Bibliografia

martedì 5 novembre 2024

L'oro è tornato e anche Judy Shelton

 

 

di Joe Vidueira

L'oro è in ascesa e anche la tipica nostalgia per il gold standard che è esplosa ogni volta che l'inflazione dei prezzi, le crisi bancarie e/o le preoccupazioni sul debito si sono regolarmente ripresentate dopo la caduta di Bretton Woods. L'ascesa del metallo giallo, come al solito, sta segnalando che non tutto va bene.

All'inizio di quest'anno il metallo giallo è salito oltre i $2500 l'oncia, raggiungendo i massimi storici e diventando uno degli asset con le migliori performance del 2024, dopo un aumento del prezzo del 13% nel 2023, risultato di persistenti incertezze economiche e geopolitiche. Ancora più interessante è il fatto che il World Gold Council riferisca che le banche centrali sono state gli acquirenti più aggressivi, acquistando 1.037 tonnellate di oro solo nel 2023, il secondo acquisto annuale più alto della storia, dopo il record di 1.082 tonnellate nel 2022. Infatti un sondaggio del Gold Council ha rivelato che il 29% delle banche centrali intervistate ha pianificato di aumentare le proprie riserve auree nel prossimo anno, la percentuale più alta da quando il World Gold Council ha iniziato questo sondaggio nel 2018.

Un articolo recente sul The Times (di Londra) riassume il momento:

L'oro non può più essere ignorato. La prospettiva di tassi d'interesse statunitensi in discesa, un calo del dollaro e preoccupazioni sulla sostenibilità del debito americano dovrebbero portare più denaro istituzionale e al dettaglio ad affluire nell'oro [...]. Si dice persino che la nuova valuta a lungo discussa creata dai BRICS sarà coperta da una serie di asset, tra cui l'oro. A un secolo dalla fine del Gold Standard [classico], crollato negli anni tra le due guerre in mezzo a una crisi della cooperazione delle banche centrali su come gestirlo, l'oro sta silenziosamente diventando un punto di riferimento importante nel nostro sistema finanziario piuttosto che una reliquia obsoleta del XX secolo.

Tutto ciò ha scatenato discussioni su una moneta sana, criptovalute e persino della fattibilità di un nuovo gold standard, come attesta l'ultimo libro dell'ex-consigliere economico dell'amministrazione Trump e sostenitrice di lunga data di una moneta sana/onesta, Judy Shelton: Good as Gold: How to Unleash the Power of Sound Money, attualmente un best-seller su Amazon.

Shelton, di ritorno da un recente incontro a Nuova Delhi alla Mont Pelerin Society, la conferenza sull'economia di libero mercato fondata da Friedrich Hayek e Milton Friedman, rimane sorprendentemente ottimista sulle prospettive monetarie del metallo giallo, nonostante la miriade di battute d'arresto degli ultimi cinquant'anni.

“Ce l'abbiamo l'oro”, dice, riferendosi alle riserve dichiarate dal governo degli Stati Uniti pari a 261,5 milioni di once, più di qualsiasi altra nazione. “Perché non utilizzarlo?”

Shelton, sostenitrice di una moneta sana/onesta, ritiene che il momento attuale è particolarmente propizio, soprattutto a livello internazionale. Il fatto che l'acquisto di oro da parte delle banche centrali abbia raggiunto quasi la frenesia “testimonia buone prospettive per la seria considerazione di una nuova proposta”.

E ne ha una, ovviamente: un piano ben articolato per riaffermare la convertibilità dell'oro per la prima volta dai tempi del Gold Standard Classico (1815-1914) e tutto inizia con la proprietà di obbligazioni del Tesoro USA legate all'oro. Per la Shelton il diritto alla convertibilità dollaro-oro, il suo obiettivo finale per l'intero sistema monetario statunitense, è essenziale: non significherebbe solo rettitudine fiscale e monetaria “fornirebbe la regola semplice e definitiva per regolare l'offerta di denaro in conformità con i diritti individuali e i principi del libero mercato”, uno degli argomenti chiave del libro.

La sua proposta prevede una nuova emissione di titoli del Tesoro a cedola zero, denominati Treasury Trust Bonds, che offrono tassi d'interesse più bassi rispetto ai titoli del Tesoro tradizionali (riducendo così i deficit correnti), ma con la caratteristica distintiva che possono essere rimborsati alla scadenza in dollari o a un equivalente prestabilito in oro, a discrezione dell'acquirente.

In altre parole, se la politica monetaria dovesse continuare sulla sua attuale traiettoria fuori dai binari e il potere d'acquisto del dollaro dovesse diminuire in modo significativo, ciò potrebbe comportare una perdita significativa di oro del governo statunitense. In caso contrario, e se gli Stati Uniti raddrizzassero le proprie finanze, la maggior parte delle obbligazioni verrebbe rimborsata in dollari. In sostanza offrirebbero una disposizione “fidati ma verifica”, come la chiama Shelton, puntando le riserve auree della nazione su una nuova rotta e dimostrare rettitudine fiscale e monetaria. “Tutto ciò che i funzionari pubblici dovrebbero fare per rendere l'emissione un successo è superare le aspettative”, perché se lo facessero le obbligazioni aprirebbero la strada “a uno strumento finanziario denominato in dollari che è, letteralmente, tanto buono quanto l'oro”.

Riconoscendo che la sua proposta appare modesta in confronto alla “proposta impressionante di gold standard” uscita dalla Commissione statunitense sull’oro durante gli anni di Reagan, la Shelton sostiene che stabilendo con successo questo tipo di “testa di ponte per una moneta sana/onesta” e “baluardo per l’integrità fiscale e monetaria”, ne seguirebbe una sostanziale riforma monetaria qui e all’estero, forse persino dando luogo a un nuovo sistema monetario internazionale basato sull’oro.

