Bibliografia

venerdì 1 novembre 2024

La ricchezza di una nazione

 

 

di Francesco Simoncelli

I mercati non necessariamente forniscono ciò che le persone vogliono, ma danno sempre loro ciò che meritano. Se lasciati in pace, i mercati forniscono prodotti, servizi, svaghi, droghe, alcol... qualsiasi cosa per cui le persone paghino volentieri. Quando i burocrati interferiscono (es. sovvenzionando, penalizzando, proibendo) le persone ottengono meno di ciò che vogliono e di più di ciò che vogliono i burocrati. Di solito ottengono anche molto di ciò che nessuno vuole. Gli interventi statali hanno quasi sempre conseguenze impreviste: non riescono a fornire i benefici promessi e quasi sempre comportano conseguenze indesiderate. Ad esempio, i tassi d'interesse ultra bassi hanno portato il Trend primario del 1980-2020 a livelli estremi. Una delle promesse frequenti dei politici è quella di ridurre la “disuguaglianza”. La sinistra italiana diceva che era la sua massima priorità, ma grazie alla politica dei tassi a zero, azioni e obbligazioni hanno entrambi raggiunto massimi da record e i ricchi sono diventati più ricchi che mai. Nel frattempo la crescita del PIL ha rallentato, l'inflazione è aumentata e ci ritroviamo con un rapporto debito pubblico/PIL che non può essere ripagato.

E ora, limitati dall'inflazione, i burocrati non possono resuscitare il boom del 1980-2021. Invece tutto è cambiato: azioni e obbligazioni rischiano di crollare e i burocrati rafforzano il nuovo Trend primario con tassi d'interesse più alti e deficit sproporzionati. E proprio come le loro linee di politica hanno portato a una ricchezza estrema (almeno per alcuni) durante l'ultimo boom, è probabile che le loro nuove linee di politica portino povertà estrema (forse per molti) mentre il nuovo Trend primario fa il suo corso.

I politici, a loro modo, dicono sempre la verità. Omettere pezzi non equivale a mentire. Di conseguenza ecco che l'economia italiana “cresce” se si fa il cherry picking di dati e si omette di spiegare come un'occupazione maggiore, ad esempio, non è sinonimo di crescita economica. Almeno in questo modo, seppur sulla carta, il verbo keynesiano viene soddisfatto: tassare durante i periodi di vacche grasse. Ma davvero sono grasse? Tralasciando la questione controversa del PIL, un dato sulla bocca di tutti i policymaker è l'occupazione, a detta loro da record. In realtà, è il sommerso che è diminuito, ma questi posti di lavoro già esistevano prima sono semplicemente venuti alla luce adesso; non è stato aggiunto niente. Poi, come da immagine qui sotto, la produzione industriale è in calo da 19 mesi consecutivi; difficile affermare che le cose stiano migliorando se si esclude questo parametro fondamentale.

In particolar modo, non si può affermare una crescita sostenuta in presenza di debito pubblico e deficit fuori controllo... a meno che, ovviamente, non vengano intesi come “anticipo” di una crescita futura, una ipoteca su quest'ultima attraverso uno stimolo fiscale. La questione tasse, infine, è un altro aspetto critico. È vero che non ne sono state create di nuove... sono state semplicemente aumentate le vecchie. Dalle rivalutazioni catastali, i limiti tolti alla web tax e la sua imposizione sul fatturato (cosa che colpisce particolarmente le PMI), la diminuzione delle detrazioni fiscali, ecc. abbiamo un'economia tutt'altro che frizzante ma con un nodo alla gola stretto sempre di più.

