venerdì 8 novembre 2024

Un testo elementare sul libero mercato dell'elettricità

 

 

di Robert Bradley

L'elettricità è uno dei settori più regolamentati dell'economia statunitense. Un secolo di barriere all'ingresso e tariffe dei servizi pubblici non ha fatto altro che far soccombere il settore a tutta una serie di nuovi interventi governativi. L'elettricità all'ingrosso è pianificata centralmente nella maggior parte degli stati, creando un mercato al dettaglio artificiale. Allo stesso tempo le politiche governative hanno sempre più sostituito la generazione termica (gas naturale, petrolio, carbone e nucleare) con energia eolica e solare intermittente, cosa che richiede costosi accumulatori di energia sotto forma di batterie.

Oggi un numero crescente di regioni è soggetto a tariffe elettriche in aumento, appelli per la conservazione e interruzioni del servizio. Il grande blackout del Texas del febbraio 2021 ha causato centinaia di morti per mancanza di riscaldamento e altri servizi, per non parlare di cento miliardi di dollari di danni. La California, che nel 2000-2001 ha subito carenze che hanno portato alla chiusura di aziende e scuole, sopporta tariffe “verdi” che sono il doppio rispetto alla media nazionale. Altri stati e regioni stanno perseguendo linee di politica che preannunciano risultati simili.

La discoordinazione economica può creare disagi, interrompere il servizio e persino uccidere, ma questa minaccia all'elettricità affidabile e conveniente non è il risultato di un fallimento del mercato, bensì di un fallimento dello stato, alimentato anche dagli errori dei cosiddetti esperti fuorviati dal problema della conoscenza e dalla politicizzazione.


Elettricità regolamentata

Per più di un secolo, l'elettricità è stata regolamentata come un “monopolio naturale”. Negli ultimi decenni la rete interconnessa per la distribuzione dell'elettricità (“la rete”) è stata regolamentata come un “bene comune”.[1] Una transizione forzata all'eolico e al solare, guidata da Big Green, ha creato una tempesta perfetta di aumenti dei costi e instabilità del servizio. Questo tsunami statalista implora un'alternativa non governativa.

La teoria del monopolio naturale postula situazioni in cui un'azienda porta all'esaurimento le economie di scala, acquistando concorrenti e raggiungere una posizione dominante al minor costo. La progressione naturale verso il controllo del singolo permette a un'azienda di “sfruttare” i consumatori.

“È riconosciuto che la moltiplicazione dei cavi aerei è un male e un pericolo impellente", scrisse un riformatore nel 1889. “Si può dubitare che sia il colmo della follia continuare lungo questa strada, e che davvero l'unico modo razionale di affidare il servizio elettrico a società costituite sia consentire a una sola società di operare in un distretto e controllare i prezzi con mezzi diversi dalla concorrenza?”[2]

Circa 80 anni dopo l'economista Alfred Kahn descrisse la “prestazione accettabile” per il “monopolio regolamentato” come una situazione in cui c'è bisogno di “barriere all'ingresso, impostazione dei prezzi, prescrizione della qualità e delle condizioni del servizio, e l'imposizione di un obbligo di servire tutti i richiedenti a condizioni ragionevoli”.[3] Il quid pro quo della protezione del franchising per l'azienda in cambio di tariffe massime autorizzate da un'autorità centrale divenne noto come patto di regolamentazione.

La regolamentazione dell'elettricità da parte dei servizi pubblici è stata affiancata negli ultimi decenni da un regime normativo più completo: un mercato energetico all'ingrosso pianificato centralmente e basato sull'accesso aperto obbligatorio (AAO) nella trasmissione, da cui può emergere la “concorrenza” sia nella generazione che nella distribuzione. Per portare l'energia alle case e alle aziende, la regolamentazione interstatale da parte della Federal Energy Regulatory Commission (FERC) a metà degli anni '90 è stata affiancata dall'AAO intrastatale a partire dalla California (1996) e dal Texas (1999).[4]

Sotto il cosiddetto retail wheeling, l'utility in franchising ha mantenuto il suo monopolio di trasmissione con tariffe “disaggregate” limitate più un ragionevole ritorno (secondo la regolamentazione dei servizi pubblici). Ma l'utility ha dovuto consentire ai generatori e ai rivenditori esterni di accedere ai suoi cavi, creando rivalità con l'utility in franchising.

Questo sistema non è né una deregolamentazione né una stazione di passaggio verso la deregolamentazione. L'accesso aperto obbligatorio viola i diritti di proprietà privata sottraendo il controllo ai proprietari (dei servizi). “Quello che è tuo è mio”, hanno scritto due critici di questo “socialismo infrastrutturale”.[5]

In secondo luogo, il collegamento vitale della trasmissione è rimasto sotto una rigida regolamentazione in fatto di servizi pubblici.

