venerdì 28 febbraio 2025

L'illusione degli esperti

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

____________________________________________________________________________________


di Joshua Stylman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/lillusione-degli-esperti)

Un'amica ha condiviso con me qualcosa che ha cristallizzato la mia crescente preoccupazione su come ci confrontiamo con l'esperienza e l'intelligenza nella nostra società. Sa che ho affrontato diverse volte questo argomento, vedendo schemi che diventano più chiari giorno dopo giorno. In risposta a un sondaggio che chiedeva “Perché i democratici hanno 5 volte più probabilità di fidarsi dei media generalisti rispetto ai repubblicani”, Zach Weinberg ha dichiarato su X: “Perché sono più intelligenti (i dati lo dimostrano, più siete istruiti più è probabile che voi siate un democratico). Mi dispiace che non sia bello dirlo, ma è la verità. Se questo vi fa arrabbiare, è perché voi stessi siete più stupidi(e) degli altri”.

L'inquadramento partigiano è noioso, solo l'ennesimo esempio di come le strutture di potere mantengano il controllo attraverso la divisione ingegnerizzata. L'aspetto più rivelatore della risposta di Weinberg è la sua equazione istruzione uguale intelligenza, un'equivalenza pericolosa che merita un esame più approfondito.

In quelle poche righe sprezzanti si cela un'istantanea del nostro momento attuale: la fusione di credenziali con saggezza, l'equazione di conformità con intelligenza e l'arroganza di coloro che scambiano la loro capacità di ripetere narrazioni approvate ufficialmente per autentico pensiero critico. Questa mentalità rivela una crisi più profonda nella comprensione della nostra società per quanto riguarda la vera intelligenza e il ruolo della competenza.

Questa mentalità di superiorità basata sulle credenziali ha avuto conseguenze devastanti nel mondo reale durante il COVID-19. La fede cieca delle persone “intelligenti” nell'esperienza istituzionale le ha portate a sostenere linee di politica che hanno causato danni immensi: chiusure di scuole che hanno fatto regredire una generazione di bambini, lockdown che hanno distrutto piccole attività arricchendo le grandi aziende e obblighi di vaccinazione che hanno violato i diritti umani fondamentali, il tutto mentre si respingeva o censurava chiunque mettesse in dubbio queste misure, indipendentemente dalle prove.

Voglio essere chiaro: la vera competenza è essenziale per una società funzionante. Abbiamo bisogno di chirurghi qualificati, scienziati competenti e ingegneri competenti. La vera competenza si dimostra attraverso risultati coerenti, ragionamenti trasparenti e la capacità di spiegare idee complesse in modo chiaro. Il problema non è la competenza in sé, ma piuttosto il modo in cui è stata corrotta, trasformata da uno strumento per la comprensione in un'arma per far rispettare la conformità. Quando la competenza diventa uno scudo contro le domande anziché una base per la scoperta, ha cessato di servire al suo scopo.

Questa distinzione, tra la competenza in sé e la classe degli esperti che afferma di incarnarla, è cruciale. La competenza è uno strumento per comprendere la realtà; la classe degli esperti è una struttura sociale per mantenere l'autorità. Una serve la verità; l'altra serve il potere. Comprendere questa differenza è essenziale per navigare nella nostra crisi attuale.


Il baratro della percezione

Al centro del nostro divario sociale c'è una differenza fondamentale nel modo in cui le persone consumano ed elaborano le informazioni. Nella mia osservazione le cosiddette “persone intelligenti” — in genere professionisti istruiti — sono orgogliose di essere informate tramite fonti mediatiche tradizionali e rispettate come il New York Times, il Washington Post o NPR. Questi individui spesso considerano le fonti di informazione da loro scelte come bastioni di verità e affidabilità, mentre respingono i punti di vista alternativi.

L'affidamento alle narrazioni mainstream ha creato una classe di gatekeeper istituzionali che confondono l'autorità con il rigore intellettuale. Sono diventati partecipanti inconsapevoli in quella che chiamo l'Industria dell'informazione, un vasto ecosistema di media generalisti, fact-checker, riviste accademiche e organismi di regolamentazione che lavorano di concerto per creare e mantenere punti di vista approvati. Questo sistema mantiene la sua presa attraverso messaggi strettamente controllati, fact-checking selettivo e il rifiuto di opinioni dissenzienti. Abbiamo visto questo sistema in azione quando i media generalisti hanno dichiarato simultaneamente alcuni trattamenti COVID “smentiti” senza impegnarsi ad analizzare gli studi sottostanti, o quando i fact-checker hanno etichettato affermazioni dimostrabilmente vere come “mancanti di contesto” perché esse sfidavano le posizioni ufficiali. Tale Industria non controlla solo quali informazioni vediamo, ma plasma il modo in cui le elaboriamo, creando un ciclo chiuso di autorità auto-rafforzante.


La classe degli esperti e l’illusione dell’indipendenza

La classe di esperti (dottori, accademici, tecnocrati) spesso non riesce a riconoscere i propri punti ciechi. Lo abbiamo visto quando i funzionari della sanità pubblica con più lauree al proprio attivo hanno insistito sul fatto che le mascherine prevenivano la trasmissione del COVID, senza prove, mentre infermieri e terapisti che lavoravano direttamente con i pazienti mettevano in dubbio l'efficacia di quella linea di politica. Lo abbiamo visto di nuovo quando gli “esperti” dell'istruzione hanno promosso l'apprendimento a distanza mentre molti insegnanti e genitori ne hanno immediatamente riconosciuto l'impatto devastante sui bambini.

La profondità di questa corruzione è sconcertante e sistemica. La campagna dell'industria del tabacco per mettere in dubbio il legame tra fumo e cancro ai polmoni dimostra come i conflitti d'interesse possano distorcere la comprensione pubblica. Per decenni le aziende del tabacco hanno finanziato ricerche parziali e pagato scienziati per contestare le crescenti prove dei danni del fumo, ritardando misure essenziali per la salute pubblica. Nel regno farmaceutico la gestione del Vioxx da parte di Merck illustra tattiche simili: l'azienda ha soppresso i dati che collegavano il Vioxx agli attacchi di cuore e ha scritto articoli fantasma per minimizzare i problemi di sicurezza, consentendo a un farmaco pericoloso di rimanere sul mercato per anni. L'industria dello zucchero ha seguito l'esempio, finanziando i ricercatori di Harvard negli anni '60 per spostare la colpa delle malattie cardiache dallo zucchero ai grassi saturi, plasmando la linea di politica nutrizionale per decenni.

Uno studio JAMA del 2024 ha rivelato che i revisori paritari delle principali riviste mediche hanno ricevuto milioni in pagamenti dalle aziende farmaceutiche, spesso esaminando prodotti realizzati dalle stesse aziende che li pagavano. Analogamente una revisione sistematica del 2013 su PLOS Medicine ha scoperto che gli studi finanziati dall'industria dello zucchero avevano cinque volte più probabilità di non trovare alcun collegamento tra bevande zuccherate e obesità rispetto a quelli senza legami con l'industria. Studi recenti mostrano che la ricerca finanziata dall'industria alimentare ha da quattro a otto volte più probabilità di produrre risultati favorevoli agli sponsor, distorcendo le linee guida dietetiche.

Questo schema si estende ben oltre la medicina. Un'indagine del 2023 ha rivelato che importanti think tank che sostenevano una politica estera aggressiva hanno ricevuto milioni da appaltatori della difesa, mentre i loro “esperti indipendenti” sono apparsi sui media senza rivelare questi legami. Le principali pubblicazioni finanziarie pubblicano regolarmente analisi azionarie di esperti che ricoprono posizioni non dichiarate nelle aziende di cui parlano. Persino istituzioni accademiche sono state sorprese a consentire a governi e aziende straniere di influenzare le priorità della ricerca e sopprimerne i risultati sfavorevoli, il tutto mantenendo la facciata dell'indipendenza accademica.

La cosa più inquietante è come questa corruzione abbia catturato proprio le istituzioni che dovrebbero proteggere gli interessi pubblici: sia la FDA che il CDC ricevono la maggior parte dei loro finanziamenti dalle stesse aziende farmaceutiche che regolano, mentre i media riportano notizie di guerre finanziate dalle stesse aziende che producono armi. Un amico dirigente farmaceutico ha di recente dichiarato senza mezzi termini: “Perché non dovremmo controllare l'istruzione di coloro che prescriveranno i nostri prodotti?” Ciò che è stato più rivelatore non è stata solo la dichiarazione in sé, ma il suo modo di esprimersi, come se controllare l'istruzione medica fosse la cosa più naturale del mondo. La corruzione è così normalizzata che non si riesce più nemmeno a vederla.

Questa corruzione sistemica non è nascosta in oscuri retroscena: si manifesta quotidianamente in bella vista sui nostri schermi televisivi, anche se la maggior parte è diventata insensibile tanto da non notarla più.

Le pubblicità farmaceutiche si fondono perfettamente con il contenuto delle notizie stesse: lo stesso tono autorevole, la stessa enfasi su competenza e fiducia, spesso persino gli stessi conduttori. Non è una coincidenza. L'industria farmaceutica spende quasi il doppio in pubblicità rispetto a ricerca/sviluppo, e la maggior parte finisce in queste reti di notizie. Il risultato è un sistema in cui la distinzione tra giornalismo e marketing ha cessato di esistere, eppure lo spettatore istruito, addestrato a fidarsi di queste fonti “autorevoli”, è raro che metta in discussione questa disposizione.

Questi esempi sfiorano appena la superficie: sono scorci di un sistema profondamente radicato che plasma la salute pubblica, la politica e l'integrità scientifica. Nel frattempo il commento di Zach inquadra ogni dissenso come “stupido”, suggerendo che coloro che mettono in discussione tali sistemi sono meno intelligenti. Ma questi esempi dimostrano che mettere in discussione non è un segno di ignoranza: è una necessità per riconoscere i conflitti che la classe degli esperti spesso trascura.

La cosa significativa è che molti di questi stessi professionisti, comprese persone che considero amiche, non riescono nemmeno a prendere in considerazione la possibilità che il sistema possa essere corrotto. Riconoscerlo li costringerebbe ad affrontare domande scomode sul loro stesso successo all'interno di tal sistema. Se le istituzioni che hanno concesso il loro status sono compromesse, cosa dice questo sui loro stessi successi? Non si tratta solo di proteggere lo status sociale, ma di preservare la propria visione del mondo e il senso di sé. Più qualcuno ha investito in credenziali istituzionali, più sarebbe devastante, a livello psicologico, riconoscere la corruzione del sistema. Questa barriera psicologica, la necessità di credere nel sistema che li ha elevati, impedisce a molte persone intelligenti di vedere ciò che è proprio di fronte a loro.


La visione da entrambe le parti: un caso di studio personale

Questi modelli sistemici di corruzione non sono solo teorici: si sono verificati in tempo reale durante la crisi COVID, rivelando il costo umano del fallimento della classe degli esperti. La mia posizione all'intersezione di diversi mondi sociali mi ha dato un punto di vista unico sul divario di competenze nella nostra società. Come molti newyorkesi, mi muovo tra vari mondi: la mia cerchia sociale spazia dai pompieri e dagli operai edili ai medici e ai dirigenti. Questa prospettiva interclassista ha rivelato un modello che è in contrasto con la saggezza convenzionale su competenza e intelligenza.

