mercoledì 9 aprile 2025

Perché si parla così tanto di recessione adesso?

Una delle leggi più idiote in materia economica e finanziaria fu la Dodd-Frank Act, voluta da (udite, udite) Obama. Ciò non fece altro che costringere di più il settore bancario “ordinario” e permise alla pressione risultante di sfogarsi su quello “ombra”... e questa evoluzione l'avete già letta nel mio ultimo libro, Il Grande Default. Non solo, ma avviò verso la bancarotta un numero consistente di piccole/medie banche che successivamente sono state assorbite da quelle grandi, fenomeno, questo, che fa da anfitrione al collasso delle piccole/medie imprese. Non è nemmeno una sorpresa che, anche qui, ci fosse lo zampino di Londra (cfr. Lyndon LaRouche). Quello che questa amministrazione vuole impedire è che ci sia un “honeypot” da catturare e far ripetere la storia degli eurodollari. Questo a sua volta significa che la FED tornerà al suo ruolo ideato prima degli anni '30, prima che Roosevelt la trasformasse nel mostro deforme che è oggi. Molto probabilmente la sua capacità d'azione verrà ripartita nelle 12 entità regionali, fino ad avere un quadro di riferimento più decentralizzato e difficile da catturare in futuro. Un tale ritorno al passato è funzionale alla scissione del dollaro: uno per le necessità interne ed emesso dalle varie banche commerciali sotto la giurisdizione compensativa delle Federal Reserve regionali; uno internazionale e digitalizzato per l'era moderna incarnato da Tether. Tra l'altro non è nemmeno una caso che, a tal proposito, l'amministrazione Trump stia lanciando sul mercato USD1, una nuova stablecoin legata al dollaro.

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di Jeffrey Tucker

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/perche-si-parla-cosi-tanto-di-recessione)

Puntuali come un orologio, ecco che ritornano le discussioni su una recessione. L'annuncio arriverà presto e sarà confermato entro l'estate. La Federal Reserve di Atlanta ha da poco rivisto le sue previsioni di output per il primo trimestre, prevedendo una contrazione del -2,8%. È accaduto tutto all'improvviso. Solo una settimana prima gli stessi strumenti (GDPNow) avevano previsto un aumento del 2% dell'output nel primo trimestre.

A questo punto molte persone probabilmente staranno ignorando tutte queste previsioni e i grandi numeri che provengono dagli esperti pagati dai contribuenti. Hanno toppato molto e per tanto tempo, ciononostante Wall Street è commossa da tali report di dati, anche quando i problemi con essi sono evidenti. Come si dice, i numeri potrebbero essere falsi, ma sono tutto ciò che abbiamo.

La base su cui si fonda questa previsione riguarda la spesa per l'edilizia ed è davvero difficile giustificarla basandosi sui dati del settore che non mostrano nulla del genere.

Il mio pensiero: questo è un gioco di attribuzione delle colpe. Le analisi commissionate dal Brownstone Institute, ma che possono essere state intuite anche da qualsiasi adulto negli ultimi quattro anni, documentano una recessione tecnica sin dal 2022 sulla base di una lettura più chiara dei dati. Non c'è mai stata una chiara ripresa sin da marzo 2020, quando l'economia globale è stata deliberatamente gettata in una depressione forzata.

Da allora i dati macroeconomici raccolti in modo convenzionale hanno avuto ben poco senso.

Ci sono molti problemi. I dati di output convenzionali contano la spesa pubblica, anche quando è basata sul finanziamento tramite debito che è in ultima analisi finanziato dalla stampa di denaro, come contributo positivo al PIL. Proprio in questi anni si è assistito al più grande aumento della spesa pubblica che abbiamo mai registrato.

Ovviamente ha distorto i dati del PIL per anni.

C'è un altro problema: gran parte della “crescita” negli ultimi quattro anni è consistita nella riparazione graduale e iterativa dei danni causati dai lockdown e dai blocchi della supply chain. Rompere le cose e aggiustarle non conta come progresso complessivo, ma nel modo in cui viene raccolto il PIL, lo conta invece.

Questo fattore ha distorto i dati sulla produzione per anni.

Tutti i dati del PIL devono essere aggiustati all'inflazione se davvero devono avere un significato. Questo è risaputo, meno risaputo è che lo stesso deve accadere alla spesa al dettaglio, agli ordini di fabbrica e agli acquisti di beni durevoli. Non ha alcun senso considerare i prezzi più alti come aumenti significativi della spesa.

Ciò che conta è quale misura dell'inflazione si usa rispetto alla quale il PIL viene aggiustato per ottenere poi il PIL reale. Da anni ormai l'indice dei prezzi al consumo è stato notevolmente sottostimato su intere classi di beni e anche sull'intero indice. Arrivati a questo punto, è fuori discussione. Quanto sia stato sottostimato è una questione dibattuta. I dati convenzionali mostrano un calo del 22% del potere d'acquisto in quattro anni, ma potrebbe essere più vicino al 30% o più, raggiungendo in certi punti livelli molto più alti.

