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venerdì 22 novembre 2024

Rischio in crescita nei mercati del credito e nel sistema bancario ombra

L'articolo di oggi potremmo considerarlo un addendum al mio ultimo libro, “Il Grande Default”, dato che va ad aggiornare la situazione nel sistema bancario ombra in base agli eventi che si sono svolti sin dalla sua pubblicazione. Leggendo suddetto libro si acquisiscono le basi per comprendere le meccaniche con cui opera tale settore, permettendo al lettore, poi, di affrontare letture più “impegnative” come la seguente. Fortunatamente l'esposizione di Johnson è chiara e lineare, quindi il lettore non avrà difficoltà a seguire il filo. Ciononostante avere un quadro generale coerente ed esaustivo in mente è un requisito minimo per comprendere come si sia evoluto il sistema finanziario al giorno d'oggi e quali rischi pone per il futuro. Per quanto possa sembrare, di primo acchito, una cosa negativa, bisogna tenere a mente un'identità importante: rischio = opportunità. E riuscire a identificare la natura del rischio ex ante e prima degli altri rappresenta una doppia opportunità.

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di Brent Johnson

La trasformazione dei servizi bancari e finanziari, dai tradizionali mercati pubblici e dal sistema bancario stesso, è stata significativa sin dalla crisi finanziaria globale del 2008.

Questo cambiamento ha rimodellato il panorama finanziario, poiché più attività che un tempo erano dominate da banche e mercati pubblici si sono spostate nei settori finanziari privati ​​e non bancari.

Nel 2008, quando è scoppiata la grande crisi finanziaria, il mondo finanziario ha subito un grave crollo. Le banche, che erano state la spina dorsale dei prestiti e della liquidità, hanno smesso di fidarsi l'una dell'altra, cessando di concedere prestiti sui mercati overnight, cruciali per la liquidità a breve termine. Contemporaneamente i mercati pubblici hanno subito perdite immense, con l'indice S&P 500 che è crollato di circa il 50%.

Di conseguenza sia il sistema bancario che i mercati pubblici si sono congelati, diventando illiquidi e disfunzionali quasi da un giorno all'altro. Ciò che un tempo era stato un ecosistema finanziario altamente liquido e perfettamente funzionante si è bloccato.

Facciamo un salto al presente e assistiamo a un'evoluzione sorprendente: il settore finanziario non bancario, che comprende istituzioni come hedge fund, società di private equity e banche ombra, è cresciuto più del settore bancario tradizionale. Analogamente i mercati privati, come quelli per il private equity, il debito privato e i prestiti diretti, si stanno espandendo a un ritmo molto più rapido rispetto ai mercati pubblici.

Questa rapida crescita sta modificando radicalmente la struttura della finanza globale.

Un cambiamento di questa portata solleva questioni critiche sul potenziale impatto sulle future crisi finanziarie. Una questione chiave è che la valutazione del rischio è ora concentrata in mercati che sono intrinsecamente meno liquidi. Anche prima che si verifichi una crisi di liquidità, il sistema finanziario sta accumulando rischi in mercati che, per loro natura, sono più difficili da abbandonare rapidamente. Cosa succede quando questi mercati già illiquidi affrontano uno shock e diventano ancora meno liquidi, innescando potenzialmente una crisi?

Si prendano in considerazione i prestiti diretti, il credito privato e gli investimenti in private equity, tutti ampiamente concentrati nel settore finanziario non bancario. Se il sistema finanziario globale dovesse sperimentare una crisi della portata di quella del 2008, quando la liquidità si è prosciugata nei mercati pubblici altamente liquidi, cosa accadrebbe se il punto di partenza per la valutazione del rischio fossero i mercati privati molto meno liquidi?

Le conseguenze potrebbero essere più gravi e di maggiore vasta portata.

Questo saggio esplora la rapida espansione del settore finanziario non bancario e i vincoli di liquidità che caratterizzano i mercati privati.

Una delle principali preoccupazioni relative alle crisi di liquidità sono gli effetti a cascata, di secondo e terzo ordine, che possono venirsi a creare. Questi effetti si verificano quando i mercati percepiti come liquidi, mercati in cui gli investitori credono di poter facilmente acquistare e vendere asset, diventano improvvisamente illiquidi, intrappolando i partecipanti e causando diffuse interruzioni.

Tali effetti di secondo e terzo ordine spesso hanno un impatto su investitori, istituzioni e settori che normalmente si considererebbero isolati dalle attività finanziarie ad alto rischio.

Tuttavia l'interconnessione dell'ecosistema finanziario globale significa che gli shock in una parte del sistema possono rapidamente riverberarsi su altre, coinvolgendo attori apparentemente non correlati. Ecco perché comprendere il sistema bancario ombra, i mercati privati ​​e il sistema finanziario non bancario è fondamentale per valutare i rischi a cui è esposto il sistema finanziario nel suo complesso.

La crescente importanza dei mercati finanziari non bancari e privati ​​presenta nuove sfide per la gestione della liquidità e del rischio sistemico. Man mano che il sistema finanziario diventa più dipendente da questi settori meno liquidi, aumenta il potenziale per crisi di liquidità e i loro effetti a catena nell'economia globale, evidenziando l'importanza di monitorare e affrontare i rischi negli ecosistemi del sistema bancario ombra e del mercato privato.


Contesto: la crisi finanziaria globale

Non esistono due crisi finanziarie esattamente uguali, sebbene il comportamento e le emozioni umane siano sempre centrali in esse. Ogni crisi ha le sue caratteristiche uniche e, finché la natura umana rimarrà costante, i cicli di espansione e contrazione saranno inevitabili.

Date le valutazioni azionarie storicamente elevate di oggi, i paragoni con la crisi finanziaria globale del 2008 e la bolla delle dot-com della fine degli anni '90 sono scontati e l'attuale entusiasmo per l'intelligenza artificiale ricorda i periodi di euforia del passato. Tuttavia è importante ricordare che le valutazioni sono sintomi di condizioni di mercato più ampie, non le cause sottostanti. Ad esempio, durante la Mania olandese per i tulipani del 1636, un singolo tulipano nero era valutato diversi anni di stipendio, un indicatore che qualcosa non andava, ma non la radice del problema.

Individuare il momento esatto in cui inizia una crisi finanziaria è spesso possibile solo a posteriori. La crisi finanziaria globale è iniziata con il crollo di due hedge fund di Bear Stearns nel 2007? È stata innescata dalla caduta di Bear Stearns stessa? O forse il crollo della Lehman Brothers? Alcuni potrebbero persino sostenere che è iniziata con l'analisi di Meredith Whitney del 2008, la quale rivelò che Citigroup non era riuscita a conservare il suo dividendo. La risposta dipende dalla prospettiva: coloro che sono stati direttamente colpiti da questi eventi probabilmente darebbero tempistiche diverse.

Ciò che è fondamentale oggi è capire che confrontare le attuali condizioni di credito con quelle del 2008 è fuorviante.

Tutte le crisi di credito hanno una caratteristica comune: standard di prestito lassisti. Prima della crisi finanziaria globale i prestiti subprime rappresentavano circa il 3% dei prestiti ipotecari; nel 2007 erano saliti a quasi il 25%. Gli standard di prestito si deteriorarono così tanto che i default sulla prima rata del mutuo salirono a dismisura, ma questa era solo una parte del problema.

Altri attori chiave della crisi erano istituzioni come Fannie Mae, Freddie Mac e l'assicuratore ipotecario MBIA. Finché queste entità mantenevano i loro elevati rating creditizi, erano in grado di continuare a emettere prestiti a mutuatari che non erano in grado di rimborsarli. MBIA, ad esempio, sottoscrisse miliardi in passività detenendo solo $30 milioni in fondi degli azionisti.

Ma il vero punto di rottura si è verificato quando le grandi banche smisero di prestarsi denaro a vicenda da un giorno all'altro, spinte dalle preoccupazioni sulla liquidità delle controparti e sui loro bilanci eccessivamente indebitati. Bear Stearns, ad esempio, aveva $3 di capitale per ogni $100 di attivi, un rapporto di leva precario di 33:1.

Una volta che i regolatori sono intervenuti dopo la crisi, hanno cercato di impedire che si ripetesse imponendo regole più severe alle grandi banche attraverso il Dodd-Frank Act. Ciò ha ridotto le attività di trading e market making, allineando questi giganti della finanza. Ma come in ogni sistema finanziario, dove c'è domanda, l'offerta troverà una via. Questa volta sono intervenuti gli intermediari finanziari non bancari. In poco più di un decennio, questi ultimi sono cresciuti fino a diventare i maggiori finanziatori, superando le banche tradizionali.

La lezione qui è semplice: la domanda di credito non scompare, ma cambia. Capire dove va questa domanda è fondamentale per prevedere come potrebbero svilupparsi i rischi finanziari futuri.


La rapida crescita degli intermediari finanziari non bancari

Oltre alla crescente pressione normativa sulle banche dopo la crisi del 2008, il prolungato contesto di tassi d'interesse è stato un importante catalizzatore per la rapida crescita degli intermediari finanziari non bancari.

Con i tradizionali conti di risparmio e titoli di stato che offrivano rendimenti storicamente bassi, gli investitori hanno iniziato a cercare rendimenti più elevati attraverso canali alternativi. Gli intermediari finanziari non bancari hanno risposto offrendo una gamma di prodotti finanziari che fornivano rendimenti più interessanti, come obbligazioni garantite da prestiti (CLO), debito privato, fondi comuni d'investimento immobiliare (REIT) e altre opportunità di investimento che le banche, a causa di vincoli normativi, non fornivano.

Questo cambiamento ha consentito agli intermediari finanziari non bancari di colmare una lacuna nel mercato soddisfacendo la crescente domanda di prodotti d'investimento basati sul rendimento.

Poiché le banche sono diventate più limitate nella loro capacità di impegnarsi in attività più rischiose e ad alto rendimento a causa di normative post-crisi come il Dodd-Frank Act, gli intermediari finanziari non bancari sono intervenuti con offerte che non erano solo più redditizie, ma spesso anche più complesse e meno trasparenti. La flessibilità degli intermediari finanziari non bancari di operare con meno barriere normative è diventata un'alternativa interessante sia per gli investitori istituzionali che per quelli al dettaglio, affamati di rendimenti decenti in un mondo a tassi bassi.

Allo stesso tempo l'innovazione tecnologica ha accelerato la crescita degli intermediari finanziari non bancari, soprattutto attraverso l'ascesa delle società fintech. Queste aziende hanno rivoluzionato il settore dei servizi finanziari utilizzando analisi dei dati, intelligenza artificiale, blockchain e piattaforme digitali per fornire soluzioni finanziarie più efficienti e accessibili.

Le innovazioni fintech come piattaforme di prestito peer-to-peer, robo-advisor, servizi di gestione patrimoniale online e sistemi di pagamento digitale hanno sconvolto il modello bancario tradizionale. Queste tecnologie offrono servizi più rapidi, convenienti e su misura per il consumatore moderno, consentendo a privati ​​e aziende di accedere al credito, effettuare investimenti e gestire le proprie finanze senza affidarsi alle banche tradizionali. L'ascesa della tecnologia finanziaria ha reso gli intermediari finanziari non bancari ancora più importanti, offrendo un'infrastruttura più agile e reattiva alle richieste del mercato.