In terzo luogo, un'entità governativa è tenuta a pianificare e coordinare la rete socializzata di fatto. Ciò che veniva fatto prima dall'azienda, ovvero acquistare, trasportare e vendere energia in base “all'obbligo di servire”, adesso è coordinato dai dipendenti dell'Independent System Operator (ISO) o del Regional Transmission Organization (RTO). Entrambe le agenzie governative si spingono ben oltre il controllo ingegneristico delle operazioni di rete: determinano i prelievi, i prezzi e il rilascio.[6]

Le sette agenzie centrali sono mostrate nella Figura 1, con la regolamentazione tradizionale che governa il Nordovest, il Sudovest e il Sudest (tutti o parte di 17 stati).

Fonte: Federal Energy Regulatory Commission

La decantata “concorrenza” in base all'AAO è artificiale, forzata, sollevando il problema dell'eccesso di entrate e dello spreco di risorse rispetto a ciò che emergerebbe in un vero processo di scoperta di libero mercato.

“Ma niente è così permanente come un programma governativo temporaneo”, scrissero Milton e Rose Friedman nel 1983.[7] La spinta alimentata dallo stato per l'energia eolica e solare dimostra questo punto.

Operativamente collaudati a New York fin dal 1880, le turbine eoliche e i pannelli solari non sono industrie nascenti. Essendo diluite e intermittenti (il sole non splende sempre, né il vento soffia perennemente), entrambe le fonti di energia erano antieconomiche e indesiderate per generare elettricità, soprattutto se confrontate con l'elettricità più affidabile e distribuibile generata prima col carbone e l'idroelettrico, poi con il petrolio e il gas naturale.

L'attuale boom dell'energia eolica può essere ricondotto all'Energy Policy Act del 1992, il quale ha introdotto un considerevole credito d'imposta per ogni kilowattora generato. Destinato a scadere nel 1999, il credito è stato prorogato 14 volte. Il beneficio fiscale ha persino consentito ai produttori di energia eolica di offrire prezzi negativi, pagando le persone per usare l'elettricità. Tale situazione paradossale ha causato il ritiro prematuro di mezzi affidabili di produzione di energia e l'assenza di nuovi ingressi nel settore, esponendo la rete a problemi di affidabilità in periodi di picco della domanda o eventi imprevisti.

I sussidi federali per l'energia solare risalgono al 1978 e sono stati prorogati 15 volte. Il boom risale all'EPAct del 1992, il quale ha triplicato l'Investment Tax Credit (ITC) per coprire il 30% dei costi di installazione dell'energia solare.

La duplicazione della rete con una generazione più costosa e inaffidabile è una storia di lobbying spiegata dal fenomeno dei benefici concentrati, dei costi diffusi e dalla politica dei battisti (ambientalisti) e dei contrabbandieri (aziende eoliche e solari). La linea di politica governativa in questi casi ha creato grandi industrie che avrebbero avuto solo applicazioni di nicchia, come l'energia solare fuori dalla rete.

Il controllo della rete da parte di ISO/RTO ha semplificato l'ingresso dell'energia eolica e solare in grandi regioni. Le preferenze fiscali sproporzionate, le disposizioni federali obbligatorie e il basso costo marginale hanno garantito un rapido ingresso dell'elettricità più costosa e meno affidabile. La politica climatica della decarbonizzazione è evidente nelle sette regioni di controllo.


Normativa di libero mercato

Un libero mercato dell'elettricità è definito come l'assenza di proprietà, controllo o regolamentazione governativa. Elettricità e stato sono separati, a parte la protezione legale contro la forza o la frode. Lo stato sostiene in modo neutrale l'applicabilità dei contratti privati e di altre norme di mercato in base allo stato di diritto.

La proprietà e il controllo privati dirigono ogni fase del settore, dalla generazione alla trasmissione fino alla consegna e all'utilizzo finali. Entrata, uscita, prezzi e altri termini di servizio non sono prescritti dallo stato in un contesto di libero mercato. L'organizzazione industriale (come l'integrazione verticale o orizzontale) non è limitata; il coordinamento dei gruppi commerciali e la cooperazione tra aziende sono esenti da controllo antitrust. Oltre a ciò, un processo di scoperta del mercato determinerebbe i particolari del settore.