In tal caso il potere della Federal Reserve dovrebbe essere sostanzialmente ridotto, ovviamente. Descrivendo le sue opinioni economiche come “più vicine a quelle della Scuola Austriaca rispetto ad altre”, nonostante la sua lunga associazione con sostenitori e teorie supply-side, la Shelton concorda con gli Austriaci sul fatto che il difetto fatale di Bretton Woods (1945-1971), così come di una miriade di altre proposte basate simili, è che si basano sulle “inclinazioni discrezionali delle autorità tecnocratiche”. Infatti riconosce che il gold standard classico della fine del diciannovesimo secolo era “molto meglio” del gold exchange standard annacquato di Bretton Woods (in cui agli individui veniva negata la convertibilità diretta) dato che “dava agli individui, non allo Stato, il potere di controllare l'offerta di denaro”.

Inoltre il nuovo libro chiarisce che

  1. la pianificazione centrale non ha mai funzionato e mai funzionerà, né nella vecchia Unione Sovietica né nella moderna politica delle banche centrali;
  2. la “soppressione dei risultati di libero mercato da parte della Federal Reserve potrebbe un giorno generare lo stesso tipo di cinismo che ha causato il crollo dell'approccio sovietico”.

La conclusione per la Shelton è che “il livello più alto di performance a cui una banca centrale potrebbe aspirare sarebbe quello di eguagliare le interazioni economiche e i risultati che probabilmente si verificherebbero con un gold standard”, una tesi che il suo libro sostiene esaminando i risultati dei precedenti sistemi monetari. In alternativa, alludendo al libro più noto di Hayek, “sostituire la perspicacia delle autorità monetarie all'acume condiviso di centinaia di milioni di persone che eseguono transazioni volontarie per facilitare le loro esigenze quotidiane e i loro sogni futuri significa percorrere la strada verso la schiavitù”.

In breve, mentre il nuovo piano della Shelton potrebbe rappresentare l'ennesima riforma monetaria tutt'altro che ideale, segnerebbe certamente un passo positivo nella direzione inequivocabile di una moneta sana/onesta. Forse genererà persino un entusiasmo popolare per la vera libertà monetaria, il motivo per cui spera che i bond sopraccitati vengano inaugurati nel 2026, il 250° anniversario della Dichiarazione di Indipendenza.

Infatti il nuovo libro presenta una difesa così solida e articolata del capitalismo di libero mercato nel contesto della storia americana e dei suoi principi fondanti, che fa chiedere se le prospettive per una linea di politica sana/onesta siano migliori oggi perché a Judy Shelton è stato impedito di entrare nella Federal Reserve nel 2020.

Con il nuovo libro, la Shelton ha raddoppiato tutto ciò che l'ha fatta etichettare come membro della “destra eccentrica ed estremista” e “gold bug” da parte di scrittori e analisti mainstream. E il suo piano Treasury Trust Bond, e una visione più ampia per una moneta sana/onesta, avrà avuto successo, dice, se condurrà la nazione verso un futuro in cui “il pagamento in dollari è considerato letteralmente tanto buono quanto l'oro”.

“Questo”, dice, “sarebbe un evento di portata storica”. Lo sarebbe sicuramente.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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lunedì 4 novembre 2024

La soluzione di Trump al disastro fiscale

L'articolo di oggi ha un'importanza particolare, dato che il contenuto va a ricalcare un testo pubblicato nei lontani anni '50 e già allora individuava la cosiddetta radice di tutti i mali economici. Chi volesse recuperarlo, può farlo cliccando qui e troverà la versione cartacea che ho provveduto a pubblicare di recente. È fuor di dubbio che i conti della nazione sono ancora un disastro, ma qualora dovesse essere eletto Trump e mantenere fede a quanto detto in campagna elettorale, questo sarebbe di certo un passo verso la giusa direzione. Le basi teoriche e filosofiche sono state fornite da Chodorov nel libro sopraccitato, quelle pratiche possono essere visualizzate in numeri nell'esercizio odierno di Stockman.

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di David Stockman

Nelle ultime settimane della sua campagna elettorale, Donald Trump sta facendo strame dell'imposta federale sul reddito quasi con la stessa rapidità con cui ha servito le patatine fritte allo sportello drive-thru del McDonald's. Finora ha proposto di estendere le aliquote più basse, i crediti d'imposta per le famiglie e gli incentivi agli investimenti del Tax Act del 2017 dopo la loro scadenza nel 2025 e di esentare dall'imposta federale sul reddito anche le mance, i sussidi della previdenza sociale e gli straordinari.

Solo queste voci genererebbero una perdita di entrate pari a $9.000 miliardi nel prossimo decennio, ma di recente ha proposto di esentare dall'imposta federale sul reddito anche i vigili del fuoco, gli agenti di polizia, il personale militare e i veterani.

Altri $2.500 miliardi di perdite di entrate in 10 anni. Ci sono 370.000 pompieri, 708.000 poliziotti, 2,86 milioni di militari in uniforme e 18,0 milioni di veterani negli Stati Uniti. Questi 22 milioni di cittadini hanno un reddito medio stimato di $82.000 all'anno, cosa che si traduce in circa $60.000 ciascuno di reddito lordo rettificato. A un'aliquota media dell'imposta sul reddito del 14,7%, queste esclusioni genererebbero $250 miliardi all'anno di pagamenti ridotti dell'imposta sul reddito.

In totale Trump ha quindi buttato lì la promessa di tagliare le imposte sul reddito per $11.500 miliardi nel prossimo periodo di bilancio decennale. A loro volta queste riduzioni radicali ammonterebbero a oltre il 34% delle entrate fiscali di base stimate dal CBO nello stesso periodo: $33.700 miliardi. Ahimè, persino nei giorni felici del taglio delle imposte di Reagan nessuno si sognava davvero di eliminare completamente un terzo del cosiddetto crimine del 1913 (il XVI emendamento che introdusse l'imposta sul reddito).

Perdita decennale delle entrate:

• Estendere i tagli fiscali del 2017: $5,350 miliardi

• Reddito esente da straordinari: $2.000 miliardi

• Porre fine alla tassazione delle prestazioni della previdenza sociale: $1.300 miliardi

• Reddito da mance esentato: $300 miliardi

• Reddito esentato da imposte per vigili del fuoco, poliziotti, militari e veterani: $2.500 miliardi

• Perdita totale di entrate per Trump: $11.500 miliardi

• Entrate di base dell'imposta sul reddito del CBO: $33.700 miliardi

• Perdita di entrate di Trump in % rispetto al valore di base: 34%

D'altro canto Trump potrebbe avere in mente qualcosa di epico: eliminare completamente l'imposta sul reddito a favore della tassazione dei consumi tramite imposte su beni e merci importati.