Tuttavia questa agilità comporta un compromesso in termini di supervisione.

Poiché gli intermediari finanziari non bancari sono soggetti a meno vincoli normativi rispetto alle banche tradizionali, possono accumulare rischi che potrebbero non essere visibili agli enti regolatori, o agli attori di mercato, fino a quando non è troppo tardi. Gli hedge fund, ad esempio, spesso adottano strategie ad alta leva finanziaria, le quali possono amplificare le perdite durante i periodi di volatilità del mercato. Il crollo di tali fondi può rapidamente trasformarsi in un'ampia instabilità finanziaria, poiché queste aziende sono strettamente interconnesse con banche e istituzioni finanziarie tradizionali attraverso vari canali di prestiti, derivati ​​e portafogli d'investimento.

Un esempio di ciò si è verificato nel 2020, durante la turbolenza del mercato innescata dalla pandemia di COVID-19. I fondi del mercato monetario, un tempo considerati investimenti stabili e a basso rischio, fecero registrare rapidi deflussi poiché gli investitori fuggirono verso asset più sicuri, evidenziando l'imprevedibile fragilità all'interno di alcuni punti del settore degli intermediari finanziari non bancari.

Gli effetti di ricaduta di questi deflussi si riversarono in tutto il sistema finanziario più ampio, sottolineando la natura interconnessa di banche e intermediari finanziari non bancari.

Data l'importanza sistemica degli intermediari finanziari non bancari, i policymaker e gli enti regolatori, tra cui la Federal Reserve e il Financial Stability Board (FSB), si sono preoccupati sempre di più per i potenziali rischi posti dalla crescente influenza di queste istituzioni. È in corso un dibattito se gli intermediari finanziari non bancari debbano essere soggetti allo stesso livello di controllo e supervisione delle banche tradizionali, in particolare quelle che sono cresciute abbastanza da rappresentare una minaccia significativa per la stabilità finanziaria.

La sfida per i regolatori è trovare un equilibrio tra l'incoraggiamento dell'innovazione e della crescita che gli intermediari finanziari non bancari apportano al sistema finanziario, garantendo al contempo che esse non diventino la prossima fonte di rischio sistemico.

Tuttavia la storia suggerisce che i regolatori sono spesso reattivi piuttosto che proattivi quando si tratta di affrontare potenziali crisi. Nonostante la crescente consapevolezza dei rischi associati agli intermediari finanziari non bancari, l'intervento normativo potrebbe ritardare fino a quando non si siano già verificate perturbazioni finanziarie significative.

L'ascesa degli intermediari finanziari non bancari rappresenta un profondo cambiamento nel sistema finanziario statunitense. La loro capacità di innovare rapidamente, operare con meno controllo normativo e soddisfare la domanda degli investitori per prodotti ad alto rendimento ha permesso loro di superare il settore bancario tradizionale sotto molti aspetti. Tuttavia la loro crescita richiede anche un esame più attento del loro ruolo nel mantenimento della stabilità finanziaria.

La mancanza di trasparenza sui bilanci e sulle attività degli intermediari finanziari non bancari rappresenta un rischio, in quanto rende più difficile valutare le loro vulnerabilità e il potenziale di innescare un disagio finanziario più ampio. Man mano che gli intermediari finanziari non bancari continuano a espandersi, comprendere il loro impatto sull'ecosistema finanziario complessivo sarà fondamentale per prepararsi e mitigare i rischi di future crisi finanziarie.


Private Equity e mercati del credito

Il private equity e i prestiti privati ​​non solo sono cresciuti in termini di dimensioni, ma anche di complessità, diventando pilastri fondamentali della finanza globale.

Questi settori si sono evoluti in risposta ai cambiamenti normativi, ai progressi tecnologici e alla domanda mutevole degli investitori, riflettendo tendenze più ampie nel panorama finanziario.

Inizialmente il private equity era un campo di nicchia incentrato sul capitale di rischio per quelle aziende nelle loro fasi iniziali e per gli asset in sofferenza. Svolgeva un ruolo limitato nella finanza aziendale tradizionale. Col tempo il private equity è maturato in un settore sofisticato che ora impiega un'ampia gamma di strategie di investimento, tra cui leveraged buyout (LBO), growth equity, situazioni speciali, investimenti in sofferenza e investimenti infrastrutturali.

In particolare i leveraged buyout (LBO) sono diventati una caratteristica distintiva del private equity. Queste transazioni consentono alle aziende di acquisire società utilizzando un mix di capitale proprio e ingenti quantità di capitale preso in prestito, con l'aspettativa che il flusso di cassa della società target venga utilizzato per estinguere poi il debito.

L'ascesa degli LBO ha trasformato il modo in cui le società di private equity affrontano la creazione di valore, utilizzando la leva finanziaria per amplificare i rendimenti e al contempo prendere il controllo di grandi aziende consolidate. Questa strategia si è dimostrata immensamente redditizia, ma introduce anche livelli di rischio più elevati, in particolare in contesti economici incerti.

Negli ultimi anni le società di private equity sono passate da strategie puramente finanziarie, come la riduzione dei costi e la ristrutturazione, a un approccio operativo più pratico. Conosciuta come strategia di “valore aggiunto operativo”, le società di private equity ora sfruttano la loro competenza e le loro risorse di settore per guidare miglioramenti operativi, trasformazione digitale e sviluppo della leadership all'interno delle loro società in portafoglio.

Impegnandosi più attivamente nelle operazioni aziendali, le società di private equity stanno sbloccando nuove opportunità di crescita e generando rendimenti più sostenibili, distinguendosi dagli investitori tradizionali.

Inoltre le società di private equity stanno investendo sempre di più in settori guidati dalla tecnologia, come software, fintech, tecnologia sanitaria e infrastrutture digitali.

L'ascesa dei fondi di private equity focalizzati sulla tecnologia riflette il crescente riconoscimento che innovazione e analisi dei dati sono fondamentali per rimanere competitivi nell'economia moderna.

Adottando un processo decisionale basato sui dati e migliorando i processi di due diligence, le società di private equity sono ora meglio posizionate per identificare investimenti ad alto potenziale e massimizzare la crescita a lungo termine.

Allo stesso tempo i prestiti privati ​​sono diventati una componente critica della finanza alternativa, fornendo capitale alle aziende che potrebbero non qualificarsi per i prestiti bancari tradizionali. La rapida espansione del settore è una risposta diretta al rafforzamento normativo in seguito alla crisi finanziaria del 2008, il quale ha limitato la capacità delle banche di impegnarsi in attività di prestito più rischiose.

I prestatori diretti, tra cui fondi di credito privati, hedge fund, società di sviluppo aziendale (SSA) e investitori istituzionali, offrono una vasta gamma di strumenti di debito, come prestiti senior garantiti, prestiti uni-tranche, finanziamenti mezzanini, prestiti ponte e debito subordinato. La flessibilità e la rapidità dei prestatori privati ​​nella sottoscrizione e nell'approvazione dei prestiti li hanno resi un'opzione interessante per le aziende che cercano di finanziare leveraged buyout, acquisizioni, espansioni, o rifinanziamento del debito. La loro capacità di offrire termini più personalizzati rispetto alle banche tradizionali ha permesso ai prestiti privati ​​di diventare una fonte di finanziamento significativa, in particolare per le aziende di medie dimensioni.

L'aumento dei prestiti privati ​​è stato anche alimentato dalla ricerca globale di rendimento in un contesto di tassi d'interesse bassi.

Gli investitori istituzionali, tra cui fondi pensione, compagnie assicurative e fondi di dotazione, hanno allocato sempre più capitale al debito privato in quanto esso offre interessanti rendimenti aggiustati al rischio e una bassa correlazione con i mercati azionari e a reddito fisso.

Questo afflusso di capitale ha consentito alle società di prestiti privati ​​di ampliare le proprie operazioni, concorrendo persino con le banche tradizionali su transazioni più grandi e complesse.

Anche l'innovazione tecnologica ha svolto un ruolo trasformativo sia nel private equity che nei prestiti privati.

Nel private equity i progressi nell'analisi dei dati, nell'intelligenza artificiale e nell'apprendimento automatico hanno rivoluzionato la ricerca di accordi, la due diligence e la gestione del portafoglio. Le aziende ora utilizzano strumenti sofisticati per valutare le tendenze dei mercati, prevedere le prestazioni aziendali e identificare opportunità di investimento ad alto potenziale.

Allo stesso modo nei prestiti privati l'ascesa delle piattaforme digitali ha democratizzato l'accesso al credito, consentendo alle aziende di ottenere prestiti tramite piattaforme online che collegano i mutuatari direttamente con gli investitori.

Questa innovazione ha semplificato il processo di prestito, ridotto i costi e aumentato la trasparenza.

A causa della loro significativa crescita, il private equity e i prestiti privati ​​stanno affrontando un controllo più attento da parte degli enti regolatori a causa delle preoccupazioni relative agli alti livelli di leva finanziaria, mancanza di trasparenza e potenziale accumulo di rischi sistemici.

Nel private equity l'uso del leveraged buyout ha sollevato interrogativi sull'impatto che gli elevati livelli di debito possono avere sulla stabilità finanziaria delle società acquisite, soprattutto durante le crisi economiche. Inoltre l'impatto del private equity sull'occupazione e sui salari ha suscitato diverse critiche, con alcuni che sostengono che le motivazioni di profitto a breve termine possono minare la sostenibilità aziendale a lungo termine.

Nel prestito privato la rapida espansione dei prestiti diretti e dei fondi di credito privati ​​ha suscitato preoccupazioni sull'accumulo di rischi di credito al di fuori del sistema bancario tradizionale. Poiché i creditori privati ​​operano con molti meno vincoli normativi, c'è meno visibilità sulle loro esposizioni al rischio.

Poiché queste istituzioni continuano a crescere e a diventare più interconnesse con le banche tradizionali e altre istituzioni finanziarie, le sofferenze nel mercato dei prestiti privati ​​potrebbero avere implicazioni di vasta portata per il sistema finanziario più ampio.

Il settore degli intermediari finanziari non bancari, di cui il private equity e i prestiti privati ​​sono componenti chiave, ha fatto registrare una crescita esplosiva sin dalla crisi finanziaria del 2008.

Con il settore degli intermediari finanziari non bancari ormai più grande di quello bancario tradizionale negli Stati Uniti, la sua traiettoria di crescita non mostra affatto segni di rallentamento.

Questa rapida espansione ha catturato l'attenzione dei regolatori, come il Financial Stability Board, sempre più preoccupati per i rischi sistemici posti dal settore bancario ombra. Dal punto di vista storico quadri normativi più rigidi, come il Dodd-Frank Act, sono stati emanati solo in risposta a crisi, come il crollo del 2008, quando è diventato chiaro che era necessaria una maggiore supervisione.

La loro rapida crescita e la complessità in continua evoluzione presentano sia opportunità che sfide.

Sebbene questi settori abbiano fornito nuove vie per investimenti e credito, la loro mancanza di trasparenza e supervisione normativa li rende vulnerabili ai rischi sistemici.

L'FSB riconosce la necessità di quadri normativi più rigidi per mitigare questi rischi, ma storicamente tali normative tendono a essere reattive, implementate solo dopo che si è verificata una crisi.