Ciò che ho osservato è stato sorprendente: coloro che hanno le credenziali più prestigiose sono spesso i meno capaci di mettere in discussione le narrazioni istituzionali. Durante la crisi COVID, questa divisione è diventata dolorosamente chiara, sia a livello professionale che personale. Mentre i miei amici altamente istruiti accettavano senza riserve modelli che prevedevano milioni di morti e sostenevano misure sempre più draconiane, i miei amici operai vedevano l'impatto immediato nel mondo reale: piccole attività in declino, salute mentale in deterioramento e comunità che si sfilacciavano. Il loro scetticismo non era radicato nella politica, ma nella realtà pratica: erano loro a installare barriere di plexiglass nei negozi che non facevano nulla, a guardare i loro figli soffrire per la didattica a distanza e a vedere i loro vicini anziani morire da soli a causa delle restrizioni alle visite.

Il costo di mettere in discussione queste misure era elevato e personale. Nella mia comunità di New York City, il semplice fatto di parlare contro gli obblighi di vaccinazione mi ha trasformato da un vicino fidato in un paria da un giorno all'altro. La risposta è stata rivelatrice: anziché confrontarsi con i dati che ho presentato sui tassi di trasmissione o discutere l'etica della coercizione medica, i miei amici “istruiti” si sono ritirati in una posizione di superiorità morale. Persone che conoscevano il mio carattere da anni, che mi avevano visto come una persona premurosa e affidabile, mi hanno voltato le spalle per aver messo in discussione quella che equivaleva a una segregazione biomedica arbitraria. Il loro comportamento ha rivelato una verità cruciale: la virtù fasulla era diventata più importante della virtù effettiva. Questi stessi individui, che mostravano cartelli Black Lives Matter e bandiere arcobaleno, che si vantavano della loro “inclusione”, non hanno mostrato alcuna esitazione nell'escludere i loro vicini in base allo stato di salute. E non perché questi vicini rappresentassero un rischio per la salute: i vaccini non impedivano la trasmissione, un fatto che era già chiaro dai dati della sperimentazione della stessa Pfizer (e che poteva essere visto da chiunque avesse occhi per guardare). Sostenevano l'esclusione delle persone sane dalla società basandosi puramente sull'obbedienza ai diktat dall'alto. L'ironia era lampante: la loro celebrata inclusività si estendeva solo a cause alla moda e gruppi di vittime approvati. Quando si trovavano di fronte a una minoranza fuori moda, quella che metteva in discussione gli obblighi sanitari, i loro principi di inclusione svanivano all'istante.

Questa esperienza ha rivelato qualcosa di cruciale sulla nostra classe degli esperti: il loro impegno a “seguire la scienza” spesso maschera un impegno più profondo verso il conformismo sociale. Quando ho provato a coinvolgerli con ricerche sottoposte a revisione paritaria, o anche con domande di base sui protocolli di test sui vaccini, ho scoperto che non erano interessati al dialogo scientifico. La loro certezza non derivava da un'analisi attenta, ma da una fede quasi religiosa nell'autorità istituzionale.

Questo contrasto è diventato ancora più evidente nelle mie interazioni tra classi sociali diverse. Coloro che lavorano con le mani, che affrontano ogni giorno sfide del mondo reale anziché astrazioni teoriche, hanno dimostrato una sorta di saggezza pratica che nessuna credenziale può conferire. La loro esperienza quotidiana con la realtà fisica e i sistemi complessi fornisce loro intuizioni che nessun modello accademico potrebbe catturare. Quando un meccanico ripara un motore, non c'è spazio per la manipolazione narrativa: o funziona o non funziona. Questo ciclo di feedback diretto crea un'immunità naturale al gaslighting istituzionale. Nessun articolo sottoposto a revisione paritaria o consenso di esperti può far funzionare un motore rotto. Lo stesso controllo della realtà esiste in tutto il lavoro pratico: un contadino non può discutere su un raccolto fallito, un costruttore non può teorizzare su una casa per farla stare in piedi, un idraulico non può citare studi per fermare una perdita. Questa responsabilità basata sulla realtà è in netto contrasto con il mondo dell'esperienza istituzionale, dove le previsioni fallite possono essere nascoste nel buco della memoria e le linee di politica infruttuose possono essere riformulate come successi parziali.

La divisione di classe trascende i confini politici tradizionali. Quando la campagna di Bernie Sanders è stata bloccata dalla macchina democratica e quando Donald Trump ha ottenuto un sostegno inaspettato, la classe degli esperti ha liquidato entrambi i movimenti come mero “populismo”. Hanno perso l'intuizione chiave: i lavoratori di tutto lo spettro politico hanno riconosciuto di come il sistema fosse truccato contro di loro. Queste non erano solo divisioni partigiane, ma linee di faglia tra coloro che traggono vantaggio dalle nostre strutture istituzionali e coloro che vedono attraverso la loro corruzione.


Il fallimento della classe degli esperti

Il fallimento della classe degli esperti è diventato sempre più evidente negli ultimi decenni. Le false affermazioni sulle armi di distruzione di massa in Iraq hanno rappresentato un campanello d'allarme precoce per molte persone. Poi è arrivata la crisi finanziaria del 2008 che gli esperti economici non hanno visto arrivare o hanno deliberatamente ignorato chiari segnali di avvertimento di un disastro imminente. Ogni fallimento è diventato più grande del precedente, con sempre meno responsabilità e sempre più fiducia negli esperti.

Negli anni successivi esperti e stampa generalista hanno trascorso anni a promuovere teorie del complotto sul “Russiagate”, con giornalisti che hanno vinto premi Pulitzer per aver riportato notizie completamente inventate. Hanno liquidato il portatile di Hunter Biden come “disinformazione russa” appena prima di un'elezione, con decine di funzionari dell'intelligence che hanno prestato le loro credenziali per sopprimere una storia vera. Durante il COVID-19 hanno deriso l'ivermectina definendola semplicemente un “vermifugo per cavalli”, nonostante le sue applicazioni per gli esseri umani. Hanno insistito sul fatto che le mascherine prevenivano la trasmissione nonostante la mancanza di prove concrete. Il New York Times non ha semplicemente liquidato la teoria della fuga del virus dal laboratorio cinese come errata: il suo principale reporter sul COVID, Apoorva Mandavilli, l'ha etichettata come “razzista”, esprimendo disprezzo per chiunque osasse mettere in discussione la narrazione ufficiale. Quando la teoria ha poi acquisito credibilità, non ci sono state scuse, nessuna auto-riflessione e nessun riconoscimento del loro ruolo nella soppressione di un'indagine legittima.

Questo rifiuto del dissenso ha una storia più oscura di quanto la maggior parte delle persone creda. Il termine stesso “teorico del complotto” è stato reso popolare dalla CIA dopo l'assassinio di JFK per screditare chiunque mettesse in dubbio la relazione Warren, un documento che, sessant'anni dopo, persino il pensiero critico più elementare rivela essere profondamente imperfetto. Oggi il termine ha lo stesso scopo: un cliché che mette fine alla critica per minare le valide preoccupazioni su potere e corruzione. Etichettare qualcosa come teoria del complotto riduce un'analisi sistemica complessa a una fantasia paranoica, rendendo più facile respingere verità scomode. Le persone al potere non cospirano? I cittadini non hanno il diritto di teorizzare su cosa potrebbe accadere per proteggere i loro diritti naturali?


Il punto cieco dell'esperienza: comprendere la corruzione

Un aspetto comunemente trascurato della competenza è la capacità di riconoscere e comprendere la corruzione. Molti individui possono essere esperti nei rispettivi campi, ma questa competenza spesso si accompagna a un punto cieco significativo: una fiducia ingenua nelle istituzioni e un'incapacità di comprendere la natura pervasiva della corruzione istituzionale.

Il problema sta nella specializzazione stessa. Abbiamo creato una classe di esperti che vedono a un miglio di distanza nel loro campo, ma non riescono a cogliere il quadro generale o come i fatti si incastrano tra loro. Sono come specialisti che esaminano singoli alberi ma non vedono la malattia che colpisce l'intera foresta. Certo, siete medici che hanno frequentato la facoltà di medicina, ma avete pensato a chi ha pagato per quell'istruzione? Chi ha plasmato il vostro curriculum? Chi finanzia le riviste che leggete?


Verso il vero pensiero critico

Per liberarci da questo sistema, dobbiamo spostarci verso una società “mostrare le prove e non raccontarle”. Questo approccio sta già emergendo in spazi alternativi: giornalisti, scienziati e accademici di organizzazioni come il Brownstone Institute, il Children's Health Defense e il DailyClout lo esemplificano pubblicando dati grezzi, mostrando le loro fonti e la loro metodologia, e interagendo apertamente con i critici. Quando queste organizzazioni fanno previsioni o sfidano le narrazioni tradizionali, mettono a rischio la loro credibilità e costruiscono fiducia attraverso l'accuratezza piuttosto che l'autorità. A differenza delle istituzioni tradizionali che si aspettano che la loro autorità venga accettata senza dubbi, queste fonti invitano i lettori a esaminare direttamente le loro prove. Pubblicano i loro metodi di ricerca, condividono i loro set di dati e si impegnano in un dibattito aperto, esattamente come dovrebbe essere il discorso scientifico.

Questa trasparenza consente qualcosa di raro nel nostro panorama attuale: la capacità di tracciare le previsioni rispetto ai risultati. Mentre gli esperti tradizionali possono sbagliarsi sistematicamente senza conseguenze, le voci alternative devono guadagnarsi la fiducia attraverso l'accuratezza. Ciò crea un processo di selezione naturale per informazioni affidabili, basato sui risultati piuttosto che sulle credenziali.

La vera competenza non consiste nel non sbagliare mai, ma nell'avere l'integrità di ammettere gli errori e il coraggio di cambiare rotta quando le prove lo richiedono. Ciò significa:

• Rifiutare le credenziali fini a sé stesse

• Dare valore alla conoscenza dimostrata rispetto all'affiliazione istituzionale

• Incoraggiare il dibattito aperto e il libero scambio di idee

• Riconoscere che la competenza in un settore non garantisce un'autorità universale

• Comprendere che la vera saggezza spesso proviene da fonti diverse, comprese quelle prive di credenziali formali


Ridefinire l'intelligenza e la competenza

Mentre andiamo avanti, dobbiamo ridefinire cosa consideriamo intelligenza e competenza. La vera capacità intellettuale non si misura con lauree o titoli, ma con la capacità di pensare in modo critico, adattarsi a nuove informazioni e sfidare le norme stabilite quando necessario. La vera competenza non consiste nell'essere infallibili; consiste nell'avere l'integrità di ammettere gli errori e il coraggio di cambiare rotta quando le prove lo richiedono.

Per creare una società più resiliente, dobbiamo dare valore sia alla conoscenza formale che alla saggezza pratica. Le credenziali fini a sé stesse devono essere rifiutate e la conoscenza dimostrata dovrebbe essere prioritaria rispetto all'affiliazione istituzionale. Ciò significa incoraggiare un dibattito aperto e un libero scambio di idee, soprattutto con voci diverse che sfidano le prospettive dominanti. Richiede di riconoscere che la competenza in un'area non garantisce un'autorità universale e di comprendere che la vera saggezza spesso emerge da fonti inaspettate e diverse, comprese quelle senza credenziali formali.

Il percorso da seguire richiede di mettere in discussione le nostre istituzioni mentre ne costruiamo di migliori e di creare spazio per un dialogo autentico attraverso le divisioni artificiali di classe e credenziali. Solo allora potremo sperare di affrontare le sfide complesse che ci attendono, con la saggezza collettiva e la creatività di cui abbiamo bisogno.