“Ai vecchi tempi, quando eravamo intelligenti, quando eravamo un Paese intelligente, nel 1890, quando il Paese era relativamente il più ricco che sia mai stato, c'erano solo i dazi. Non c'era un'imposta sul reddito”, ha detto Trump durante un incontro con gli elettori a New York per Fox & Friends.

“Adesso abbiamo le tasse sul reddito e abbiamo persone che muoiono di fame”.

Il New York Times è profondamente allarmato: “L’ex-presidente ha ripetutamente elogiato un periodo della storia americana in cui non esisteva l’imposta sul reddito e il Paese faceva affidamento sui dazi per finanziare il governo federale”.

In realtà l'America del XIX secolo era persino più intelligente di quanto Trump creda. Nel 1900 la spesa federale totale ammontava a solo il 3,5% del PIL perché a quel tempo l'America era ancora una repubblica pacifica e non aveva alcun Stato militare o persino un esercito permanente altrove. E, a parte i distretti più avanzati d'Europa, nemmeno lo Stato sociale era stato ancora inventato.

Quindi, sì, i cosiddetti “dazi sulle entrate” del XIX secolo soddisfacevano le esigenze di reddito del governo federale al punto di pareggiare il bilancio anno dopo anno tra il 1870 e il 1900. Infatti i surplus annuali furono per giunta abbastanza grandi da ripagare la maggior parte del debito della Guerra Civile.

Oggi lo Stato militare, lo Stato assistenziale e le spese folli di Washington rappresentano il 25% del PIL, quindi Trump ha ragione nel voler tassare i consumi piuttosto che il reddito, ma sbaglia quando si tratta delle dimensioni del bilancio federale che deve essere finanziato.

Ha promesso di imporre un dazio universale del 20% su tutte le importazioni da tutti i Paesi con un'aliquota specifica del 60% per le importazioni cinesi. Sulla base degli attuali livelli di importazione degli Stati Uniti ($3.500 miliardi all'anno) da fonti mondiali e dalla Cina ($450 miliardi), i dazi di Trump genererebbero circa $900 miliardi di entrate all'anno.

Di sicuro l'affermazione di Trump secondo cui questi dazi sarebbero pagati da cinesi, messicani e socialisti europei è una sciocchezza: sono pagati dai consumatori.

La verità è che lo stato dovrebbe essere pagato tramite la tassazione dei cittadini attuali, non rifilato sotto forma di debiti enormi ai cittadini futuri, nati e non ancora nati. Quindi se vogliamo avere un governo federale al 25% del PIL anziché al 3,5% del PIL, meglio che l'onere venga posto sui consumi, non sulla produzione, sul reddito e sugli investimenti.

Dopotutto oggi “chi fa” viene colpito duramente dall'attuale sistema di imposta sul reddito estremamente sbilanciato. L'1% più ricco paga il 46% delle imposte sul reddito, mentre il 5% più ricco paga il 66% e il 10% più ricco paga il 76% di tutte le imposte sul reddito. Invece il 50% più povero paga solo il 2,3% delle imposte sul reddito individuale, mentre il 40% di tutte le famiglie non paga alcuna imposta sul reddito.

In ogni caso, i calcoli fanno sì che i dazi proposti da Trump genererebbero circa $9.000 miliardi nel prossimo decennio, ovvero quasi l'80% della perdita di entrate da $11.500 miliardi derivante dalla drastica riduzione della copertura dell'imposta sul reddito e del tasso di riscossione. Questo è un grande passo avanti nella direzione della solvibilità fiscale piuttosto che altri pasti gratis all'Unipartito.

Di sicuro il corretto riorientamento della politica fiscale federale sarebbe un'imposta nazionale sulle vendite, o un'imposta IVA, che potrebbe essere applicata sia ai beni e ai servizi, sia alla produzione nazionale che alle importazioni. Un'IVA del 5% sugli attuali $20.000 miliardi all'anno di PCE (spese al consumo personali) totale genererebbe l'equivalente dei dazi di Trump, mentre un'imposta del 15% sulla PCE totale potrebbe sostituire interamente sia i dazi di Trump sia il resto dell'imposta sul reddito.

Nonostante i suoi difetti un dazio è un inizio atteso da tempo nella giusta direzione. La posizione audace di Trump a favore della tassazione dei consumi piuttosto che del reddito e dell'obbligo per tutte le famiglie di sostenere i costi del governo federale, non solo il piccolo numero di produttori in cima alla scala economica, è chiaramente superiore allo status quo.

Tuttavia questo radicale cambiamento nella composizione e nell'incidenza della politica fiscale non mette davvero a tacere il disastro fiscale.

Se si presumono i dazi e i tagli radicali alle imposte sul reddito e che le altre imposte federali su buste paga, società e accise rimangano le stesse, le entrate decennali ammonteranno a soli $60.000 miliardi rispetto alla spesa integrata di $85.000 miliardi secondo la linea di base del CBO. In breve, anche con una versione gigantesca di dazi, il piano di bilancio di Trump genererebbe comunque $25.000 miliardi di inchiostro rosso nel prossimo decennio.

Prospettive di bilancio decennale con tagli fiscali e dazi di Trump, dal 2025 al 2034:

• Imposte sul reddito delle persone fisiche con i tagli di Trump: $22.000 miliardi

• Dazi di Trump: $9.000 miliardi

• Imposte sul reddito esistenti: $20.900 miliardi

• Imposta vigente sulle società, tagliata al 15% per i produttori: $4.600 miliardi

• Altre entrate federali esistenti: $3.500 miliardi

• Entrate federali totali secondo la linea di politica di Trump: $60.000 miliardi

• Spese federali di base secondo il CBO: $85.000 miliardi

• Potenziale deficit di Trump nei prossimi 10 anni: $25.000 miliardi

Di sicuro Trump ha promesso di scatenare Elon Musk in una crociata contro gli sprechi e l'inefficienza del governo federale, e noi siamo più che felici che avvenga. Se qualcuno ha il coraggio e l'intelligenza per affrontare la Palude, sicuramente Elon Musk è in cima alla lista.