Il liberalismo classico mette in guardia contro la direzione e il controllo dello stato, dal socialismo assoluto (proprietà municipale) alla protezione del franchising e ai massimali tariffari basati sui costi (regolamentazione dei servizi pubblici), all'accesso aperto obbligatorio per le parti esterne (un'acquisizione non compensata), ai requisiti dell'energia rinnovabile (la sostituzione forzata dell'energia eolica e solare).[8]

La storia offre forti prove a favore dei mercati liberi rispetto al controllo statale dell'elettricità. I problemi di regolamentazione e pianificazione in un contesto politico hanno portato a un secolo di interventi in espansione, da locali a statali fino a quelli federali (si veda la Figura 2).

L'era dell'elettricità di libero mercato, frutto dell'azione umana ma non della progettazione umana, risale all'inizio del settore fino all'avvento della regolamentazione dei servizi pubblici. La “regolamentazione tramite concorrenza” è durata decenni: a New York dal 1882 al 1905; in Illinois dal 1881 al 1914; in California dal 1879 al 1911.[9]

L'era del mercato fu caratterizzata da tariffe in calo, utilizzo in espansione e servizio affidabile.[10] “Vendi il tuo prodotto a un prezzo [che] ti consentirà di ottenere un monopolio”, disse il padre del moderno servizio elettrico integrato (e protetto di Thomas Edison), Samuel Insull, prima della regolamentazione dei servizi pubblici nel suo stato.[11]

La politica tariffaria “taglia e vinci” e “ridicolmente bassa” di Insull consolidò ed espanse il mercato di Chicago, un modello che poi portò nei sobborghi e nelle campagne.[12] Con il suo territorio assicurato, questo cosiddetto monopolista naturale cercò di “fare di tutto per abbassare i costi di produzione [...] in modo da servire il pubblico e ottenere/conservarne la buona volontà”.[13]

Il processo di mercato non veniva mai terminato dopo che un'azienda aveva consolidato un'area sostituendo piccole e inefficienti “dinamo” con grandi generatori in stazioni centrali e installando una trasmissione a valle per raggiungere utenti distanti. La competizione per il mercato era un processo, non un punto di arrivo.

Insull sfruttò le economie di scala, dalla “produzione di massa” al “vangelo del consumo”. Il fattore di carico fondamentale, ovvero l'utilizzo medio delle apparecchiature di generazione e trasmissione, richiedeva di riempire le valli di utilizzo tra i picchi. La redditività della stazione centrale, per non parlare dell'affidabilità, era guidata da una tariffazione in due parti, in base alla quale gli utenti pagavano un sovrapprezzo speciale per i macchinari in modo che fossero pronti per il loro picco di domanda. Le utility interconnettevano le loro reti (la “superutility”) per migliorare i fattori di carico con meno investimenti.[14] Tutto questo come se fosse guidato da una “mano invisibile”.

La fisica dell'elettricità guidava gli imprenditori di mercato. L'integrazione verticale e orizzontale rifletteva economie di scala con una merce che doveva essere consumata nel momento in cui veniva generata. L'affidabilità doveva essere infallibile, le case elettrificate e gli uffici cablati non potevano rimanere al buio, gli ascensori e i tram non potevano essere bloccati. L'accumulo in batterie di emergenza entrò in scena a metà del decennio del 1890, per quanto costoso serviva a evitare i costi umani e finanziari dei blackout.[15]

Le operazioni integrate e dirette dal mercato determinarono un'accessibilità economica senza precedenti e un servizio continuo e coordinato. La responsabilità era sotto lo stesso tetto del capitale di quella (grande) azienda a rischio di blackout. È vero, pochi o nessun indipendente nella generazione, trasmissione o distribuzione potevano competere con il “monopolio naturale”, tuttavia l'unicità dell'elettricità richiedeva un funzionamento multifase altamente coordinato, evidente nel petrolio e nel gas naturale (in un libero mercato). La protezione governativa del franchising non era necessaria.

L'elettricità non è mai stata considerata una risorsa comune in contrasto con i diritti di proprietà privata definibili e un funzionamento efficiente. La teoria dei “beni comuni” è nata solo con la trasmissione ad accesso aperto imposta dallo stato, di per sé una chiara violazione dei diritti di proprietà privata. Durante l'era di mercato dell'elettricità, ampie aree di controllo o bilanciamento (economie di scala) erano all'interno dell'azienda, non all'esterno.


Regolamentazione guidata dalle utility: monopolio innaturale

Le economie di scala riducono notevolmente la rivalità tra aziende, ma lo “sfruttamento”, in cui un monopolista naturale trattiene l'offerta o aumenta i prezzi per i suoi clienti prigionieri, non è pervenuto. “La teoria economica del monopolio naturale è estremamente breve ed [...] estremamente poco chiara”, ha osservato l'economista Harold Demsetz. “Non riesce a dimostrare i passaggi logici che la portano dalle economie di scala nella produzione al prezzo di monopolio sul mercato”.[16]

Infatti i “monopolisti naturali” si sono rivolti al monopolio innaturale tramite la regolamentazione dei servizi pubblici a livello statale. In un discorso storico del 1898 davanti alla National Electric Light Association (ora Edison Electric Institute), Samuel Insull della Chicago Edison Company chiese una via di mezzo tra “socialismo municipale” e “concorrenza”.