E come se non bastasse, a livello europeo è arrivato un nuovo giro di vite che va a penalizzare gli standard di vita delle persone. La teoria economica ci ricorda, in particolare attraverso la voce di Ricardo, che il vantaggio comparato è un supporto per quelle nazioni specializzate in altro. Ancora meglio, è un sollievo per quelle nazioni che devono rimettere in sesto il proprio comparto industriale chiave a causa di scelte imprenditoriali scellerate. Come già affermato all'inizio di questo pezzo, tale è il risultato quando si vogliono soddisfare i “desideri” dei burocrati piuttosto che quelli delle persone. Per essere più specifici, uno dei comparti industriali più in sofferenza è quello delle auto. Detto in modo diretto, nessuno le vuole. Ciononostante il chiaro messaggio che erutta dalle sale decisionali dell'Europa è quello di ridurre l'impronta di anidride carbonica, a qualunque costo. Di conseguenza, malgrado il flop delle auto elettriche, Stellantis decide di continuare a puntare su una scommessa perdente dato che dal prossimo anno i limiti alle emissioni di CO₂ diventeranno più stringenti. Non solo, a ciò bisogna aggiungere un mercato del lavoro ingessato, tassato e i cui costi sono decisamente alti; senza contare, poi, che l'Europa non gode di materie prime in grado di sostenere una produzione industriale automobilistica a basso costo. Questo a sua volta si traduce in un asset, quello dell'auto, che sta tornando a essere sempre di più un “bene di lusso” e data questa pesante barriera all'ingresso ciò inficia la capacità d'indipendenza delle persone.

Inutile dire che un simile assetto avvalora la tesi che ho presentato in maggiore dettaglio nel mio ultimo libro, Il Grande Default, in cui esploro la natura tirannica e totalitaria dell'UE come fine ultimo della sua “strategia” di risoluzione della crisi economica. Detto in parole povere, un “reset” attraverso un controllo capillare della società in modo da minimizzare eventuali proteste quando dovranno essere prese “decisioni drastiche”. E i venti di guerra che continuano a essere alimentati, prima in Georgia e adesso in Moldavia, sono funzionali a questo scopo. Questa tesi è ulteriormente supportata se incastriamo nel mosaico anche il tassello dei dazi alle auto elettriche cinesi. Piuttosto che sfruttare questo avanzamento tecnologico estero in grado di fornire sollievo alla classe media qualora l'obiettivo reale fosse davvero una decarbonizzazione genuina e dettata dalla volontà di migliorare le condizioni ambientali, si sceglie invece l'autarchia e la dannazione per la classe media.

Sarebbe come dire: “Ehi stranieri... avete un nuovo prodotto? Prezzi più bassi? Una tecnologia migliore? Beh... tenetevela per voi!”. Lo scopo “ufficiale” della Commissione europea è quello di proteggere il continente dalle “esportazioni sleali” derivanti dalla “sovraccapacità industriale della Cina”. Non ho idea di cosa sia una “esportazione sleale”, ma si spaccia l'idea velenosa che limitare il commercio renderebbe gli europei più ricchi. Dal punto di vista tecnologico la Cina ha fatto enormi passi in avanti, soprattutto quando si parla di rimpicciolimento dei chip. Certo, non sono ancora ai livelli di TSMC, ciononostante ha superato il continente europeo in quanto a ricerca & sviluppo. Quest'ultimo, infatti, langue con un ritardo di circa 18 mesi su tutti i fronti del settore tecnologico, interessata più a tassare che innovare. Di conseguenza quella dell'Europa, e dell'Occidente in generale, vuole essere una strategia di contenimento, più che di concorrenza e quindi miglioramento: impedire ai BRICS, in particolar modo Cina e Russia, di esprimere il loro potenziale.

Dal punto di vista industriale la Cina ha percorso la stessa strada percorsa dall'Inghilterra quando sorpassò gli olandesi in termini navali: copiare, arrivare allo stesso livello, superare. Dal punto di vista geopolitico il potenziale contenimento passa attraverso una escalation militare che non accenna ad arrestarsi. O per meglio dire, non si vuole arrestare. Se ricorderete, cari lettori, lo scorso giugno vi mettevo in guardia dal pericolo eruttante in Georgia a tal proposito, ora tale pericolo si sta espandendo anche alla Moldavia. La neutralità di tale nazione nei confronti della guerra tra Russia e Ucraina non collima più con il leitmotiv dell'Occidente: “O con noi, o contro di noi”. È esistenziale. Di conseguenza le ingerenze europee nella politica moldava e la costruzione della nuova base militare statunitense in Romania (tra il confine moldavo e il Mar Nero) sono due facce della stessa medaglia: risoluzione dei guai economici attraverso la guerra. O peggio ancora, guerra totale.

C'è un modello di ciclo di vita che dà un senso a tutto questo: quando una nazione è giovane e vigorosa, è desiderosa di competere; quando è vecchia e stanca, diventa timorosa.

Sin dai tempi di Adam Smith è stato ovvio che il commercio è la chiave del successo economico. Cosa succederebbe se l'Italia imponesse un dazio del 100% sulle auto importate dalla Germania? Cosa succederebbe se la concorrenza in chirurgia fosse vietata, cosicché invece di cercare il miglior chirurgo per la vostra operazione al cervello dovreste affidarvi al veterinario locale? Il progresso materiale deriva dalla tecnologia e dalla divisione del lavoro. Il muratore sa posare i mattoni meglio del fornaio; il fornaio sa come fare il pane. Scambiano la rispettiva produzione ed entrambi stanno meglio.

Nelle società primitive le persone devono fare tutto da sole: cacciano il loro cibo, costruiscono i loro rifugi e cuciono i loro vestiti. In una società ricca, si specializzano. La persona tipica oggi si siede davanti a un computer, chiama un fisioterapista per aiutarlo a raddrizzare la schiena e ordina cibo tramite il food delivery. Non semina, né caccia, ciononostante mangia. Usa un computer, ma non ha idea di come funzioni. Fa una doccia calda e guida un'auto: Dio non voglia che non funzionino. Il suo intero tenore di vita si basa su una vasta rete di conoscenze specializzate, provenienti da tutto il mondo. Qualsiasi cosa facciano i burocrati per interferire con questi scambi volontari renderà le persone più povere. Ma non è questo il punto? Adam Smith rese popolare l'idea che, badando a sé stesse, le persone in realtà migliorano le cose per gli altri. Era come se fossero guidate da una “mano invisibile”.

È possibile che anche i burocrati siano guidati da una “mano invisibile”? Nel tentativo di migliorare le cose per sé stessi, invariabilmente le peggiorano per tutti gli altri. E nel tentativo di forzare i mercati a fare la loro offerta, inevitabilmente esagerano le tendenze che stavano cercando di fermare.

 

“PICCO CINESE”?

Abbiamo visto come le linee di politica in ambito monetario e fiscale abbiano creato la bolla alla fine del Trend primario 1980-2021; abbiamo visto come le nuove linee di politica (tassi d'interesse più alti, deficit enormi) contribuiscano al nuovo Trend primario: prezzi più bassi (aggiustati all'inflazione) di azioni e obbligazioni insieme a livelli di inflazione dei prezzi più elevati. Abbiamo anche esaminato come le politiche commerciali amplificano tale trend, aumentando i prezzi al consumo per la popolazione generale e sprecando capitale prezioso nel tentativo di mettere un bastone tra le ruote ai nostri concorrenti. La questione morale è secondaria, per chiunque voglia tirarla in ballo: non sto parlando di giusto o ingiusto, buono o cattivo. Ci dobbiamo concentrare sull'effetto delle linee di politica sul mondo finanziario.

Il vero progresso economico è fatto da scambi volontari di beni e servizi. Si può avere potere politico, come diceva Mao, con la “canna di una pistola”, ma non potere economico. Prima che Deng Xiaoping permettesse agli imprenditori cinesi di scatenarsi, la Cina di Mao era un inferno: non produceva praticamente nulla che il mondo volesse acquistare; ora, invece, è il principale esportatore mondiale. Ma oggi i politici occidentali seguono l'esempio di Mao, non quello di Deng: cercano di intimidire, criticare, imporre dazi e sanzioni per raggiungere il successo. In realtà non faranno altro che esagerare il nuovo Trend primario: i prezzi degli asset scenderanno e la maggior parte delle persone diventerà più povera. E se ho ragione, vedremo questa tendenza riflessa nel rapporto Dow/oro: il prezzo dell'oro sale e quello del Dow scende (aggiustato all'inflazione).

C'è una nuova convinzione tra gli storici della macroeconomia secondo cui abbiamo già assistito al “Picco cinese”. La Cina ha trovato un punto debole nel commercio mondiale, dicono, mettendo centinaia di milioni di contadini a lavorare con salari da fame; poi l'America ha fatto un grosso errore aprendo i suoi mercati ai prodotti cinesi a basso costo. Ma quella fase si è esaurita, aggiungono, i salari in Cina non sono più bassi e gli Stati Uniti stanno chiudendo le porte. La Cina avrà un ruolo minore in futuro. Inoltre la Cina è gestita da comunisti che sono pianificatori centrali peggiori di quelli occidentali. È così? Sì, certo. Commettono gli stessi errori? Sì, certo. Non cadranno in guerre, depressioni e povertà autoimposta? Molto probabilmente sì. Lungi da me affermare di sapere come sarà il futuro, però il “Picco cinese” potrebbe non essere ancora arrivato. Leggiamo dal Financial Times:

I governi degli Stati Uniti e dell'Europa si sono concentrati molto sulla necessità di “ridurre i rischi” delle catene di approvvigionamento, allontanandosi dalla Cina dopo l'invasione russa dell'Ucraina e le chiusure delle frontiere durante la pandemia. Ma più la Cina continentale diventa competitiva, più è difficile per gli attori industriali internazionali andarsene.

Sia le vecchie che le nuove aziende industriali sottolineano la necessità di essere in Cina per scopi di ricerca e per accedere al suo vasto mercato. Windrose Technology, una start-up di camion elettrici, mira a quotarsi negli Stati Uniti, ma attualmente si affida a partner della Cina continentale, tra cui Anhui Jianghuai Automobile Group di proprietà statale, per la produzione. “Come produttore di veicoli elettrici, se non sei collegato alla Cina e fingi di essere il miglior produttore di camion al mondo nel settore dei veicoli elettrici, nessuno ti crederà”, ha affermato Wen Han, fondatore di Windrose.

Leggiamo poi da AsiaTimes:

Negli ultimi anni la Cina è passata dall'essere un produttore a basso costo di beni per la casa a un produttore avanzato di prodotti elettronici e tecnologie verdi. La manodopera a basso costo è stata sostituita da robot e intelligenza artificiale. Una nuova fabbrica per Xiaomi, originariamente un produttore di smartphone, produce una nuova auto elettrica ogni 76 secondi, o 40 all'ora, senza essere toccata da mani umane.

Infine leggiamo da NikkeiASIA:

XPeng, EHang e altre aziende cinesi metteranno in commercio auto volanti quest'anno, sfruttando i vantaggi del Paese nelle tecnologie delle auto elettriche per rivendicare una quota importante del mercato globale emergente.

XPeng AeroHT, una sussidiaria della startup di veicoli elettrici, mira a vendere un veicolo elettrico a decollo e atterraggio verticale (eVTOL) a doppia modalità, che si può guidare sulla terraferma come un'auto e staccare un modulo volante per il viaggio aereo.

Il prezzo sarà di circa 1 milione di yuan ($138.000). Qiu ha affermato che l'azienda spera di abbassare il prezzo a centinaia di migliaia di yuan.

“Se la produzione di massa su larga scala diventa possibile, possiamo ridurre drasticamente i costi” per materiali come la fibra di carbonio, ha affermato.

I leader cinesi commetteranno errori? Certo che sì. Ma saranno in grado di soffocare l'energia di milioni di imprenditori e uomini d'affari? Forse no.

Nel frattempo le società mature dell'Occidente (incluso il Giappone) sono alle prese con i problemi del passato: le sue burocrazie, le sue promesse e il suo debito. L'ordine post-seconda guerra mondiale, con l'Occidente al comando, appare stanco, vecchio e debole. Le nazioni emergenti rappresentano una minaccia: devono essere tenute al loro posto. Le nuove tecnologie devono essere regolamentate e controllate, il libero scambio deve essere sostituito da un commercio micro-gestito, la libertà di parola deve essere controllata dalle élite. E persino il clima della Terra non deve essere lasciato cambiare.

La cosa più importante: i sussidi per la vecchiaia devono essere protetti. Queste sono democrazie, i vecchi votano.

Al contrario, le società più dinamiche del “Sud del mondo” (Brasile, Indonesia, Sudafrica, Turchia, India, Russia e Cina) vogliono un Nuovo Ordine Mondiale. Pensano che sia giunto il momento per loro di uscire alla luce del sole e questo potrebbe significare cacciare via dalla spiaggia i pensionati flaccidi dell'Occidente.


STUPIDITÀ? NO, VANDALISMO

Siamo tutti umani, troppo umani, come diceva Nietzsche. Paura, avidità, gelosia, odio, brama di potere, complicità, generosità, patriottismo: gli elementi di base sono sempre presenti, ma le strutture di potere, come l'ordine mondiale del secondo dopoguerra, cambiano. Ovviamente le persone al vertice vorrebbero mantenere le loro posizioni di comando, con tutti i vantaggi che ne derivano, ma quando le proprie “soluzioni” vengono di volta in volta sconfessate da un peggioramento delle cose che dovrebbero essere migliorate e le promesse del passato vanno puntualmente in fumo, ecco che il cambiamento spinge sempre di più. In Europa, in particolar modo, questo fenomeno viene canalizzato in quei partiti definiti dal mainstream come “estremi”; in realtà di “estremo” c'è solo l'estrema ratio di elettori stufi che in qualche modo si rifugiano ancora nelle elezioni piuttosto che diventare “estremi” in altro modo.

Come abbiamo visto nelle sezioni precedenti il mondo è sommerso dal debito, soprattutto Europa e Inghilterra, e devono giustificarne il default. L'escalation dei vari fronti di guerra serve allo scopo. Nel frattempo bisogna resistere alla prova del tempo e degli imprevisti, facendo strame dello stato di diritto. In questo contesto, infatti, s'inserisce la proposta danese di tassare gli unrealized capital gain su Bitcoin. Questa è solo l'ultima proposta in ordine cronologico di una volontà europea ben precisa: saccheggiare il saccheggiabile dalla classe produttiva per rimanere a galla e riciclare il vecchio sistema in uno nuovo, ma con le stesse caratteristiche di base del precedente. Non sorprende vedere poi la stessa tipologia di tassa accarezzata dall'amministrazione Biden, alimentata in particolare dalla neo-canditata democratica Harris.

Una tassa simile serve sostanzialmente a distruggere ciò che resta di una formazione efficiente del capitale privato. Una transizione imprescindibile per il proverbiale capitalismo degli stakeholder. Questa è una guerra e in prima linea ci sono i risparmi degli individui. Anche questa è una guerra esistenziale, soprattutto per coloro che popolano il vertice della piramide sociale, ora che le fazioni che la compongono sono in guerra l'una contro l'altra. L'amministrazione Biden è l'infiltrato per eccellenza della cricca di Davos negli Stati Uniti, il cui scopo è impantanarli in guerre estere affinché il flusso di dollari continui a scorrere fuori dalla nazione (ora più che mai dato che i rubinetti degli eurodollari sono stati chiusi dalle decisioni di Powell). Infatti saprete che il prossimo presidente sarà Trump se l'escalation dei vari fronti di guerra si farà sempre più intensa. L'obiettivo è quello di lasciargli come minimo due guerre da cui gli USA non si potranno tirare indietro e quindi rendergli la vita impossibile nel mettere a posto il quadro fiscale della nazione. La battaglia sul lato monetario infatti è stata persa, nonostante gli scudi alzati dai democratici e la pressione da parte di alcuni di loro, capitanati da Elizabeth Warren, di far riassorbire la FED dal Tesoro americano.

La banca centrale americana, adesso, è la migliore carta che esiste per contrastare i piani distopici di un gruppo di comunisti europei. Powell, diversamente dalla Yellen e da Bernanke che sono accademici,  viene dal mondo di Wall Street e si trova in quel ruolo proprio per salvaguardare quest'ultimo e l'indipendenza della FED stessa. Ciò gli ha permesso di mettere un freno alla trasformazione sovietica degli Stati Uniti. Come spiego nel mio ultimo libro, Il Grande Default, è stato attraverso gli eurodollari che gli USA sono stati svuotati della loro capacità industriale e finanziaria; la riforma dei mercati pronti contro termine statunitensi nel 2019, l'aumento delle remunerazioni in tale mercato nel 2021, l'introduzione del SOFR e infine il ciclo di rialzo dei tassi sono state tutte mosse di “Private Equity” Powell di rimpatriare la politica monetaria e toglierla dalle mani estere (inglesi ed europee). In sintesi, la FED ha smesso di essere la banca centrale del mondo.

I conti della nazione rimangono tutt'altro che solidi, ecco perché è richiesta un'azione radicale a Capitol Hill ed ecco perché l'unico appiglio che rimane alla cricca di Davos è quello dal lato fiscale dell'equazione. La logica conclusione in base a quanto detto finora è riassunta dalla seguente citazione tratta da un recente pezzo di Peter Earle sulla unrealized capital gain tax:

[...] Potrebbe causare enormi distorsioni che si riversano nell'economia statunitense, distruggere le aziende, alterare radicalmente il modo in cui operano le aziende, spostare capitali all'estero, scoraggiare gli investimenti e rimodellare in modo incommensurabile il panorama aziendale americano. In sostanza, richiedere il pagamento di tasse su asset finanziari invenduti, quote di proprietà, investimenti fissi, proprietà intellettuale, oggetti da collezione e altre forme di ricchezza agirebbe come un terremoto economico, sconvolgendo i mercati dei capitali che sostengono l'innovazione. Una tale tassa comprometterebbe gravemente la crescita economica a lungo termine soffocandone i finanziamenti, causando danni duraturi e forse fatali sia alle imprese di lunga data che a quelle nascenti. [...] la nuova imposta sulle plusvalenze non realizzate rischia di innescare un'elusione fiscale diffusa e una fuga di capitali che diminuirebbero qualsiasi potenziale beneficio per il bilancio.


IL GIOCO DELLA COLPA

Nel mio pezzo di due settimane fa, Il piatto europeo non deve saltare, abbiamo visto che è possibile scendere dalla montagna del debito, più o meno in sicurezza. La Giamaica l'ha fatto, la Grecia sembra farlo e l'Argentina ha iniziato a farlo. Lo si fa, però, solo tagliando la spesa... bruscamente. Abbastanza per avere un surplus che utile per ridurre il debito. Come dice Javier Milei: un bilancio in pareggio è “non negoziabile”. A tal proposito sarebbe come minimo incoraggiante se gli Stati Uniti tagliassero dalla spesa pubblica i circa $1.000 miliardi di “aiuti esteri”.

Nell'ultimo disegno di legge americano sugli “aiuti esteri”, troviamo molte delle caratteristiche “negative” del carattere umano: furto, corruzione, illusione, arroganza. Per quanto riguarda il furto, la misura includeva una sezione che consentiva ai burocrati di rubare asset di proprietà russa. È come se, in risposta all'invasione statunitense dell'Iraq, la Francia avesse sequestrato i conti bancari degli americani a Parigi. La corruzione segue abbastanza presto. Poi c'è l'illusione che l'Ucraina sia una democrazia modello e che inviandole più soldi vincerà la guerra e il mondo sarà un posto migliore. Nemmeno gli ucraini ci credono. Nella seconda guerra mondiale gli americani facevano la fila negli uffici di reclutamento, desiderosi di “fare la loro parte”. Le cose stanno diversamente in Ucraina. Zelensky, poi, ha messo al bando undici partiti di opposizione, ha preso il controllo della copertura dei notiziari televisivi, ha annullato le elezioni, ha proibito di parlare russo e ha perseguitato i cristiani ortodossi. Che tipo di democrazia è questa? Ancora più importante, c'è qualche motivo per cui gli americani dovrebbero preoccuparsi di chi vincerà la battaglia per le province di lingua russa dell'Ucraina?

Gli Stati Uniti hanno speso dollari che non avevano per benefici che non otterranno mai. Un'analisi costi-benefici convenzionale rivela costi enormi e benefici improbabili, o imponderabili. Allora perché farlo? Più sicurezza? Improbabile. Più pace? Niente affatto. Più prosperità? Esattamente il contrario. Tutto ciò che si otterrà di sicuro sarà più debito. Ciò rende i dollari in “aiuti esteri” – a persone che non ne hanno bisogno (Israele), che non possono ottenere nulla con essi (Ucraina), o che non ne hanno un reale utilizzo (Taiwan) – ancora più fuori luogo. Gli americani saranno accusati per il massacro degli innocenti a Gaza; in Ucraina saranno accusati per non aver dato ai soldati abbastanza potenza di fuoco per vincere e per aver promosso una guerra persa con centinaia di migliaia di vittime; in Asia verranno tagliati fuori dal commercio amichevole con l'economia più innovativa e produttiva del pianeta. Invece di ottenere i benefici del commercio (win-win, o vicendevolmente vantaggiosi) con la Cina, gli Stati Uniti raccoglieranno i costi amari della rivalità (win-lose, o somma zero).

Gli schemi della megapolitica suggeriscono anche che questo tipo di spesa eccessiva e di ingerenza negli affari altrui favorirà il declino dell'impero statunitense. Come se fossero guidati da una mano invisibile, i burocrati fanno ciò che devono fare, quando devono farlo, distruggendo la posizione finanziaria dell'America, minando la sua posizione morale e, in ultima analisi, distruggendo la sua posizione di principale potenza mondiale.

L'indebitamento extra eserciterà una pressione al rialzo sui tassi d'interesse. Il denaro abbandonerà quindi il mercato azionario per trarre vantaggio dai tassi più alti sulle obbligazioni. Le azioni perderanno valore. I prezzi al consumo saliranno (spinti verso l'alto da deficit più grandi). Gli americani saranno più poveri e il Trend primario seguirà il suo corso.

Ma aspettate, c'è di più: arroganza. Perché rafforzare la potenza militare degli Stati Uniti per “contrastare” l'influenza cinese? Perché vietare TikTok o sovvenzionare l'industria statunitense dei chip? Perché fare della Cina un nemico? Perché cercare il “primato in Asia”? È perché lavorare con la Cina in modo pacifico e reciprocamente vantaggioso non dovrebbe giovare al sistema politico corrotto, all'industria della potenza di fuoco, ai suoi lobbisti e think tank, ai politici che prendono i suoi soldi e votano a suo favore? Una relazione win-win, o vicendevolmente vantaggiosa, con la Cina non farebbe aumentare i prezzi al consumo, né farebbe aumentare il debito degli Stati Uniti, né contribuirebbe a tassi d'interesse più alti e prezzi degli asset più bassi. Né darebbe ai guerrafondai qualcosa di cui blaterare in TV. Invece le “strane politiche” americane potrebbero aiutare i cinesi a raggiungere la gloria a cui aspirano.

Non ha senso... a meno che non si uniscano puntini aggiuntivi. Allora diventa chiaro come mai i neocon americani abbiano cambiato casacca e remino contro il benessere della nazione, portandola sull'orlo del fallimento e rendendola il bersaglio di tutte le critiche mondiali (fondate e infondate).


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