mercoledì 26 febbraio 2025

Stabilire la tregua in Ucraina, poi lasciare al proprio destino l'Europa

La stampa sta scoprendo solo adesso che USA ed UE sono in guerra, voi, cari lettori, lo sapete già da un bel pezzo grazie alla lettura del mio libro, “Il Grande Default”. Gli strepitii che sentite riguardo le spese militari sono tutti causati dalla consapevolezza che non esiste più un mercato dell'eurodollaro a cui Bruxelles e Londra, in particolar modo, potevano attingere e fare promesse esorbitanti in patria. Ora tutte quelle promesse del passato sono costose da mantenere, pensate ad esempio ai welfare state ipertrofici. L'UE, e più nello specifico la cricca di Davos, è continuamente messa di fronte alla propria impossibilità di uscire fuori indenne dal caos economico che essa stessa ha causato. In Ucraina si pensava di poter usare le regioni ricche di minerali per collateralizzare i titoli finanziari ucraini, che già adesso circolano nei mercati pronti contro termine europei, e coprire la successiva narrativa della ricostruzione. Sono andate ormai e gli attori finanziari europei devono fare i conti anche con questa bomba a orologeria finanziaria (in particolare gli istituti finanziari francesi, ecco perché Macron fa la voce più grossa oggi affinché Zelensky sia incluso nei "trattati di pace"). Questo a sua volta significa nuove tasse, più indebitamento pubblico con conseguente spiazzamento degli investimenti privati e stampa di denaro da parte della BCE per mettere pezze in ogni dove svalutando ulteriormente il potere d'acquisto dell'euro. Se gli USA, e in particolar modo Powell, non avessero trincerato il mercato dei capitali interno e sganciatolo dalla scalata ostile tramite l'eurodollaro, a quest'ora avremmo assistito alla vittoria di una prospettiva futura decisamente tetra e dispotica. Niente più della bancarotta della cricca di Davos dovrebbe innescare ottimismo, e con esso incoraggiamento per il processo di pulizia (economico e sociologico) statunitense.

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di David Stockman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/stabilire-la-tregua-in-ucraina-poi)

Esattamente 177 giorni dopo aver prestato giuramento, il più grande presidente pacifista degli Stati Uniti, Dwight D. Eisenhower, annunciò che l'opera di demolizione nella penisola coreana sarebbe stata interrotta e che da quel momento in poi sarebbe stato stipulato un armistizio, armistizio che è in vigore ancora oggi.

Sfortunatamente la tregua di Ike non si è mai tradotta in un trattato di pace permanente, o nella normalizzazione delle relazioni tra le due Coree, o tra gli Stati Uniti e la Cina comunista.

Inoltre non c'è alcun mistero sul perché: Washington ha mentito sul fatto che stesse combattendo una guerra nobile contro la diffusione del comunismo mondiale, quindi ciò che è diventato l'Impero domiciliato sulle rive del Potomac non era sul punto di riconoscere un governo comunista al nord o di abbandonare il suo governo fantoccio al sud.

E intendiamo per davvero un governo fantoccio. Poco dopo che la penisola fu arbitrariamente divisa in due da Roosevelt, Churchill e Stalin alla conferenza di Yalta nel gennaio 1945, l'esercito statunitense insediò Syngman Rhee come presidente nell'area a sud del 38° parallelo. Tuttavia quel particolare patriota coreano stava vivendo una vita comoda come espatriato negli Stati Uniti a quel tempo, e lo aveva fatto sin dal 1904, quando era arrivato per la prima volta negli Stati Uniti per studiare a Princeton. Di conseguenza non c'era la minima possibilità che sarebbe stato scelto dal popolo coreano per gestire quella che sarebbe diventata una tirannia brutale sostenuta da Washington.

Nonostante le sue migliori intenzioni, Eisenhower fu circondato dai deplorevoli fratelli Dulles alla CIA e al Dipartimento di Stato e in particolar modo dalla cosiddetta China Lobby promossa da Henry Luce di Time-Life. Quest'ultima attirò un rumoroso gruppo di combattenti rossi a Washington, tra cui il vicepresidente Richard Nixon, il senatore William Knowland, il senatore Joe McCarthy e il deputato Walter Judd, tra molti altri, e non erano intenzionati a tollerare la normalizzazione delle relazioni con il vincitore della guerra civile cinese: Mao Tse-tung.

Così la linea di contatto militare fu congelata nel tempo e gli Stati Uniti iniziarono ad armare pesantemente la Corea del Sud e a sostenere la sua indipendenza dal regime comunista a nord e dalla Cina comunista sul fianco.

Eppure, a posteriori, a cosa è servita la morte di quasi 45.000 militari americani e di altri 35.000 feriti, alcuni dei quali ancora oggi ricevono assistenza medica e sussidi di invalidità? In che modo è stata utile alla sicurezza interna? Per non parlare del milione di combattenti coreani uccisi da entrambe le parti in guerra e dei 2-3 milioni di civili le cui vite sono state anch'esse stroncate.

