diversi possano sempre essere espressi in modo sicuro, anche di fronte a una pressione schiacciante a conformarsi.

È necessario rafforzare le tutele legali e politiche per proteggere i nostri diritti nelle crisi future. Dovremmo sostenere gli sforzi legali che sfidano e chiariscono i limiti del potere governativo durante le emergenze di salute pubblica. Inoltre dobbiamo sostenere una legislazione che richieda esplicitamente che tutte le misure di salute pubblica aderiscano ai principi del Codice di Norimberga, in particolare per quanto riguarda il consenso informato. Integrando i comitati etici a tutti i livelli di governo, possiamo contribuire a garantire che il processo decisionale sia in linea con i diritti umani, anche nelle circostanze più difficili.

L'istruzione svolge un ruolo cruciale nella salvaguardia delle nostre libertà. Dobbiamo promuovere l'inclusione di un'educazione civica completa nei programmi scolastici, con particolare attenzione al Primo emendamento e all'etica medica. Promuovendo una profonda comprensione di questi principi nella prossima generazione, creiamo una popolazione meglio equipaggiata per riconoscere e contrastare le violazioni delle proprie libertà. Campagne di sensibilizzazione pubblica sull'importanza della libertà di parola e del consenso informato per il mantenimento di una società libera dovrebbero essere sostenute e amplificate.

Forse il compito più impegnativo, ma vitale, che ci attende è quello di risanare le relazioni personali messe a dura prova dagli eventi degli ultimi anni. Per colmare le divisioni create durante questo periodo difficile, dobbiamo affrontare le nostre relazioni frammentate con compassione e chiarezza. Avviare discussioni calme e razionali con familiari o amici da cui ci si è allontanati può creare uno spazio per un dialogo aperto. Praticando l'ascolto attivo ed esprimendo empatia, possiamo sforzarci di comprendere le paure e le motivazioni alla base delle decisioni altrui, anche se non siamo d'accordo con loro. Cercare un terreno comune in valori ed esperienze condivise, stabilendo al contempo dei limiti per le interazioni future, può impedire di riaprire vecchie ferite.


Rinnoviamo il nostro impegno ai principi

Mentre lavoriamo per una riconciliazione, dovremmo considerare la via del perdono, riconoscendo che molti hanno agito per paura o confusione. Tuttavia, nel perdonare, non dobbiamo dimenticare. Mantenere una memoria nitida degli eventi accaduti servirà da guida per prevenire future violazioni dei nostri diritti e delle nostre libertà.

Il nostro percorso futuro richiede più di una semplice riflessione; richiede un processo di riconciliazione e un fermo impegno nei confronti dei nostri principi fondamentali. Solo attraverso un'incrollabile dedizione alla libertà di parola, al consenso informato e all'autonomia individuale possiamo sperare di ricostruire la fiducia che si è incrinata. La posta in gioco non potrebbe essere più alta: le nostre azioni oggi, incluso il modo in cui ci riconciliamo con questo difficile capitolo della nostra storia, determineranno se lasceremo in eredità alle generazioni future una società che custodisce la libertà o una che ignora con superficialità le libertà conquistate a fatica.

Mentre andiamo avanti, portiamo con noi questa consapevolezza, rimanendo sempre vigili nella difesa dei nostri diritti e offrendo compassione a chi ci circonda. Il nostro impegno verso questi principi, unito ai nostri sforzi per guarire le nostre comunità, plasmerà la società che lasceremo alle generazioni future: una società che valorizza sia la libertà individuale che il benessere collettivo, promuovendo un equilibrio che rispetti la dignità e i diritti di ogni persona.

La scelta è nostra ed è il momento di agire. Attraverso azioni ponderate, sforzi sinceri per comprenderci e riconnetterci gli uni con gli altri, e un impegno incrollabile per i nostri diritti fondamentali, possiamo uscire da questo periodo difficile con le nostre libertà rafforzate e le nostre comunità rinnovate. Facciamo in modo che questa sia la nostra eredità: una società che ha imparato dai propri passi falsi, ha sanato le proprie divisioni e si è nuovamente impegnata nei principi eterni di libertà e dignità umana. Così facendo, onoriamo la saggezza di coloro che ci hanno preceduto, creando garanzie dopo periodi di grande conflitto, e diamo un potente esempio da seguire alle generazioni future.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 7 luglio 2025

Il grande accorciamento

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Jeffrey Tucker

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-grande-accorciamento)

“Al giorno d'oggi nessuno riesce a concentrarsi a lungo su nulla e questo sta rovinando completamente la società”.

È un commento notevole da parte del mio autista Uber dalla mentalità filosofica e ha attirato la mia attenzione. Suonava come una verità, qualcosa su cui avevo riflettuto, ma mi ha sorpreso sentirlo dire da uno sconosciuto. Così gli ho chiesto di spiegarsi meglio.