Trump ha promesso anche di proteggere l'82% del bilancio da qualsiasi taglio. Esatto. Elon potrebbe sbuffare e ridurre di un terzo i programmi e le agenzie non esenti e lasciare comunque deficit superiori a $20.000 miliardi nel prossimo decennio.

Costo decennale dei programmi sostenuti da Trump e che ha promesso di non tagliare o che non può tagliare:

• Previdenza sociale: $20.000 miliardi

• Medicare: $16.000 miliardi

• Pensioni federali militari e civili: $2.500 miliardi

• Programmi per i veterani: $3.000 miliardi

• Bilancio per la sicurezza nazionale: $15.500 miliardi

• Interessi sul debito pubblico: $13.000 miliardi

• Totale programmi esenti: $70.000 miliardi

• Programmi esenti in % dei $85.000 miliardi calcolati dal CBO: 82%

In breve, anche con i dazi di Trump e supponendo che Elon possa effettivamente tagliare il 33% del bilancio non esente senza chiudere il Washington Monument, la matematica di base lascia poco all'immaginazione. Una spesa di $80.000 miliardi ammonterebbe al 22,7% del PIL, mentre il pacchetto di entrate di Trump genererebbe $60.000 miliardi di entrate federali nel prossimo decennio, pari a circa il 17,0% del PIL.

A sua volta ciò lascerebbe un deficit strutturale di quasi il 6% del PIL. E questa proiezione presuppone che non ci sarà mai più una recessione e che l'interesse su un debito pubblico che si avvicinerà ai $60.000 miliardi entro il 2034 sarà in media solo del 3,3% nell'intero spettro di scadenza. Inutile dire che la proiezione del CBO, $1.700 miliardi di spesa annuale per interessi entro il 2034, è probabilmente sottostimata.

In ogni caso, la sfida di finanziare questi deficit giganteschi insieme ai $900 miliardi all'anno di dazi sarebbe considerevole. Questi ultimi da soli ammonterebbero a quasi il 10% del consumo annuale degli Stati Uniti di beni di consumo e beni d'investimento fissi.

Quindi se la FED dovesse “accomodare” questi enormi dazi accendendo le rotative a tutto gas nel tentativo di compensare la perdita di potere d’acquisto delle famiglie, potrebbe benissimo innescare un’ondata di inflazione ancora più virulenta di quella del 2021-2024.

D’altro canto se dovesse aderire alla corretta soluzione del denaro sano/onesto e rifiutarsi di “accomodare” sia gli enormi deficit sia i giganteschi dazi, i rendimenti obbligazionari e i tassi d'interesse salirebbero alle stelle, anche se l’economia di Main Street si contraesse bruscamente in risposta a un aumento una tantum del 10% del livello generale dei prezzi.

Finanziare enormi deficit di bilancio onestamente nei mercati obbligazionari, anziché tramite le rotative della FED, scatenerebbe anche la madre di tutti i crolli nei mercati finanziari. Trump otterrebbe quindi i suoi dazi e un sostanziale rimpatrio della produzione industriale, ma anche una recessione su Main Street e Wall Street.

Sfortunatamente questo è il prezzo che l'America deve pagare per eliminare gli effetti distruttivi di decenni di politiche di spesa, prestiti e stampa di denaro dell'Unipartito.

Tuttavia esiste uno scenario decisamente peggiore: la perpetuazione dello status quo dell'Unipartito, ciò che otterremmo se nello Studio Ovale ci finisse il candidato democratico.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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venerdì 1 novembre 2024

La ricchezza di una nazione

 

 

di Francesco Simoncelli

I mercati non necessariamente forniscono ciò che le persone vogliono, ma danno sempre loro ciò che meritano. Se lasciati in pace, i mercati forniscono prodotti, servizi, svaghi, droghe, alcol... qualsiasi cosa per cui le persone paghino volentieri. Quando i burocrati interferiscono (es. sovvenzionando, penalizzando, proibendo) le persone ottengono meno di ciò che vogliono e di più di ciò che vogliono i burocrati. Di solito ottengono anche molto di ciò che nessuno vuole. Gli interventi statali hanno quasi sempre conseguenze impreviste: non riescono a fornire i benefici promessi e quasi sempre comportano conseguenze indesiderate. Ad esempio, i tassi d'interesse ultra bassi hanno portato il Trend primario del 1980-2020 a livelli estremi. Una delle promesse frequenti dei politici è quella di ridurre la “disuguaglianza”. La sinistra italiana diceva che era la sua massima priorità, ma grazie alla politica dei tassi a zero, azioni e obbligazioni hanno entrambi raggiunto massimi da record e i ricchi sono diventati più ricchi che mai. Nel frattempo la crescita del PIL ha rallentato, l'inflazione è aumentata e ci ritroviamo con un rapporto debito pubblico/PIL che non può essere ripagato.

E ora, limitati dall'inflazione, i burocrati non possono resuscitare il boom del 1980-2021. Invece tutto è cambiato: azioni e obbligazioni rischiano di crollare e i burocrati rafforzano il nuovo Trend primario con tassi d'interesse più alti e deficit sproporzionati. E proprio come le loro linee di politica hanno portato a una ricchezza estrema (almeno per alcuni) durante l'ultimo boom, è probabile che le loro nuove linee di politica portino povertà estrema (forse per molti) mentre il nuovo Trend primario fa il suo corso.

I politici, a loro modo, dicono sempre la verità. Omettere pezzi non equivale a mentire. Di conseguenza ecco che l'economia italiana “cresce” se si fa il cherry picking di dati e si omette di spiegare come un'occupazione maggiore, ad esempio, non è sinonimo di crescita economica. Almeno in questo modo, seppur sulla carta, il verbo keynesiano viene soddisfatto: tassare durante i periodi di vacche grasse. Ma davvero sono grasse? Tralasciando la questione controversa del PIL, un dato sulla bocca di tutti i policymaker è l'occupazione, a detta loro da record. In realtà, è il sommerso che è diminuito, ma questi posti di lavoro già esistevano prima sono semplicemente venuti alla luce adesso; non è stato aggiunto niente. Poi, come da immagine qui sotto, la produzione industriale è in calo da 19 mesi consecutivi; difficile affermare che le cose stiano migliorando se si esclude questo parametro fondamentale.