Una legge come la Dodd-Frank non sarebbe stata necessaria se l'amministrazione Clinton non avesse abrogato il Glass-Steagall Act negli anni '90, una legge originariamente promulgata dopo il crollo della borsa del 1929 per regolamentare il settore bancario. L'abrogazione ha rimosso la separazione tra banche commerciali e banche d'investimento, una mossa che molti sostengono abbia contribuito a quegli eccessi che hanno portato poi alla crisi finanziaria globale.

Oggi il settore degli intermediari finanziari non bancari è diventato un mutuatario sempre più importante, il che comporta due implicazioni significative.

In primo luogo la linea di demarcazione tra banche tradizionali e intermediari finanziari non bancari è diventata sempre più sfumata, anche se operano sotto regimi normativi diversi. Questa sfumatura crea ambiguità in merito alla supervisione del rischio.

In secondo luogo gli intermediari finanziari non bancari stanno contraendo prestiti a un ritmo molto più veloce rispetto al mercato generale, sollevando preoccupazioni sul fatto che il settore potrebbe essere diretto verso una crisi a sé stante.

La domanda è: le autorità di regolamentazione agiranno in tempo, o saranno di nuovo costrette a recuperare terreno quando ritmi di crescita come questi diventeranno insostenibili?

Inoltre le società di private equity e i creditori diretti sono diventati fonti vitali di credito per le piccole e medie imprese (PMI) e i leveraged buyout. Queste aree sono spesso considerate troppo rischiose, o ad alta intensità di capitale, per le banche tradizionali, il che sottolinea ulteriormente il ruolo crescente che gli intermediari finanziari non bancari svolgono nel fornire credito laddove le banche sono diventate più avverse al rischio.

Mentre gli intermediari finanziari non bancari continuano ad aumentare la loro influenza e la loro portata di prestito, cresce l'urgenza per gli enti regolatori di affrontare i loro rischi sistemici, prima che un'altra crisi finanziaria emerga dall'ombra.


Banche ombra e mercati privati: illiquidità

Il rischio di liquidità è una delle sfide più ardue affrontate dalle società di private equity e di credito privato, in gran parte determinato dalla natura illiquida dei loro investimenti, dalle dinamiche di mercato e dalle loro strutture di finanziamento.

Queste società investono principalmente in asset senza mercati secondari attivi, rendendo difficile convertire rapidamente gli investimenti in denaro. Mentre assumersi il rischio di illiquidità consente loro di perseguire rendimenti più elevati, le espone anche a notevoli vulnerabilità, soprattutto in periodi di stress finanziario o crisi economica.

Nel private equity le società acquisiscono partecipazioni in aziende private o si impegnano in leveraged buyout (LBO) di società quotate. Questi investimenti in genere comportano impegni pluriennali, con l'obiettivo di migliorare le operazioni, aumentare il valore e infine uscire tramite una vendita o un'offerta pubblica iniziale (IPO).

Tuttavia quando i mercati entrano in crisi, le strategie di uscita delle società di private equity spesso affrontano gravi vincoli.

In tali situazioni i potenziali acquirenti potrebbero sparire e i mercati delle IPO potrebbero chiudere, lasciando le aziende incapaci di vendere le loro partecipazioni a prezzi favorevoli o, in alcuni casi, incapaci di vendere affatto. Questa mancanza di liquidità crea sfide ardue da fronteggiare, bloccando il capitale molto più a lungo del previsto e potenzialmente facendo deragliare i cicli di investimento pianificati. Senza la possibilità di uscire dai loro investimenti, le società di private equity possono sperimentare una crisi di liquidità, in cui l'incapacità di generare flussi di cassa limita la loro possibilità di restituire il capitale agli investitori, perseguire nuovi investimenti, o soddisfare altri obblighi finanziari.

Allo stesso modo le società di credito privato ​​affrontano i propri rischi di liquidità.

Queste società forniscono prestiti ad aziende che spesso esulano dai canali bancari tradizionali, tra cui aziende di medie dimensioni e quelle con rating creditizi più bassi. Mentre questi prestiti in genere offrono rendimenti più elevati per compensare il rischio maggiore, presentano un importante compromesso: l'illiquidità. A differenza delle obbligazioni quotate in borsa, che possono essere acquistate e vendute rapidamente sui mercati secondari, il credito privato ​​non ha un mercato pronto, rendendo difficile per i creditori raccogliere denaro in tempi di necessità.

Durante i periodi di difficoltà finanziaria, questi rischi diventano ancora più evidenti. Le aziende che finiscono in guai economici potrebbero avere difficoltà a rispettare i propri piani di rimborso, o a rifinanziare il proprio debito, con conseguente aumento del tasso di inadempienze. Salendo queste ultime, il valore dei relativi prestiti può crollare, esponendo i creditori a perdite significative. L'incapacità di vendere, o ristrutturare, tempestivamente questi prestiti illiquidi aggrava il rischio di liquidità, poiché i creditori affrontano una pressione crescente per soddisfare i propri impegni finanziari.

Inoltre il crescente utilizzo di strutture di “payment-in-kind” (PIK), in cui i pagamenti degli interessi vengono capitalizzati anziché versati in contanti, aggiunge un ulteriore livello di complessità.

Mentre gli accordi PIK forniscono un sollievo temporaneo ai mutuatari posticipando i pagamenti in contanti, aumentano i rischi di liquidità per i creditori. Capitalizzare gli interessi anziché ricevere afflussi di cassa ritarda i ricavi e spinge i creditori in posizioni illiquide, limitando ulteriormente la loro capacità di generare liquidità quando necessario. In periodi di stress economico ciò può lasciare i creditori con crescenti obblighi ma opzioni limitate per reperire denaro, intensificando le vulnerabilità finanziarie in tutto il sistema.

Naturalmente un fattore chiave che esaspera il rischio di liquidità sia nel private equity che nei prestiti privati ​​è l'uso della leva finanziaria.

Le società di private equity spesso fanno affidamento sul debito per finanziare le acquisizioni, utilizzando il flusso di cassa dell'azienda acquisita per ripagare tale debito. Quando i flussi di cassa vacillano, o i tassi d'interesse aumentano, il servizio del debito diventa più difficile, costringendo le aziende a iniettare più capitale in società in difficoltà, o a vendere asset a un forte sconto.

Nel mondo del credito privato la leva finanziaria è presente sia nella struttura del prestito che nelle società mutuatarie. Se le condizioni economiche peggiorano, i mutuatari altamente indebitati potrebbero avere difficoltà a rimborsare i propri prestiti, portando a inadempienze e creando ulteriore pressione sulla liquidità per quei creditori che dipendono da rimborsi regolari per mantenere i propri impegni finanziari.

Un'altra dimensione del rischio di liquidità deriva dalla struttura del fondo stesso.

I fondi di private equity e di credito sono in genere chiusi, il che significa che gli investitori non possono accedere alla liquidità giornaliera come nei fondi comuni d'investimento o negli ETF. Gli investitori impegnano il capitale per un periodo stabilito, solitamente da 5 a 10 anni, aspettandosi distribuzioni dalle vendite di asset nel tempo.

Tuttavia se troppi investitori richiedono liquidità anticipata, questi fondi potrebbero essere costretti a liquidare asset in condizioni sfavorevoli, creando quello che è noto come un disallineamento di liquidità. Questo problema è spesso amplificato durante le crisi economiche, quando molti investitori cercano di ritirare i fondi simultaneamente, esercitando ulteriore pressione sui player sopraccitati per generare liquidità quando sono meno in grado di farlo.

La pandemia di COVID-19 ha fornito un esempio eccellente di questo disallineamento di liquidità. Durante le turbolenze nei mercati, molti investitori hanno cercato di ridurre la loro esposizione ad asset più rischiosi, cosa che ha esercitato una pressione significativa sui fondi di private equity e di credito privato per soddisfare tali richieste in un momento sfavorevole. Se costretti a vendite forzate, questi fondi possono spingere i prezzi degli asset verso il basso, innescando una spirale discendente che erode ulteriormente la fiducia degli investitori e aumenta le richieste di rimborso.

Le società di private equity e di credito privato si affidano anche a finanziamenti esterni da parte di banche o altri istituti finanziari per gestire le esigenze di liquidità ed eseguire accordi. Questa dipendenza lega ulteriormente queste società alle banche tradizionali e agli intermediari finanziari non bancari (NBFI), nonostante operino in quadri normativi diversi. In periodi di stress economico le banche possono inasprire le condizioni di prestito, o ritirare il credito, aggiungendo maggiore complessità alla gestione della liquidità per le sopraccitate società.

L'interconnessione dei mercati finanziari significa che i problemi di liquidità all'interno delle società di private equity e di credito privato possono avere implicazioni più ampie per l'intero sistema finanziario. Con la crescita di questi settori, si sono profondamente intrecciati con banche, investitori istituzionali e altri attori di mercato simili. Una crisi di liquidità in un'area può innescare scossoni più ampi, influenzando i prezzi degli asset, la disponibilità di credito e il sentiment degli investitori nell'intero ecosistema finanziario.

Per il settore NBFI, la gestione del rischio di liquidità è fondamentale, poiché influisce direttamente sulla loro stabilità operativa e sulla capacità di gestire lo stress finanziario. Gli intermediari finanziari non bancari, che includono entità come gestori patrimoniali, hedge fund, compagnie assicurative, società di private equity e fondi di credito privato, forniscono servizi finanziari essenziali senza lo stesso accesso alla liquidità della banca centrale o alle basi di deposito su cui fanno affidamento le banche tradizionali.

Questa mancanza di accesso rende la gestione della liquidità più impegnativa per gli intermediari finanziari non bancari, in particolare perché spesso detengono o finanziano attività illiquide come debito privato, immobili o partecipazioni azionarie in società private. Durante i periodi di volatilità, queste attività diventano ancora più difficili da liquidare, esponendo gli intermediari finanziari non bancari a un rischio di liquidità significativo se devono soddisfare improvvise richieste di denaro.

Molti intermediari finanziari non bancari affrontano un'ulteriore sfida derivante dalla loro dipendenza da finanziamenti a breve termine per finanziare investimenti a lungo termine. Questa discrepanza di finanziamento, in cui le passività sono a breve termine e gli attivi sono a lungo termine, li rende vulnerabili quando i mercati dei finanziamenti a breve termine si restringono o diventano più costosi.

Ad esempio, hedge fund e fondi di credito privato ​​spesso dipendono da accordi di riacquisto a breve termine (repo) o cambiali commerciali per finanziare le loro posizioni. Se questi mercati si prosciugano durante periodi di stress, gli intermediari finanziari non bancari possono affrontare gravi pressioni di liquidità e che minacciano la loro solvibilità.

Le fughe degli investitori o le richieste di rimborso di massa sono un altro importante rischio di liquidità per gli intermediari finanziari non bancari. I fondi di investimento, come i fondi comuni d'investimento, gli ETF e gli hedge fund, consentono agli investitori di riscattare i propri investimenti con breve preavviso. In periodi di incertezza una corsa degli investitori che cercano di ritirare il proprio denaro può costringere gli intermediari finanziari non bancari a vendere rapidamente asset a prezzi bassi, esasperando ulteriormente lo stress del mercato e indebolendo la fiducia degli investitori.

