martedì 14 gennaio 2025

Il capitalismo degli stakeholder e il culto degli indicatori chiave di prestazione

L'articolo di oggi mi riporta alla mente quanto disse l'ex-amministratore delegato di Stellantis, Tavares, qualche tempo fa: “Se le persone non vogliono l'auto elettrica, allora produrremo meno auto a combustione interna affinché comprino solo elettrico”. Un'impresa che rinuncia al “fare profitto” è l'espressione di un tessuto economico a brandelli e un incubo a livello di organizzazione sociale. Questa è una linea di politica voluta. Ciò che fa davvero paura sono le imprese che si inchinano al volere politico piuttosto che al volere economico del mercato. Ma qui c'è in gioco il futuro della cricca di Davos, quindi tutto passa in secondo piano. Soprattutto il futuro della persona media la quale deve essere sottoposta da qui ai prossimi 5 anni a un “sanguinamento” progressivo per sostenere un sistema in bancarotta. La macchina è simbolo di indipendenza e già il fatto che sia inaccessibile ormai la dice lunga sulla volontà alla base della classe dirigente. Lo stesso discorso lo si può fare per la casa. Disabituarsi alla indipendenza e abituarsi invece alla dipendenza (che sia dal welfare state o altro) è l'ingrediente principale per la portata madre di questo pastone, come ho anche scritto nel mio ultimo libro Il Grande Default: controllo capillare per un haircut degli obbligazionisti (di cui fanno parte anche i pensionati).

____________________________________________________________________________________


di Thomas DiLorenzo

(Versione audio della traduzione disponibile qui: https://open.substack.com/pub/fsimoncelli/p/il-capitalismo-degli-stakeholder)

Nelle imprese private “non c’è bisogno di limitare la discrezionalità dei subordinati con regole o regolamenti diversi da quelli che stanno alla base di tutte le attività commerciali, vale a dire, rendere le loro operazioni redditizie”.

In questa citazione dal suo libro del 1944, Bureaucracy, Mises spiega perché le aziende private a scopo di lucro non hanno bisogno della burocrazia e non dovrebbero essere invischiate in regole e regolamenti imposti dall'alto di una gerarchia amministrativa. Invece dovrebbero fare il miglior uso della “conoscenza del tempo e del luogo” decentralizzata per svolgere il loro lavoro. L'ammonimento di Mises, secondo cui l'obiettivo delle imprese capitaliste è e dovrebbe essere “fare profitti”, divenne in seguito, nelle mani degli economisti della Scuola di Chicago, “massimizzare il valore per gli azionisti”. Questo punto di vista è associato a Milton Friedman ed è stato accettato dalla gran parte delle aziende americane per molti anni.

Poi, nel 2018, l'amministratore delegato di Blackrock, Larry Fink, che all'epoca gestiva $6.000 miliardi in asset aziendali, ha insistito pubblicamente sul fatto che i dirigenti d'azienda avrebbero dovuto concentrarsi sugli “stakeholder” (ovvero tutti coloro che sono in qualche modo collegati a una società) invece che sugli azionisti. A ciò fece seguito, nell'agosto del 2019, una dichiarazione di 200 amministratori delegati di grandi società secondo cui massimizzare il valore per gli azionisti non era più il loro obiettivo principale; lo era, invece, aggiungere valore per tutti gli “stakeholder”.

All'epoca George Reisman scrisse che questo dimostrava che “molti amministratori delegati sanno talmente poco di economia da ignorare che in un libero mercato produrre per il profitto dei propri azionisti implica di per sé produrre per il beneficio di tutti”. Un'attività di successo e redditizia in un libero mercato concorrenziale avrà clienti che traggono benefici più di quanto spendono; i lavoratori saranno pagati più di quanto potrebbero guadagnare altrove; ci saranno città e paesi prosperi; e ne trarranno beneficio tutti gli “stakeholder” in generale.

Ciò che era significativo nella dichiarazione degli amministratori delegati, scrisse Reisman, era che “mostra fino a che punto l'eredità intellettuale americana del diritto a perseguire la felicità (il che include la ricerca del profitto) sia marcita e sia stata sostituita da una mentalità improntata al socialismo”. Inoltre dobbiamo tenere a mente che “man mano che cresce il potere arbitrario dello stato, gli uomini d'affari vengono messi in una posizione sempre più simile a quella degli ostaggi sequestrati dai terroristi”.

Ciò che intendeva dire è che i poteri normativi dello stato sono cresciuti talmente tanto (si veda la pubblicazione annuale del Competitive Enterprise Institute intitolata “Diecimila comandamenti”) che gli imprenditori sono costretti a trascorrere gran parte di ogni giornata lavorativa a seguire le regole e i regolamenti governativi invece di essere produttivi, proprio come Mises aveva messo in guardia. I regolatori sono “i terroristi” e gli imprenditori sono “gli ostaggi”. Inoltre, scrisse Reisman, “sono arrivati al punto in cui tentano di anticipare i desideri dei loro padroni e cercano di gratificarli senza prima ricevere gli 'ordini' normativi”. Ecco perché gli amministratori delegati hanno rilasciato quella dichiarazione: annunciare allo stato che avrebbero adottato volontariamente tutti i controlli e i regolamenti socialisti che esso avrebbe voluto imporre loro. È di fatto socialismo.