In particolar modo, non si può affermare una crescita sostenuta in presenza di debito pubblico e deficit fuori controllo... a meno che, ovviamente, non vengano intesi come “anticipo” di una crescita futura, una ipoteca su quest'ultima attraverso uno stimolo fiscale. La questione tasse, infine, è un altro aspetto critico. È vero che non ne sono state create di nuove... sono state semplicemente aumentate le vecchie. Dalle rivalutazioni catastali, i limiti tolti alla web tax e la sua imposizione sul fatturato (cosa che colpisce particolarmente le PMI), la diminuzione delle detrazioni fiscali, ecc. abbiamo un'economia tutt'altro che frizzante ma con un nodo alla gola stretto sempre di più.

E come se non bastasse, a livello europeo è arrivato un nuovo giro di vite che va a penalizzare gli standard di vita delle persone. La teoria economica ci ricorda, in particolare attraverso la voce di Ricardo, che il vantaggio comparato è un supporto per quelle nazioni specializzate in altro. Ancora meglio, è un sollievo per quelle nazioni che devono rimettere in sesto il proprio comparto industriale chiave a causa di scelte imprenditoriali scellerate. Come già affermato all'inizio di questo pezzo, tale è il risultato quando si vogliono soddisfare i “desideri” dei burocrati piuttosto che quelli delle persone. Per essere più specifici, uno dei comparti industriali più in sofferenza è quello delle auto. Detto in modo diretto, nessuno le vuole. Ciononostante il chiaro messaggio che erutta dalle sale decisionali dell'Europa è quello di ridurre l'impronta di anidride carbonica, a qualunque costo. Di conseguenza, malgrado il flop delle auto elettriche, Stellantis decide di continuare a puntare su una scommessa perdente dato che dal prossimo anno i limiti alle emissioni di CO₂ diventeranno più stringenti. Non solo, a ciò bisogna aggiungere un mercato del lavoro ingessato, tassato e i cui costi sono decisamente alti; senza contare, poi, che l'Europa non gode di materie prime in grado di sostenere una produzione industriale automobilistica a basso costo. Questo a sua volta si traduce in un asset, quello dell'auto, che sta tornando a essere sempre di più un “bene di lusso” e data questa pesante barriera all'ingresso ciò inficia la capacità d'indipendenza delle persone.

Inutile dire che un simile assetto avvalora la tesi che ho presentato in maggiore dettaglio nel mio ultimo libro, Il Grande Default, in cui esploro la natura tirannica e totalitaria dell'UE come fine ultimo della sua “strategia” di risoluzione della crisi economica. Detto in parole povere, un “reset” attraverso un controllo capillare della società in modo da minimizzare eventuali proteste quando dovranno essere prese “decisioni drastiche”. E i venti di guerra che continuano a essere alimentati, prima in Georgia e adesso in Moldavia, sono funzionali a questo scopo. Questa tesi è ulteriormente supportata se incastriamo nel mosaico anche il tassello dei dazi alle auto elettriche cinesi. Piuttosto che sfruttare questo avanzamento tecnologico estero in grado di fornire sollievo alla classe media qualora l'obiettivo reale fosse davvero una decarbonizzazione genuina e dettata dalla volontà di migliorare le condizioni ambientali, si sceglie invece l'autarchia e la dannazione per la classe media.

Sarebbe come dire: “Ehi stranieri... avete un nuovo prodotto? Prezzi più bassi? Una tecnologia migliore? Beh... tenetevela per voi!”. Lo scopo “ufficiale” della Commissione europea è quello di proteggere il continente dalle “esportazioni sleali” derivanti dalla “sovraccapacità industriale della Cina”. Non ho idea di cosa sia una “esportazione sleale”, ma si spaccia l'idea velenosa che limitare il commercio renderebbe gli europei più ricchi. Dal punto di vista tecnologico la Cina ha fatto enormi passi in avanti, soprattutto quando si parla di rimpicciolimento dei chip. Certo, non sono ancora ai livelli di TSMC, ciononostante ha superato il continente europeo in quanto a ricerca & sviluppo. Quest'ultimo, infatti, langue con un ritardo di circa 18 mesi su tutti i fronti del settore tecnologico, interessata più a tassare che innovare. Di conseguenza quella dell'Europa, e dell'Occidente in generale, vuole essere una strategia di contenimento, più che di concorrenza e quindi miglioramento: impedire ai BRICS, in particolar modo Cina e Russia, di esprimere il loro potenziale.

Dal punto di vista industriale la Cina ha percorso la stessa strada percorsa dall'Inghilterra quando sorpassò gli olandesi in termini navali: copiare, arrivare allo stesso livello, superare. Dal punto di vista geopolitico il potenziale contenimento passa attraverso una escalation militare che non accenna ad arrestarsi. O per meglio dire, non si vuole arrestare. Se ricorderete, cari lettori, lo scorso giugno vi mettevo in guardia dal pericolo eruttante in Georgia a tal proposito, ora tale pericolo si sta espandendo anche alla Moldavia. La neutralità di tale nazione nei confronti della guerra tra Russia e Ucraina non collima più con il leitmotiv dell'Occidente: “O con noi, o contro di noi”. È esistenziale. Di conseguenza le ingerenze europee nella politica moldava e la costruzione della nuova base militare statunitense in Romania (tra il confine moldavo e il Mar Nero) sono due facce della stessa medaglia: risoluzione dei guai economici attraverso la guerra. O peggio ancora, guerra totale.

C'è un modello di ciclo di vita che dà un senso a tutto questo: quando una nazione è giovane e vigorosa, è desiderosa di competere; quando è vecchia e stanca, diventa timorosa.

Sin dai tempi di Adam Smith è stato ovvio che il commercio è la chiave del successo economico. Cosa succederebbe se l'Italia imponesse un dazio del 100% sulle auto importate dalla Germania? Cosa succederebbe se la concorrenza in chirurgia fosse vietata, cosicché invece di cercare il miglior chirurgo per la vostra operazione al cervello dovreste affidarvi al veterinario locale? Il progresso materiale deriva dalla tecnologia e dalla divisione del lavoro. Il muratore sa posare i mattoni meglio del fornaio; il fornaio sa come fare il pane. Scambiano la rispettiva produzione ed entrambi stanno meglio.