Data l'interconnessione degli intermediari finanziari non bancari con il sistema finanziario più ampio, le sfide di liquidità possono avere effetti di vasta portata. Molti di essi mantengono relazioni con banche e altre istituzioni tramite linee di credito, derivati ​​e altri strumenti finanziari.

Se un intermediario finanziario non bancario subisce una crisi di liquidità, l'impatto può diffondersi rapidamente ad altri attori di mercato, influenzando i prezzi degli asset e destabilizzando il sistema finanziario più ampio.

La crescente importanza sistemica degli intermediari finanziari non bancari evidenzia la necessità di gestire attentamente il rischio di liquidità all'interno di questo settore. Poiché queste istituzioni continuano ad assumere ruoli tradizionalmente ricoperti dalle banche, è aumentato il potenziale delle pressioni sulla liquidità in grado di creare fratture più ampie.

Mentre gli intermediari finanziari non bancari forniscono servizi finanziari e creditizi essenziali, la loro dipendenza da asset illiquidi e finanziamenti a breve termine li rende particolarmente vulnerabili agli shock di mercato, rendendo il rischio di liquidità una preoccupazione centrale per la stabilità del sistema finanziario.


Conclusione

La trasformazione del panorama finanziario globale sin dalla crisi finanziaria mondiale (GFC) del 2008 è stata monumentale.

Il passaggio dai sistemi bancari tradizionali e dai mercati pubblici verso gli intermediari finanziari non bancari (NBFI) e i mercati privati ​​ha alterato in modo significativo la struttura e il funzionamento della finanza. Di conseguenza gli intermediari finanziari non bancari, tra cui hedge fund, società di private equity, fondi di credito privato ​​e società fintech, sono cresciuti fino a occupare una porzione più ampia dell'ecosistema finanziario, diventando attori principali nei prestiti aziendali, nella gestione degli investimenti e nella fornitura di liquidità.

Uno degli sviluppi più profondi è stata la rapida espansione dei mercati del private equity e dei prestiti privati. Questi settori si sono evoluti per soddisfare la domanda degli investitori di opportunità ad alto rendimento, offrendo un'ampia gamma di prodotti finanziari innovativi come leveraged buyout (LBO), credito privato e strutture di debito alternative. L'ascesa di questi mercati è una testimonianza dell'adattabilità della finanza e dell'incessante ricerca di rendimenti. Tuttavia non è priva di rischi significativi, in particolare nel regno della liquidità.

Il rischio di liquidità rimane una sfida critica per le società di private equity e di prestiti privati. Entrambi i settori si basano su asset illiquidi, come debito privato e partecipazioni azionarie, che sono difficili da convertire in denaro quando necessario.

Questa illiquidità intrinseca può diventare una vulnerabilità importante durante i periodi di stress finanziario, quando le condizioni di mercato peggiorano, le strategie di uscita vengono ritardate e le vendite di asset diventano limitate. La natura complessa e spesso opaca di questi investimenti aggrava ulteriormente il rischio, rendendo difficile per gli attori di mercato e gli enti regolatori valutare accuratamente l'entità dell'esposizione.

L'uso della leva finanziaria amplifica questi rischi.

Le società di private equity, in particolare, utilizzano ingenti quantità di debito per finanziare le acquisizioni, mentre i creditori privati ​​forniscono prestiti a mutuatari altamente indebitati. Quando le condizioni economiche peggiorano, la tensione sia per le aziende che per i loro mutuatari diventa acuta, portando a maggiori inadempienze, carenze di liquidità e a vendite forzate di asset. Questa situazione è esasperata dalle strutture “payment-in-kind” (PIK) che ritardano il flusso di cassa, creando ulteriore stress sulle posizioni di liquidità delle aziende.

Un altro aspetto cruciale del rischio di liquidità risiede nelle strutture dei fondi utilizzate da società di private equity e di credito privato. I fondi chiusi con opzioni di liquidità limitate possono affrontare un disallineamento di liquidità durante le crisi economiche, come si è visto durante la pandemia di COVID-19.

Gli investitori, che cercano di ritirare il capitale, possono costringere questi fondi a vendere asset a prezzi sfavorevoli, innescando ulteriori sconvolgimenti nei mercati. Inoltre la dipendenza delle società di private equity e di credito privato da finanziamenti esterni da parte di banche tradizionali, le lega strettamente al sistema finanziario regolamentato nonostante operino in quadri normativi diversi.

Man mano che private equity, prestiti privati ​​e intermediari finanziari non bancari continuano a crescere in influenza, aumenta anche la loro interconnessione con il sistema finanziario più ampio.

Questa interconnessione pone rischi sistemici.

Una crisi di liquidità all'interno di un settore potrebbe rapidamente ripercuotersi sull'intero panorama finanziario, portando a sconvolgimenti più ampi nei prezzi degli asset, nella disponibilità di credito e nel sentiment degli investitori. Gli effetti a catena di una crisi nei mercati privati, ​​o nel sistema bancario ombra, potrebbero indebolire la stabilità dell'economia globale, proprio come è successo con il crollo delle principali istituzioni finanziarie durante la crisi finanziaria del 2008, ma con meno preavviso a causa della minore visibilità.

Il punto di partenza per i mercati privati ​​è l'illiquidità, a differenza dei mercati pubblici il cui punto di partenza è la liquidità. Quando le cose diventano illiquide, e succede sempre, ciò rappresenterà un problema molto più grande per i mercati privati.

Nonostante il ruolo significativo che gli intermediari finanziari non bancari svolgono nella finanza moderna, il quadro normativo che regola queste istituzioni è in ritardo rispetto alla loro crescente importanza. Gli intermediari finanziari non bancari operano con una supervisione molto inferiore rispetto alle banche tradizionali, il che aumenta i rischi associati alla leva finanziaria e all'illiquidità.

Mentre le lezioni delle crisi passate, come la crisi finanziaria globale, hanno portato ad alcuni miglioramenti normativi, la storia dimostra che le normative spesso seguono le crisi piuttosto che prevenirle.

Resta la questione se i policymaker possano attuare una supervisione più rigorosa del settore degli intermediari finanziari non bancari prima che emerga una crisi causata dalla liquidità.

In conclusione, l'ascesa degli intermediari finanziari non bancari e dei mercati privati ​​presenta sia opportunità che sfide.

Sebbene questi settori abbiano offerto nuove opportunità di investimento e credito, la loro intrinseca illiquidità e l'uso della leva finanziaria li rendono vulnerabili agli shock di mercato. La crescente importanza sistemica degli intermediari finanziari non bancari evidenzia la necessità di un approccio normativo proattivo per gestire i rischi di liquidità.

Solo affrontando queste vulnerabilità il sistema finanziario può sperare di mitigare l'impatto di future crisi, assicurando che i benefici dell'innovazione finanziaria non vadano a scapito della stabilità sistemica.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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giovedì 21 novembre 2024

Sfatiamo ulteriori 5 grandi equivoci su Bitcoin

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Nick Giambruno

Bitcoin confonde molte persone, compresi importanti professionisti nel mondo degli investimenti.

Di recente ho sfatato i dieci equivoci più diffusi su di esso.

Oggi continuerò sfatandone altri cinque.

 

Equivoco n°11: Bitcoin è vulnerabile alla guerra nucleare e alle interruzioni di servizio

Anche se gli Stati Uniti e la Russia si impegnassero in una guerra nucleare totale, distruggendo gran parte dell'emisfero settentrionale, Bitcoin non perderebbe un colpo nell'emisfero meridionale.

Per avere anche solo una possibilità di fermare Bitcoin, ogni governo del mondo dovrebbe coordinarsi simultaneamente per chiudere l'intero Internet ovunque e poi tenerlo spento.

Anche in un tale scenario improbabile, la rete Bitcoin può andare avanti tramite segnali radio e reti mesh. Allo stesso tempo piccoli pannelli solari portatili possono alimentare i computer che gestiscono la sua rete, se le cosiddette condizioni normali vengono meno.

Inoltre una serie di satelliti trasmette costantemente la rete Bitcoin sulla Terra.

In breve, tutti gli aspetti di Bitcoin sono genuinamente decentralizzati e robusti.

A meno di un ritorno globale all'età della pietra, Bitcoin è inarrestabile.


Equivoco n°12: Bitcoin 2.0 o un “Bitcoin migliore”

In pratica, chiunque può provare a creare un “Bitcoin migliore” quando vuole.

Tutto quello che bisogna fare è prendere il codice open source, disponibile a chiunque, e apportare le modifiche desiderate.

Ma questo non significa che qualcuno seguirà il vostro esempio o apprezzerà la vostra nuova criptovaluta.

Ad esempio, posso facilmente creare un nuovo Bitcoin che aggiunge qualche fronzolo e decantarlo usando l'ultimo termine di moda: Bitcoin 2.0.

Ma questo non significa che posso ereditare le proprietà monetarie superiori del Bitcoin originale, le quali dipendono dalla credibilità della sua offerta, dalla sua estrema resistenza al cambiamento, ecc.

Ecco perché è improbabile che il mercato attribuisca un qualche valore a Bitcoin 2.0.

Ecco un altro modo di vederla.

Immaginate che qualcuno voglia cambiare le regole degli scacchi in modo che le pedine possano muoversi all'indietro. Chiamiamolo Scacchi 2.0.

Ovviamente chiunque potrebbe farlo in qualsiasi momento, ma ciò non significa che Scacchi 2.0 prenderà piede.

Ricordate, chiunque può creare una criptovaluta in pochi minuti.

Questa è la parte facile. Crearne una che nessuno controlla è la parte difficile.

In parole povere, nessun'altra criptovaluta si avvicina minimamente a sfidare l'immutabilità, la decentralizzazione, la resistenza alla svalutazione, la liquidità, gli incentivi economici, gli effetti di rete e, soprattutto, la credibilità della sua offerta di Bitcoin.

Ma supponiamo che arrivi una nuova criptovaluta che sia un vero concorrente di Bitcoin.

Per interromperne il dominio consolidato come rete monetaria, non dovrebbe essere solo un po' migliore, ma di ordini di grandezza migliore.

Secondo il famoso autore Jeff Booth, un nuovo concorrente di una rete consolidata deve essere almeno 10 volte migliore per convincere abbastanza persone ad abbandonare quella esistente e unirsi alla nuova rete.

Ci sono state affermazioni su un “Bitcoin migliore” per molti anni, di solito da parte di persone che non lo capivano o da promotori di altcoin poco raccomandabili.

Non sono propenso a credere a tali affermazioni finché non ci saranno prove concrete che qualcosa potrebbe potenzialmente avere proprietà monetarie di gran lunga migliori di Bitcoin.

Finora, niente ci è andato vicino.


Equivoco n°13: la SEC se la prenderà con Bitcoin

Date le sue dichiarazioni, è chiaro che la Securities and Exchange Commission (SEC) considera quasi tutte le criptovalute come titoli non registrati, rendendole vulnerabili ad azioni esecutive.

Ciò ha portato molti a credere erroneamente che la SEC se la sarebbe presa con Bitcoin.

La realtà è che Bitcoin è l'unica criptovaluta che NON è un titolo.