Il paradigma del pensiero esternalizzato sta crollando. Mentre il fallimento istituzionale prosegue senza sosta, non possiamo più permetterci di delegare il nostro pensiero critico a esperti autoproclamati o fidarci incondizionatamente di fonti approvate. Dobbiamo sviluppare le competenze per valutare le prove e mettere in discussione le narrazioni in aree che possiamo studiare direttamente. Ma non possiamo essere esperti in tutto: la chiave è imparare a identificare voci affidabili in base al loro curriculum di previsioni accurate e onesto riconoscimento degli errori. Questo discernimento deriva dall'uscire dall'Industria dell'informazione, dove i risultati del mondo reale contano più dell'approvazione istituzionale.

La nostra sfida non è semplicemente quella di rifiutare competenze imperfette, ma di coltivare una saggezza autentica, una saggezza che emerge dall'esperienza del mondo reale, da uno studio rigoroso e da un'apertura a prospettive diverse. Il futuro dipende da coloro che riescono a navigare oltre i limiti del pensiero istituzionale, unendo discernimento, umiltà e coraggio. Solo attraverso tale equilibrio possiamo liberarci dai confini dell'Industria dell'informazione e affrontare le complesse sfide del nostro mondo con chiarezza e resilienza.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.


giovedì 27 febbraio 2025

Bitcoin: la protezione definitiva contro la bolla della liquidità da $97.000 miliardi

In nessun universo in cui vige la sanità mentale il decennale italiano rende 100 bps in meno rispetto alla controparte statunitense. Questo non è più un mercato, ma un coacervo di manipolazioni (fondi assicurativi, banche commerciali, BCE aiutata dalla YCC della Yellen). Un mercato artificiale tenuto in piedi solo per mettere in tetto ai rendimenti sul back-end della curva dei rendimenti. Viviamo da talmente tanto in questo assetto da pensare che sia normale, ma alla fine il socialismo finisce sempre i soldi degli altri. La BNS è tornata a 50 bps sui suoi tassi, mentre la Lagarde non sarà così "fortunata" dato che i prezzi dell'energia sono fuori controllo in Europa e la chimera del 2% d'inflazione non reggerà a lungo per continuare a sorreggere la narrativa di ulteriori tagli dei tassi. Il tetto artificiale ai rendimenti obbligazionari italiani non resisterà ancora a lungo, così come non resisterà per quelli di altri Paesi della zona Euro. Per quanto i problemi economici degli USA siano seri, quelli europei lo sono di più. Inoltre il sistema bancario americano e la FED stessa stanno capitalizzando Bitcoin come un modo per tenere liquido il mercato dei pronti contro termine americano. Tether è una fonte di domanda marginale per le obbligazioni statunitensi. Per quanto lo si possa criticare, il sistema finanziario americano è più profondo, dinamico e liquido di tutti gli altri. Per quanto la BCE possa bluffare, non riuscirà a sacrificare ancora per molto l'euro a favore dei rendimenti obbligazionari. Questo significa che i rendimenti obbligazionari sul back-end della curva dei rendimenti torneranno a salire. Ma mentre lo faranno anche quelli americani, le controparti europee saliranno più velocemente.

____________________________________________________________________________________


da Bitcoin Magazine

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/bitcoin-la-protezione-definitiva)

Nell'intricata danza della finanza globale, pochi parametri sono rivelatori come l'offerta di denaro M2, una misura della liquidità globale.

Questa cifra, che attualmente si attesta a circa $97.000 miliardi e continua a crescere, riassume l'enorme flusso di denaro contante, depositi e quasi denaro in circolazione nell'economia globale.

Per gli investitori in Bitcoin questa metrica è molto più di una curiosità accademica: è una bussola che orienta il sentiment del mercato e l'andamento dei prezzi.


COS'È LA LIQUIDITÀ GLOBALE?

La liquidità globale, spesso equiparata alla massa monetaria M2, rappresenta il volume totale di valuta e quasi-valuta disponibile nel sistema finanziario.

Ciò include denaro contante, conti correnti e depositi di risparmio, conti del mercato monetario, fondi comuni di investimento e depositi a breve termine inferiori a $100.000. È importante notare che M2 riflette non solo la ricchezza statica, ma anche il potenziale dinamico per la spesa e gli investimenti.


QUELLE BANCHE CENTRALI CHE ALIMENTANO LA LIQUIDITÀ

La liquidità globale non è monolitica. È il risultato aggregato delle politiche monetarie delle banche centrali più influenti del mondo:

Stati Uniti: Federal Reserve

Cina: Banca popolare cinese

UE: Banca centrale europea

Regno Unito: Banca d'Inghilterra

Giappone: Banca del Giappone

Canada: Banca del Canada

Russia: Banca di Russia

Australia: Banca di riserva dell'Australia

Quando queste banche centrali abbassano i tassi d'interesse, o implementano misure di quantitative easing (QE), come l'acquisto di titoli di stato, iniettano nuova liquidità nel sistema finanziario globale. Con l'espansione della liquidità, si apre la porta a una maggiore spesa e a maggiori investimenti in asset rischiosi, tra cui Bitcoin.

 

PERCHÈ GLI INVESTITORI DOVREBBERO INTERESSARSENE

Per gli investitori, monitorare la liquidità globale è simile alle previsioni del tempo per i mercati finanziari. Storicamente i mercati rialzisti di Bitcoin hanno coinciso con periodi di rapida espansione della liquidità globale. La logica è semplice: quando le banche centrali inondano il sistema di denaro, gli investitori sono incoraggiati a cercare opportunità a più alto rendimento in asset rifugio come Bitcoin.

L'attrattiva di Bitcoin come asset non correlato e deflazionistico lo colloca in una posizione unica in questo contesto. A differenza delle valute fiat, che le banche centrali possono creare in quantità illimitate, Bitcoin opera su un programma monetario limitato a 21 milioni di unità. Questa scarsità è in netto contrasto con l'espansione apparentemente illimitata di M2, rafforzando la narrazione di Bitcoin come “oro digitale”.


IL TRAGUARDO DEI $97.000 MILIARDI: UN INVITO ALL'AZIONE

L'offerta globale di M2 pari a $97.000 miliardi evidenzia l'incessante espansione della liquidità fiat.

Sebbene questa possa sembrare una cifra astratta, le sue implicazioni sono molto tangibili per gli investitori in Bitcoin. Ecco perché:

  1. Momentum dei prezzi guidato dalla liquidità: l'aumento della liquidità si è storicamente allineato alle fasi di crescita più esplosive di Bitcoin. Gli investitori che monitorano queste tendenze ottengono un vantaggio cruciale nel tempismo dei loro ingressi sul mercato.

  2. Copertura contro l'inflazione: man mano che le banche centrali espandono la liquidità per gestire le crisi economiche, il potere d'acquisto delle valute fiat si erode. L'offerta fissa di Bitcoin funge da copertura contro questa svalutazione.

  3. Adozione istituzionale: poiché gli investitori retail e istituzionali integrano sempre più Bitcoin nei portafogli, il monitoraggio della liquidità globale diventa essenziale per allineare le strategie alle condizioni macroeconomiche.


UNO SGUARDO AL FUTURO: L'OPPORTUNITÀ DI BITCOIN

La relazione di Bitcoin con la liquidità globale non è solo una tendenza; è una testimonianza della sua maturazione come asset finanziario. Per coloro che vedono Bitcoin come un'alternativa ai sistemi finanziari tradizionali, l'attuale liquidità a $97.000 miliardi presenta una spinta all'azione.

Mentre le banche centrali continuano a confrontarsi con le incertezze economiche, Bitcoin rimane un faro per gli investitori che cercano trasparenza, prevedibilità e sicurezza in un mondo imprevedibile. La crescente ondata di liquidità globale non è solo una narrazione; è un invito a rivalutare il ruolo di Bitcoin nella vostra strategia di investimento.

Ora è il momento di sfruttare il potere dei dati e della lungimiranza: monitorate la liquidità, osservate Bitcoin, investite strategicamente.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.


mercoledì 26 febbraio 2025

Stabilire la tregua in Ucraina, poi lasciare al proprio destino l'Europa

La stampa sta scoprendo solo adesso che USA ed UE sono in guerra, voi, cari lettori, lo sapete già da un bel pezzo grazie alla lettura del mio libro, “Il Grande Default”. Gli strepitii che sentite riguardo le spese militari sono tutti causati dalla consapevolezza che non esiste più un mercato dell'eurodollaro a cui Bruxelles e Londra, in particolar modo, potevano attingere e fare promesse esorbitanti in patria. Ora tutte quelle promesse del passato sono costose da mantenere, pensate ad esempio ai welfare state ipertrofici. L'UE, e più nello specifico la cricca di Davos, è continuamente messa di fronte alla propria impossibilità di uscire fuori indenne dal caos economico che essa stessa ha causato. In Ucraina si pensava di poter usare le regioni ricche di minerali per collateralizzare i titoli finanziari ucraini, che già adesso circolano nei mercati pronti contro termine europei, e coprire la successiva narrativa della ricostruzione. Sono andate ormai e gli attori finanziari europei devono fare i conti anche con questa bomba a orologeria finanziaria (in particolare gli istituti finanziari francesi, ecco perché Macron fa la voce più grossa oggi affinché Zelensky sia incluso nei "trattati di pace"). Questo a sua volta significa nuove tasse, più indebitamento pubblico con conseguente spiazzamento degli investimenti privati e stampa di denaro da parte della BCE per mettere pezze in ogni dove svalutando ulteriormente il potere d'acquisto dell'euro. Se gli USA, e in particolar modo Powell, non avessero trincerato il mercato dei capitali interno e sganciatolo dalla scalata ostile tramite l'eurodollaro, a quest'ora avremmo assistito alla vittoria di una prospettiva futura decisamente tetra e dispotica. Niente più della bancarotta della cricca di Davos dovrebbe innescare ottimismo, e con esso incoraggiamento per il processo di pulizia (economico e sociologico) statunitense.

____________________________________________________________________________________


di David Stockman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/stabilire-la-tregua-in-ucraina-poi)

Esattamente 177 giorni dopo aver prestato giuramento, il più grande presidente pacifista degli Stati Uniti, Dwight D. Eisenhower, annunciò che l'opera di demolizione nella penisola coreana sarebbe stata interrotta e che da quel momento in poi sarebbe stato stipulato un armistizio, armistizio che è in vigore ancora oggi.

Sfortunatamente la tregua di Ike non si è mai tradotta in un trattato di pace permanente, o nella normalizzazione delle relazioni tra le due Coree, o tra gli Stati Uniti e la Cina comunista.

Inoltre non c'è alcun mistero sul perché: Washington ha mentito sul fatto che stesse combattendo una guerra nobile contro la diffusione del comunismo mondiale, quindi ciò che è diventato l'Impero domiciliato sulle rive del Potomac non era sul punto di riconoscere un governo comunista al nord o di abbandonare il suo governo fantoccio al sud.

E intendiamo per davvero un governo fantoccio. Poco dopo che la penisola fu arbitrariamente divisa in due da Roosevelt, Churchill e Stalin alla conferenza di Yalta nel gennaio 1945, l'esercito statunitense insediò Syngman Rhee come presidente nell'area a sud del 38° parallelo. Tuttavia quel particolare patriota coreano stava vivendo una vita comoda come espatriato negli Stati Uniti a quel tempo, e lo aveva fatto sin dal 1904, quando era arrivato per la prima volta negli Stati Uniti per studiare a Princeton. Di conseguenza non c'era la minima possibilità che sarebbe stato scelto dal popolo coreano per gestire quella che sarebbe diventata una tirannia brutale sostenuta da Washington.

