Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.
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(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/volete-il-progresso-lasciate-stare)
I politici vogliono creare posti di lavoro, “posti di lavoro sindacalizzati e ben pagati”, nelle industrie esistenti. Ma non è questo che fanno i mercati: la parte “distruttiva” nel processo di distruzione creativa elimina posti di lavoro nelle industrie esistenti. In un'economia dinamica, le innovazioni nella divisione del lavoro possono creare posti di lavoro ben pagati in nuove industrie, ma queste ultime richiedono imprenditori, non politici.
Frederic Bastiat scrisse due saggi su come le linee di politica concepite per “creare posti di lavoro” in realtà causano disastri economici. Il primo era la “Petizione dei fabbricanti di candele”, il quale chiedeva allo stato di imporre ai cittadini l'uso di tende pesanti e finestre oscurate in modo da creare posti di lavoro per chi fabbricasse candele. Il secondo era “Ciò che si vede e ciò che non si vede”, dove rompere le finestre avrebbe creato posti di lavoro per vetrai e falegnami.
In entrambi i casi, il problema deriva dall'ignorare “ciò che non si vede”: le persone che producono candele o riparano finestre rotte farebbero qualcos'altro in assenza di una linea di politica sbagliata. E le risorse spese per candele non necessarie e vetri sprecati sarebbero state spese per qualcos'altro. Vediamo i posti di lavoro, ma non vediamo i costi delle alternative perse per “creare” tali posti di lavoro.
Di recente stavo pensando a un'altra famosa storia riguardo la “creazione di posti di lavoro”, una che viene spesso raccontata quando si parla dell'economista di Chicago e premio Nobel Milton Friedman. Stephen Moore ha raccontato una versione di questa storia sul Wall Street Journal:
Durante una delle nostre cene, Milton ricordò di aver viaggiato in un Paese asiatico negli anni '60 e di aver visitato un cantiere dove si stava costruendo un nuovo canale. Rimase scioccato nel vedere che, invece di trattori e pale gommate moderne, gli operai erano attrezzati di semplici pale. Chiese perché ci fossero così pochi macchinari. Il burocrate gli rispose: “Non capisce. Questo è un programma per creare lavoro”. Al che Milton ribattè: "Oh, pensavo che steste cercando di costruire un canale. Se sono i lavori che volete, allora dovreste dare a questi operai cucchiai, non pale”.
Se scaviamo un po' (ahah!) scopriamo che la stessa battuta viene detta anche da altre persone famose, e la presunta posizione dell'accaduto spazia dalla Cina e dall'India al Canada o al Regno Unito. Ma si scopre che nessuna di queste è la vera origine del racconto, pubblicato per la prima volta a Philadelphia nel 1901:
Un accadimento che in quel momento mi era sembrato piuttosto divertente è avvenuto non molto tempo fa in North Broad Street. Una pala a vapore aveva attirato un gran numero di spettatori, tra cui due irlandesi che, a giudicare dal loro aspetto, erano lavoratori temporaneamente disoccupati.
Mentre la grande pala in un colpo solo sollevava un intero carro di terra e lo scaricava su una gondola, uno degli irlandesi commenta: “Che peccato pensare che possano scavare la terra in quel modo!” “Cosa ne pensi?” chiede il suo compagno. “Beh”, dice l'altro, “questa macchina sta togliendo il pane dalla bocca di un centinaio di lavoratori che potrebbero fare lo stesso lavoro con i loro picconi e le loro pale”. “Hai ragione, Barney”, dice l'altro.
Proprio in quel momento un uomo che stava osservando e che aveva sentito la conversazione commenta: “Ragazzi, se quello scavo darebbe lavoro a cento uomini con pale e picconi, perché non prendere un migliaio di uomini e dare loro cucchiaini con cui scavare la terra?”
Gli irlandesi, a loro merito, avevano capito la forza dell'osservazione e l'umorismo della situazione e si sarebbero uniti calorosamente alla risata chesarebbe seguita, e uno di loro aggiunge: “Immagino che abbia ragione, Capitano. Dopotutto, ciò che conta è scavare”.
— Philadelphia Public Ledger
L'esempio è divertente, e il fatto che i lavoratori disoccupati abbiano compreso “la forza dell'osservazione” è una bella chiusura del cerchio. Ma non hanno ragione? E non è forse questa ragione particolarmente forte quando si tratta di competere con altri Paesi che usano “manodopera a basso costo”, e non pale a vapore, per rubare “i nostri” posti di lavoro?