Ecco perché vediamo banchieri imporre quote razziali sui loro prestiti ipotecari per paura di essere perseguiti ai sensi del Community Reinvestment Act e bollati come razzisti; o case automobilistiche che si impongono normative più severe sul chilometraggio rispetto a quelle attualmente in vigore per paura di essere viste in futuro ed etichettate come “ostruzioniste”; e la più predominante in assoluto, l'imposizione di quote di razza e genere per assunzioni e promozioni sotto le mentite spoglie di “diversità, equità e inclusione”. Tutte queste cose vi faranno guadagnare punti KPI (indicatori chiave di prestazione) in ​​qualsiasi azienda americana.

Prima del 2019 molte aziende avevano ignorato l'ammonimento di Mises sull'istruire i subordinati a “fare profitto”, o addirittura “massimizzare il valore per gli azionisti”, e li avevano valutati con un guazzabuglio di “indicatori chiave di prestazione” (per l'appunto KPI). Questi “indicatori” hanno rapidamente incluso una miriade di obiettivi nebulosi per gli “stakeholder” e annunci di pubbliche relazioni. Scrivendo su Forbes un articolo intitolato, “Perché i KPI non funzionano”, il consulente aziendale e autore Steve Denning ha scritto di come le aziende avessero adottato un “labirinto di offuscamenti in chiave pubbliche relazioni solo per far contento il pubblico [...]”.

Un problema persistente con i KPI è, come sottolinea Denning, che molti degli indicatori “portano a incentivi perversi e conseguenze indesiderate come risultato del fatto che i dipendenti lavorano in base a misurazioni specifiche a spese della qualità o del valore effettivo per i clienti”. Il risultato è che i dipendenti stessi tendono a sviluppare KPI che mostrano semplicemente che si sta facendo più lavoro di facciata, ma non dimostrano che le prestazioni o il servizio clienti siano migliorati. I KPI, afferma Denning, “misurano la velocità della burocrazia”, ma “sono inversamente proporzionali alla produttività effettiva”. Mises sarebbe d'accordo.

“Come criceti in una ruota, il personale lavora di più ma non riesce a fare granché dal punto di vista produttivo”. Ciò riporta alla mente le storie di come l'Unione Sovietica cercò di giocare al capitalismo con vari obblighi, come l'ordine di produrre tante tonnellate di chiodi all'anno per soddisfare il successivo piano quinquennale di costruzione di case. I direttori di fabbrica stabilirono che il modo più semplice per farlo era produrre chiodi molto pesanti, abbastanza pesanti da spaccare assi di legno da due per quattro!

Peggio ancora, la mancanza di performance causata dai KPI in genere porta i dirigenti a rispondere “offrendo una valanga di nuovi KPI nel tentativo di dimostrare quanto siano produttivi”. Essi sono quindi “un dono di Dio alla burocrazia”, ​​secondo Denning: “Aiutano a perpetuarla e a creare infinite giustificazioni per essa. È lavoro, si nutre di lavoro e crea altro lavoro, senza servire a uno scopo esterno”.

Denning conclude suggerendo che le aziende dovrebbero concentrarsi sulla “creazione di valore per i clienti”, che è un altro modo di dire “fare solo profitti” invece di creare una gigantesca mostruosità burocratica. Ci si chiede se abbia letto Bureaucracy di Mises, come ha di recente ammesso di aver fatto il senatore Ted Cruz.

In un altro articolo intitolato, “Non aggiustate la burocrazia, uccidetela”, Denning ricorda la Genentech Corporation che ha oltre 100.000 dipendenti, ognuno dei quali è tenuto a elaborare un elenco KPI. Pochissimi degli elementi negli elenchi, scrive Denning, “avevano a che fare con la fornitura di valore ai clienti”.

Anche le organizzazioni non profit e le agenzie governative hanno adottato i KPI, ma questi problemi sono destinati a essere ancora più gravi in tali settori. Come per le aziende, è probabile che vengano utilizzati per dimostrare che è stato svolto molto lavoro di routine, anche se quest'ultimo non contribuisce in alcun modo a realizzare la missione dell'organizzazione.

Esistono metriche facili da usare per tutti i tipi di organizzazioni che rientrano nella definizione di KPI e possono essere utili se non essenziali. Ma ciò che è successo nelle aziende americane è la “mentalità improntata al socialismo” descritta da Reisman: la folle anticipazione di obblighi, controlli e regolamenti governativi con l'autoimposizione degli stessi. Sembra tutto una pianificazione centrale socialista di fatto, non è vero?


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.


Nessun commento:

Posta un commento