Nonostante le sue migliori intenzioni, Eisenhower fu circondato dai deplorevoli fratelli Dulles alla CIA e al Dipartimento di Stato e in particolar modo dalla cosiddetta China Lobby promossa da Henry Luce di Time-Life. Quest'ultima attirò un rumoroso gruppo di combattenti rossi a Washington, tra cui il vicepresidente Richard Nixon, il senatore William Knowland, il senatore Joe McCarthy e il deputato Walter Judd, tra molti altri, e non erano intenzionati a tollerare la normalizzazione delle relazioni con il vincitore della guerra civile cinese: Mao Tse-tung.

Così la linea di contatto militare fu congelata nel tempo e gli Stati Uniti iniziarono ad armare pesantemente la Corea del Sud e a sostenere la sua indipendenza dal regime comunista a nord e dalla Cina comunista sul fianco.

Eppure, a posteriori, a cosa è servita la morte di quasi 45.000 militari americani e di altri 35.000 feriti, alcuni dei quali ancora oggi ricevono assistenza medica e sussidi di invalidità? In che modo è stata utile alla sicurezza interna? Per non parlare del milione di combattenti coreani uccisi da entrambe le parti in guerra e dei 2-3 milioni di civili le cui vite sono state anch'esse stroncate.

Inutile dire che né la Cina né la Corea rappresentavano una minaccia militare per gli Stati Uniti all'epoca. E non lo era nemmeno la Russia stalinista, che, in ogni caso, aveva messo in guardia la Corea del Nord dal superare il 38° parallelo.

Tuttavia Washington intraprese un percorso dopo il 1953, fondando una nazione artificiale permanente a sud della zona demilitarizzata, e poi l'ha armata fino ai denti e l'ha portata sotto l'ombrello militare degli Stati Uniti. Il valore di quelle spese negli ultimi sette decenni ammonta a $500 miliardi attuali, il che significa che il complesso militare-industriale degli Stati Uniti per 75 anni ha venduto armi a un governo che altrimenti non sarebbe esistito o ha armato più di 100.000 soldati statunitensi di stanza a volte in Corea e Giappone che altrimenti non sarebbero mai stati radunati.

Poiché è evidente che non c'è stato alcun guadagno per la sicurezza militare nordamericana dalla creazione, dal mantenimento e dalla protezione della Corea del Sud da parte di Washington, la conclusione è inevitabile: Washington ha speso più di cinquecento miliardi di dollari, esattamente per cosa?

Per quanto ne sappiamo tutti quei soldi dei contribuenti sono stati spesi per garantire agli attuali 52 milioni di cittadini della Corea del Sud uno standard di vita leggermente migliore, pari a $33.000 pro capite, rispetto ai cittadini di Shanghai, la cui cifra è di $27.000; e anche un po' più di libertà rispetto ai loro omologhi altrettanto prosperi dall'altra parte del Mar Giallo.

In fin dei conti è questo che ha rappresentato tutto questo sbuffare e ansimare durante la Guerra Fredda: sangue e occasionali rischi di confronto nucleare negli ultimi 75 anni; una probabilità leggermente più alta di essere arrestati per dissenso politico a Shanghai che a Seul.

Né si tratta di un'esagerazione controfattuale. Se Washington fosse stata abbastanza astuta da consentire ai coreani e ai cinesi di risolvere le proprie divergenze nel giugno del 1950, senza dubbio la Corea sarebbe finita per essere un satellite della Cina, il che significa che la penisola avrebbe avuto un inizio tardivo verso la modernizzazione, ma sarebbe uscita a razzo dai blocchi di partenza come parte della macchina per l'esportazione globale di Deng dopo il 1990.

E, no, non stiamo trascurando gli orrori della famiglia criminale Kim Sung II/Kim Jong II/Kim Jong Un che dalla fine degli anni '40 ha tiranneggiato la gente del nord e di recente ha brandito armi nucleari verso l'occidente. Infatti questo è proprio il nostro punto: non crediamo nemmeno per un secondo che l'austera tirannia dei Kim sarebbe durata 70 anni se Ike fosse stato in grado di ottenere un trattato di pace adeguato, lasciando così la Corea ai coreani e ai cinesi, che sicuramente sarebbero giunti a un qualche modus vivendi pratico.

Dopotutto c'è una lunga storia di sovranità cinese sulla penisola che risale allo status della Corea come stato tributario della Cina durante la dinastia Ming (1368-1644) e la dinastia Qing (1644-1912). Pertanto, anche se in assenza delle macchinazioni politiche, monetarie e militari di Washington, la Corea fosse finita come la ventitreesima provincia o la sesta regione autonoma della Repubblica Popolare Cinese, la sicurezza nazionale e la libertà dei cittadini statunitensi da Miami a Seattle non sarebbero affatto cambiate.

Detto in altri termini, non c'è nulla nella Costituzione degli Stati Uniti che autorizzi Washington a diffondere, sottoscrivere e garantire militarmente la democrazia in tutto il mondo. E come questione di sicurezza militare, l'unica cosa richiesta anche ora, nel 2025, è una deterrenza nucleare che costa circa $75 miliardi all'anno secondo i calcoli del CBO, e una difesa convenzionale delle coste e dello spazio aereo nordamericani, che probabilmente costerebbe qualche centinaio di miliardi in più.

Ma ciò di cui non avrebbe bisogno è una Marina degli Stati Uniti che copre tutto il globo e le attuali forze di spedizione americane, sia aeree che terrestri, per rafforzare alleanze complicate e impegni inutili come quelli con la Corea del Sud.

Tutto questo ci porta alle notizie del giorno, ovvero che l'amministrazione Trump è sulla buona strada per un accordo di pace in Ucraina. Se realizzato nei prossimi 100 giorni, come sperato, potrebbe persino superare il risultato di Ike per quanto riguarda la fine della guerra di Corea ereditata dal presidente Harry Truman.

I piani non confermati riportati dalla stampa indipendente in Ucraina, vale a dire l'USAID, indicano che potrebbe esserci un cessate il fuoco entro il 20 aprile che...

• congeli la costante avanzata della Russia lungo le attuali linee di contatto

• impedisca all'Ucraina di aderire alla NATO

• chieda a Kiev di accettare la sovranità russa sui territori annessi nel Donbass, in Crimea e lungo la costa del Mar Nero

• ordini alle truppe ucraine di lasciare la regione russa di Kursk, dove hanno lanciato una controffensiva lo scorso agosto

• installi un contingente di soldati europei, non americani, per pattugliare una zona demilitarizzata

• chieda all'UE di assistere l'Ucraina nei suoi sforzi di ricostruzione che potrebbero costare fino a $486 miliardi nel prossimo decennio, secondo un think tank tedesco

Riteniamo che Donald e Putin potrebbero raggiungere un accordo in tal senso nel giro di pochi giorni, in qualche oasi dell'Arabia Saudita, mentre Zelensky se ne starà tranquillo in una tenda lì accanto.

Ma se il risultato a lungo termine non è quello di un ennesimo e costoso “alleato” sostenuto in una nazione fittizia e armato fino ai denti dal complesso militare-industriale degli Stati Uniti, Donald deve prestare molta attenzione al fallimento del generale Eisenhower dopo aver stipulato la tregua in Corea. Vale a dire, l'equivalente odierno della lobby cinese è il nido di vipere dei guerrafondai neocon domiciliati tra i think tank, le ONG, le agenzie dello Stato profondo, i media finanziati dallo stato e le ancelle del complesso militare-industriale nel Congresso degli Stati Uniti.

Eserciteranno una pressione insopportabile sulla Casa Bianca per trasformare l'Ucraina nell'ennesimo “alleato” sovvenzionato. Ma Trump non deve dar loro tregua, e deve farlo prendendo spunto dal saggio senatore George Aiken del Vermont, che consigliò a LBJ nel 1966, in merito alla guerra del Vietnam, di “dichiarare vittoria e tornare a casa”.

Vale a dire che, dopo la firma del trattato di pace, l'Ucraina dovrebbe essere lasciata ai suoi stessi mezzi, incluso trovare modi per riconciliarsi col Cremlino. Quindi non dovrebbe esserci nessun governo fantoccio a Kiev, nessun alleato informale, nessun proxy militarizzato, nessuna discarica di armi per il complesso militare-industriale statunitense alle porte della Russia.

Infatti date a Zelensky la sua sinecura e la sua lussuosa fuga in Costa Rica e sarà molto probabile che i suoi successori politici a Kiev troveranno il modo e i mezzi per andare d'accordo con il vicino e ricostruire il loro Paese basandosi sulle proprie risorse e sulla filantropia che si può ottenere dal resto del mondo.

In breve, Washington deve tagliare i ponti e tornare a casa. Inoltre, nonostante i suoi difetti, Donald Trump ha abbastanza credibilità presso il popolo americano per dichiarare che l'abissale fallimento dell'Unipartito nella sua inutile avventura in Ucraina è una “vittoria”, attestata dal fatto che l'Ucraina potrebbe probabilmente conservare il 75% del suo ex-territorio.

Ancora più importante, una “vittoria” in stile Aiken in Ucraina sarebbe anche un'eccellente opportunità per gli Stati Uniti di uscire dalla NATO e di porre fine a tutte le basi e agli impegni remoti di Washington in tutta Europa. Vale a dire, riportare a casa i 65.000 soldati americani ancora in Europa perché non avrebbero mai dovuto esserci in primo luogo, a maggior ragione dopo che il vecchio impero sovietico è scomparso nella pattumiera della storia 34 anni fa.

E per quanto riguarda lo status dell'Europa dopo un trattato di pace con l'Ucraina e il ritiro degli Stati Uniti dalla NATO, dubitiamo che Putin abbia alcun interesse a occupare la Polonia o a sfondare le porte di Brandeburgo a Berlino. I Paesi europei hanno un PIL di oltre $20.000 miliardi, o 10 volte i $2.000 miliardi di quello russo. Se non riescono a provvedere alla propria difesa su questo, anche se ciò significa ridurre un po' i loro Stati sociali, allora qualsiasi cosa possa accadere è colpa loro.

Ike fermò l'orribile massacro in Corea, ma sfortunatamente non pose fine alla guerra. Se Trump vuole davvero passare alla storia come il Presidente della Pace, ora ha un'opportunità per porre fine davvero all'ultima guerra inutile dell'America e diventare il Presidente della Pace che persino il grande generale Eisenhower non è mai stato.

Truppe USA in Europa:

  1. Germania: 35.068
  2. Italia: 12.405
  3. Regno Unito: 9.949
  4. Spagna: 3.212
  5. Turchia: 1.778
  6. Belgio: 1.105
  7. Paesi Bassi: 425
  8. Grecia: 368
  9. Polonia: 216
  10. Romania: 133


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.


martedì 25 febbraio 2025

La cricca di Davos cerca di limitare i danni

Ricordo a tutti i lettori che su Amazon potete acquistare il mio nuovo libro, “Il Grande Default”: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9 

Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

____________________________________________________________________________________


di Paul Mueller

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/la-cricca-di-davos-cerca-di-limitare)

Sebbene possiate esservi persi il promemoria, anche quest'anno i leader di tutto il mondo si sono riuniti a Davos, in Svizzera, per la conferenza annuale del World Economic Forum (WEF). Questa conferenza è stata un punto focale per promuovere la politica ESG globalista in tutto il mondo. I temi delle conferenze hanno incluso “Salvaguardare il pianeta” e “Ricostruire la fiducia”. Indipendentemente dal problema, i partecipanti si sono assunti la responsabilità di salvare il mondo da sé stesso.

Ma mentre il WEF e la comunità di Davos affermano di “unire governo, aziende e società civile per migliorare lo stato del mondo”, tendono a concentrarsi sull’esercizio del potere politico per implementare le loro strategie, come il “Grande Reset”. Ma la cricca di Davos è chiaramente sulla difensiva quest’anno nel tentativo di limitare i danni.