Il franchising competitivo, si lamentava, “spaventa l'investitore e costringe le aziende a pagare un prezzo molto alto per il capitale”. Un consolidamento “inevitabile” pone fine allo spreco economico di strutture duplicate. La soluzione era il quid pro quo di franchigie esclusive per la regolamentazione delle tariffe.

Il miglior servizio al prezzo più basso possibile può essere ottenuto solo [tramite] franchigie esclusive [...] unite alla condizione del controllo pubblico che richiede che tutti i prezzi per i servizi stabiliti dagli enti pubblici siano basati sul costo, più un profitto ragionevole [...]. Più certa è la protezione [del franchising], più basso sarà il tasso d'interesse e più basso sarà il costo totale di esercizio e, di conseguenza, più basso sarà il prezzo del servizio per gli utenti pubblici e privati.[17]

Le tariffe scesero e il servizio si espanse rapidamente senza tale regolamentazione. Non c'era alcun “fallimento del mercato”, tanto meno un notevole malcontento dei contribuenti. I leader del settore dovevano creare la domanda di regolamentazione con campagne di pubbliche relazioni e sforzi di lobbying.[18]

Insull e altri leader del settore desideravano bloccare nuovi entranti e assicurarsi un profitto migliore con la regolamentazione del costo del servizio, ma una preoccupazione primaria era quella di evitare una regolamentazione locale potenzialmente punitiva e la minaccia della municipalizzazione.[19] L'economia politica della regolamentazione, che come una valanga avrebbe portato a una serie di nuove norme, era evidente.

Fallimento ed espansione della regolamentazione

Le commissioni statali che regolamentavano l'elettricità come servizio pubblico iniziarono nel Massachusetts (1887), New York (1905) e Wisconsin (1907). Il fervore intellettuale e industriale per tale controllo portò all'adesione di altri 35 stati all'inizio degli anni '20 del Novecento.[20]

Adottati come ideale progressista, esperti imparziali si misero a implementare una regolamentazione “scientifica” basata su dati determinabili, ma la soggettività intervenne e i monopolisti legali “impararono a regolamentare la regolamentazione”.[21] Le utility giocarono con la regolamentazione del costo del servizio massimizzando (gonfiando) la base tariffaria e sfuggirono alla giurisdizione delle commissioni statali tramite transazioni interaziendali o interstatali.

“I primi sostenitori della regolamentazione statale”, osservò l'economista John Bauer, “pensavano di aver trovato il modo di sfruttare il monopolio privato a vantaggio pubblico”. Invece

la regolamentazione è stata inefficace. Non ha fornito l'estensione e la regolarità della protezione dei consumatori come previsto [...]. Peggio ancora, ha permesso le perversioni di organizzazione e gestione nel settore dell'energia elettrica durante gli anni '20, le quali hanno creato ulteriori barriere a una regolamentazione soddisfacente.[22]

Un crollo della regolamentazione portò a un intervento sempre più ampio.[23] Due importanti leggi del New Deal vennero promulgate nel 1935: il Federal Power Act estese la regolamentazione dei servizi pubblici al commercio interstatale, conferendo poteri alla Federal Power Commission (ora Federal Energy Regulatory Commission); il Public Utility Holding Company Act impedì alle società di holding elettriche (e del gas) di possedere proprietà separate in stati diversi. L'integrazione orizzontale era limitata a una proprietà contigua. Seguirono importanti disinvestimenti di società di gas ed elettricità.[24]

Colmare le lacune normative con un intervento sempre più ampio (da locale a statale a federale) era all'ordine del giorno (vedere Figura 2). L'affidamento alla “regolamentazione tramite la concorrenza” venne politicamente dimenticato.[25]

Fonte: Immagine dell'autore


Replica liberale classica

La regolamentazione dei servizi di pubblica utilità venne poco contestata fino agli anni '60, quando gli economisti di libero mercato riesaminarono il caso del fallimento del mercato e dell'intervento statale “correttivo”.

