venerdì 4 ottobre 2024

Punto di non ritorno

 

 

di Francesco Simoncelli

I ricercatori accademici ci dicono che quando le nazioni raggiungono un debito del 130% del PIL, esso diventa praticamente ingestibile. A quel punto il sistema finanziario è come un elicottero che ha esaurito il carburante. I piloti, non importa quanto intelligenti o abili, non possono più atterrare in sicurezza. Secondo i miei calcoli questo “punto di non ritorno” arriverà prima dei prossimi cinque anni. Per capire meglio questa affermazione vorrei usare il mercato del lavoro italiano come proxy.

Se il tasso di disoccupazione è sceso, ma le ore medie lavorate per lavoratore sono scese, il tasso di partecipazione al lavoro è sceso e i salari reali sono negativi, allora non c'è alcun miglioramento dell'occupazione. E ricordate che queste statistiche arrivano sulla scia del più grande “pacchetto di stimoli fiscali” degli ultimi decenni. Improvvisamente non sembrava esserci più alcun limite a quanto i politici potessero spendere senza aumentare le tasse, il tutto a costo zero. Il più grande esperimento monetario combinato con un livello senza precedenti di aumento del debito pubblico, però, non ha fatto altro che impoverire i lavoratori. Il keynesismo, e la pianificazione centrale per estensione, portano sempre a investimenti errati, cattiva allocazione del capitale, maggiore indebitamento e peggiori risultati per i lavoratori e la classe media. E per una ragione molto semplice: gli stati non hanno informazioni migliori o superiori sui requisiti della società e spendono denaro che proviene da qualcun altro.

Gli investimenti errati vengono fisiologicamente corretti quando gli attori di mercato vengono lasciati liberi di agire; diventano invece la norma quando lo stato controlla l'economia. E invece della distruzione creativa otteniamo un incentivo alla cattiva allocazione del capitale. Gli stimoli fiscali non hanno fatto altro che erodere la classe media e creato livelli record di debito pubblico. Se poi ci aggiungiamo i “contributi” obbligatori alle aziende, le detrazioni fiscali in riduzione, polizze obbligatorie, privatizzazioni (diverse dalle liberalizzazioni) agli amici degli amici che gonfiano (artificialmente) il P/E e un'agenda Green economicamente/socialmente insostenibile, il risultato sarà scarsità artificiale e persistente, inflazione dei prezzi e ulteriore impoverimento.

E ora, sui due temi chiave, guerra e spesa, deficit e potenza di fuoco, tutti gli schieramenti politici sono d'accordo: ne vogliono di più. Molto probabilmente lo otterranno e anche un disastro alimentato da uno tsunami di debiti.


IL GORGO

Anche in questo caso l'Italia è un esempio calzante: il record della spesa pubblica è sufficiente a dimostrarlo. Stiamo parlando dello stesso Paese che ha superato la soglia del debito/PIL al 130% nel 2013 e da allora è stato un continuo scivolare verso il basso piuttosto che una risalita verso la sostenibilità. In questo scivolamento s'è portata dietro il resto degli stati membri europei, proprio per il fatto che a causa della “Tragedia dei beni comuni” con cui è stata strutturata l'UE, i guai finanziari di uno si diffondono a raggiera agli altri. Una classica socializzazione delle perdite. Questo rischio di default che infetta progressivamente i vari membri dell'Eurosistema si manifesta attraverso il sistema crediti/debiti TARGET2 e infatti uno dei Paesi più indebitati nei confronti della Germania, presumibilmente il più virtuoso, è proprio l'Italia. Scrivo “presumibilmente” perché sappiamo che esiste una spada di Damocle sulla testa della Germania, sia motivo di ricatto che motivo di preoccupazione per il governo tedesco, rappresentata dalla recente scoperta della Corte dei conti tedesca in merito ai numeri ufficiali del deficit.

I lettori di questo blog sanno benissimo che alla base di tutte queste criticità c'è un minimo comun denominatore: crisi della liquidità. Ma non è una “normale” crisi della liquidità, si tratta della madre di tutte le crisi della liquidità proprio perché è stata alimentata dalla decisione della Federal Reserve di riappropriarsi della politica monetaria del Paese. Per quanto paradossale possa sembrare il mercato degli eurodollari permetteva alle banche estere di creare massa monetaria in dollari al di fuori del circuito finanziario americano, facendo poi pagare le conseguenze di questo azzardo morale all'ennesima potenza agli Stati Uniti stessi... anche quando non c'era alcun segno di problema al loro interno. L'isolamento del mercato dei pronti contro termine statunitense nel 2019, l'avvio del SOFR al posto del LIBOR e il ciclo di rialzo dei tassi facevano tutti parte di una strategia per prosciugare la mole gigantesca di liquidità ombra che ancora circola nei mercati mondiali. È un compito, questo, che non si esaurisce in una manciata di anni, visto che stiamo parlando di qualcosa che esiste da decenni e ha messo radici profonde.