Il governo degli Stati Uniti ha chiarito che considera Bitcoin, e solo Bitcoin, una merce sotto la competenza della Commodity Futures Trading Commission (CFTC) e del Commodity Exchange Act.

Bitcoin è una merce perché è un asset senza qualcuno che lo emette.

Allo stesso modo, oro, argento, rame, grano, mais e altre merci hanno produttori, ma non hanno chi li emette.

Ogni altra criptovaluta diversa da Bitcoin ha chi la emette, ha anche fondatori identificabili, fondazioni, team di marketing e addetti ai lavori che possono esercitare un controllo indebito.

Bitcoin non ha nessuna di queste cose, proprio come il rame o il nichel non hanno un reparto marketing o un fondatore.

La SEC non potrebbe perseguire Bitcoin anche se volesse, perché non c'è nessuno da perseguire. Non c'è una sede centrale di Bitcoin, non c'è un amministratore delegato, un reparto marketing e nessun dipendente.

Ma presumendo che la SEC possa andare dietro a Bitcoin, non lo farà perché anch'essa ammette che Bitcoin non è un titolo e quindi non rientra nella sua sfera di competenza.


Equivoco n°14: violare la crittografia di Bitcoin

La crittografia di Bitcoin non è a rischio.

Se la sua crittografia lo fosse, sarebbe anche un problema esistenziale per ogni banca, sistema di brokeraggio, banca centrale, provider di posta elettronica e qualsiasi altro aspetto essenziale della vita digitale moderna.

Metterei questo rischio nella stessa categoria di un'invasione aliena, qualcosa di teoricamente possibile ma irrilevante per le decisioni di investimento odierne.

Ma supponiamo che un ipotetico problema di calcolo quantistico, o qualche nuova tecnologia, rappresenti una minaccia per la crittografia di Bitcoin.

Esiste una soluzione ipotetica: sarebbe possibile aggiornarla ottenendo il consenso dei nodi per renderla resistente al calcolo quantistico o a qualsiasi nuova tecnologia che rappresenti una minaccia esistenziale per essa.


Equivoco n°15: Bitcoin è troppo volatile per essere denaro

È essenziale chiarire innanzitutto che, sebbene il prezzo di Bitcoin sia volatile, il suo protocollo è la cosa più stabile, prevedibile e affidabile che io conosca nella finanza.

Sin dall'inizio di Bitcoin nel 2009, l'offerta totale di 21 milioni non è cambiata, la rete non si è mai fermata, i miner hanno continuato a creare un nuovo blocco ogni 10 minuti in media e chiunque è sempre stato in grado di utilizzare Bitcoin per inviare valore a chiunque, ovunque, senza bisogno di una terza parte di fiducia.

In breve, nonostante tutto ciò che è accaduto dal 2009, la rete Bitcoin non ha perso un colpo.

Detto questo, la monetizzazione non avviene dall'oggi al domani ed è intrinsecamente un processo volatile per il prezzo.

Mentre l'oro è una moneta consolidata, Bitcoin è una moneta emergente.

Ci sono voluti secoli affinché l'oro completasse il suo processo di monetizzazione. Bitcoin ha buone probabilità di completarlo in un periodo di tempo molto più breve, ed è già sulla buona strada.

Qualcosa non passa dall'avere nessun valore all'essere una moneta globale senza volatilità nel suo prezzo. Ad esempio, Bitcoin è passato da non avere alcun valore nel 2009 a oltre $67.000 nel 2021.

Non è raro che Bitcoin subisca correzioni del 50% o più, cosa che è accaduta otto volte. Inoltre ci sono state tre occasioni in cui Bitcoin è sceso dell'80% o più.

Ecco un grafico che mostra le maggiori correzioni di Bitcoin nel corso degli anni per mettere in prospettiva la sua volatilità.

Se si allarga lo sguardo e si osserva il quadro generale, la volatilità del prezzo di Bitcoin è stata principalmente al rialzo nel lungo termine.

È una serie di massimi e minimi più alti.

Sopportare la volatilità di Bitcoin è il prezzo che dobbiamo pagare per ottenere guadagni sproporzionati mentre si prosegue lungo il processo di monetizzazione.

Sarà un viaggio movimentato, come sulle montagne russe, ma credo che ricompenserà gli investitori pazienti.

Ci sono un paio di modi per aiutare a domare la volatilità del prezzo di Bitcoin.

Innanzitutto, invece di acquistare la quantità desiderata di Bitcoin in un'unica grande transazione, usate la media dei costi in dollari (MCD) per distribuirla nel tempo.

Ad esempio, supponiamo che vogliate investire $10.000 in Bitcoin. Invece di acquistare $10.000 in una volta, effettuate un acquisto di circa $192 ogni settimana per un anno.

La MCD riduce significativamente il rischio di acquistare troppo all'inizio di un ciclo e di non acquistare al minimo.

Ecco come la MCD può trasformare la volatilità di Bitcoin a vostro favore.

In secondo luogo, pianificate di risparmiare per almeno quattro anni, attraverso un ciclo di halving.

Raramente c'è stato un periodo in cui il prezzo di Bitcoin è stato inferiore a quello di quattro anni prima... ma, naturalmente, le performance passate non indicano risultati futuri.

Terzo, ogni volta che vedete volatilità nel prezzo di Bitcoin, chiedetevi due cose:

  1. Bitcoin ha ancora proprietà monetarie superiori (totale resistenza alla svalutazione ed estrema portabilità)?
  2. Bitcoin è ancora inarrestabile?

Se la risposta a queste due domande è “Sì”, non mi preoccuperei.

Man mano che l'adozione cresce e Bitcoin diventa più affermato come forma di denaro, la volatilità dovrebbe attenuarsi, ma probabilmente a un prezzo molto più alto.

Ecco perché dovreste acquistare Bitcoin prima che il resto del mondo capisca le sue proprietà monetarie superiori.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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mercoledì 20 novembre 2024

Una risposta ai critici dell'economia Austriaca

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Eduard Bucher

Richard Duncan è stato di recente ospite sul podcast Wealth Formula per discutere della Scuola Austriaca. Nonostante duri solo 42 minuti, l'episodio è pieno di errori e fallacie.

Ciò che rende la discussione rilevante per gli Austro-libertari non è il fatto che questi due non sappiano nulla di economia Austriaca, ma che le loro critiche sono tipiche di chi la semplifica eccessivamente e la sposta all'estrema destra dello spettro politico.

Duncan sostiene quanto segue:

  1. Gli Austriaci partono dal presupposto che l'oro è denaro e che l'espansione del credito non può quindi continuare indefinitamente.

  2. Gli Austriaci credono che la crescita del credito porti a bolle economiche che alla fine scoppiano sempre: più credito significa più spesa al consumo e più investimenti, portando a una crescita della prosperità, ma quando la crescita del credito si ferma, come deve accadere con un gold standard, la bolla scoppia e il processo si inverte poiché la spesa al consumo, gli investimenti, l'occupazione e la prosperità si riducono.

  3. L’oro ha smesso di essere denaro nel 1968 e, da allora, il capitalismo si è trasformato in “creditismo”, cambiando il modo in cui funziona il nostro sistema economico: l’esplosione del credito che ha avuto luogo ha reso le economie degli Stati Uniti e del resto del mondo molto più grandi di quanto avrebbero potuto altrimenti crescere.

  4. Gli Austriaci raccomandano di lasciare che questa bolla scoppi: “[Gli Austriaci ci dicono] che abbiamo peccato non sostenendo più il denaro legato all'oro e che, pertanto, dobbiamo subire la dannazione a causa di tutti i nostri peccati atroci”.

  5. Gli Austriaci non riescono a rendersi conto che la bolla attuale è così enorme che se scoppiasse, la civiltà collasserebbe. Se gli Stati Uniti adottassero un gold standard, o un Bitcoin standard, e non fossero in grado di stampare dollari, presto si troverebbero senza denaro a causa del loro deficit commerciale. Di conseguenza anche le economie di tutti i Paesi che prosperano grazie ai loro grandi surplus commerciali con gli Stati Uniti (principalmente la Cina) crollerebbero e acquisterebbero molti meno beni dagli Stati Uniti, causando il crollo anche dell'economia statunitense. Ciò porterebbe all'implosione dell'intera economia mondiale.

  6. Fortunatamente non c'è motivo per cui dovremmo permettere che la bolla scoppi perché abbiamo i mezzi per mantenerla gonfia indefinitamente, poiché l'oro non è più denaro.

  7. Per questo motivo gli Austriaci sono ingiustamente critici nei confronti del sistema di credito globale basato sul dollaro, il quale fornisce la liquidità responsabile della crescita degli ultimi 60 anni e che ha fatto uscire miliardi di persone dalla povertà.

Ciò che è significativo per gli Austriaci non è che questi punti assurdi nascondano una totale mancanza di familiarità con il corretto pensiero economico, ma piuttosto che una corretta confutazione di essi dovrebbe avere cognizione di ciò che dice l'oggetto confutato.

  1. Il credito non può espandersi indefinitamente perché alla fine porta all'iperinflazione e alla cessazione dell'uso del denaro in quanto tale: un aumento del credito non aumenta i beni e i servizi reali disponibili, ma solo la quantità di denaro che può essere scambiata per essi. Con l'aumento dei prezzi, l'unità monetaria perde potere d'acquisto, incentivando gli individui a ridurre i loro saldi di cassa e ad accelerare il loro comportamento di acquisto. Nessuno vuole più scambiare nulla per denaro e quest'ultimo diventa sempre più privo di valore, rischiando di far tornare la società al baratto.

  2. I crediti che derivano dal risparmio volontario non hanno questo effetto, perché le maggiori richieste sulla produzione avanzate dai debitori sono controbilanciate dalle minori richieste su di essa avanzate dai creditori. Indipendentemente dal fatto che il denaro assuma la forma di oro, moneta fiat, o qualsiasi altra cosa, l'espansione del credito non coperta dal risparmio reale induce un boom artificiale seguito da una crisi correttiva, come descritto nella teoria Austriaca del ciclo economico. Tuttavia senza espansione artificiale del credito, la crescita economica è organica, endogena e sostenibile.

  3. L'esplosione del credito che ha avuto luogo dal 1968 non ha reso le economie degli Stati Uniti e del mondo molto più grandi di quanto avrebbero potuto essere altrimenti. Da un lato le economie sono cresciute grazie all'aumento del commercio, alla disponibilità di nuove tecnologie/tecniche di produzione e all'assenza di guerre su larga scala; tale crescita è indipendente dall'espansione inflazionistica del credito. Dall'altro lato, invece, l'espansione del credito è responsabile dell'offshoring industriale e prezzi più alti, allontanando le risorse produttive da quei processi in cui avrebbero servito meglio gli scopi più desiderati dei consumatori; tale crescita è semplicemente un trucco contabile, senza alcun riguardo nei confronti del cambiamento del potere d'acquisto, e ciò rappresenta in realtà una distruzione di valore che si concluderà con una recessione economica correttiva.

  4. L'attribuzione di un tono morale alle raccomandazioni Austriache è del tutto fuori luogo. Il compito della scienza è di chiarire connessioni causali e relazioni funzionali, non di raggiungere giudizi di valore normativi e verdetti morali. Gli economisti Austriaci, in quanto economisti, si limitano a sottolineare le differenze relative negli incentivi e nei panorami di possibilità associati a una moneta sana/onesta o a una moneta fiat.