Nelle società primitive le persone devono fare tutto da sole: cacciano il loro cibo, costruiscono i loro rifugi e cuciono i loro vestiti. In una società ricca, si specializzano. La persona tipica oggi si siede davanti a un computer, chiama un fisioterapista per aiutarlo a raddrizzare la schiena e ordina cibo tramite il food delivery. Non semina, né caccia, ciononostante mangia. Usa un computer, ma non ha idea di come funzioni. Fa una doccia calda e guida un'auto: Dio non voglia che non funzionino. Il suo intero tenore di vita si basa su una vasta rete di conoscenze specializzate, provenienti da tutto il mondo. Qualsiasi cosa facciano i burocrati per interferire con questi scambi volontari renderà le persone più povere. Ma non è questo il punto? Adam Smith rese popolare l'idea che, badando a sé stesse, le persone in realtà migliorano le cose per gli altri. Era come se fossero guidate da una “mano invisibile”.

È possibile che anche i burocrati siano guidati da una “mano invisibile”? Nel tentativo di migliorare le cose per sé stessi, invariabilmente le peggiorano per tutti gli altri. E nel tentativo di forzare i mercati a fare la loro offerta, inevitabilmente esagerano le tendenze che stavano cercando di fermare.

 

“PICCO CINESE”?

Abbiamo visto come le linee di politica in ambito monetario e fiscale abbiano creato la bolla alla fine del Trend primario 1980-2021; abbiamo visto come le nuove linee di politica (tassi d'interesse più alti, deficit enormi) contribuiscano al nuovo Trend primario: prezzi più bassi (aggiustati all'inflazione) di azioni e obbligazioni insieme a livelli di inflazione dei prezzi più elevati. Abbiamo anche esaminato come le politiche commerciali amplificano tale trend, aumentando i prezzi al consumo per la popolazione generale e sprecando capitale prezioso nel tentativo di mettere un bastone tra le ruote ai nostri concorrenti. La questione morale è secondaria, per chiunque voglia tirarla in ballo: non sto parlando di giusto o ingiusto, buono o cattivo. Ci dobbiamo concentrare sull'effetto delle linee di politica sul mondo finanziario.

Il vero progresso economico è fatto da scambi volontari di beni e servizi. Si può avere potere politico, come diceva Mao, con la “canna di una pistola”, ma non potere economico. Prima che Deng Xiaoping permettesse agli imprenditori cinesi di scatenarsi, la Cina di Mao era un inferno: non produceva praticamente nulla che il mondo volesse acquistare; ora, invece, è il principale esportatore mondiale. Ma oggi i politici occidentali seguono l'esempio di Mao, non quello di Deng: cercano di intimidire, criticare, imporre dazi e sanzioni per raggiungere il successo. In realtà non faranno altro che esagerare il nuovo Trend primario: i prezzi degli asset scenderanno e la maggior parte delle persone diventerà più povera. E se ho ragione, vedremo questa tendenza riflessa nel rapporto Dow/oro: il prezzo dell'oro sale e quello del Dow scende (aggiustato all'inflazione).

C'è una nuova convinzione tra gli storici della macroeconomia secondo cui abbiamo già assistito al “Picco cinese”. La Cina ha trovato un punto debole nel commercio mondiale, dicono, mettendo centinaia di milioni di contadini a lavorare con salari da fame; poi l'America ha fatto un grosso errore aprendo i suoi mercati ai prodotti cinesi a basso costo. Ma quella fase si è esaurita, aggiungono, i salari in Cina non sono più bassi e gli Stati Uniti stanno chiudendo le porte. La Cina avrà un ruolo minore in futuro. Inoltre la Cina è gestita da comunisti che sono pianificatori centrali peggiori di quelli occidentali. È così? Sì, certo. Commettono gli stessi errori? Sì, certo. Non cadranno in guerre, depressioni e povertà autoimposta? Molto probabilmente sì. Lungi da me affermare di sapere come sarà il futuro, però il “Picco cinese” potrebbe non essere ancora arrivato. Leggiamo dal Financial Times:

I governi degli Stati Uniti e dell'Europa si sono concentrati molto sulla necessità di “ridurre i rischi” delle catene di approvvigionamento, allontanandosi dalla Cina dopo l'invasione russa dell'Ucraina e le chiusure delle frontiere durante la pandemia. Ma più la Cina continentale diventa competitiva, più è difficile per gli attori industriali internazionali andarsene.

Sia le vecchie che le nuove aziende industriali sottolineano la necessità di essere in Cina per scopi di ricerca e per accedere al suo vasto mercato. Windrose Technology, una start-up di camion elettrici, mira a quotarsi negli Stati Uniti, ma attualmente si affida a partner della Cina continentale, tra cui Anhui Jianghuai Automobile Group di proprietà statale, per la produzione. “Come produttore di veicoli elettrici, se non sei collegato alla Cina e fingi di essere il miglior produttore di camion al mondo nel settore dei veicoli elettrici, nessuno ti crederà”, ha affermato Wen Han, fondatore di Windrose.

Leggiamo poi da AsiaTimes:

Negli ultimi anni la Cina è passata dall'essere un produttore a basso costo di beni per la casa a un produttore avanzato di prodotti elettronici e tecnologie verdi. La manodopera a basso costo è stata sostituita da robot e intelligenza artificiale. Una nuova fabbrica per Xiaomi, originariamente un produttore di smartphone, produce una nuova auto elettrica ogni 76 secondi, o 40 all'ora, senza essere toccata da mani umane.

Infine leggiamo da NikkeiASIA:

XPeng, EHang e altre aziende cinesi metteranno in commercio auto volanti quest'anno, sfruttando i vantaggi del Paese nelle tecnologie delle auto elettriche per rivendicare una quota importante del mercato globale emergente.

XPeng AeroHT, una sussidiaria della startup di veicoli elettrici, mira a vendere un veicolo elettrico a decollo e atterraggio verticale (eVTOL) a doppia modalità, che si può guidare sulla terraferma come un'auto e staccare un modulo volante per il viaggio aereo.

