lunedì 16 dicembre 2024

L'odio vi distruggerà: una recensione di “Hitler's People”

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Barry Brownstein

(La traduzione audio dell'articolo è disponibile qui)

Nel 1828 lo storico Thomas Macaulay espresse la speranza che una futura crisi inglese sarebbe stata gestita da leader “per i quali la storia non ha fatto registrare una lunga serie di crimini e follie”.

Il rinomato storico Richard J. Evans ha un obiettivo più grande nel suo ultimo libro, Hitler's People: The Faces of the Third Reich (2024): crede che tutti, non solo i leader, dovrebbero imparare dai crimini nazisti e che si dovrebbe riflettere sul perché così poche persone abbiano resistito.

Evans usa un approccio biografico, ma non si concentra solo su Hitler, fornisce anche biografie concise di ventuno individui della sua cerchia, da personaggi chiave come Göring, Himmler e Goebbels, a “esecutori” come Heydrich ed Eichmann, e coloro che hanno svolto il ruolo di “strumenti” tra cui la regista Leni Riefenstahl.

Evans non scusa nessuno, nemmeno Albert Speer, che “in qualche modo convinse i giudici di [...] Norimberga che non era a conoscenza dei crimini del nazismo”. Evans aggiunge che Speer, che nelle sue memorie si atteggiava ad “architetto apolitico”, fornì “una scusa convincente a milioni di tedeschi che avevano vissuto sotto il Terzo Reich”.

L'influente opera di F. A. Hayek, The Road to Serfdom, offre il contesto per comprendere Hitler's People:

Per essere un valido collaboratore nella gestione di uno stato totalitario, non basta che una persona sia disposta ad accettare giustificazioni per le azioni vili; essa stessa deve essere pronta a infrangere ogni regola morale che abbia mai conosciuto, se ciò sembra necessario per raggiungere il fine prefissato.

La galleria di individui nel popolo di Hitler infranse ogni “regola morale” per servirlo e si comportò, secondo le parole di Hayek, “in modo completamente privo di scrupoli e letteralmente capace di tutto”.

Nel suo Gulag Archipelago, Aleksandr Solženicyn spiegò il concetto di grandezza della soglia, un termine usato in fisica per spiegare fenomeni che non esistono finché non viene raggiunta una certa soglia. 

“Anche il male”, scrisse Solzhenitsyn, “ha una grandezza della soglia”.

Un essere umano esita e oscilla avanti e indietro tra il bene e il male per tutta la vita. Scivola, ricade, si arrampica, si pente, le cose cominciano a oscurarsi di nuovo. Ma finché la soglia del male non viene varcata, la possibilità di tornare indietro rimane palpabile, e lui stesso è ancora alla portata della speranza.

Solženicyn spiegò che quando “attraverso la densità delle azioni malvagie, o del loro estremo pericolo, o dell’assolutezza del suo potere” una persona supera quella soglia, “lascia l’umanità indietro, così come la possibilità di tornare sui suoi passi”.

Hitler's People è la documentazione di persone che si sono lasciate “alle spalle la loro umanità” senza “possibilità di tornare sui propri passi”. Il nazismo, nelle parole del romanziere e saggista Martin Amis, funzionava tramite un “appello diretto al cervello rettile”.

Nella sua ricerca storica, Evans analizza le fonti primarie per rivelare come è accaduto l'impensabile e cosa possiamo imparare dalla normalizzazione di una “moralità perversa”.

Evans è chiaro sul perché dobbiamo imparare: la gente di Hitler “non era psicopatica, né squilibrata, pervertita, o pazza. Oltre a contraddire l'evidenza, pensare a loro come depravati, devianti o degenerati li pone al di fuori dei confini dell'umanità e quindi funge da forma di discolpa per il resto di noi, passati, presenti e futuri”.

La gente di Hitler non era quella “che viveva ai margini della società, o che cresceva al di là della corrente sociale dominante. Era costituita da gente definita normale secondo gli standard dell'epoca. Condivideva gli attributi culturali convenzionali della borghesia tedesca, era colta, o suona uno strumento musicale con una certa competenza, o dipinge, o scriveva di narrativa o poesia”.

Se cercate uno storico che attribuisca tutta la colpa a Hitler, non lo troverete in Evans. “Le istituzioni e le tradizioni tedesche e, più in generale, il popolo tedesco stesso” vengono esaminate e ritenute responsabili. Hitler non si è limitato a “sedurre le persone a seguirlo: sono stati i suoi seguaci a ispirarlo a guidarli”.