  5. L'errore centrale in questo punto è il mito del sottoconsumo. Duncan ritiene che se gli americani smettessero di acquistare i prodotti delle fabbriche cinesi, queste ultime andrebbero in bancarotta. In realtà venderebbero ai successivi migliori offerenti a prezzi più bassi. I cinesi probabilmente consumerebbero di più a livello nazionale in aggregato, aumentando gli standard di vita locali e abbassando quelli degli americani. In risposta i prezzi scenderebbero, le tecniche di produzione cambierebbero e gli americani dovrebbero iniziare a produrre di più anche a livello nazionale. Man mano che l'economia americana crescerebbe in termini di capacità produttive, il valore del dollaro aumenterebbe di nuovo e consentirebbe agli americani di competere sul mercato mondiale per beni e servizi prodotti in altri Paesi e per i quali pagherebbero dollari che gli altri desidererebbero avere per acquistare i beni e servizi prodotti negli Stati Uniti. Il fatto che gli USA abbiano attualmente un deficit commerciale significa che gli americani stanno importando più di quanto esportino, il che non può durare in condizioni naturali.

  6. Le bolle non scoppiano perché finiscono i soldi, ma a causa dell'esaurimento di beni e risorse reali necessari a sostenerle. Man mano che il capitale viene consumato, i processi di produzione diventano relativamente meno indiretti, riducendo l'efficienza e le economie di scala. Non possiamo sapere come far crescere una bolla indefinitamente perché non abbiamo ancora scoperto come far scomparire la scarsità.

  7. Il sistema del dollaro non ha emancipato le persone dalla povertà. Immaginare che siano stati stampati e distribuiti milgiaia di miliardi di dollari ai poveri, sollevandoli così al di sopra della soglia di povertà, significa mettere il carro davanti ai buoi. Gli individui diventano più ricchi man mano che aumenta il loro accesso a beni e servizi, e quindi il problema centrale è quello della produzione e dell'accumulo di capitale. Ciò che ha emancipato miliardi di persone dalla povertà è un'espansione della divisione del lavoro, cosa che non è influenzata dalla quantità di denaro in circolazione. Qualsiasi quantità (fisiologica) di denaro andrà bene, e quindi un aumento dei crediti in dollari non può essere ritenuto responsabile di una riduzione della povertà.

In conclusione, quando si discute in pubblico è importante non impantanarsi in tecnicismi, ma concentrarsi sui principali difetti del ragionamento e, in modo rapido ed efficiente, evidenziare la fallacia in questione.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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martedì 19 novembre 2024

I 7 motivi per cui oggi è necessario un secondo passaporto

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di Nick Giambruno

Prima della prima guerra mondiale per viaggiare all'estero non era necessario il passaporto.

Era una verità evidente che un individuo sovrano poteva viaggiare ovunque volesse senza chiedere il permesso a nessuno.

Purtroppo oggi viaggiare non funziona più così.

La vostra cosiddetta libertà di movimento dipende dal consenso di più stati.

È necessario ottenere un passaporto dal governo del proprio Paese di origine, possibilmente uno che contenga i propri dati biometrici immutabili, un visto dal governo del Paese di destinazione e ulteriori visti dai governi di qualsiasi Paese di transito per arrivarci.

Oltre ai passaporti e ai visti, gli stati possono imporre condizioni mediche assurde e invasive per entrare nei loro territori, come ha dimostrato la psicosi di massa del Covid.

Invece di considerare il viaggio un diritto inalienabile, gli stati lo considerano un privilegio speciale concesso alla plebe, che può essere revocato se ci si comporta male, proprio come un adulto tratta la richiesta di un bambino di andare a casa di un amico.

In realtà i passaporti non facilitano i viaggi: sono strumenti per controllarvi e costringervi. Il mondo starebbe meglio senza di essi.

Purtroppo i passaporti non scompariranno.

Continuerete ad averne bisogno per viaggiare, quindi potreste anche averne più di uno affinché il ​​governo del vostro Paese avrà meno potere di controllarvi.

In breve, ottenere un secondo passaporto è fondamentale per liberarsi dalla dipendenza assoluta da qualsiasi Paese. Una volta ottenuta questa libertà, è molto più difficile per qualsiasi governo costringervi o controllare il vostro destino.

Tra le altre cose, avere un secondo passaporto vi consente di investire, gestire banche, viaggiare, vivere e fare affari in luoghi in cui altrimenti non potreste.

Indipendentemente da dove vivete, potete trarre beneficio dei vantaggi di diversificazione politica offerti da un secondo passaporto.

Ecco i sette principali motivi per cui tutti ne hanno bisogno.


Motivo n°1: neutralizzare le restrizioni ai viaggi

Un secondo passaporto impedisce allo stato di chiudervi dentro.

In caso contrario può sottoporvi agli arresti domiciliari e annullare il passaporto, anche se ne possedete solo uno.

Ad esempio, dopo che Castro salì al potere a Cuba, il suo governo fece sì che i cittadini facessero domanda per un visto di uscita per lasciare l'isola. Non veniva concesso facilmente.

Impedire alle persone di andarsene è sempre stato il segno distintivo di un regime autoritario.

Purtroppo questa pratica è in crescita nelle cosiddette democrazie liberali.

Si pensi alle restrizioni totalitarie di viaggio imposte da Canada, Australia e altri Paesi durante l'isteria di massa dovuta al Covid, cosa che hanno impedito ai relativi cittadini di partire a meno che non si sottoponessero a una procedura medica sperimentale.

Negli USA il governo può annullare il vostro passaporto se avete un modesto debito fiscale o se vi accusano di un reato. Non c'è bisogno di una condanna, basta un'accusa.

Molte persone pensano che i reati gravi consistano solo in atti come rapine e omicidi, ma non è così.

La montagna di leggi e regolamenti in continua espansione ha criminalizzato anche le attività più banali. Non è così difficile commettere un crimine come si potrebbe pensare, infatti molti “crimini” senza vittime.

L'avvocato per le libertà civili, Harvey Silverglate, ha scoperto che in media un americano commette inavvertitamente tre reati gravi al giorno.

Quindi se il governo degli Stati Uniti volesse annullare il vostro passaporto, potrebbe trovare qualche cavillo per farlo... a chiunque.

È come un vecchio detto dell'Unione Sovietica: “Mostrami la persona e ti mostrerò il crimine”.

Se avete idee politiche che non piacciono al vostro stato, non sorprendetevi se in qualche modo limita la vostra libertà di movimento.

Naturalmente questo non è un problema esclusivo del governo degli Stati Uniti.

Qualsiasi stato può revocare o annullare il passaporto dei propri cittadini per qualsiasi motivo ritenga opportuno.

Questo perché “il vostro” passaporto non è una vostra proprietà: è di proprietà del governo che lo ha rilasciato.

Avere un secondo passaporto aiuta ad attenuare questo rischio.


Motivo n°2: maggiori opzioni finanziarie

Un secondo passaporto apre le porte a maggiori servizi finanziari internazionali altrimenti non disponibili.

A causa delle gravose e invasive normative americane, molti, ma non ancora tutti, gli istituti finanziari stranieri ora respingono chiunque presenti un passaporto statunitense. Quindi, per essere un cliente gradito, potreste aver bisogno di un passaporto di un altro Paese.

Lo stesso vale per le persone in possesso di passaporti di altri Paesi con un bagaglio politico.

Buona fortuna nell'aprire un conto in una giurisdizione affidabile con un passaporto proveniente dall'Africa, dal Medio Oriente o da un Paese presente nella lista dei “cattivi” di Washington.

Un secondo passaporto potrebbe risolvere questo problema.


Motivo n°3: più viaggi senza visto

Richiedere un visto prima di un viaggio è una vera seccatura. Può essere frustrante, richiede molto tempo ed è costoso. Potrebbe anche essere negato.

Un secondo passaporto vi consente di accedere senza visto a più Paesi.

Nel mondo ci sono 227 Paesi ed entità politiche.

Il passaporto giapponese è il migliore al mondo per quanto riguarda i viaggi senza visto: vi consente di entrare in 193 destinazioni senza ottenere un visto in anticipo.


Motivo n°4: evitare contraccolpi della politica estera

Supponiamo che il vostro stato abbia la cattiva abitudine di ficcare il naso negli affari interni degli altri Paesi. Questo potrebbe rendervi un bersaglio se vi trovaste nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Esistono passaporti con un rischio minimo di contraccolpi in politica estera.

Quando è stata l'ultima volta che avete sentito parlare di qualcuno che prendeva di mira i titolari di passaporto svizzero o uruguaiano?


Motivo n°5: non dovete vivere come un rifugiato

Un secondo passaporto è un'assicurazione sulla mobilità per voi e la vostra famiglia.

Supponiamo che il vostro Paese d’origine “crolli”, come accadde in Russia negli anni ’20 o in Germania negli anni ’30.

I cittadini di Venezuela, Siria, Iraq, Yemen, Libia, Afghanistan, Ucraina e molti altri Paesi si trovano oggi ad affrontare lo stesso problema.

Dove andrete? Sarete accettati?

La verità è che qualsiasi Paese può trasformarsi in un Venezuela, o in qualcosa di peggio, più velocemente di quanto la maggior parte delle persone possa immaginare o prepararsi.

Indipendentemente da quanto grave possa essere la situazione nel vostro paese d'origine, un secondo passaporto vi dà il diritto legale di vivere e lavorare altrove.

Vi garantisce che non dovrete vivere come un profugo altrove.


Motivo n°6: Rinuncia

Se decidete di rinunciare alla cittadinanza, avrete bisogno di un secondo passaporto.

Ciò potrebbe comportare enormi vantaggi fiscali e normativi se il vostro Paese d'origine grava sui suoi cittadini con tasse soffocanti e inevitabili... come accade negli Stati Uniti.

Ma non riguarda solo questi ultimi.

Diversi altri Paesi stanno valutando l'ipotesi di imporre un modello di tassazione simile basato sulla cittadinanza, in cui la rinuncia alla stessa è l'unica via d'uscita.

Un secondo passaporto vi garantisce di avere sempre la possibilità di emanciparvi.


Motivo n°7: Benefici generazionali

Una volta ottenuto un secondo passaporto, i vantaggi della diversificazione politica dureranno per generazioni.

Potete trasmettere più cittadinanze ai vostri futuri figli e nipoti.


Non è facile, ma necessario

Man mano che la disperazione aumenta, gli stati attuano politiche sempre più distruttive.

Lo stesso schema si è ripetuto più volte in tutto il mondo e nel corso della storia. È prevedibile come il cambio delle stagioni.

Quanto più peggiora la salute finanziaria di uno stato, tanto più distruttive diventano le sue linee di politica.

Questa è la radice del rischio politico: il rischio che lo stato metta a repentaglio il vostro benessere personale e finanziario.

Non è un segreto che il rischio politico stia aumentando in molte parti del mondo. Ciò è particolarmente vero negli Stati Uniti, in Canada e in Europa dove la spesa sociale e militare ha portato alla bancarotta la maggior parte degli stati.