Inutile dire che né la Cina né la Corea rappresentavano una minaccia militare per gli Stati Uniti all'epoca. E non lo era nemmeno la Russia stalinista, che, in ogni caso, aveva messo in guardia la Corea del Nord dal superare il 38° parallelo.

Tuttavia Washington intraprese un percorso dopo il 1953, fondando una nazione artificiale permanente a sud della zona demilitarizzata, e poi l'ha armata fino ai denti e l'ha portata sotto l'ombrello militare degli Stati Uniti. Il valore di quelle spese negli ultimi sette decenni ammonta a $500 miliardi attuali, il che significa che il complesso militare-industriale degli Stati Uniti per 75 anni ha venduto armi a un governo che altrimenti non sarebbe esistito o ha armato più di 100.000 soldati statunitensi di stanza a volte in Corea e Giappone che altrimenti non sarebbero mai stati radunati.

Poiché è evidente che non c'è stato alcun guadagno per la sicurezza militare nordamericana dalla creazione, dal mantenimento e dalla protezione della Corea del Sud da parte di Washington, la conclusione è inevitabile: Washington ha speso più di cinquecento miliardi di dollari, esattamente per cosa?

Per quanto ne sappiamo tutti quei soldi dei contribuenti sono stati spesi per garantire agli attuali 52 milioni di cittadini della Corea del Sud uno standard di vita leggermente migliore, pari a $33.000 pro capite, rispetto ai cittadini di Shanghai, la cui cifra è di $27.000; e anche un po' più di libertà rispetto ai loro omologhi altrettanto prosperi dall'altra parte del Mar Giallo.

In fin dei conti è questo che ha rappresentato tutto questo sbuffare e ansimare durante la Guerra Fredda: sangue e occasionali rischi di confronto nucleare negli ultimi 75 anni; una probabilità leggermente più alta di essere arrestati per dissenso politico a Shanghai che a Seul.

Né si tratta di un'esagerazione controfattuale. Se Washington fosse stata abbastanza astuta da consentire ai coreani e ai cinesi di risolvere le proprie divergenze nel giugno del 1950, senza dubbio la Corea sarebbe finita per essere un satellite della Cina, il che significa che la penisola avrebbe avuto un inizio tardivo verso la modernizzazione, ma sarebbe uscita a razzo dai blocchi di partenza come parte della macchina per l'esportazione globale di Deng dopo il 1990.

E, no, non stiamo trascurando gli orrori della famiglia criminale Kim Sung II/Kim Jong II/Kim Jong Un che dalla fine degli anni '40 ha tiranneggiato la gente del nord e di recente ha brandito armi nucleari verso l'occidente. Infatti questo è proprio il nostro punto: non crediamo nemmeno per un secondo che l'austera tirannia dei Kim sarebbe durata 70 anni se Ike fosse stato in grado di ottenere un trattato di pace adeguato, lasciando così la Corea ai coreani e ai cinesi, che sicuramente sarebbero giunti a un qualche modus vivendi pratico.

Dopotutto c'è una lunga storia di sovranità cinese sulla penisola che risale allo status della Corea come stato tributario della Cina durante la dinastia Ming (1368-1644) e la dinastia Qing (1644-1912). Pertanto, anche se in assenza delle macchinazioni politiche, monetarie e militari di Washington, la Corea fosse finita come la ventitreesima provincia o la sesta regione autonoma della Repubblica Popolare Cinese, la sicurezza nazionale e la libertà dei cittadini statunitensi da Miami a Seattle non sarebbero affatto cambiate.

Detto in altri termini, non c'è nulla nella Costituzione degli Stati Uniti che autorizzi Washington a diffondere, sottoscrivere e garantire militarmente la democrazia in tutto il mondo. E come questione di sicurezza militare, l'unica cosa richiesta anche ora, nel 2025, è una deterrenza nucleare che costa circa $75 miliardi all'anno secondo i calcoli del CBO, e una difesa convenzionale delle coste e dello spazio aereo nordamericani, che probabilmente costerebbe qualche centinaio di miliardi in più.

Ma ciò di cui non avrebbe bisogno è una Marina degli Stati Uniti che copre tutto il globo e le attuali forze di spedizione americane, sia aeree che terrestri, per rafforzare alleanze complicate e impegni inutili come quelli con la Corea del Sud.

Tutto questo ci porta alle notizie del giorno, ovvero che l'amministrazione Trump è sulla buona strada per un accordo di pace in Ucraina. Se realizzato nei prossimi 100 giorni, come sperato, potrebbe persino superare il risultato di Ike per quanto riguarda la fine della guerra di Corea ereditata dal presidente Harry Truman.

I piani non confermati riportati dalla stampa indipendente in Ucraina, vale a dire l'USAID, indicano che potrebbe esserci un cessate il fuoco entro il 20 aprile che...