La loro agenda sul clima è crollata. Le alleanze globali per le emissioni zero (Glasgow Financial Alliance for Net Zero) inaugurate nel 2021 si sono disintegrate. La Net-Zero Insurance Alliance globale è crollata l'anno scorso. La Net Zero Asset Managers Initiative ha sospeso le sue attività all'inizio di questo mese dopo che il suo membro più grande, Blackrock, si è ritirato. E la Net Zero Banking Alliance ha visto la maggior parte delle principali banche statunitensi ritirarsi nell'ultimo mese, con quattro banche canadesi che hanno seguito l'esempio la scorsa settimana.

Anche il movimento globale per il cambiamento climatico ha sofferto di un destino simile negli ultimi due anni. La COP28 a Dubai è stata controversa a causa dell'attenzione della regione ai combustibili fossili. La speranza era di convincere i maggiori produttori di combustibili fossili a partecipare alla transizione verso l'energia verde. La COP29 in Azerbaigian ha rivelato quanto questo stratagemma sia fallito. Il presidente della conferenza ha rimproverato le élite europee per aver dettato le priorità ad altri Paesi e ha definito i combustibili fossili un dono di Dio. La presenza di migliaia di partecipanti provenienti da aziende e interessi dei combustibili fossili ha ulteriormente smentito la speranza degli attivisti per il clima di ridurne l'uso e la creazione di emissioni di gas serra.

La conferenza di Davos stessa ha subito un duro colpo l'anno scorso nella sua volontà di “ricostruire la fiducia”. Uno scambio infuocato tra il presidente della Heritage Foundation e il presidente argentino Javier Milei ha messo in imbarazzo l'elitarismo e la pianificazione politica di Davos. Questi colloqui erano sintomatici di cambiamenti politici più ampi in tutto il mondo. I partiti di centro-destra e “conservatori” hanno fatto enormi progressi in Francia e Germania. In Canada Justin Trudeau di sinistra si è dimesso a causa di una serie di pressioni legate ai risultati delle elezioni statunitensi. E naturalmente gli Stati Uniti hanno appena inaugurato il presidente Trump per un secondo mandato, con una rinnovata attenzione allo sviluppo nazionale dei combustibili fossili e nessuna propensione per i sogni dell'élite globale di una “transizione verde”.

Le élite di Davos stanno perdendo il dibattito sulle emissioni zero, un'economia circolare e un Grande Reset. Hanno perso molto terreno tra i miliardari della tecnologia e gli imprenditori della Silicon Valley che hanno un appetito insaziabile per l'energia a basso costo per alimentare i loro data center. Allo stesso modo non sono riusciti a riconoscere e fare appello agli interessi geopolitici nazionali. L'Europa ha sopportato il peso della loro “pianificazione” negli ultimi vent'anni e ne ha sofferto.

La crescita delle maggiori economie in Europa ha rallentato fino a strisciare negli ultimi quindici anni. L'economia della Germania era solo del 22,9% più grande rispetto al 2009. L'economia della Francia era solo del 19,9% più grande rispetto al 2009. Anche il Regno Unito ha visto la sua economia crescere solo del 25,6% (Grafico 1). Confrontate tutto questo con gli Stati Uniti, la cui economia è cresciuta del 43,6%. E non si tratta di un'aberrazione. La crescita sin dal 1995 è stata del 42,1% per la Germania, del 55,6% per la Francia e del 71,9% per il Regno Unito. Gli Stati Uniti, dall'altro lato, sono cresciuti del 106,7% sin dal 1995 in termini reali.

Grafico 1

La guerra tra Russia e Ucraina ha scosso l'Europa e ne ha cambiato le priorità. La rivalità tra Stati Uniti e Cina continua a scaldarsi, con una rabbia verso le élite di Davos per quello che è un doppio standard a favore della Cina. La cricca di Davos ha spinto per costosi e dispendiosi sussidi e mandati per le energie rinnovabili in Europa e negli Stati Uniti, mentre la Cina costruisce centrali elettriche a carbone come se non ci fosse un domani. Altri Paesi produttori di petrolio hanno solo finto interesse per una transizione verde. Rimangono attivi come sempre nell'estrarre petrolio dal sottosuolo e venderlo ovunque possono.

Di conseguenza il World Economic Forum e la sua rete di Davos hanno iniziato ad allontanarsi dalle loro impopolari posizioni su clima ed energia per parlare di più di intelligenza artificiale, tecnologia e business. Ma la domanda che dovremmo porci è: “Quale nuovo schema folle cercherà di imporre al mondo l'élite di Davos?”

Qualunque cosa sia, incontrerà un'accoglienza molto meno amichevole rispetto agli anni scorsi.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.


lunedì 24 febbraio 2025

Il piano di Trump per colpire duramente gli aiuti esteri (USAID) dello Stato profondo

Lo scandalo USAID continua a mietere vittime illustri... ciononostante in Italia non esiste dibattito pubblico ampio su questo scempio di proporzioni epiche. Un qualcosa che coadiuvava diversi attori tra cui ONG, think thank, politica migratoria e media generalisti, è praticamente poco chiacchierata sui canali d'informazione ufficiali in Italia. Scopriamo anche che era dietro associazioni come il WEF, e dove avete sentito articolare in modo ufficioso la teoria secondo cui la cricca di Davos aveva infiltrati nell'amministrazione americana da cui traeva vantanggio per ottenere finanziamenti gratis? Sì, dal mio ultimo libro intitolato “Il Grande Default”. Questa agenzia governativa, inoltre, si occupava di comprare giornali e giornalisti in tutto il mondo, uno di questi Paesi era l'Ungheria ad esempio. Uno stato sovrano, democratico, in cui vige lo stato di diritto e appartenente al blocco occidentale era praticamente manipolato e sovvertito attraverso un'informazione pilotata ad hoc. Ma vi rendete conto che circa l'80% della stampa ungherese era sotto il dominio propagandistico della USAID? Ecco perché Orban faceva leggi anti-ONG, anti woke, ecc. La domanda successiva è: quanti erano in Italia e chi sono? Ancora non sono usciti fuori i nomi, ma dato l'andamento è inevitabile che ce ne fossero anche in Italia. E vi ricordate quando, 4 anni fa, passavano gli spot dei cosiddetti “professionisti dell'informazione”? Vi ricordate anche il coordinamento delle notizie date? Questa è tutta roba che mette i brividi, eppure in Italia non si scava nemmeno la superficie di questo scandalo. Non solo, ma i tentacoli di questa piovra hanno abbracciato anche le linee di politica riguardanti le immigrazioni, come s'è scoperto in Norvegia ad esempio. Cosa c'entra un'organizzazione di filantropia dello stato americano con il consiglio norvegese per i rifugiati? In Italia, però, non ci si interroga su tali quesiti intriganti e si sorvola a piè pari la portata gigantesca di quanto si sta scoperchiando: una rete d'influenza internazionale, mafiosa e criminale, che ha sostituito la politica nazionale in tutti i Paesi toccati e anche in Europa. Un piano diabolico, tra l'altro, che ha una cabina di regia ben definita ormai: la cricca di Davos.

____________________________________________________________________________________


di David Stockman

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-piano-di-trump-per-colpire-duramente)

Accidenti!

Elon Musk non solo ha fatto crollare l'intera burocrazia degli aiuti esteri del Deep State, ma i suoi investigatori hanno anche scoperto uno degli artifici più perniciosi della Palude: numerose agenzie federali, tra cui USAID, acquistano un sacco di costosi abbonamenti ai megafoni di Washington, come Politico, che per pura coincidenza inondano le persone con un flusso costante di “notizie” che avallano il copione dell'Unipartito.

E non stiamo parlando di spiccioli. Questi “abbonamenti” alla versione “pro” di varie newsletter di Politico, ad esempio, costano da $3.000 a $24.000 l'uno. Dal momento che due di queste ultime sono state acquistate dall'ufficio per le crisi climatiche della USAID, bisogna chiedersi cosa c'entrasse con l'eventuale nutrimento delle masse affamate del mondo o perché i burocrati della USAID avessero bisogno di pettegolezzi costosi sulla politica climatica quando le loro caselle di posta erano già inondate di propaganda sui cambiamenti climatici da decine di altre agenzie federali, think tank finanziati a livello federale, ONG e attivisti anti-combustibili fossili.

Il conto solo per le varie pubblicazioni di Politico si è accumulato a $8,2 milioni negli ultimi nove anni secondo USASpending.gov. Poiché la maggior parte di quel flusso di cassa era dovuto all'acquisto delle versioni “pro” ad alto prezzo, possiamo solo immaginare le intuizioni “profonde” che devono essere contenute nelle analisi a $5.000 all'anno.

Sì, ho qualcosa contro Politico principalmente perché quasi sempre si schiera dalla parte di più stato, più sciocchezze sulla crisi climatica, più interventismo statale e più guerra. Ma ricordo anche che è stato fondato da due ex-reporter del Washington Post, un fatto che ha innescato un viaggio nella memoria riguardo quella stessa macchina di spesa per gli aiuti esteri che Elon ha ora mandato in frantumi.

Vale a dire, poco dopo l'insediamento nel 1981 stavo ultimando il primo bilancio di Reagan e avevamo tagliato un bel 33% in aiuti esteri in una proposta inviata al Dipartimento di Stato il 27 gennaio. L'inchiostro non si era ancora asciugato sul dettagliato e ben giustificato piano dell'OMB per risparmiare quelli che all'epoca era un sacco di soldi, circa $2,6 miliardi all'anno, quando il nostro bilancio confidenziale trovò la sua strada sulle prime pagine del Washington Post il giorno dopo!

Il tono, ovviamente, era che noi burocrati dell'OMB dovevano farci gli affari nostri. Infatti, quando ci trovammo di fronte alla nostra resa dei conti sulla questione con il Segretario di Stato, ebbe un modo davvero buffo di intavolare la questione. Disse l'ex-generale Al Haig: “Signor Presidente, il suo direttore del bilancio, che conta i fagioli, vuole metterla in imbarazzo davanti al mondo intero, facendole fare un passo indietro e infilando la testa direttamente in un temperamatite!”.

Questo è ciò che disse, apparentemente convinto che spendere al servizio dell'Impero non fosse una questione da lasciare ai principianti, come chiariscono i paragrafi principali dell'articolo del Washington Post.

Fummo travolti da quello che era già allora il consolidato consenso dell'Unipartito secondo cui la sicurezza della patria americana dipendeva dal mantenimento di un impero all'estero. Pertanto enormi quantità di aiuti umanitari, assistenza allo sviluppo e denaro per i governi stranieri alleati nei Paesi in via di sviluppo erano parte integrante di tale requisito.

Di sicuro riuscimmo a strappare a Haig e ai suoi alleati nello Stato profondo una specie di pareggio: in dollari di potere d'acquisto odierni (2024) il budget operativo per gli aiuti esteri e il Dipartimento di Stato era a $33,7 miliardi nel bilancio in uscita di Jimmy Carter per l'anno fiscale 1980; nel 1988, e nonostante tutta la resistenza interna al gabinetto Reagan e quella delle burocrazie statali e degli aiuti alle commissioni di stanziamento a Capitol Hill, il budget per gli aiuti esteri/Dipartimento di Stato era stato ridotto, anche se di un modestissimo 7%, a $31,5 miliardi.

Le stesse voci di bilancio oggi ammontano a $63 miliardi, ovvero più del doppio del livello in uscita di Reagan. E questo vale anche se la motivazione principale di Haig per la grande spesa in aiuti esteri, ovvero la necessità di contrastare le macchinazioni sovietiche nei Paesi in via di sviluppo, è scomparsa nella pattumiera della storia 34 anni fa.