In Capitalism and Freedom, Milton Friedman sosteneva il “monopolio privato non regolamentato ovunque questo fosse tollerabile”.[26] George Stigler si schierò dalla parte dei mercati imperfetti, confrontando la teoria con la pratica: “I meriti del laissez-faire si basano meno sui suoi fondamenti teorici e più sui suoi vantaggi nei confronti delle prestazioni effettive di forme rivali di organizzazione economica”.[27]

Harvey Averch e Leland Johnson spiegarono il gold-plating, un processo mediante il quale le aziende soggette a regolamentazione dei servizi di pubblica utilità sono incentivate ad ampliare artificialmente (e in modo antieconomico) la base tariffaria su cui viene calcolato il loro tasso di rendimento regolamentato.[28] Più investimenti di capitale, maggiori profitti. Con una base tariffaria deprezzabile su cui applicare il tasso di rendimento consentito, si incoraggiava un investimento eccessivo per mantenere la redditività. Mantenere le apparecchiature obsolete nei libri contabili era una strategia; stipulare contratti per centrali nucleari nonostante il rischio di ritardi nella costruzione e costi gonfiati era un'altra.

“Why Regulate Utilities?” (1968) di Harold Demsetz fornì un'indicazione per la libera concorrenza di mercato. Sosteneva che la rivalità per un franchising forniva concorrenza per il settore. In altre parole, più aziende potevano fare offerte per vincere i diritti di monopolio dove i vantaggi delle economie di scala si sarebbero riflessi nelle tariffe e in altri termini di servizio.

Gli acquirenti, seguendo questa linea di ragionamento, potevano organizzarsi come un monopsonio per stipulare contratti contro un'unica azienda già operativa. Senza regolamentazione, gli imprenditori terzi potevano sottoscrivere blocchi di contribuenti per contrastare un'azienda di servizi di pubblica utilità con un unico venditore ed evitare lo “sfruttamento”. Avvocati e consulenti avrebbero avuto una nicchia di libero mercato per realizzare l'autoregolamentazione e lo stato sarebbe stato messo da parte.

Scrisse Demsetz: “[L]a rivalità del mercato aperto disciplina in modo più efficace rispetto ai processi normativi delle commissioni. Se i dirigenti delle aziende di servizi di pubblica utilità dubitano di questa convinzione, suggerisco loro di riesaminare la storia del loro settore per scoprire chi ha fornito la maggior parte della forza dietro il movimento normativo”.[29] Infatti non sono stati i consumatori, ma coloro che dovevano essere regolamentati, con gli esperti al seguito, a fare pressioni per ottenere il patto normativo.

Non furono solo gli economisti della Scuola di Chicago a mettere in discussione il monopolio naturale come pretesto per la regolamentazione dei servizi di pubblica utilità.[30] L'economista aziendale Walter Primeaux Jr. ha documentato la rivalità tra aziende, definita come “situazione in cui due aziende elettriche servono la stessa città e i consumatori hanno la possibilità di essere serviti da un'azienda o dall'altra”.[31] Furono identificate quasi 50 città in una situazione di monopolio non così naturale. Altrimenti esisteva una competizione tra combustibili per diversi servizi energetici, tra cui gas naturale, propano, elettricità e petrolio.

Anche la Scuola Austriaca era in disaccordo con il fallimento del mercato e la regolamentazione dei servizi di pubblica utilità. “Un settore di 'servizi pubblici' non differisce concettualmente da nessun altro, e non esiste un metodo non arbitrario con cui possiamo designare alcuni settori come 'vestiti di interesse pubblico', mentre altri no”, scrisse Murray Rothbard nel 1962.[32] La concorrenza in sé non riguardava il numero di aziende (anche se ce n'era solo una), ma le condizioni di entrata/uscita e di funzionamento senza barriere.

Una visione liberale classica spiegava il processo di mercato intrinsecamente competitivo. La concorrenza poteva comportare una rivalità diretta con strutture duplicate, oppure poteva essere un'unica azienda a mantenere un mercato contro potenziali rivali. In entrambi i casi, i costi privati e pubblici dell'intervento statale potevano essere aggirati e i segnali di mercato ripristinati.

Questa tradizione venne resa popolare da un libro curato da Robert Poole Jr., Unnatural Monopolies: The Case for Deregulating Public Utilities (1985). L'eccesso di capitale e il ritardo normativo erano solo due problemi che impedivano “la modernizzazione e un servizio più responsabile”, spiegava l'introduzione.[33]


Socialismo infrastrutturale: accesso aperto obbligatorio

Gli incentivi perversi basati sulle tariffe (maggiori profitti derivanti dalla sovracapitalizzazione) raggiunsero il loro apice con gli sforamenti di costo associati alle centrali nucleari, di per sé un'industria alimentata dallo stato.[34] I grandi impegni per il nucleare da parte delle utility negli anni '60 provocarono problemi senza precedenti negli anni '70, persino cancellazioni in fase di costruzione. Nel frattempo il rapido miglioramento della generazione a gas naturale creò una grande disparità tra il costo marginale dell'energia generata dai nuovi impianti rispetto al costo medio dell'energia gonfiato dalle utility.