Il prezzo sarà di circa 1 milione di yuan ($138.000). Qiu ha affermato che l'azienda spera di abbassare il prezzo a centinaia di migliaia di yuan.

“Se la produzione di massa su larga scala diventa possibile, possiamo ridurre drasticamente i costi” per materiali come la fibra di carbonio, ha affermato.

I leader cinesi commetteranno errori? Certo che sì. Ma saranno in grado di soffocare l'energia di milioni di imprenditori e uomini d'affari? Forse no.

Nel frattempo le società mature dell'Occidente (incluso il Giappone) sono alle prese con i problemi del passato: le sue burocrazie, le sue promesse e il suo debito. L'ordine post-seconda guerra mondiale, con l'Occidente al comando, appare stanco, vecchio e debole. Le nazioni emergenti rappresentano una minaccia: devono essere tenute al loro posto. Le nuove tecnologie devono essere regolamentate e controllate, il libero scambio deve essere sostituito da un commercio micro-gestito, la libertà di parola deve essere controllata dalle élite. E persino il clima della Terra non deve essere lasciato cambiare.

La cosa più importante: i sussidi per la vecchiaia devono essere protetti. Queste sono democrazie, i vecchi votano.

Al contrario, le società più dinamiche del “Sud del mondo” (Brasile, Indonesia, Sudafrica, Turchia, India, Russia e Cina) vogliono un Nuovo Ordine Mondiale. Pensano che sia giunto il momento per loro di uscire alla luce del sole e questo potrebbe significare cacciare via dalla spiaggia i pensionati flaccidi dell'Occidente.


STUPIDITÀ? NO, VANDALISMO

Siamo tutti umani, troppo umani, come diceva Nietzsche. Paura, avidità, gelosia, odio, brama di potere, complicità, generosità, patriottismo: gli elementi di base sono sempre presenti, ma le strutture di potere, come l'ordine mondiale del secondo dopoguerra, cambiano. Ovviamente le persone al vertice vorrebbero mantenere le loro posizioni di comando, con tutti i vantaggi che ne derivano, ma quando le proprie “soluzioni” vengono di volta in volta sconfessate da un peggioramento delle cose che dovrebbero essere migliorate e le promesse del passato vanno puntualmente in fumo, ecco che il cambiamento spinge sempre di più. In Europa, in particolar modo, questo fenomeno viene canalizzato in quei partiti definiti dal mainstream come “estremi”; in realtà di “estremo” c'è solo l'estrema ratio di elettori stufi che in qualche modo si rifugiano ancora nelle elezioni piuttosto che diventare “estremi” in altro modo.

Come abbiamo visto nelle sezioni precedenti il mondo è sommerso dal debito, soprattutto Europa e Inghilterra, e devono giustificarne il default. L'escalation dei vari fronti di guerra serve allo scopo. Nel frattempo bisogna resistere alla prova del tempo e degli imprevisti, facendo strame dello stato di diritto. In questo contesto, infatti, s'inserisce la proposta danese di tassare gli unrealized capital gain su Bitcoin. Questa è solo l'ultima proposta in ordine cronologico di una volontà europea ben precisa: saccheggiare il saccheggiabile dalla classe produttiva per rimanere a galla e riciclare il vecchio sistema in uno nuovo, ma con le stesse caratteristiche di base del precedente. Non sorprende vedere poi la stessa tipologia di tassa accarezzata dall'amministrazione Biden, alimentata in particolare dalla neo-canditata democratica Harris.

Una tassa simile serve sostanzialmente a distruggere ciò che resta di una formazione efficiente del capitale privato. Una transizione imprescindibile per il proverbiale capitalismo degli stakeholder. Questa è una guerra e in prima linea ci sono i risparmi degli individui. Anche questa è una guerra esistenziale, soprattutto per coloro che popolano il vertice della piramide sociale, ora che le fazioni che la compongono sono in guerra l'una contro l'altra. L'amministrazione Biden è l'infiltrato per eccellenza della cricca di Davos negli Stati Uniti, il cui scopo è impantanarli in guerre estere affinché il flusso di dollari continui a scorrere fuori dalla nazione (ora più che mai dato che i rubinetti degli eurodollari sono stati chiusi dalle decisioni di Powell). Infatti saprete che il prossimo presidente sarà Trump se l'escalation dei vari fronti di guerra si farà sempre più intensa. L'obiettivo è quello di lasciargli come minimo due guerre da cui gli USA non si potranno tirare indietro e quindi rendergli la vita impossibile nel mettere a posto il quadro fiscale della nazione. La battaglia sul lato monetario infatti è stata persa, nonostante gli scudi alzati dai democratici e la pressione da parte di alcuni di loro, capitanati da Elizabeth Warren, di far riassorbire la FED dal Tesoro americano.

La banca centrale americana, adesso, è la migliore carta che esiste per contrastare i piani distopici di un gruppo di comunisti europei. Powell, diversamente dalla Yellen e da Bernanke che sono accademici,  viene dal mondo di Wall Street e si trova in quel ruolo proprio per salvaguardare quest'ultimo e l'indipendenza della FED stessa. Ciò gli ha permesso di mettere un freno alla trasformazione sovietica degli Stati Uniti. Come spiego nel mio ultimo libro, Il Grande Default, è stato attraverso gli eurodollari che gli USA sono stati svuotati della loro capacità industriale e finanziaria; la riforma dei mercati pronti contro termine statunitensi nel 2019, l'aumento delle remunerazioni in tale mercato nel 2021, l'introduzione del SOFR e infine il ciclo di rialzo dei tassi sono state tutte mosse di “Private Equity” Powell di rimpatriare la politica monetaria e toglierla dalle mani estere (inglesi ed europee). In sintesi, la FED ha smesso di essere la banca centrale del mondo.