“Sono i social media. Tutti passano le giornate a scorrerli per ottenere 3 o 4 secondi di gratificazione immediata da contenuti privi di significato. Abbiamo perso la pazienza per le narrazioni lunghe e significative”.

Si riferiva ai film lunghi?

“Non proprio. Intendo libri grandi e importanti, classici, libri ben costruiti, capolavori letterari assemblati con cura che hanno resistito alla prova del tempo”.

Incuriosito da questo approfondimento, ho riflettuto ulteriormente. Aveva un che di vero. Pensare che i social media abbiano avuto questo effetto su tutti, in varia misura, è piuttosto scioccante. Non mi escludo. Il tempo che dedico a lunghe narrazioni che si estendono su centinaia di pagine e richiedono una lettura di molti giorni è diventato sempre meno.

Ero entusiasta quando il ciclo delle notizie si è aperto e ha incluso sempre più voci e più aggiornamenti in tempo reale. Sembrava un mondo migliore di quello in cui ero nato, in cui tre conduttori leggevano copioni quasi identici sugli stessi grandi eventi. Tutti si fidavano di loro e andavamo avanti con le nostre vite.

Ora siamo tentati di credere che un aggiornamento costante delle pagine ci renderà più informati; ora possiamo scoprire la verità sulla vita pubblica. Non ci vengono più negate voci alternative e ci vengono offerti spunti sorprendenti su spiegazioni alternative. Questo è fantastico e naturalmente pensiamo che sia un miglioramento.

Forse lo è, sicuramente lo è, ma la domanda è: a quale prezzo? È fortemente allettante passare il tempo in eccesso che abbiamo a ossessionarci su questa o quella cosa con infinite opzioni di fonti, podcast, video, feed, argomenti di tendenza e raffiche di notizie dell'ultima ora senza alcun collegamento che ci stupiscono e probabilmente ci tribalizzano ulteriormente.

Qual è il costo? È ciò che faremmo altrimenti. Forse significa investire nelle relazioni personali e nella famiglia; forse significa prendere in mano un grosso libro e leggerlo dalla prima pagina, emozionandosi nel graduale dispiegarsi di una narrazione; forse significa pensare a una pianificazione finanziaria a lungo termine e imparare nuovi modi di pensare alla finanza e mettere in pratica gli insegnamenti.

Non c'è dubbio che questo accada sempre meno spesso. Un amico ventenne dice di conoscere solo due persone in diversi anni che abbiano letto un libro vero e proprio. Sappiamo tutti che è vero. Le prove empiriche in merito variano e il mercato librario stesso sembra andare bene. Se e in che misura le persone sotto i 30 anni trascorrano effettivamente del tempo prolungato e disciplinato con libri importanti è una domanda seria. I sondaggi da soli non forniranno la risposta.

Che importanza ha? Ho chiesto di nuovo al mio autista Uber.

“È un fenomeno che sta cambiando completamente le persone e anche la cultura. È tutta una questione di adesso, non di futuro. È tutta una questione di stimoli presenti senza pensare al lungo termine”.

E allora?

“Il problema è che questa prospettiva rende le persone egoiste. È tutta una questione di sé. Non si preoccupano degli altri, non li notano nemmeno. Le persone non sono minimamente consapevoli di ciò che le circonda e di come gli altri reagiscono nei loro confronti. I social media stanno trasformando tutti in sociopatici”.

È un'accusa seria, ma mi riesce difficile confutarla. Diverse esperienze nei miei viaggi lo hanno confermato: non grandi cose, ma piccoli gesti in cui le persone sono restie a rinunciare al loro temporaneo benessere per qualcosa di più grande di loro.

Forse è rendere disponibile il posto centrale a qualcuno su un aereo dove i posti non sono assegnati. Il primo pensiero, in questi giorni, è quello di concentrarsi sul numero uno e fare di tutto per tenere tutti lontani.

Quanto spesso le persone aiutano gli sconosciuti con i bagagli? Se ne accorgono? Che ne direste di lasciare che qualcun altro ordini cibo o bevande prima di voi? Che ne direste di lasciare che chi potrebbe perdere un volo si metta prima di voi in coda per lo sbarco?

Questi sono dettagli di poco conto, ma sembra certamente vero che concediamo meno rispetto sociale rispetto a un tempo. Infatti un tempo davamo per scontate le buone maniere; ora sembra che ognuno pensi per sé, in ogni circostanza.

Naturalmente ogni generazione deplora la corruzione del proprio tempo, pur guardando con nostalgia al passato. È un pregiudizio che deriva dalla selezione: è più facile ricordare il bene e dimenticare il male man mano che il tempo avanza, ed è più facile essere più consapevoli del male che scavare più a fondo per trovare il bene.

Ciononostante l'avvento dei social media, dei display tascabili universali, degli auricolari personalizzati e di una scelta infinita di contenuti è una novità assoluta. E non scompariranno. Se ci hanno cambiato come popolo e come cultura, sarà per sempre? Possiamo opporci a questo cambiamento?