Con la legislazione federale del Public Utility Regulatory Policies Act del 1978 (PURPA), che sovvenzionava i produttori di energia indipendenti, in particolare la cogenerazione a gas, i gruppi di clienti fecero pressioni per un'elettricità più economica che potesse essere trasportata a tariffe con tetto massimo dei costi. Ciò suscitò entusiasmo tra economisti e regolatori a favore dell'accesso aperto obbligatorio, in base al quale le utility erano obbligate ad aprire i loro cavi (regolati dalle tariffe) a terze parti tra l'impianto di generazione e il consumatore. L'Energy Policy Act del 1992 prescriveva tale “wheeling” interstatale, così come le successive iniziative a livello statale per l'accesso all'ultimo miglio (al dettaglio).[35]

L'AAO ha declassato la pianificazione e il servizio di pubblica utilità all'autorità dello stato per quanto riguarda chi, cosa, dove e quanta energia, e su più aree di pubblica utilità. I bacini di energia centralizzati ISO/RTO hanno consentito alle nuove aziende di acquistare e vendere la merce. La continua regolamentazione della trasmissione-distribuzione da parte dei servizi pubblici (“mettere in quarantena il monopolio”) ha consolidato la protezione del franchising, eliminando al contempo l'incentivo del profitto per il miglioramento.

Il calcolo economico ha tormentato le ISO/RTO: per le aziende la determinazione dei prezzi in due parti (tariffa di domanda e tariffa volumetrica) ha consentito di soddisfare la domanda di picco in modo redditizio, ma per i pianificatori centrali incaricati dell'affidabilità dell'intero sistema le diverse opzioni si sono rivelate difficili e persino distruttive. Alcune regioni hanno implementato “tariffe di capacità” per premiare i generatori per la capacità di riserva. Altre hanno puntato su prezzi “solo energia”, scommettendo che un'ampia capacità sarebbe stata incitata da periodici cali di prezzo. La “taglia unica” ha sostituito una tariffa personalizzata e meno centralizzata per il cliente.

Il benessere dei consumatori e “l'obbligo di servire” sono andati perduti nella transizione alla pianificazione centralizzata, così come nella ricerca governativa di decarbonizzazione. Peggio ancora, gli errori delle agenzie governative (come l'aumento in preda al panico dei prezzi della sola energia in Texas nel febbraio 2021) sono stati protetti dall'immunità sovrana.


Riforma di libero mercato

Un libero mercato dell'elettricità porrebbe fine alle attuali disposizioni di statuti federali come il Power Act del 1935, il Public Utility Holding Company Act del 1935, il Public Utility Regulatory Policies Act del 1978, l'Energy Policy Act del 1992, l'Energy Policy Act del 1995 e l'Inflation Reduction Act del 2022. L'abrogazione della regolamentazione dei servizi pubblici sarebbe richiesta a livello statale, tra cui il Public Utility Regulatory Act del 1975 del Texas, il Public Utility Regulatory Act del 1995 e l'Electric Restructuring Act del 1999.

Le riforme di cui sopra eliminerebbero le funzioni elettriche della Federal Energy Regulatory Commission (nata Federal Power Commission) e della Securities and Exchange Commission, nonché, in Texas, della Public Utility Commission e dell'Electric Reliability Council. Organismi semi-governativi come la North American Electric Reliability Corporation e la National Association of Regulatory Utility Commissioners verrebbero riorganizzati secondo linee private, o chiusi.

In altre parole, un programma di riforma di libero mercato eliminerebbe:

• Protezione delle franchigie, regolamentazione delle tariffe e regole di entrata/uscita

• Decreti di trasmissione a livello federale e statale

• Limitazioni della struttura del settore

• Sussidi fiscali e altre preferenze per nucleare, eolico, solare, batterie, ecc.

• Restrizioni sugli accordi volontari tra aziende (legge antitrust)

Un vero libero mercato basato sui diritti di proprietà privata mette gli imprenditori in cerca di profitto, non i regolatori e i pianificatori, a capo della produzione, trasmissione e distribuzione dell'elettricità. Le aziende sarebbero contrattualmente soggette ai consumatori o ai loro rappresentanti. Cesserebbero gli incentivi malevoli che aumentano le tariffe, così come le spese associate a terze parti.

Dell'esercito di esperti e pianificatori nel mondo dell'elettricità politicizzata, alcuni diventerebbero dipendenti o consulenti per le aziende con potere di mercato o rappresenterebbero blocchi di consumatori che negoziano con queste aziende. Con la pianificazione centralizzata e i dettagli normativi declassati, le risorse liberate e l'imprenditorialità ampliata spingerebbero il processo di distruzione creativa alla ricerca di tariffe migliori e altri termini di servizio.