Durante il suo primo mandato Donald aveva ingenuamente riempito il suo apparato di sicurezza nazionale con amanti dell'Impero presso l'NSC, il Dipartimento di Stato, il Dipartimento della Difesa e le agenzie di intelligence. Non sorprende che quando lasciò con riluttanza lo Studio Ovale nel gennaio 2021, il budget per gli aiuti statali/esteri aveva raggiunto $61,4 miliardi.

Quindi, spendendo il doppio di quanto il Gipper aveva accettato a malincuore sotto la pressione costante dell'apparato di sicurezza nazionale dello Stato profondo, Donald Trump non si rivelò una minaccia effettiva per quest'ultimo. E questo nonostante gli attacchi incessanti e l'opposizione dello Stato profondo e i suoi molteplici tentativi di defenestrarlo e infine di metterlo sotto accusa.

A questo giro, però, Donald ha sguinzagliato Elon Musk e, qualunque sia la motivazione, ha trovato lo stesso marciume in cui ci imbattemmo noi 44 anni fa: l'intero complesso dei fondi statali e USAID, che fluiscono verso la Banca Mondiale, l'FMI, le varie agenzie delle Nazioni Unite e letteralmente a migliaia di ONG e agenzie di stampa come la Reuters, Associated Press, la BBC, Politico e innumerevoli altre sono la vena madre del campo base dell'Impero sul Potomac.

Tagliate il bilancio degli aiuti esteri e presto l'intero Stato profondo si ritirerà su vasta scala, mentre i burocrati non eletti che lo popolano si renderanno conto all'improvviso che la loro presa apparentemente permanente e ineffabile sul potere verrà tolta loro da sotto i piedi.

Possiamo solo sperare che questa volta Donald si renda conto che se si riesce a fronteggiare i bellimbusti che gestiscono il lato debole dello Stato militare, le elezioni del 2024 potrebbero davvero significare qualcosa, e per la prima volta in più di quattro decenni.

C'è una cosa che Trump potrebbe fare per garantire che il taglio agli aiuti esteri abbia più successo di quello che abbiamo tentato 44 anni fa: potrebbe insistere sul fatto che una politica di sicurezza nazionale America First deve concentrarsi strettamente sulla deterrenza nucleare e una potente difesa convenzionale delle coste e dello spazio aereo nordamericani. Non c'è bisogno di un impero, né di una rete di alleanze che abbracciano il globo e di infinite intromissioni negli affari economici e politici interni di terre lontane che non hanno alcuna attinenza con la sicurezza della patria e la libertà del popolo americano.

In breve, gli aiuti esteri non fanno assolutamente nulla per la sicurezza della patria americana e dovrebbero essere eliminati del tutto. Ciò ridurrebbe la forza lavoro federale di oltre 10.000 burocrati in un colpo solo, e farebbe risparmiare più di $40 miliardi all'anno.

Inoltre c'è un modo semplice per contrastare il piagnisteo della Beltway sul taglio dei finanziamenti ai programmi per combattere la fame, l'HIV/AIDS e malattie come il colera, la malaria e il morbillo nei Paesi in via di sviluppo: proclamare che tutti questi sforzi meritevoli rientrano nel regno della filantropia, non nella politica di sicurezza nazionale o nel giusto mandato del governo.

Di conseguenza si potrebbe annunciare l'istituzione di un Humanitarian Help Fund e chiedere a Bill Gates e al resto dei miliardari liberal di contribuire ciascuno con $1 miliardo. Ciò li farebbe tacere subito, soprattutto se un grande cartellone pubblicitario al neon venisse installato presso l'ex-quartier generale della USAID nel Ronald Reagan Building indicando il livello dei loro contributi fino ad oggi rispetto all'obiettivo di $1 miliardo ciascuno.

Dopo tutto, non c'è scempio più grande della USAID domiciliato nel Ronald Reagan Building. Mentre si tappava il naso sul suddetto bilancio da $30 miliardi, non ha mai rinunciato alla sua opinione personale che gli aiuti esteri sono una gigantesca manna per gli scrocconi e i nullafacenti. E possiamo testimoniare di averlo sentito ripetutamente e senza esitazioni.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.


venerdì 21 febbraio 2025

Ciò che l'eurodollaro ha dato, l'eurodollaro si sta riprendendo (Parte #2): La creatura di Threadneedle Street

 

 

di Francesco Simoncelli

(Versione audio dell'articolo disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/cio-che-leurodollaro-ha-dato-leurodollaro-f30)

Si è parlato molto della cosiddetta “creatura di Jekyll Island”, come è intitolato l'omonimo libro di Edward Griffin, ma molto poco della sua controparte inglese. Eppure è stata quest'ultima a dare lo spunto per la creazione della prima, senza contare che con il suo grado d'influenza (molto probabilmente) l'ha anche controllata... almeno fino al 2022. Piuttosto che usare il termine “spunto”, sarebbe meglio dire “spinta”. Nel mio ultimo libro, Il Grande Default, ho permesso ai lettori di svelare il cosiddetto mistero dell'attività bancaria ombra, dando altresì uno sguardo a come le azioni della FED fossero eterodirette oltreoceano. Infatti nella Prima Parte di questo saggio abbiamo sondato la leva economica con cui la cricca di Davos, fino all'entrata in scena dell'SOFR, ha praticamente usato la banca centrale americana come banca di riserva mondiale. Studiando l'evoluzione di queste ultime è facile capire come sia nata la “National Reserve Association”, ovvero il progenitore della Federal Reserve. Paul Warburg, uno dei co-creatori della FED, era stato a lungo un consulente non ufficiale della National Monetary Commission e aveva pubblicato diversi articoli in cui parlava della necessità di un istituto bancario centralizzato. I principali quotidiani avevano pubblicato articoli a sostegno delle sue opinioni, tra cui il Washington Post del marzo 1913 intitolato “Warburg Wants Elastic Currency”.

Pressione sociale attraverso la stampa, in particolar modo quella finanziaria, un metodo mai caduto in disuso visto che ancora oggi è protagonista nel modellare l'opinione pubblica. E su questo lo zampino degli inglesi è sempre stato presente, dato che il loro livello d'infiltrazione nel tessuto americano era pervasivo. Piuttosto che governare come sovrani avrebbero governato come “alleati”. Infatti, a tal proposito, è propedeutico studiare una “creatura” di cui s'è sempre parlato poco, ma che non ottiene le stesse attenzioni della FED. Ormai lo slogan “End the FED” sta diventando mainstream, solo che la sua controparte inglese non è altrettanto colpita da tali esortazioni. Terminare la prima senza terminare la seconda, oppure la BCE, significherebbe (e avrebbe significato) spianare la strada alla cricca di Davos. I motivi di questa affermazione sono giustificati all'interno del mio libro, quindi non mi ripeterò qui. Infatti la risposta degli Stati Uniti sarà una regionalizzazione dei poteri della Federal Reserve, in modo che un qualsiasi attore malevolo in futuro non potrà trovare un honeypot a cui attingere com'è stato in passato. Sforzi, questi, coadiuvati da una narrativa favorevole a Bitcoin, destinato a diventare reserve money (ruolo la cui importanza è stata sottolienata nella Prima Parte di questo saggio).

La Banca d'Inghilterra, fondata nel 1694, è un'istituzione monumentale nella finanza globale. Spesso etichettata come la prima banca centrale del mondo moderno, è nata per necessità: verso la fine del XVII secolo la Gran Bretagna era coinvolta nella costosa Guerra dei 9 anni contro la Francia e il re Guglielmo III era alla disperata ricerca di fondi. La soluzione fu una nuova istituzione finanziaria che avrebbe prestato denaro al governo in cambio di una carta reale (un permesso speciale del re che dava alla Banca il potere di emettere denaro e gestire il debito del governo). Questo concetto, capeggiato dal finanziere scozzese William Paterson e da un gruppo di ricchi mercanti, fu il seme da cui sarebbe cresciuta la Banca d'Inghilterra. A differenza di qualsiasi cosa vista prima, consentiva al governo inglese di prendere in prestito ingenti somme di denaro e abilitava la Banca d'Inghilterra a emettere bancanote coperte dalle sue riserve.

È importante capire che la Banca d'Inghilterra non è stata la prima banca del suo genere: gli olandesi avevano già fondato la Banca di Amsterdam nel 1609. Tuttavia le due istituzioni erano fondamentalmente diverse. La Banca di Amsterdam era principalmente una banca di deposito, progettata per portare ordine nel caotico mondo monetario della Repubblica olandese. Non emetteva prestiti allo stato, né si occupò della gestione del debito sovrano come avrebbe fatto la Banca d'Inghilterra. Invece la Banca di Amsterdam era essenzialmente una stanza di compensazione per il commercio internazionale, offrendo ai mercanti un modo affidabile e stabile per conservare il loro denaro e regolare i conti. Il suo ruolo era la stabilizzazione dell'economia olandese e la sua influenza nel mondo della finanza pubblica fu limitata. La Banca d'Inghilterra, al contrario, nacque dall'esigenza di finanziare lo stato e fu progettata fino dal principio per essere un prestatore di ultima istanza. Inizialmente il suo ruolo era modesto, principalmente prestiti al governo inglese, ma con la crescita del potere economico e militare della Gran Bretagna, crebbe anche l'importanza della BoE. All'inizio del XVIII secolo la Banca d'Inghilterra aveva iniziato a emettere banconote che circolavano più di oro e argento nelle transazioni quotidiane; queste banconote erano un passo verso un sistema finanziario più fluido, consentendo un commercio più efficiente senza la necessità di metalli fisici.

Nel frattempo le banche commerciali in tutta l'Inghilterra iniziarono a proliferare: a metà del XVIII secolo c'erano circa 300 banche private in Inghilterra, le quali offrivano credito a imprese e privati. L'emissione di banconote, che pur non essendo universalmente accettate, facilitò il commercio e gli scambi locali. Creò anche un sistema monetario frammentato, in cui la fiducia nel valore di una banconota dipendeva fortemente dalla reputazione della banca che le stampava. A differenza di una valuta nazionale standardizzata, le banconote private erano spesso accettate solo localmente e potevano non essere riconosciute in altre regioni. Ad esempio, le banconote emesse da una piccola banca rurale in Devonshire difficilmente sarebbero state accettate a Londra, o persino nelle contee vicine. Questa mancanza di universalità complicò il commercio oltre i confini locali, aumentando i costi di transazione e rallentando l'efficienza economica. L'emissione eccessiva di banconote fu un altro problema: durante il panico finanziario del 1793, numerose banche private fallirono poiché avevano emesso molte più banconote di quante ne potessero riscattare in oro.

Inoltre il valore di queste banconote poteva fluttuare in base alla salute finanziaria della banca che le stampava, creando ulteriore incertezza. Se una banca falliva o le sue riserve erano inadeguate, le sue banconote potevano perdere valore, minando la fiducia nel sistema monetario. Questa vulnerabilità alle corse agli sportelli e ai crolli bancari rendeva il sistema intrinsecamente instabile. Il sistema bancario decentralizzato poneva anche delle sfide di coordinamento: senza un'autorità centrale che regolasse l'emissione, il rischio di sovraemissione (che portava all'inflazione) o di sottoemissione (che causava carenze di credito) era significativo. Le banche concorrenti a volte emettevano banconote con denominazioni o standard incompatibili, complicando ulteriormente il commercio e la contabilità. Le banche commerciali come Barings e Rothschild & Co. svolsero un ruolo fondamentale nel finanziamento delle rotte commerciali, dei grandi progetti infrastrutturali e dell'impero della Gran Bretagna.