La tesi di suddetto autista — ho imparato a prendere più seriamente le osservazioni di un comune lavoratore rispetto a quelle di un professore dell'Ivy League — mi ha portato a pensare a tutti gli altri modi in cui i nostri orizzonti temporali si sono accorciati.

È ampiamente documentato che elettrodomestici che un tempo duravano una generazione ora si rompono in due o tre anni; acquistiamo telefoni e computer – articoli molto costosi – senza la consapevolezza di investire per il futuro, sappiamo per certo che dureranno due o tre anni prima che ne dovremmo comprare un altro.

Le scarpe sono la stessa cosa: spendete $150 per un paio che vi sta benissimo, ma dopo sei mesi di utilizzo sembra già pronto per la spazzatura. È così con la maggior parte dei vestiti. Scordatatevi di passare un abito ai figli, si sfalda dopo pochi utilizzi; il maglione che sta benissimo in negozio ha qualche strappo qua e là a fine stagione.

La maggior parte degli abiti è diventata usa e getta. Quasi tutto nel mondo digitale è così, e più i nostri prodotti del mondo reale vengono digitalizzati, minore è la loro longevità. Quasi nulla è più riparabile; è quasi sempre meglio buttarlo via e comprarne uno nuovo.

Con l'inflazione che ci accompagna da anni, siamo incoraggiati a spendere ora piuttosto che risparmiare, perché il risparmio non viene ricompensato. Nella migliore delle ipotesi, andiamo in pareggio, quindi perché non indebitarci acquistando “esperienze” invece di pensare al futuro?

L'economista Irving Fisher introdusse il concetto di preferenza temporale per spiegare i tassi d'interesse, affermando che un tasso di preferenza temporale più basso significa che le persone sono disposte a sacrificare i consumi attuali risparmiando. Questo fa scendere il tasso d'interesse, rendendo disponibili maggiori fondi per i prestiti.

Anche il contrario è vero: un tasso più elevato nella preferenza temporale – il desiderio ardente di consumare ora piuttosto che pianificare il futuro – porta a minori risparmi e a un impoverimento del bacino per l'espansione del capitale. Questo si traduce in tassi d'interesse più elevati, a parità di altre condizioni.

È affascinante seguire il pensiero di Murray Rothbard che vedeva in questa teoria delle preferenze temporali una spiegazione fondamentale per l'ascesa e il declino delle società. Le civiltà più sviluppate sono il risultato di preferenze temporali più basse: investimenti, visione a lungo termine, frugalità e rinvio delle gioie di oggi a un domani migliore. Le società meno sviluppate fanno il contrario, spingendosi fino allo stato di natura in cui tutti si accontentano di sopravvivere per il presente.

È possibile che stiamo vivendo in quello che potremmo chiamare il Grande Accorciamento: le nostre preferenze temporali sono più elevate, la nostra capacità di attenzione è più breve, i nostri orizzonti e le nostre prospettive sul nostro posto nella società sono caratterizzati dall'ottenere ciò che è bene per sé stessi ora, piuttosto che pensare a ciò che è bene per la famiglia, la comunità e la società a lungo termine. La gratificazione immediata è il segno distintivo della vita culturale, lo si vede ovunque.

Per certi versi ciò che è successo cinque anni fa con i lockdown ha distrutto il senso di comunità e alimentato una sorta di egoismo a breve termine ed è stato rafforzato dalla tecnologia che ci fornisce esattamente ciò che desideriamo: un po' di slancio e vitalità nel presente piuttosto che edificazione e contemplazione del futuro. Meno fiduciosi siamo nel futuro, più ha senso vivere solo per il presente.

È questo il Grande Accorciamento? Forse sì, ma non c'è bisogno di assecondarlo. Di recente ho letto un libro fantastico, divorando ogni frase e ogni parola con attenzione rapita. Il libro in questione è Unshrunk di Laura Delano ed è meraviglioso proprio perché presenta un arco narrativo molto lungo, pur essendo un'autobiografia.

Il mio scopo non è quello di mettere in risalto quest'opera in particolare, ma di esortare tutti a prendere un libro qualsiasi, preferibilmente cartaceo. Un classico della letteratura vittoriana o uno dei grandi libri che sapevate di dover leggere ma non avete mai letto. Dedicategli tre lunghe giornate e capirete esattamente cosa intendo.

Potreste rimanere scioccati da ciò che questo comporta per la vostra mente e il vostro spirito. Non potete cambiare l'ordine sociale o la cultura, ma potete prendervi cura di voi stessi dicendo: “Non mi lascerò manipolare dai sistemi che mi incoraggiano a pensare solo al qui e ora”. Tutti noi possiamo fare la nostra parte, nel nostro interesse personale, per ricordare cosa serve per costruire grandi menti e vite.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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