Non importa quale partito sia al potere. Vanno tutti nella stessa direzione, anche se a velocità diverse.

Mi aspetto che gli stati imporranno presto ulteriori restrizioni ai viaggi.

Ottenere i vantaggi della diversificazione politica offerti da un secondo passaporto è fondamentale per garantire la propria libertà in un mondo in continuo cambiamento.

Sfortunatamente non esiste un modo per ottenere un secondo passaporto che sia allo stesso tempo veloce, facile ed economico.

Tuttavia ciò non rende meno urgente o cruciale l'ottenimento di uno.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 18 novembre 2024

Il consenso al neoliberismo sta crollando

Il pezzo di oggi è uno di quelli che vi invito caldamente a leggere e rileggere perché rappresenta un'evoluzione di fatti di cui ho parlato spesso su queste pagine e che adesso iniziano a concretizzarsi. Molti di voi, cari lettori, ricorderanno il tanto citato saggio di Martin Van Creveld sul declino dello stato, ebbene l'articolo di oggi inserisce il tassello mancante in quell'analisi: cosa sostituirà lo stato-nazione? Van Creveld ci lasciava con questo quesito. Ovviamente non poteva far altro per i suoi tempi. Addirittura c'è stato l'autore Frank Chodorov che, prima di lui, aveva ipotizzato uno scenario simile. Avevano la sfera di cristallo? No, come ci ricorda Tucker il sistema dello stato-nazione trasportava sin dalla sua nascita i semi della sua stessa distruzione. L'istruzione pubblica ha lavorato alacremente per nascondere e ritardare la loro germogliazione. L'inevitabilità di questo evento, però, è sempre stata presente e, come ricordo anche nel mio ultimo libro, porterà a delle scelte economiche drastiche che richiederanno alla popolazione generale di essere preparata in anticipo. Almeno per sopravvivervi avendo un vantaggio su coloro che invece resteranno passivi sino alla fine. Il pezzo di oggi, invece, analizza i fattori sociali e istituzionali configurando un'evoluzione degli eventi che, molto probabilmente, ci faranno addirittura rimpiangere l'architettura dello stato-nazione. Anche perché, come affermo anche nel mio libro, senza un'accelerazione ulteriore della centralizzazione dei poteri, l'Europa è destinata a una dissoluzione caotica e precoce.

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di Jeffrey Tucker

La risposta mondiale al Covid è stata il punto di svolta nella fiducia pubblica, nella vitalità economica, nella salute dei cittadini, nella libertà di parola, nell'alfabetizzazione, nella libertà religiosa e di viaggio, nella credibilità dell'élite, nella longevità demografica e molto altro ancora. Cinque anni dopo la diffusione iniziale del virus che ha provocato dispotismi su larga scala, qualcos'altro sembra stia cadendo: il consenso del dopoguerra al cosiddetto neoliberismo. (Filosofia economico/politica, questa, in netto contrasto con quella Austriaca e libertaria, ndt.)

Il mondo come lo conoscevamo solo un decennio fa è in fiamme, esattamente come Henry Kissinger aveva avvertito in uno dei suoi ultimi articoli. Le nazioni stanno erigendo nuove barriere commerciali e affrontando rivolte cittadine come mai viste prima, alcune pacifiche, altre violente. Dall'altra parte di questo sconvolgimento c'è la risposta alla grande domanda: che aspetto ha la rivoluzione politica nelle economie industriali avanzate con istituzioni democratiche? Stiamo cercando di scoprirlo.

Facciamo un rapido excursus nella storia moderna per capire meglio le relazioni tra Stati Uniti e Cina. Dall'apertura della Cina negli anni '80 all'elezione di Donald Trump nel 2016, il volume delle importazioni commerciali dalla Cina non ha fatto altro che crescere, decennio dopo decennio. È stato il segno evidente di una traiettoria generale verso la globalizzazione iniziata dopo la seconda guerra mondiale e accelerata con la fine della guerra fredda. Dazi e barriere commerciali sono diminuiti sempre di più, mentre i dollari come valuta di riserva mondiale hanno riempito le casse delle banche centrali mondiali. Gli Stati Uniti sono stati la fonte globale di liquidità che ha reso possibile tutto ciò.

Non senza pagare un costo enorme, però, poiché gli Stati Uniti nel corso dei decenni hanno perso i loro vantaggi manifatturieri in decine di settori industriali. Orologi, pianoforti, mobili, tessuti, abbigliamento, acciaio, utensili, costruzioni navali, giocattoli, elettrodomestici, elettronica di consumo e semiconduttori hanno tutti lasciato le coste degli Stati Uniti, mentre altri settori hanno iniziato ad avere difficoltà, in particolar modo le automobili. Oggi anche le tanto celebrate industrie “dell'energia verde” sono destinate a essere surclassate dalla concorrenza.

Questi settori sono stati in gran parte sostituiti da prodotti finanziari alimentati tramite il debito, dal settore medico pubblico, dai sistemi informatici, dall'intrattenimento e dall'istruzione finanziata dallo stato, mentre le principali esportazioni degli Stati Uniti sono diventate debito e prodotti petroliferi.

Molte forze si sono unite per far salire Donald Trump in cima alla catena di comando nel 2016, ma il risentimento contro l'internazionalizzazione della produzione era alto. Mentre la finanziarizzazione sostituiva la produzione nazionale e la mobilità di classe ristagnava, negli Stati Uniti ha preso forma un allineamento politico che ha lasciato sbalordite le élite. Trump si è impegnato sul suo problema preferito, ovvero erigere barriere commerciali contro i Paesi con cui gli Stati Uniti stavano registrando deficit commerciali, principalmente la Cina.

Nel 2018, e in risposta ai nuovi dazi, il volume degli scambi commerciali con la Cina ha subito il suo primo duro colpo, invertendo non solo una traiettoria di crescita di 40 anni, ma anche assestando il primo e più grande colpo al consenso neoliberista.

Poi è successo qualcosa che ha invertito l'inversione. Quel qualcosa è stata la risposta al Covid. Nel racconto di Jared Kushner (Breaking History) egli si recò dal suocero dopo il lockdown e gli disse:

Stiamo cercando di trovare rifornimenti in tutto il mondo. Al momento ne abbiamo abbastanza per arrivare alla prossima settimana, forse due, ma dopo potrebbe diventare davvero brutta la situazione, molto in fretta. L'unico modo per risolvere il problema immediato è ottenere i rifornimenti dalla Cina. Saresti disposto a parlare con il presidente Xi per disinnescare la situazione?

“Ora non è il momento di essere orgogliosi”, disse Trump, “odio che siamo in questa posizione, ma cerchiamo di trovare una soluzione”.

È impossibile immaginare il dolore che questa decisione deve aver causato a Trump, poiché ha significato il ripudio di tutto ciò in cui credeva profondamente e di tutto ciò che si era prefissato di realizzare come presidente.

Kushner continua:

Contattai l'ambasciatore cinese Cui Tiankai e proposi che i due leader parlassero. Cui era entusiasta dell'idea. Quando parlarono, Xi fu veloce a descrivere le misure adottate dalla Cina per mitigare il virus. Poi espresse preoccupazione per il fatto che Trump si riferisse al COVID-19 come “virus cinese”. Trump accettò di astenersi dal chiamarlo così se Xi avesse dato agli Stati Uniti la priorità rispetto ad altri nella spedizione di forniture. Xi promise di collaborare. Da quel momento in poi, ogni volta che chiamavo l'ambasciatore Cui per un problema, lui lo risolveva immediatamente.

Quale fu il risultato? Il commercio con la Cina salì alle stelle. Nel giro di poche settimane, gli americani indossavano mascherine sintetiche cinesi sul viso, avevano il naso tappato con tamponi cinesi e venivano curati da infermieri e dottori che indossavano camici cinesi.

Il grafico sul volume degli scambi commerciali con la Cina si presentava così. Si può osservare la lunga ascesa, la caduta dal 2018 e l'inversione del volume degli acquisti in seguito ai lockdown e agli interventi di Kushner. Non è durata a lungo, poiché le relazioni commerciali si sono interrotte e sono nati nuovi blocchi commerciali.

L'ironia, quindi, è evidente: il tentativo fallito di riavviare l'ordine neoliberista, se di questo si trattava, si è verificato nel mezzo di un'ondata globale di controlli e restrizioni totalitari. In che misura i lockdown sono stati impiegati per resistere all'agenda di disaccoppiamento di Trump? Non abbiamo risposte a questa domanda, ma osservare lo schema lascia spazio a speculazioni.

In ogni caso, le tendenze degli ultimi 70 anni si sono invertite, facendo approdare gli Stati Uniti in tempi nuovi, descritti dal Wall Street Journal:

Se si scoprisse che i dazi sulla Cina sono al 60% e quelli del resto del mondo sono al 10%, il dazio medio degli Stati Uniti, ponderato in base al valore delle importazioni, balzerebbe al 17% dal 2.3% nel 2023 e dall'1.5% nel 2016, secondo Evercore ISI, una banca d'investimento. Sarebbe la media più alta sin dalla Grande Depressione, dopo che il Congresso approvò lo Smoot-Hawley Tariff Act (1932), il quale innescò un'ondata globale di barriere commerciali. I dazi statunitensi passerebbero da quelli più bassi a quelli più alti tra le principali economie mondiali. Se altri Paesi reagissero, l'aumento delle barriere commerciali globali non avrebbe precedenti moderni.

Parlare dello Smoot-Hawley Act ci fa davvero sprofondare nella storia. A quei tempi la politica commerciale negli Stati Uniti seguiva la Costituzione degli Stati Uniti (Articolo I, Sezione 8). Il sistema originale garantiva al Congresso il potere di regolamentare il commercio con le nazioni straniere, tra gli altri poteri. Ciò aveva lo scopo di mantenere la politica commerciale all'interno del ramo legislativo per garantire una responsabilità sempre presente. Di conseguenza il Congresso rispose alla crisi economica/finanziaria imponendo enormi barriere contro le importazioni; la depressione peggiorò.

Era una convinzione diffusa nei circoli d'élite che i dazi del 1932 avessero avuto un ruolo principale nell'aggravamento della crisi economica. Due anni dopo iniziarono i lavori per trasferire l'autorità commerciale al ramo esecutivo in modo che quello legislativo non facesse mai più qualcosa di così stupido. La teoria era che il presidente avrebbe avuto più probabilità di perseguire una linea di politica di libero scambio e dazi bassi. Quella generazione non avrebbe mai immaginato che gli Stati Uniti avrebbero eletto un presidente che avrebbe usato il suo potere per fare l'opposto.

Negli ultimi giorni della seconda guerra mondiale, un gruppo di diplomatici, statisti e intellettuali lavorò per garantire la pace. Tutti concordarono sul fatto che una priorità nel mondo del dopoguerra fosse quella di istituzionalizzare la cooperazione economica il più ampiamente possibile, sulla base della teoria secondo cui nazioni che dipendono l'una dall'altra per il loro benessere materiale avrebbero avuto meno probabilità di andare in guerra l'una contro l'altra.