Il XVIII secolo segnò un periodo di trasformazione per il sistema finanziario britannico, poiché istituzioni come la Banca d'Inghilterra divennero parte integrante delle ambizioni della nazione. La BoE svolse il ruolo di principale operatore del debito pubblico, raccogliendo £1,2 milioni nel suo anno di fondazione. Nel tempo, si ramificò in prestiti commerciali limitati, come lo sconto di cambiali per i mercanti (acquistando cambiali a breve termine dai detentori prima della scadenza), i quali avevano spesso bisogno di denaro rapido per finanziare le loro operazioni. Vendendo la cambiale a una banca a sconto, potevano accedere immediatamente alla liquidità e ampliare le proprie reti commerciali. Nel 1742 la Banca d'Inghilterra formalizzò queste operazioni per stabilizzare i mercati, consolidando il suo ruolo nella gestione della liquidità durante le crisi.

La rivalità della BoE con la South Sea Company all'inizio del XVIII secolo ne espanse l'influenza. Entrambe le istituzioni gareggiavano per gestire il debito pubblico della Gran Bretagna, comeptizione culminata con la South Sea Bubble del 1720. Al centro della sua presunta proposta di valore c'era l'asiento, un contratto che garantiva alla Gran Bretagna il diritto esclusivo di fornire schiavi africani alle colonie spagnole sotto l'illusione di opportunità illimitate in una regione mitizzata come El Dorado. Gli investitori si accalcarono, attratti dalle partnership della South Sea Company con istituzioni influenti come la Royal Navy e la Royal African Company. Nel 1719 gli intrecci finanziari della South Sea Company con il governo inglese si approfondirono man mano che si indebitava di più; il Parlamento autorizzò un prestito di £7 milioni come parte del piano della società di consolidare il debito pubblico. Membri della corte reale, parlamentari e persino il re Giorgio I erano azionisti, conferendole un'aria di legittimità intoccabile. Sotto le promesse dorate, però, si celava ben altro: la società non aveva la competenza per le sue iniziative, in particolare nel commercio degli schiavi, e si affidava a partnership fragili e a un'ambizione smisurata. Il mercato azionario in forte espansione stimolò le imitazioni, come le società che sostenevano di estrarre la luce del sole dai cetrioli. L'euforia si trasformò in frenesia e lo scoppio della bolla nel 1720 devastò gli investitori, dagli aristocratici ai piccoli speculatori. Anche Isaac Newton era tra gli investitori. Inizialmente vendette le sue azioni, assicurandosi un profitto di circa £20.000, però in seguito vi investì di nuovo a un prezzo più alto, finendo per subire perdite significative.

Lo scoppio della bolla South Sea ebbe profonde implicazioni per l'economia britannica, facendo sprofondare il sistema finanziario della nazione. La Banca d'Inghilterra intervenne acquistando debito pubblico da investitori in difficoltà e iniettando liquidità nel mercato. Questo intervento segnò una prima affermazione del suo ruolo come “stabilizzatore finanziario”. Il Parlamento, riconoscendo la fragilità del sistema finanziario, approvò una legge per limitare la formazione di iniziative speculative e rafforzare la supervisione delle società per azioni, tuttavia queste misure fecero poco per affrontare le vulnerabilità sottostanti nel quadro monetario della Gran Bretagna. Il sistema finanziario, pur essendo innovativo, era tutt'altro che perfetto. Questa espansione dei poteri e delle capacità della BoE continuò nei secoli successivi. Il XVIII secolo fu trasformativo, poiché le permise di emettere banconote. Le prime furono introdotte nel 1695 ed erano relativamente semplici nel design, costituite da tagli scritti a mano su carta recante il sigillo della Banca d'Inghilterra. Ogni banconota richiedeva la firma manuale da parte di uno dei cassieri della BoE, rendendo il processo laborioso e le banconote altamente vulnerabili alla contraffazione. Quest'ultima divenne un problema serio a metà del XVIII secolo, con banconote false che minavano la fiducia delle persone nella moneta cartacea. La Banca d'Inghilterra rispose adottando diverse misure di sicurezza innovative:

• Filigrane (1697): le prime banconote presentavano filigrane rudimentali come deterrente di base. Nel 1801 le filigrane divennero più sofisticate, incorporando modelli unici per rendere la falsificazione più difficile.

• Disegni intricati (1797): la BoE iniziò a stampare banconote con incisioni complesse e sottili. Questi disegni erano pensati per essere difficili da replicare con le limitate tecnologie di stampa dell'epoca.

• Tecniche di stampa standardizzate (1725): sebbene inizialmente scritte a mano, si passò gradualmente alle banconote parzialmente stampate, riducendo il rischio di errore umano e falsificazione. Verso la fine del XVIII secolo le banconote stampate divennero lo standard, consentendo una maggiore uniformità e sicurezza.

Durante le guerre napoleoniche la contraffazione divenne uno strumento di guerra economica. Si dice che il governo francese orchestrò falsificazioni su larga scala di banconote britanniche, con l'obiettivo di destabilizzarne l'economia. Queste banconote contraffatte, spesso contrabbandate in Gran Bretagna tramite simpatizzanti o navi catturate, crearono panico e sfiducia nella cartamoneta. La contraffazione, però, non era limitata agli attori stranieri: le pressioni economiche delle guerre, unite alla mancanza di occupazione, spinsero molti individui a falsificare banconote. All'inizio del XIX secolo si stimava che nella sola Inghilterra venissero perseguiti annualmente fino a 300 casi di contraffazione. Questa cifra probabilmente minimizzava la portata reale del problema, poiché molte falsificazioni non venivano rilevate o denunciate. Al culmine della crisi della contraffazione, si stimava che il 10% di tutte le banconote in circolazione della Banca d'Inghilterra fossero false. Ricorda vagamente qualcosa... come l'eurodollaro ad esempio.

Il governo inglese non prese bene tali contraffazioni e, tra il 1805 e il 1818, più di 500 persone furono giustiziate in Gran Bretagna. Sebbene il monopolio della Banca d'Inghilterra sull'emissione di banconote non sarebbe stato formalizzato ufficialmente fino al Bank Charter Act del 1844, la sua reputazione di istituzione più affidabile in un ambiente finanziario altrimenti instabile stava già diventando evidente. Entro la fine del XVIII secolo la Gran Bretagna sarebbe stata sulla buona strada per diventare una potenza globale e la Banca d'Inghilterra avrebbe consolidato la sua posizione di forza stabilizzatrice del sistema finanziario del Paese.

Un altro capitolo cruciale nella storia della Banca d'Inghilterra fu il finanziamento delle guerre, in particolare delle guerre rivoluzionarie e napoleoniche (1793-1815) che alla fine costrinsero la Gran Bretagna ad abbandonare il gold standard nel 1797. In quel periodo cominciò a essere chiamata “The Old Lady of Threadneedle Street”, soprannome derivante da una vignetta satirica del 1797 a firma di James Gillray. La raffigurazione satirica rifletteva la relazione tesa tra la BoE e il governo inglese durante le guerre contro la Francia: mentre l'amministrazione Pitt attingeva sempre più alle riserve auree della Banca d'Inghilterra per finanziare la guerra, la capacità della banca centrale inglese di sostenere i pagamenti in oro finì sotto una forte pressione. Nel 1797 la situazione raggiunse un punto di rottura, culminante con la sospensione dei pagamenti in oro. I conflitti richiesero finanziamenti immensi e la Banca d'Inghilterra divenne il principale finanziatore dello sforzo bellico britannico, espandendo il suo ruolo di gestore del debito sovrano. Alla fine delle guerre napoleoniche era diventata l'istituzione dominante nella finanza britannica, gestendo quasi tutto il debito sovrano a lungo termine e supervisionando la politica monetaria della nazione.

Mentre la Gran Bretagna avanzava nel XIX secolo, visse un periodo di rapida crescita economica ed egemonia globale noto come “Età dell'oro”: la Rivoluzione industriale stava trasformando il Paese e l'impero britannico si stava espandendo rapidamente. La sterlina divenne la valuta di riserva mondiale, uno status che rifletteva il predominio della Gran Bretagna nel commercio e nella finanza globali. Tuttavia il percorso non fu facile. Nel 1866 emerse un panico di massa che riaccese i timori sulle vulnerabilità del sistema bancario a riserva frazionaria. Fu innescato dal fallimento catastrofico di Overend Gurney & Co. e si trasformò rapidamente in una crisi a tutto campo. L'ascesa e la caduta di Overend Gurney & Co. è una delle storie finanziarie più drammatiche della Gran Bretagna vittoriana. Fondata nel 1800 dal banchiere quacchero Samuel Gurney, la società crebbe da piccola banca provinciale fino a diventare il principale broker di cambiali di Londra nel 1820. A metà del XIX secolo Overend Gurney era parte integrante dell'economia industriale britannica, elaborando transazioni per un valore fino a metà del debito nazionale del Regno Unito all'epoca. Tuttavia il successo dell'azienda generò compiacimento e comportamenti rischiosi: fece investimenti speculativi nelle ferrovie e nel commercio estero, mal gestiti e mal programmati, che ne prosciugarono le risorse. Nel 1865 si diceva che le perdite superassero le £500.000 all'anno. In un disperato tentativo di rimanere a galla, l'azienda divenne una società per azioni, raccogliendo £5 milioni dal capitale pubblico, sebbene gli investitori non fossero informati del pericolo finanziario dell'azienda. Nonostante ciò le sue iniziative speculative continuarono a sgretolarsi.

Il 10 maggio 1866 Overend Gurney sospese i pagamenti, scatenando il panico che sarebbe passato alla storia come “Black Friday”. Oltre 200 banche fallirono nella crisi che ne seguì. In risposta la Banca d'Inghilterra intervenne, agendo come prestatore di ultima istanza iniettando liquidità nel mercato, una mossa che avrebbe continuato a influenzare la linea di politica della banca centrale inglese. Per scongiurare un crollo completo del sistema bancario, adottò diverse misure straordinarie: iniettò liquidità nel mercato, stampando di fatto denaro per ripristinare la fiducia; iniziò anche a estendere prestiti di emergenza ad altre banche e istituzioni finanziarie, tra cui Barclays, Lloyds e Hoare's Bank. La reazione della popolazione fu un misto di paura, confusione, esaltazione e rabbia. Il Times, ad esempio, ne elogiò le azioni, nonostante fosse chiaro che la decisione di inondare il mercato di liquidità comportasse i suoi rischi. The Economist, invece, la accusò di aver permesso che la crisi si sviluppasse in primo luogo. Il fallimento della BoE nell'intervenire prima nella crisi fu visto come un passo falso catastrofico. Guarda caso, quest'ultima fu la stessa linea di politica seguita dalla stampa americana all'indomani della Grande depressione, giustificazione passata alla storia per aver formato il pensiero di Milton Friedman e il suo supporto a una “scusa accademica credibile” per spingere la Federal Reserve a intervenire attivamente sulla scia delle future crisi.

Quanto a Overend, Gurney & Co. il crollo fu visto come una manifestazione di avidità incontrollata e follia speculativa, un esempio dei pericoli in agguato nel sistema finanziario e, quindi, necessitanti azione da parte dei legislatori. Nel giro di poche settimane il peggio del panico era passato e la BoE era riuscita a stabilizzare i mercati. Stiamo parlando di tempi “semplici”, in cui i bilanci erano ancora lontani dall'essere saturati e, da questo punto di vista, c'era ancora spazio di manovra in patria. Tuttavia l'intervento della Banca d'Inghilterra, sebbene alla fine riuscito, sollevò interrogativi sull'azzardo morale derivante dal salvataggio di istituti finanziari falliti. I critici temevano che ciò avrebbe creato un precedente pericoloso, in cui le aziende avrebbero assunto rischi maggiori sapendo che c'era qualcuno alle loro spalle che sarebbe sempre intervenuto per prevenire la catastrofe. Inutile sottolineare che negli anni successivi alla crisi, si intensificarono le discussioni sulla necessità di una regolamentazione finanziaria più forte. Gli eventi del 1866 rappresentarono un terribile monito e un cambiamento di passo: l'approccio laissez-faire della Gran Bretagna aveva bisogno di “una riforma”.