Anche utilizzando una misura prudente, sottostimandola e combinandola con il PIL non aggiustato, si genera un contesto macroeconomico in rosso per tre anni: una recessione tecnica.

Quando abbiamo pubblicato il nostro studio, mi aspettavo un tremendo contraccolpo da parte degli economisti del settore e di altri. Quello che abbiamo visto invece è stato il silenzio. Ciò mi ha lasciato sbalordito finché non ho capito che quasi tutti sanno che le cose stavano così.

In altre parole, Trump ha ereditato un ambiente economico che è stato definito meraviglioso per anni, ma che in realtà è stato estremamente debole e profondamente danneggiato. Era una trappola: negare la debolezza economica per quattro anni, quando invece era ovvia, poi una volta che il nuovo presidente sarebbe entrato in carica farla diventare trasparente e dire la verità su quanto le cose siano brutte.

Il problema con la cultura statunitense è che c'è una sovrapposizione mediatica tra le condizioni economiche e chiunque si trovi in ​​carica in quel momento. Non è affatto una coincidenza che la recessione sembri colpire esattamente mentre Trump è entrato in carica. Sarà attribuita alle sue linee di politica: dazi, tagli alla spesa, sconvolgimenti governativi, o semplicemente incertezza in generale.

È come se qualcuno si accorgesse che la casa è in disordine non appena arriva la squadra delle pulizie e desse la colpa a loro di tutti i problemi.

D'altro canto, è decisamente troppo presto per dichiarare che siamo in qualche modo fuori dai guai. C'è ancora molta strada da fare, e Trump ha ragione a esortare alla pazienza e persino a suggerire, come ha fatto nel suo discorso al Congresso, che ci sarà dolore economico lungo il cammino.

La retorica impetuosa sull'alba di una nuova età dell'oro è entusiasmante, ma prematura. Il bilancio deve essere sistemato, le agenzie governative devono essere frenate e tagliate, le normative devono essere abrogate, le agenzie sanitarie devono essere smantellate, tutte le tasse devono essere abbassate o abolite.

Per quanto riguarda i dazi, è facile seguire il ragionamento qui: poiché è più economico produrre la maggior parte delle cose nella maggior parte degli altri Paesi rispetto agli Stati Uniti, principalmente a causa della forza del dollaro, il loro impiego è progettato per pareggiare i conti. È un tentativo di ricreare il vecchio regolamento contabile che avevamo prima della fine del gold standard. La teoria è che questo dimostra un certo margine di competitività per la produzione statunitense, probabilmente attraendo capitale straniero per investimenti nazionali.

Questo mi sembra un metodo tortuoso per aggirare un problema più importante che risale a un sistema monetario internazionale in crisi. Detto questo, non c'è un pulsante da premere per risolvere il problema, almeno non uno che io riesca a vedere. L'effetto più immediato di questi dazi sarà quello di aumentare i costi per gli importatori e i consumatori statunitensi. Nel complesso, questa è una scommessa rischiosa. Non sono certo il solo a temere che questa iper-attenzione sui dazi, molto prima di una riforma delle tasse e della spesa, sia sproporzionata, riflettendo un'idiosincrasia personale della stampa nei confronti di Trump piuttosto che un chiaro pensiero economico.

I dazi diventeranno anche un capro espiatorio. Se all'improvviso verrà annunciata una recessione, se il PIL del primo trimestre dovesse davvero scendere in modo così violento, i dazi e quindi Trump si ritroveranno nel mirino delle critiche. Questa dovrebbe essere una preoccupazione politica primaria per la sua amministrazione.

Detto questo, Trump è sulla strada giusta nel sottolineare che abbiamo appena vissuto la peggiore inflazione degli ultimi 48 anni e forse della storia americana. È stato sottoposto a severi controlli per questa affermazione, ma è del tutto difendibile. Lo stesso vale per tutti questi indicatori economici, dall'inflazione al mercato del lavoro. La realtà è ben peggiore di quanto le agenzie abbiano segnalato per molti anni.

Ricordate: ci sono forti ragioni per credere che siamo in recessione tecnica più alta inflazione da anni ormai. Ammetterlo ora è una questione di tempismo politico. La nebulosità che circonda i dati e i messaggi economici sta diventando sempre più stratificata e complicata, e ci vuole una vera sofisticatezza per vederlo.

Le sofferenze nascoste degli ultimi quattro anni sono state in gran parte taciute e quindi le tribolazioni improvvisamente annunciate adesso sono probabilmente esagerate.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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