Il popolo tedesco era complice dell'odio di Hitler, non ne era vittima. Evans rifiuta “l'idea che la stragrande maggioranza dei tedeschi ignorasse le realtà del nazismo. Quasi tutti i tedeschi hanno avuto l'opportunità di osservare di persona la violenza omicida dei nazisti, o di apprendere delle fucilazioni di massa e delle gasazioni degli ebrei ad Auschwitz dai resoconti inviati a casa dai soldati del fronte orientale, o riportati in Germania dai soldati in licenza”.

La conclusione di Evans non è una congettura. Porta alla luce “rapporti segreti nazisti sugli atteggiamenti popolari verso gli ebrei dal 1933 al 1945”. Tali rapporti mostravano “una conoscenza diffusa” sul destino degli ebrei e “l'approvazione popolare” e le linee di politica naziste nei loro confronti.

Detto questo, le opinioni di Evans sono sfumate. Non crede “che l'antisemitismo sterminatorio, la sottomissione all'autorità, la brama di conquista, il militarismo e caratteristiche simili, fossero intrinseche nel senso di identità nazionale dei tedeschi”.

Non sottovalutate “la profondità e l'ampiezza della coercizione e della violenza usate dai nazisti per mettere in riga i tedeschi”, scrive Evans. “La sorveglianza e il controllo [...] non erano esercitati solo dalla Gestapo ma, cosa più importante, da funzionari come i 'Block Wardens', più di due milioni dei quali supervisionavano i rispettivi blocchi stradali”.

Leggendo Evans, potremmo riflettere se l'odio, come un fuoco represso, giaccia dormiente in molti di noi, pronto a esplodere se gliene venisse data la possibilità. Hitler e i suoi tirapiedi potrebbero aver creato le condizioni esterne, ma il popolo tedesco era responsabile delle proprie condizioni interiori, quei fuochi che ribollivano nei loro paesaggi mentali.

Sono spesso ossessionato dalla domanda su come gli americani gestirebbero una grave crisi economica, come quella degli anni '30. Molti fuochi stanno già ribollendo nelle menti degli americani, mentre la comprensione e il rispetto per lo stato di diritto e i principi costituzionali stanno scemando.

È importante, conclude Evans, che “il regime nazista non fosse una dittatura prodotta e sostenuta dall'approvazione popolare”. Il sostegno al regime variava a seconda della fascia d'età: “Era popolare e accettato tra i giovani, influenzato dalla scuola, dalla Gioventù hitleriana e dalla permeazione nazista nelle istituzioni sociali”. Meno sostegno è stato riscontrato tra “le persone di mezza età e gli anziani, ad esempio, che avevano formato i loro valori e la loro identità sociale prima del 1933”.

Quali implicazioni ha tutto questo per l'attualità? Oggi, in alcuni distretti scolastici, ai bambini vengono insegnati valori antiamericani e anti-famiglia. Gli studenti di giurisprudenza, alcuni dei quali diventeranno futuri giudici, vengono istruiti da professori che non rispettano il diritto costituzionale. Molti fuochi latenti vengono accesi.

Evans continua: “Superare divisioni e antagonismi politici, economici e sociali apparentemente incolmabili creando una comunità di persone autentica e unitaria” era la promessa di Hitler. Naturalmente gli ebrei erano esclusi, ma il punto è agghiacciante: in tempi di crisi, quando le persone non sono unite attorno a principi costituzionali che consentono la prosperità umana, i demagoghi totalitari riempiranno quel vuoto.

Vogliamo, quindi, costruire un'America attorno alla “visione” di una persona e a uno scopo comune imposto? Hayek ed Evans ci avvertono che un popolo senza scopo potrebbe dare un senso alla propria vita adottando lo scopo di un despota.

La coesione sociale si realizza meglio attorno a uno scopo comune, ma attorno alla fiducia in principi comuni che guidano le nostre azioni. Senza principi comuni, una nazione viene trascinata dalla corrente di uno scopo comune e, tramite la coercizione, scivola verso una forma di governo totalitario.

Evans ci trasmette un messaggio d'impatto: il significato unificante che il popolo tedesco trovò fu l'odio. Anche verso la fine della guerra c'era ammirazione per Hitler, fiducia nell'“acquisizione di spazio vitale” e la necessità di distruggere il “bolscevismo” e gli ebrei.

L'odio alimentò i nazisti e distrusse la Germania. L'odio distruggerà qualsiasi nazione che non tenga conto delle lezioni della storia. Hitler's People è altamente consigliato a chiunque voglia capire perché.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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1 commento:

  1. E pensare che adesso il nazismo è diventato strumento degli oligarchi

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