Questo è certamente l'argomento che molti politici hanno utilizzato per giustificare dazi, quote e altri tipi di barriere commerciali: dobbiamo proteggere i posti di lavoro americani! Basta con i posti di lavoro trasferiti all'estero!
Per capire perché questa logica non sia migliore di quella del “date loro i cucchiai!”, bisogna prendere in considerazione la natura del commercio internazionale di beni manifatturieri.
L'unico modo per guadagnare posti di lavoro è perderli
Un buon modo per affrontare il problema della “perdita del lavoro” è porsi una domanda semplice: Quale Paese al mondo ha perso il maggior numero di posti di lavoro nel settore manifatturiero tra il 1990 e il 2010?
La risposta (e non è così scontata) è la Cina.
Nel 1990 la “produzione” cinese consisteva, in molti casi, in un grande capannone, pieno di tavoli e contenente centinaia, forse migliaia, di uomini o donne che lavoravano con aghi e filo, telai, o un martello e alcuni pezzi di cuoio, o una piccola pressa metallica azionata a mano.
La portata dell'occupazione era enorme, forse 100 milioni o più, ma la produttività di questi lavoratori, nel 1990, era terribile. Una persona che lavorava il più duramente possibile, con un martello, una forma per scarpe e qualche pezzo di cuoio tagliato, non riusciva a produrre più di 2 o 3 paia di scarpe al giorno. Mille lavoratori, che lavoravano duramente (e non lo facevano sempre, perché queste erano fabbriche gestite dallo stato, dove dominavano le quote piuttosto che gli incentivi) potevano produrre 5.000 paia di scarpe al giorno, e la qualità era decisamente inferiore.
A metà e fine anni Novanta, la Cina ha iniziato a fare due cose: in primo luogo ha tagliato le fabbriche statali, milioni di lavoratori hanno perso il lavoro, intere città sono rimaste senza lavoro; in secondo luogo il settore privato cinese ha iniziato a sfruttare la divisione del lavoro sviluppando fabbriche altamente specializzate che producevano giocattoli, vestiti e dispositivi elettronici semplici. Queste fabbriche, poiché erano sostanzialmente automatizzate, erano molto più produttive del vecchio sistema di sfruttamento della manodopera a basso costo. La Cina ha iniziato a sfruttare la produttività. Passare da centinaia di uomini con le pale a una manciata di essi che guidano bulldozer e camion aumenta effettivamente la quantità di lavoro svolto, con meno manodopera. Tutti quei lavori che producono e pagano poco vengono spazzati via da lavori che producono e pagano di più.
A essere onesti, questo è successo anche negli Stati Uniti. La nostra produzione totale è aumentata in modo esponenziale, senza sosta, durante tutto quel periodo. Ma il numero di posti di lavoro nel settore manifatturiero in molti settori è diminuito, poiché i lavoratori sono diventati più produttivi. Tuttavia, nel complesso, c'è stata una forte ripresa nella produzione statunitense, poiché molte aziende hanno intrapreso il cosiddetto “on-shoring”.
In breve, gli USA non hanno “spedito i propri posti di lavoro” in Cina; in realtà la Cina ha perso più posti di lavoro nel settore manifatturiero di noi. Il mondo intero ha perso posti di lavoro a causa dell’aumento della produttività. Di conseguenza i prezzi di molti prodotti sono scesi, in alcuni casi in modo sostanziale, se ci atteniamo all’inflazione.
Perché? La Cina ha iniziato a usare un sistema di mercato per premiare gli investimenti in una maggiore produttività. Quando una fabbrica è passata da mille persone con macchine da cucire a venti persone che gestivano una linea di produzione automatizzata, le 980 persone che avevano “perso” il lavoro ne hanno trovato un altro altrove, e con uno stipendio più alto, perché anche quelle industrie si stavano automatizzando. In molti casi questo è risultato vero anche negli Stati Uniti, nonostante ci siano alcune industrie in cui la transizione verso nuovi lavori è stata più lenta.
Ma avere un adattamento più lento negli Stati Uniti non sorprende, perché la Cina ha iniziato con un livello di ricchezza e prosperità molto più basso. Il PIL pro capite della Cina è di quasi $13.000; negli Stati Uniti è di quasi $70.000. Gli Stati Uniti non hanno più la possibilità di distribuire cucchiai, o se non altro pale, per “creare” posti di lavoro, perché nessuno è disposto a lavorare al salario che pagano i lavori con i cucchiai. La maggior parte dei lavoratori americani trascorre il proprio tempo usando una qualche versione di un bulldozer, che si tratti di scrivere codice o di usare macchine fisiche che aumentano la produttività.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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