Conclusione

Il libero mercato non ha fallito nell'offrire i suoi benefici nei decenni iniziali dell'elettricità commerciale. Gli imprenditori, sebbene ostacolati dallo stato, hanno servito con successo case, aziende e industrie. Il risultato complessivo è stato un ordine non progettato che ha premiato sia i fornitori che i consumatori.

La svolta verso la regolamentazione dei servizi pubblici era politica, non economica. Una fede ingenua nel controllo capillare ha conferito nuovi poteri allo stato, ma le soluzioni si sono rivelate illusorie poiché tale interventismo ha creato nuovi problemi. I regolatori non erano imparziali e le questioni complicate sui costi “prudenti” e sui profitti “ragionevoli” sono diventate punti critici.

Le basi tariffarie gonfiate dei servizi hanno creato una grande discrepanza nei costi che l'accesso aperto obbligatorio pretendeva di fornire ai consumatori. Ma la pianificazione centrale, unita all'integrazione della generazione eolica e solare alimentate dallo stato, ha lasciato i contribuenti e l'economia con il peggiore dei mondi possibili.

L'elettricità di libero mercato si basa su fondamenta teoriche ed evidenti consolidate nel tempo. Purtroppo l'alternativa liberale classica alla regolamentazione pesante è stata ignorata (non confutata) per più di un secolo. Un ripensamento radicale e una successiva riforma politica promettono di abbassare le tariffe, garantire l'affidabilità e liberare risorse per il resto dell'economia: una vittoria quasi per tutti, tranne che per una parte della popolazione politica che, giustamente, dovrebbe essere smantellata.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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Note

[1] La tesi delle risorse comuni organizzate dallo stato è stata avanzata da L. Lynne Kiesling, Deregulation, Innovation and Market Liberalization: Electricity Regulation in a Continually Evolving Environment (New York: Routledge, 2009), capitolo 8.

[2] Charles Whiting Baker, Monopolies and the People (New York: G. P. Putnam’s Sons, 1889), pp. 66–67. Nel 1920 la questione principale era come regolare al meglio il mercato. Si veda, per esempio, Charles Stillman Morgan, Regulation and the Management of Public Utilities (Boston, MA: Houghton Mifflin, 1923).

[3] Alfred Kahn, The Economics of Regulation: Principles and Institutions (Cambridge, MA: The MIT Press, 1970, 1995), vol. 1, pp. 3, 11.

[4] Questo intervento fu preceduto dalle leggi del diciannovesimo secolo sugli acquirenti comuni e sui trasportatori comuni emanate grazie alla forza politica dei produttori di petrolio greggio a spese degli oleodotti. Robert L. Bradley Jr., Oil, Gas, and Government: The U.S. Experience (Lanham, MD: Rowman & Littlefield, 1996), pp. 118–119, 609–18. Ha sfruttato la cosa anche l'AAO a spese degli oleodotti di gas naturale. Robert L. Bradley Jr., “The Distortions and Dynamics of Gas Regulation” in New Horizons in Natural Gas Deregulation, ed. Jerry Ellig and Joseph Kalt (Westport, CT: Praeger, 1996), pp. 16–19.

[5] Adam D. Thierer and Clyde Wayne Crews Jr., What’s Yours Is Mine: Open Access and the Rise of Infrastructure Socialism (Washington, DC: Cato Institute, 2003).

[6] In termini di economia politica queste agenzie svolgono una “pianificazione non esaustiva”, in contrapposizione alla piena proprietà e al controllo delo stato. Don Lavoie, National Economic Planning: What Is Left? (Cambridge, MA: Ballinger Publishing, 1985), pp. 3–4.

[7] Milton and Rose Friedman, Tyranny of the Status Quo (New York: Harcourt Brace Jovanovich, 1983), p. 115.

[8] I mandati di utilizzo finale e la regolamentazione della conservazione sarebbero un'altra intrusione al di fuori delle azioni di mercato nel settore elettrico. La domanda sarebbe regolata da prezzi e contratti, non da politiche governative.

[9] Prima della regolamentazione statale i comuni emettevano franchigie e spesso prescrivevano tariffe massime. Ma non tutti lo facevano e le utility avevano generalmente margine di manovra entro i vincoli tariffari. Anche sfide legali e lasca applicazione delle norme hanno caratterizzato l'era del libero mercato dell'elettricità.

[10] Robert Bradley, Jr. “The Origins of Political Electricity: Market Failure or Political Opportunism?Energy Law Journal 17, no. 1 (1996), pp. 60–61, 70.

[11] Samuel Insull, “Sell Your Product at a Price Which Will Enable You to Get a Monopoly,” in Central-Station Electric Service: Selected Speeches, 1897–1914 (Chicago, IL: Privately Printed, 1915), p. 116.