Nacque così quello che venne chiamato l'ordine neoliberista. Consisteva in nazioni democratiche con stati sociali limitati che cooperavano dal punto di vista commerciale: barriere sempre più basse. In particolare i dazi vennero criticati come mezzi di sostegno fiscale e protezione industriale. Furono fondati nuovi accordi e istituzioni per essere gli amministratori del nuovo sistema: GATT, FMI, Banca Mondiale e ONU.

L'ordine neoliberista non è mai stato liberale nel senso tradizionale, è stato gestito fin dall'inizio da stati sotto il dominio degli Stati Uniti. L'architettura è sempre stata più fragile di quanto sembrasse. L'accordo di Bretton Woods del 1944, rafforzato nel corso dei decenni, ha coinvolto istituzioni come banche globali e un sistema monetario gestito dagli Stati Uniti che poi è crollato nel 1971. Il difetto in entrambi i sistemi aveva una radice comune: una moneta globale ma sistemi fiscali e normativi nazionali, cosa che ha quindi disabilitato i meccanismi di flow-to-specie che invece avevano bilanciato il commercio nel XIX secolo.

Una delle conseguenze è stata la perdita di produzione sopra menzionata, cosa che è coincisa con una crescente percezione pubblica che le istituzioni pubbliche stessero operando senza trasparenza e partecipazione dei cittadini. L'espansione dello stato militare dopo l'11 settembre e gli sbalorditivi salvataggi di Wall Street dopo il 2008 hanno rafforzato tale punto e preparato il terreno per una rivolta populista. I lockdown, che hanno avvantaggiato le élite, insieme alle rivolte dell'estate 2020, l'obbligo di vaccinazione e l'insorgere di una crisi migratoria, hanno rafforzato ancora di più suddetto punto.

Panico e frenesia, però, non spiegano il motivo per cui quasi tutti i Paesi occidentali stanno affrontando la stessa dinamica. Oggi la lotta politica nel mondo riguarda gli stati e i movimenti populisti contro il tipo di globalismo che ha portato una risposta mondiale al virus e alla crisi migratoria. Entrambe le risposte si sono rivelate sbagliate, in particolar modo il tentativo di vaccinare l'intera popolazione con un'iniezione che oggi è difesa solo dai relativi produttori e da coloro che sono al loro soldo.

Il problema della migrazione più la pianificazione pandemica sono solo due degli ultimi dati, ma entrambi suggeriscono una realtà minacciosa di cui molte persone nel mondo sono appena consapevoli. Gli stati che hanno dominato il panorama politico sin dal Rinascimento, e persino in alcuni casi nel mondo antico, hanno lasciato il posto a una forma di governo che possiamo chiamare globalismo. Badate bene, però, questo termine non si riferisce al commercio transfrontaliero. Riguarda il controllo politico: lontano dai cittadini e verso qualcos'altro che questi ultimi non possono controllare o influenzare.

Dal tempo del Trattato di Westfalia, firmato nel 1648, l'idea della sovranità statale ha prevalso nel mondo della politica. Non tutte le nazioni avevano bisogno delle stesse linee di politica, ciononostante avrebbero rispettato le differenze per raggiungere l'obiettivo della pace. Ciò implicava il permesso di diversità religiosa tra gli stati, una concessione che portò a uno sviluppo della libertà in altri modi. Tutta la governance finì per essere organizzata attorno a zone di controllo geograficamente limitate.

I confini giuridici limitavano il potere e l'idea del consenso avrebbe gradualmente dominato gli affari politici dal XVIII al XIX secolo fino a dopo la Grande Guerra, la quale avrebbe l'ultimo degli imperi multinazionali. Sarebbe rimasto in piedi un solo modello: lo stato-nazione in cui i cittadini avrebbero esercitato la sovranità ultima. Il sistema ha funzionato, ma non tutti ne sono stati contenti.

Per secoli alcuni degli intellettuali di più alto rango hanno sognato un governo mondiale come soluzione alla diversità delle linee di politica degli stati. È stata l'idea di riferimento per scienziati ed eticisti convinti della correttezza delle loro idee: un'imposizione mondiale come soluzione ottimale. L'umanità è stata abbastanza saggia da non tentare una cosa del genere, al di là delle alleanze militari e dei meccanismi per migliorare i flussi commerciali.

Nonostante il fallimento della gestione globale nel secolo scorso, nel XXI secolo abbiamo assistito all'intensificazione del potere delle istituzioni globaliste. L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha scelto la risposta alla pandemia per il mondo intero. Le fondazioni e le ONG globaliste sono pesantemente coinvolte nella crisi dei migranti. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale, creati come istituzioni per un sistema globale per denaro e finanza, stanno esercitando un'influenza sproporzionata sulla politica monetaria e finanziaria. L'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) lavora per ridurre il potere dello stato-nazione sulle politiche commerciali.

Poi ci sono le Nazioni Unite. Mi è capitato di essere a New York City qualche settimana fa quando si sono riunite le Nazioni Unite. Non c'è dubbio che sia stato il più grande spettacolo sul pianeta Terra: vaste zone della città sono state chiuse al traffico, con diplomatici e gente nel mondo della finanza arrivati ​​in elicottero sui tetti di hotel di lusso. I prezzi di tutto sono stati aumentati in risposta.

I partecipanti non erano solo statisti da tutto il mondo, ma anche le più grandi società finanziarie e mediatiche, insieme a rappresentanti delle più grandi università e organizzazioni no-profit. Tutte queste forze si riuniscono sovente come se volessero tutte far parte del futuro. E quel futuro è un governo globale in cui lo stato-nazione alla fine viene ridotto a puro orpello senza alcun potere operativo.

L'impressione che ho avuto lì è stata una di profonda separazione del loro mondo da quello del resto di noi. Sono “persone che vivono in una bolla”. I loro amici, coloro che li finanziano, i raggruppamenti sociali, aspiranti carrieristi in un tale mondo e grandi influencer sono distaccati non solo dalle persone normali, ma anche dallo stato-nazione stesso. L'atteggiamento di moda tra tutti loro è quello di considerare lo stato-nazione e la sua storia come sorpassati, fittizi e piuttosto imbarazzanti.

Un globalismo come quello che opera nel XXI secolo rappresenta uno spostamento e un ripudio del modo in cui la governance ha funzionato per mezzo millennio nella pratica. Gli Stati Uniti sono stati inizialmente istituiti come un Paese di democrazie localizzate che si sono poi unite sotto una confederazione libera. Gli Articoli della Confederazione non hanno creato alcun governo centrale, ma hanno piuttosto demandato alle ex-colonie il compito di istituire (o continuare) le proprie strutture di governance. Quando è arrivata la Costituzione, ha creato un attento equilibrio di controlli ed equilibri per limitare lo stato federale preservando al contempo i diritti di singoli stati. L'idea non era di rovesciare il controllo dei cittadini sullo stato-nazione, ma di istituzionalizzarlo.

Dopo tutti questi anni la maggior parte delle persone nella maggior parte delle nazioni, in particolare negli Stati Uniti, ritiene di dover avere l'ultima parola sulla struttura del sistema. Questa è l'essenza dell'ideale democratico, e non come fine a sé stesso, ma come garante della libertà, il principio che guida tutto il resto. La libertà è inseparabile dal controllo del governo da parte dei cittadini. Quando questo legame viene infranto, la libertà stessa viene gravemente danneggiata.

Il mondo odierno è pieno di istituzioni e individui ricchi che si ribellano alle idee di libertà e democrazia. Non amano l'idea di stati geograficamente limitati con zone di potere giuridico. Credono di avere una missione globale e vogliono rafforzare le istituzioni globaliste contro la sovranità delle persone che vivono negli stati-nazione.

Secondo questa gente ci sono problemi esistenziali che richiedono il rovesciamento del modello dello stato-nazione: malattie infettive, minacce pandemiche, cambiamenti climatici, mantenimento della pace, criminalità informatica, stabilità finanziaria, instabilità varie ed eventuali; sono sicuro che ce ne sono altre nella lista che dobbiamo ancora vedere. L'idea alla base è che questi problemi sono mondiali e sfuggono alla capacità dello stato-nazione di affrontarli.

Siamo tutti indotti a credere che lo stato-nazione non sia altro che un anacronismo che debba essere soppiantato. Tenete presente che questo significa necessariamente trattare la democrazia e la libertà come anacronismi. In pratica l'unico mezzo con cui le persone comuni possono frenare la tirannia e il dispotismo è attraverso il voto. Nessuno di noi ha alcuna influenza sulle politiche dell'OMS, della Banca Mondiale, o dell'FMI, tanto meno sulle fondazioni Gates o Soros. Nel modo in cui la politica è strutturata nel mondo oggi, siamo tutti necessariamente privati ​​dei diritti in un mondo governato da istituzioni globali.

Ed è proprio questo il punto: ottenere la privazione universale dei diritti della gente comune in modo che le élite possano avere mano libera nel regolare il pianeta come ritengono opportuno. Ecco perché diventa estremamente urgente per ogni persona che aspira a vivere in pace riconquistare la sovranità nazionale e dire no al trasferimento di autorità a istituzioni su cui i cittadini non hanno alcun controllo.

La devoluzione del potere dal centro è l'unica via attraverso cui possiamo ripristinare gli ideali dei grandi visionari del passato come Thomas Jefferson, Thomas Paine e l'intera generazione di pensatori illuministi. Alla fine le istituzioni di governo devono essere sotto il controllo dei cittadini e riguardare i confini di singoli stati, altrimenti nel tempo diventano tiranniche. Come affermò Murray Rothbard, abbiamo bisogno di un mondo in cui le nazioni esistano per consenso.

Ci sono molte ragioni per rimpiangere il crollo del cosiddetto consenso neoliberista e una forte motivazione per preoccuparsi dell'ascesa del protezionismo e dei dazi. Tuttavia ciò che hanno chiamato “libero scambio” (non la semplice libertà di comprare e vendere oltre confine, ma piuttosto un piano industriale gestito dallo stato) ha avuto anch'esso un costo: il trasferimento della sovranità dalle persone nelle loro comunità e nazioni a istituzioni sovranazionali su cui i cittadini non hanno alcun controllo. Non doveva andare così, ma è così che è andata alla fine.

Per questo motivo il consenso neoliberista costruito nel periodo postbellico conteneva i semi della sua stessa distruzione. Era troppo dipendente dalla creazione di istituzioni al di fuori del controllo delle persone e troppo dipendente dal dominio dell'élite sugli eventi. Stava già crollando prima della risposta alla pandemia, ma sono stati i lockdown, imposti quasi simultaneamente in tutto il mondo per sottolineare l'egemonia dell'élite, a esporre il pugno sotto il guanto di velluto.

La rivolta populista di oggi potrebbe un giorno apparire come l'inevitabile svolgimento degli eventi quando le persone diventano (nuovamente) consapevoli della privazione dei loro diritti. Gli esseri umani non si accontentano di vivere in gabbia.

Molti hanno previsto da tempo una reazione negativa ai lockdown e a tutto ciò che vi era associato. Nessuno, però, avrebbe potuto immaginarla nei fatti. Il dramma dei nostri tempi è tanto profondo quanto quello di qualsiasi altra grande epoca della storia: la caduta di Roma, il Grande Scisma, la Riforma protestante, l'Illuminismo e la caduta degli imperi multinazionali. L'unica domanda ora è se a questo giro finirà come l'America del 1776 o la Francia del 1790.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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