• congeli la costante avanzata della Russia lungo le attuali linee di contatto

• impedisca all'Ucraina di aderire alla NATO

• chieda a Kiev di accettare la sovranità russa sui territori annessi nel Donbass, in Crimea e lungo la costa del Mar Nero

• ordini alle truppe ucraine di lasciare la regione russa di Kursk, dove hanno lanciato una controffensiva lo scorso agosto

• installi un contingente di soldati europei, non americani, per pattugliare una zona demilitarizzata

• chieda all'UE di assistere l'Ucraina nei suoi sforzi di ricostruzione che potrebbero costare fino a $486 miliardi nel prossimo decennio, secondo un think tank tedesco

Riteniamo che Donald e Putin potrebbero raggiungere un accordo in tal senso nel giro di pochi giorni, in qualche oasi dell'Arabia Saudita, mentre Zelensky se ne starà tranquillo in una tenda lì accanto.

Ma se il risultato a lungo termine non è quello di un ennesimo e costoso “alleato” sostenuto in una nazione fittizia e armato fino ai denti dal complesso militare-industriale degli Stati Uniti, Donald deve prestare molta attenzione al fallimento del generale Eisenhower dopo aver stipulato la tregua in Corea. Vale a dire, l'equivalente odierno della lobby cinese è il nido di vipere dei guerrafondai neocon domiciliati tra i think tank, le ONG, le agenzie dello Stato profondo, i media finanziati dallo stato e le ancelle del complesso militare-industriale nel Congresso degli Stati Uniti.

Eserciteranno una pressione insopportabile sulla Casa Bianca per trasformare l'Ucraina nell'ennesimo “alleato” sovvenzionato. Ma Trump non deve dar loro tregua, e deve farlo prendendo spunto dal saggio senatore George Aiken del Vermont, che consigliò a LBJ nel 1966, in merito alla guerra del Vietnam, di “dichiarare vittoria e tornare a casa”.

Vale a dire che, dopo la firma del trattato di pace, l'Ucraina dovrebbe essere lasciata ai suoi stessi mezzi, incluso trovare modi per riconciliarsi col Cremlino. Quindi non dovrebbe esserci nessun governo fantoccio a Kiev, nessun alleato informale, nessun proxy militarizzato, nessuna discarica di armi per il complesso militare-industriale statunitense alle porte della Russia.

Infatti date a Zelensky la sua sinecura e la sua lussuosa fuga in Costa Rica e sarà molto probabile che i suoi successori politici a Kiev troveranno il modo e i mezzi per andare d'accordo con il vicino e ricostruire il loro Paese basandosi sulle proprie risorse e sulla filantropia che si può ottenere dal resto del mondo.

In breve, Washington deve tagliare i ponti e tornare a casa. Inoltre, nonostante i suoi difetti, Donald Trump ha abbastanza credibilità presso il popolo americano per dichiarare che l'abissale fallimento dell'Unipartito nella sua inutile avventura in Ucraina è una “vittoria”, attestata dal fatto che l'Ucraina potrebbe probabilmente conservare il 75% del suo ex-territorio.

Ancora più importante, una “vittoria” in stile Aiken in Ucraina sarebbe anche un'eccellente opportunità per gli Stati Uniti di uscire dalla NATO e di porre fine a tutte le basi e agli impegni remoti di Washington in tutta Europa. Vale a dire, riportare a casa i 65.000 soldati americani ancora in Europa perché non avrebbero mai dovuto esserci in primo luogo, a maggior ragione dopo che il vecchio impero sovietico è scomparso nella pattumiera della storia 34 anni fa.

E per quanto riguarda lo status dell'Europa dopo un trattato di pace con l'Ucraina e il ritiro degli Stati Uniti dalla NATO, dubitiamo che Putin abbia alcun interesse a occupare la Polonia o a sfondare le porte di Brandeburgo a Berlino. I Paesi europei hanno un PIL di oltre $20.000 miliardi, o 10 volte i $2.000 miliardi di quello russo. Se non riescono a provvedere alla propria difesa su questo, anche se ciò significa ridurre un po' i loro Stati sociali, allora qualsiasi cosa possa accadere è colpa loro.

Ike fermò l'orribile massacro in Corea, ma sfortunatamente non pose fine alla guerra. Se Trump vuole davvero passare alla storia come il Presidente della Pace, ora ha un'opportunità per porre fine davvero all'ultima guerra inutile dell'America e diventare il Presidente della Pace che persino il grande generale Eisenhower non è mai stato.

Truppe USA in Europa:

  1. Germania: 35.068
  2. Italia: 12.405
  3. Regno Unito: 9.949
  4. Spagna: 3.212
  5. Turchia: 1.778
  6. Belgio: 1.105
  7. Paesi Bassi: 425
  8. Grecia: 368
  9. Polonia: 216
  10. Romania: 133


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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