L'influenza della BoE non si limitava solo alla ricerca di prosperità in tempo di pace. Durante la Prima guerra mondiale la Banca d'Inghilterra fu chiamata a finanziare gli sforzi bellici della nazione: nel 1914, con l'intensificarsi del conflitto, il governo britannico emise bond di guerra per finanziarsi. Per quanto la stampa dichiarò che fosse stata una campagna di raccolta fondi di successo, dietro le quinte la Banca d'Inghilterra aveva sudato le proverbiali sette camicie per trovare abbastanza investitori da coprire i prestiti necessari. Infatti il governo inglese si era rivolto alla sua banca centrale per avere più di £100 milioni in finanziamenti e compensare il deficit pubblico. Nel suo libro, Lords of Finance, John Maynard Keynes predisse che la Prima guerra mondiale non sarebbe durata più di un anno, perché i Paesi coinvolti non potevano permettersi di sostenerla: la tensione economica sarebbe stata troppo grande dato che tutte le parti coinvolte avrebbero rapidamente esaurito le loro risorse finanziarie. Le banche centrali furono l'escamotage per aggirare questa evidenza: esse, in particolar modo quella inglese e americana, dirottarono artificialmente le risorse di capitale e sostennero il pesante indebitamento dei rispettivi Paesi, il che alimentò la guerra molto più a lungo del previsto e preparò il terreno per la crisi economica che ne seguì.

Infatti, subito dopo la Prima guerra mondiale, la Gran Bretagna si trovò alle prese con profonde distorsioni economiche: la guerra aveva creato scompiglio nelle finanze della nazione, lasciandola con un macigno di debito pubblico e un mercato dell'export ridotto. Il governo inglese cercò di ripristinare l'ordine finanziario prebellico tornando al gold standard nel 1925. Winston Churchill, allora Cancelliere dello Scacchiere, sostenne questa mossa come simbolo di stabilità e della duratura leadership globale della Gran Bretagna. Solo che non fece i conti con le precedenti deformazioni economiche. Il gold standard legava il valore della sterlina a una quantità fissa di oro e il governo di Churchill fissò il tasso alla parità prebellica ($4,86 ​​a sterlina); questa sopravvalutazione rese le esportazioni britanniche non competitive, acuendo la disoccupazione e rallentando la ripresa industriale. Keynes criticò questa mossa nel suo saggio, The Economic Consequences of Mr. Churchill, sostenendo che avrebbe causato stagnazione economica, previsioni che poi si avverarono. La correzione si intensificò, schiacciando le industrie e riducendo la domanda interna, e la situazione non fece che peggiorare durante la Grande Depressione, quando la contrazione economica globale paralizzò il commercio e la finanza. La mancata svalutazione della sterlina in base alla stampa monetaria che richiese la guerra limitò la flessibilità monetaria, impedendo gli aggiustamenti necessari per affrontare la crisi. Gli Stati Uniti, invece, presero il proverbiale toro per le corna e rimisero in sesto la nazione in un solo anno.

L'ascendente della Banca d'Inghilterra, e la sua presa indiretta, sulla Federal Reserve spinsero quest'ultima ad accettare la richiesta della prima di aumentare la propria offerta di denaro per compensare il deflusso mortale di oro dalle sponde inglesi. In questo modo la FED gettò le basi della futura depressione, come scrisse anche Rothbard nel suo libro America's Great Depression. Alla luce di quanto sappiamo adesso, e di come tutte le micce finanziarie conducano a Londra, il filo diretto tra Londra e Washington non è mai stato staccato; sostituito da una facciata di “alleanze”, ma che invece aveva tutte le caratteristiche di un proxy. Essere un impero globale alla luce del sole richiede accountability, mentre invece una gestione dalle ombre permette un free ride nel momento in cui si commettono errori. Perché essere ritenuti responsabili quando si può avere lo stesso risultato e correggere il tiro senza doversi preoccupare anche dell'opinione pubblica? Si risparmiano energie e le si può indirizzare ai propri desideri più urgenti. Alla fine si tratta sempre di azione umana e incentivi. Questo vale anche per gli imperi, visto che sono costituiti da uomini. L'impero inglese ha quindi mutato forma, ma è sempre rimasto in carica... o perlomeno fino al 2022 come spiego nel mio ultimo libro, Il Grande Default. Governi fantocci, ma con una facciata appetibile alla popolazione locale, sono sempre stati proxy scelti da Londra per gestire i propri affari all'estero. Come elaborato nella Prima parte di questo saggio, l'influenza esercitata tramite l'aristocrazia del luogo (o i legislatori) e la successiva inondazione di capitali, creano una impalcatura insostenibile dal punto di vista della costruzione di una base di capitale solida e resistente. Ciò sottopone la nazione-obiettivo al ricatto perpetuo della presenza di capitale a basso costo per andare avanti.... almeno fino a quando i tempi non sono maturi per il raccolto. Se state pensando all'USAID, avete capito il concetto. E quale miglior controllo di una nazione se non quello di esportare in essa il proprio modello di business come il sistema bancario centrale?

L'ascendente esercitato dalla BoE sulla FED durante i Ruggenti anni venti è un indizio potente in questa direzione. Anche perché, come abbiamo visto, all'epoca la Banca d'Inghilterra aveva raggiunto uno status eminente in quanto a istituzione rispettata e collegata a livello elitario. Fomentare una crisi per tirarsi fuori, apparentemente, da una colonia controllata direttemente era un escamotage già usato dagli inglesi. Un esempio a tal proposito è l'India. Un alto giudice di Calcutta, P.B. Chakrabarty, scrisse a Lord Clement Atlee (primo ministro britannico al tempo dell'indipendenza dell'India) domandandogli: “Siccome il movimento di Gandhi, Lasciate l'India, era attivo senza alcun successo da decadi e nel 1947 non successe niente di veramente nuovo che obbligasse gli inglesi ad andarsene, perché se ne sono andati?” Atlee citò diverse ragioni e la principale, secondo lui, fu il fatto che gli inglesi non si potevano più fidare dell'esercito e della marina indiane (e gli ammutinamenti, anche durante la guerra furono molti e tenuti nascosti) come risultato dell'attività militare di Netaj, ovvero Chandra Bose. Ciò che teneva l'India sotto il dominio inglese non era la Marina o l'Esercito Inglese, ma quelli Indiani: se questi non erano più affidabili l'unica opzione era quella di abbandonare l'India e cambiare un colonialismo diretto in uno finanziario e indiretto.

Inoltre i soldati indiani impiegati in tutto il mondo dagli inglesi si stavano rifiutando di obbedire agli ufficiali inglesi. Gli inglesi sapevano bene che per mantenere l'India avevano bisogno di un'esercito permanentemente stanziato sul posto, un esercito di dimensioni simili a quello che aveva combattuto nella Seconda guerra mondiale, un esercito che non potevano certamente permettersi, e che avrebbe portato solo ad una rivolta dei soldati inglesi ormai stanchi di combattere mentre a casa le famiglie facevano la fame. Conclusioni da “Non-violenza: storie e miti” del prof. Neumann dell'Universita' dell'Ontario:

Non ho né la posizione morale, né il minimo desiderio di vanificare gli sforzi di chi ha il coraggio di lottare con la non-violenza [...] ma non ha mai funzionato in nessun senso, né in maniera decisiva, in nessuna parte del mondo e non c'è nessun motivo per ritenere che funzionerà mai. Contando solo sulla sua forza, la non-violenza non ha mai ottenuto gli obiettivi politici di quelli che l'hanno utilizzata. Tre sono i principali esempi di successo della non-violenza: il Movimento di indipendenza di Gandhi, il Movimento dei Diritti Civili negli USA e la campagna contro l'apartheid in Sud Africa. Nessuno di questi ha fatto quel che hanno pubblicizzato. La nozione che la gente si può liberare letteralmente lasciando che i loro guardiani li calpestino è fanta-storia.
Il fatto è che Gandhi (come lo chiamava Ginna, rifiutandosi di chiamarlo Mahatma) era una manna dal cielo per gli inglesi e lui probabilmente, filo-britannico e razzista com'era, lo sapeva, e gli stava bene così perché perseguiva i suoi scopi, che non erano necessarimente quelli che la propaganda gli attribuisce. Quando in una intervista anni dopo fu chiesto ad Atlee quale importanza avesse avuto Gandhi nella decisione del governo britannico di lasciare l'India, Atlee fece un sorriso sarcastico e scandì: “M-I-N-I-M-A”. Il fattore finale, la goccia che fece traboccare il vaso e che convinse gli inglesi al ritiro furono sicuramente i combattimenti fra musulmani e indù a Calcutta. Di fronte a una situazione che minacciava di scoppiare, passarono la patata bollente a indiani e pakistani. Non che la non violenza non possa avere risultati (è stata utilizzata da almeno duecento anni in Europa), ma è una tattica circoscritta a specifiche circostanze e da usarsi nell'ambito di una strategia più ampia. In India non funzionò nemmeno in quel senso.

Alla luce di ciò è praticamente legittimo pensare che l'apparente stupidità di tornare a un gold standard pre-bellico fosse funzionale a far risplendere la luce della FED e degli Stati Uniti, come nuovo impero nascente, ma in realtà eterodiretto da Londra. Non c'è solo l'episodio legato ai Ruggenti anni venti, ma anche il London Gold Pool degli anni '60, il LIBOR e la coincidenza storica che poco meno di un anno dopo l'entrata sulla scena mondiale della FED scoppiò la Prima guerra mondiale. Prima di quest'ultimo evento il potere economico e la portata globale dell'Impero britannico avevano consolidato lo status della sterlina come valuta di riserva primaria al mondo, simbolo della vasta rete commerciale e dell'influenza finanziaria della Gran Bretagna. Poi, a cavallo delle due guerre mondiali, l'Inghilterra si dà la zappa sui piedi sprofondando volontariamente nei debiti e ritornando al gold standard ignorando il caos economico precedente. Come si può giustificare un azzardo morale talmente sfrenato? A meno che non si abbiano le spalle coperte...

Infatti il declino del predominio della sterlina britannica culminò con l'ascesa del dollaro statunitense come valuta di riserva globale alla Conferenza di Bretton Woods nel 1944. Gli Stati Uniti presero il centro della scena, diventando il fondamento del nuovo sistema finanziario globale. Ciò avrebbe dato vita a un nuovo cappio finanziario che si sarebbe esteso ai mercati globali: l'eurodollaro.

In conclusione, la storia della BoE è la storia della FED, replicata con sfumature diverse ma alla base sono la medesima cosa. Una conquista che avrebbe permesso all'Inghilterra di aumentare la portata delle sue operazioni sacrificando, nel processo, la ricchezza reale di una nazione prospera e ricca di risorse. Come in ogni schema Ponzi che si rispetti, bisogna sempre aumentare la platea di gente da spennare.


Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.


👉 Qui il link alla Prima Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2025/02/cio-che-leurodollaro-ha-dato.html

👉 Qui il link alla Terza Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2025/03/cio-che-leurodollaro-ha-dato.html

👉 Qui il link alla Quarta Parte: