martedì 26 novembre 2024

Il futuro dell'oro dipenderà dalla Cina

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Il manoscritto fornisce un grimaldello al lettore, una chiave di lettura semplificata, del mondo finanziario e non che sembra essere andato "fuori controllo" negli ultimi quattro anni in particolare. Questa è una storia di cartelli, a livello sovrastatale e sovranazionale, la cui pianificazione centrale ha raggiunto un punto in cui deve essere riformata radicalmente e questa riforma radicale non può avvenire senza una dose di dolore economico che potrebbe mettere a repentaglio la loro autorità. Da qui la risposta al Grande Default attraverso il Grande Reset. Questa è la storia di un coyote, che quando non riesce a sfamarsi all'esterno ricorre all'autofagocitazione. Lo stesso è accaduto ai membri del G7, dove i sei membri restanti hanno iniziato a fagocitare il settimo: gli Stati Uniti.

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di Brendan Brown

È difficile esagerare l'importanza della Cina nel futuro dell'oro, anche se la relazione non è monocausale. L'attuale corso di Pechino sia in politica economica che geopolitica da quando la sua gigantesca economia in bolla si è trasformata in bust, a partire dal 2020 circa, ha avuto un impatto enorme sulla performance super-forte dell'oro. Al contrario, se il bust dovesse in qualche modo innescare un trionfo della libertà economica e politica in Cina, un continuo aumento dell'oro dipenderebbe, molto probabilmente, da un ulteriore crollo della fiducia generale nella moneta fiat.

Le radici della dipendenza dell'oro dalla Cina non figurano affatto nell'analisi convenzionale dell'FMI, soprattutto alla luce degli “investimenti sbagliati” in tal Paese. Secondo suddetta analisi l'enorme perdita di ricchezza privata, corrispondente all'improvvisa obsolescenza economica di 80 milioni di appartamenti vuoti, ha causato un forte aumento del surplus di risparmio nel settore privato della Cina, ponendo una doppia minaccia di deflazione: interna e squilibrio commerciale con il resto del mondo.


I mercati sono la soluzione

Come ridurre questa minaccia (secondo l'FMI)? I policymaker di Pechino devono scatenare un gigantesco stimolo fiscale e monetario. E non devono intraprendere azioni che alimenterebbero un surplus commerciale cinese sempre più grande sulla scia dello scoppio della bolla.

La premessa di queste prescrizioni è sbagliata, dato che non lascia spazio alla proverbiale mano invisibile. Sì, la rivelazione di investimenti sbagliati va di pari passo con una perdita diffusa di benessere percepito in Cina e ciò significa in primo luogo un'intorpidimento della spesa al consumo. La mano invisibile, in un'economia di mercato ben funzionante con moneta sana/onesta, incentiva nuova spesa in conto capitale nel bel mezzo della distruzione dello stesso.

Un calo dei saggi salariali in settori importanti dell'economia, accompagnato da un ampliamento delle opportunità di profitto percepite, porta a una ripresa degli investimenti aziendali, molti dei quali in nuove aree di attività. Il bust, e la conseguente cancellazione dello stock di capitale, significa che la Cina tornerebbe nella lista delle economie di mercato emergenti, dove il capitale è più scarso come fattore di produzione. In questa situazione attirerebbe maggiori afflussi di capitale con una controparte in surplus commerciali più piccoli o persino deficit commerciali.

Più in generale, in un'economia cinese post-bolla e con moneta sana/onesta, molti prezzi di beni e servizi scenderebbero ben al di sotto del loro percorso di lungo periodo, incentivando individui e aziende ad anticipare la spesa. I keynesiani che denigrano la “deflazione” non riescono a unire questi puntini e invece accolgono con favore gli aumenti dei prezzi, sintomatici invece di nuove restrizioni all'offerta.

Ci sono pochi indizi che la proverbiale mano invisibile del mercato operi in Cina nei modi descritti. Gli investitori stranieri, soprattutto negli Stati Uniti, sono altamente avversi al rischio per quanto riguarda l'investimento di capitale nell'economia cinese post-crisi, sia a causa dell'atteggiamento ostile di Pechino, sia per paura delle azioni delle autorità statunitensi.


Il regime cinese vede una maggiore inflazione come soluzione

In considerazione delle effettive restrizioni estere alla crescita delle esportazioni cinesi e dei gravi ostacoli a una ripresa spontanea degli investimenti aziendali, i policymaker di Pechino vedono solo una possibile via d'uscita dalla crisi economica: un aumento della spesa statale pagata tramite una tassazione camuffata (inflazione e repressione finanziaria).

La prospettiva di una probabile inflazione diventa ancora più forte se prendiamo in considerazione la stretta sui redditi reali in Cina dovuta all'intensificarsi della guerra economica contro gli Stati Uniti. Redditi ridotti senza una solida speranza di miglioramento in vista contribuiscono al malcontento socio-politico. La gerarchia a Pechino lo contrasterà con il cosiddetto stimolo monetario o con misure di economia pianificata.

Non c'è da stupirsi se i risparmiatori cinesi vedano l'oro come un rifugio sicuro, molto più del dollaro. I risparmiatori cinesi, come altri risparmiatori stranieri, sono anche consapevoli che gli Stati Uniti agiranno, ove possibile, contro gli istituti di deposito locali sospettati di finanziare attività proibite (ad esempio, aiutare l'economia russa). Sì, c'è la possibilità di cercare rifugio nello spazio digitale delle criptovalute, sebbene questo sia stato oggetto di divieti in Cina per molti anni.


Una rete di “bullion bank” con sede in Cina?

Le autorità cinesi non hanno problemi con la “fuga verso l'oro”, dove i settori privato e governativo detengono il metallo giallo in misura maggiore rispetto a qualsiasi altra nazione, compresi gli Stati Uniti; le partecipazioni totali private e statali arrivano fino al 15% dello stock aurifero estratto in tutto il mondo. Forse puntano sul fattore psicologico: detenere oro è sinonimo di benessere per il cittadino comune e questo potrebbe smorzare il malcontento socio-politico.

È possibile che le autorità cinesi possano portare la loro sponsorizzazione dell'oro come porto sicuro a un livello superiore: tollerare o addirittura incoraggiare la crescita di una rete di pagamenti basata sull'oro. Infatti ciò consisterebbe in istituti di custodia che emettono certificati di deposito con un'elevata copertura obbligatoria in oro fisico (anche il 100% per i certificati più sicuri). Questa rete di pagamenti potrebbe estendersi a Paesi amici della Cina (che rifiutano di schierarsi con gli Stati Uniti nella politica commerciale), molti dei quali facenti parte dei mercati emergenti. Shanghai sarebbe il probabile punto di consegna in questa rete per l'oro fisico.


Le opzioni limitate del Giappone

Per ovvie ragioni, in quanto alleato degli Stati Uniti, il Giappone non potrebbe far parte di tale rete. In generale, la domanda di oro come rifugio ha una componente asiatica crescente e importante, incluso il Giappone. Quest'ultimo si trova esposto al pericolo in una guerra economica tra Stati Uniti e Cina. Ad esempio, le azioni degli Stati Uniti contro le importazioni dalla Cina potrebbero avere una ricaduta sulle imprese cinesi che vendono in Paesi terzi, e il Giappone è in cima alla lista. Gli investitori giapponesi hanno tutte le ragioni per temere che uno yen a buon mercato e un'inflazione monetaria diventerebbero la risposta principale del loro governo, soprattutto dati i suoi enormi debiti.

A differenza della Cina, i titoli denominati in dollari detenuti in Giappone non sono soggetti a rischi politici e hanno funzionato bene come rifugio negli ultimi anni. Ciononostante potrebbero sorgere dubbi tra i giapponesi sul fatto che un percorso a senso unico possa continuare indefinitamente e ci sono scenari in cui le relazioni tra Tokyo e Washington potrebbero diventare molto più tese. Nonostante gran parte del dibattito pubblico sulla vicinanza tra Stati Uniti e Giappone, una terza via per Tokyo non è preclusa. Uno scenario plausibile sarebbe quello in cui le frizioni tra Stati Uniti e Giappone, tra cui la continua e crescente dipendenza di quest'ultimo dal petrolio e dal gas di Sakhalin, potrebbero mettere in discussione la partecipazione del Paese nipponico a una risposta militare contro la potenziale aggressione cinese a scapito di Taiwan.

In conclusione: l'enorme importanza della Cina per il futuro dell'oro non dipende solo dal suo impoverimento a causa della guerra economica contro gli Stati Uniti e dalla devastazione degli investimenti sbagliati, dipende anche dalla domanda come rifugio sicuro tra i risparmiatori in Asia orientale, consapevoli dei rischi derivanti dalla guerra economica tra Cina e Stati Uniti.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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