[12]
Un biografo di Insull ha descritto la strategia come “una parte di servizio di qualità, due parti di vendita aggressiva e tre parti di tagli alle tariffe”. Forrest McDonald, Insull (Chicago, IL: University of Chicago Press, 1962), p. 104. Si veda Robert L. Bradley Jr., Edison to Enron: Energy Markets and Political Strategies (Hoboken, NJ: John Wiley & Sons; and Salem, MA: Scrivener Publishing, 2011), pp. 71–72.

[13] Samuel Insull, “The Obligations of Monopoly Must Be Accepted”, in Central-Station Electric Service, p. 122.

[14] Bradley, Edison to Enron, pp. 71–77.

[15] Bradley, Edison to Enron, p. 90.

[16] Harold Demsetz, “Why Regulate Utilities?The Journal of Law and Economics 11, no. 1 (April 1968), p. 56.

[17] Insull, “Standardization, Cost System of Rates, and Public Control”, June 7, 1898. Ristampato in Insull, Central-Station Electric Service, p. 45.

[18] Lo sforzo di Insull (e di Theodore Vail) per influenzare l'opinione pubblica verso la regolamentazione implicava “servizi editoriali standard, l'invio di manager a diventare leader di gruppi comunitari, la produzione di articoli scritti da ghostwriter e la modifica dei libri di testo scolastici”. Si veda Marvin N. Olasky, Corporate Public Relations: A New Historical Perspective (Hillsdale, NJ: Lawrence Erlbaum Associates, 1987), capitolo 4.

[19] Bradley, Edison to Enron, pp. 86–88.

[20] Robert L. Bradley Jr. “The Origins of Political Electricity”, pp. 65–66.

[21] William E. Mosher et al., Electrical Utilities: The Crisis in Public Control, ed. Mosher (New York: Harper & Bros., 1929), p. 1.

[22] John Bauer and Peter Costello, Public Organization of Electric Power: Conditions, Policies, and Programs (New York: Harper & Brothers, 1949), pp. 37–38.

[23] Si veda Bradley, “The Origins of Political Electricity”, pp. 81–82.

[24] Douglas W. Hawes, Utility Holding Companies: A Modern View of the Business, Financial, SEC, Corporate Law, Tax, and Accounting Aspects of Their Establishment, Operation, Regulation, and Role in Diversification (New York: Clark Boardman Co., 1987), at 2-18.

[25] Bradley, “The Origins of Political Electricity”, pp. 75–76, 77–78, 78–82.

[26] Milton Friedman, Capitalism and Freedom (Chicago, IL: University of Chicago Press, 1962), p. 155.

[27] George J. Stigler, “Monopoly”, in The Fortune Encyclopedia of Economics, ed.David R. Henderson (New York: Warner Books, 1993), p. 409.

[28] Harvey Averch and Leland L. Johnson, “Behavior of the Firm Under Regulatory Constraint”, American Economic Review 52, no. 5 (1962): 1052–69.

[29] Demsetz, “Why Regulate Utilities?”, p. 65.

[30] Demsetz, “Why Regulate Utilities?”, p. 55. Richard A. Posner, Natural Monopoly and Its Regulation (Preface of the 30th Anniversary Edition. Washington, DC: Cato Institute, [1969], 1999), p. vi.

[31] Walter J. Primeaux Jr., Direct Electric Utility Competition: The Natural Monopoly Myth (New York: Praeger, 1986), p. ix.

[32] Murray Rothbard, Man, Economy and State: A Treatise on Economic Principles (Los Angeles, CA: Nash Publishing, 1962), pp. 619–20.

[33] Robert W. Poole Jr.,Unnatural Monopolies: The Case for Deregulating Public Utilities (Lexington, MA: Lexington Books, 1985). Un capitolo era di Primeaux, presentato a Poole da Gordon Tullock, uno dei fondatori della scuola Public Choice.

[34] Negli anni '50 le centrali nucleari richiedevano limiti di responsabilità (il Price Anderson Act del 1957), cinque anni di uranio arricchito gratuito dalla Atomic Energy Commission e un'azione di pressione da parte dei funzionari statali e federali affinché le aziende di servizi pubblici stipulassero contratti nucleari sotto la protezione della regolamentazione dei servizi pubblici (per il trasferimento dei costi e un profitto).

[35] Si veda Paul L. Joskow, “The Difficult Transition to Competitive Electricity Markets in the United States,” in Electricity Deregulation: Choices and Challenges, ed. James M. Griffin and Steven L. Puller (Chicago, IL: University of Chicago Press, 2005), pp. 31–97. Si veda qui per la versione originale del 2003.

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