I conti della nazione rimangono tutt'altro che solidi, ecco perché è richiesta un'azione radicale a Capitol Hill ed ecco perché l'unico appiglio che rimane alla cricca di Davos è quello dal lato fiscale dell'equazione. La logica conclusione in base a quanto detto finora è riassunta dalla seguente citazione tratta da un recente pezzo di Peter Earle sulla unrealized capital gain tax:

[...] Potrebbe causare enormi distorsioni che si riversano nell'economia statunitense, distruggere le aziende, alterare radicalmente il modo in cui operano le aziende, spostare capitali all'estero, scoraggiare gli investimenti e rimodellare in modo incommensurabile il panorama aziendale americano. In sostanza, richiedere il pagamento di tasse su asset finanziari invenduti, quote di proprietà, investimenti fissi, proprietà intellettuale, oggetti da collezione e altre forme di ricchezza agirebbe come un terremoto economico, sconvolgendo i mercati dei capitali che sostengono l'innovazione. Una tale tassa comprometterebbe gravemente la crescita economica a lungo termine soffocandone i finanziamenti, causando danni duraturi e forse fatali sia alle imprese di lunga data che a quelle nascenti. [...] la nuova imposta sulle plusvalenze non realizzate rischia di innescare un'elusione fiscale diffusa e una fuga di capitali che diminuirebbero qualsiasi potenziale beneficio per il bilancio.


IL GIOCO DELLA COLPA

Nel mio pezzo di due settimane fa, Il piatto europeo non deve saltare, abbiamo visto che è possibile scendere dalla montagna del debito, più o meno in sicurezza. La Giamaica l'ha fatto, la Grecia sembra farlo e l'Argentina ha iniziato a farlo. Lo si fa, però, solo tagliando la spesa... bruscamente. Abbastanza per avere un surplus che utile per ridurre il debito. Come dice Javier Milei: un bilancio in pareggio è “non negoziabile”. A tal proposito sarebbe come minimo incoraggiante se gli Stati Uniti tagliassero dalla spesa pubblica i circa $1.000 miliardi di “aiuti esteri”.

Nell'ultimo disegno di legge americano sugli “aiuti esteri”, troviamo molte delle caratteristiche “negative” del carattere umano: furto, corruzione, illusione, arroganza. Per quanto riguarda il furto, la misura includeva una sezione che consentiva ai burocrati di rubare asset di proprietà russa. È come se, in risposta all'invasione statunitense dell'Iraq, la Francia avesse sequestrato i conti bancari degli americani a Parigi. La corruzione segue abbastanza presto. Poi c'è l'illusione che l'Ucraina sia una democrazia modello e che inviandole più soldi vincerà la guerra e il mondo sarà un posto migliore. Nemmeno gli ucraini ci credono. Nella seconda guerra mondiale gli americani facevano la fila negli uffici di reclutamento, desiderosi di “fare la loro parte”. Le cose stanno diversamente in Ucraina. Zelensky, poi, ha messo al bando undici partiti di opposizione, ha preso il controllo della copertura dei notiziari televisivi, ha annullato le elezioni, ha proibito di parlare russo e ha perseguitato i cristiani ortodossi. Che tipo di democrazia è questa? Ancora più importante, c'è qualche motivo per cui gli americani dovrebbero preoccuparsi di chi vincerà la battaglia per le province di lingua russa dell'Ucraina?

Gli Stati Uniti hanno speso dollari che non avevano per benefici che non otterranno mai. Un'analisi costi-benefici convenzionale rivela costi enormi e benefici improbabili, o imponderabili. Allora perché farlo? Più sicurezza? Improbabile. Più pace? Niente affatto. Più prosperità? Esattamente il contrario. Tutto ciò che si otterrà di sicuro sarà più debito. Ciò rende i dollari in “aiuti esteri” – a persone che non ne hanno bisogno (Israele), che non possono ottenere nulla con essi (Ucraina), o che non ne hanno un reale utilizzo (Taiwan) – ancora più fuori luogo. Gli americani saranno accusati per il massacro degli innocenti a Gaza; in Ucraina saranno accusati per non aver dato ai soldati abbastanza potenza di fuoco per vincere e per aver promosso una guerra persa con centinaia di migliaia di vittime; in Asia verranno tagliati fuori dal commercio amichevole con l'economia più innovativa e produttiva del pianeta. Invece di ottenere i benefici del commercio (win-win, o vicendevolmente vantaggiosi) con la Cina, gli Stati Uniti raccoglieranno i costi amari della rivalità (win-lose, o somma zero).

Gli schemi della megapolitica suggeriscono anche che questo tipo di spesa eccessiva e di ingerenza negli affari altrui favorirà il declino dell'impero statunitense. Come se fossero guidati da una mano invisibile, i burocrati fanno ciò che devono fare, quando devono farlo, distruggendo la posizione finanziaria dell'America, minando la sua posizione morale e, in ultima analisi, distruggendo la sua posizione di principale potenza mondiale.

L'indebitamento extra eserciterà una pressione al rialzo sui tassi d'interesse. Il denaro abbandonerà quindi il mercato azionario per trarre vantaggio dai tassi più alti sulle obbligazioni. Le azioni perderanno valore. I prezzi al consumo saliranno (spinti verso l'alto da deficit più grandi). Gli americani saranno più poveri e il Trend primario seguirà il suo corso.

Ma aspettate, c'è di più: arroganza. Perché rafforzare la potenza militare degli Stati Uniti per “contrastare” l'influenza cinese? Perché vietare TikTok o sovvenzionare l'industria statunitense dei chip? Perché fare della Cina un nemico? Perché cercare il “primato in Asia”? È perché lavorare con la Cina in modo pacifico e reciprocamente vantaggioso non dovrebbe giovare al sistema politico corrotto, all'industria della potenza di fuoco, ai suoi lobbisti e think tank, ai politici che prendono i suoi soldi e votano a suo favore? Una relazione win-win, o vicendevolmente vantaggiosa, con la Cina non farebbe aumentare i prezzi al consumo, né farebbe aumentare il debito degli Stati Uniti, né contribuirebbe a tassi d'interesse più alti e prezzi degli asset più bassi. Né darebbe ai guerrafondai qualcosa di cui blaterare in TV. Invece le “strane politiche” americane potrebbero aiutare i cinesi a raggiungere la gloria a cui aspirano.

Non ha senso... a meno che non si uniscano puntini aggiuntivi. Allora diventa chiaro come mai i neocon americani abbiano cambiato casacca e remino contro il benessere della nazione, portandola sull'orlo del fallimento e rendendola il bersaglio di tutte le critiche mondiali (fondate e infondate).


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