Oltre all'Europa chi ha più da perdere è la City di Londra, sede per eccellenza di tutte queste macchinazioni ombra. Le prove convergono verso di essa quando si prendono in considerazione diversi avvenimenti accaduti nel corso degli anni, soprattutto i trattati di pace fatti saltare ad hoc dal presidente Johnson quando è volato in Turchia nell'estate del 2022 e ha fatto cambiare idea al presidente ucraino. Da che mondo è mondo, guerra e inflazione sono degli espedienti perfetti quando l'élite al comando affronta un redde rationem: attraverso di essi può far pagare il conto a qualcun altro e rimanere al comando. Le promesse sono state gonfiate oltremodo, soprattutto in Occidente, dove uno stato sociale ipertrofico fagocita risorse a passo spedito, il default del sistema pensionistico continua a essere rimandato con le unghie e coi denti e una spesa per armamenti cancellerà infine qualsiasi voce discrezionale in eventuali tagli alla spesa pubblica. E se ci ricordiamo che le statistiche ufficiali sovrastimano numeri come quelli del PIL e sottostimano quelli dell'inflazione dei prezzi, la soglia del 130% è stata superata da molti più player di quanti ne stimano le statistiche ufficiali.

È una lotta contro il tempo, in particolar modo per Londra e Bruxelles. Il denaro deve continuare a scorrere e se non è la FED a farlo scorrere, sarà il Tesoro americano. I tamburi di guerra suonano per questo motivo: impantanare gli USA in più guerre in modo che la risultate spesa fiscale venga dirottata nei circuiti finanziari europei e inglesi. La guerra in Ucraina, infatti, è una gigantesca operazione di riciclaggio di denaro. E lo stesso vale per le paranoie “Green” e i criteri ESG, non a caso alimentate dall'Europa ma ormai abbandonate dagli USA.

Le prossime elezioni saranno determinanti a tal proposito. La posta in gioco è molto alta e il punto di non ritorno per gli Stati Uniti è proprio un rapporto debito/PIL oltre il 130%. Superarlo significherà finire nello stesso gorgo in cui si trovano attualmente tutte quelle nazioni che hanno usato la leva finanziaria per gonfiare il mercato degli eurodollari e che adesso ne stanno pagando le conseguenze: aumento serpeggiante delle valutazioni di rischio, con i bilanci che perdono pezzi sul lato degli attivi e vedono aumentarli sul lato dei passivi. La Russia fa gola per le sue risorse, ma gli Stati Uniti sono il vero obiettivo qui. Ecco perché la guerra nell'Europa orientale è esistenziale per tutti gli attori della megapolitica.


ANCORA QUALCHE ANNO DI RESPIRO

Il Congressional Budget Office stima che gli Stati Uniti raggiungeranno il rapporto debito/PIL al 130% nel 2033, dando loro ancora qualche anno di grazia prima che il disastro diventi inevitabile. E qui apriamo una breve parentesi: è per questo che di recente la FED ha tagliato i tassi, venendo incontro al governo federale e assecondando un clima quanto più disteso possibile durante le imminenti elezioni. Come avevo scritto in precedenza, molto probabilmente ci sarebbe stato un taglio dei tassi in prossimità delle elezioni e la spinta è stata data dal rendimento del biennale americano salito al 5,03% tra gennaio e maggio, nonostante un'economia solida e cifre ufficiali molto incoraggianti.

L'irresponsabilità fiscale dell'amministrazione Biden-Harris ha portato il deficit annuale a nuovi massimi nonostante entrate fiscali record e una crescita del PIL migliore del previsto. Il deficit pubblico ha raggiunto $1.897 miliardi nei primi undici mesi di quest'anno e i costi degli interessi sul debito pubblico hanno superato per la prima volta $1.000 miliardi. Inoltre il Tesoro USA si aspetta un aumento di $16.000 miliardi nel debito pubblico tra il 2024 e il 2034 e il Congress Budget Office stima che l'attuazione del piano economico della Harris comporterà un ulteriore aumento del debito da $2.250 miliardi. Naturalmente sappiamo tutti che l'economia non è così forte come sembra e che le cifre ufficiali nascondono un mercato del lavoro e un'economia produttiva molto più deboli, ma la FED ha reagito una volta che ha visto che i rendimenti obbligazionari sovrani sono saliti a nuovi massimi e perché la domanda di debito pubblico statunitense da parte degli investitori stranieri ha iniziato a diminuire visibilmente. La FED ha dovuto agire con un forte taglio dei tassi per salvare il Tesoro, impedendo che la sua offerta cavalcante diventasse bidless. A questo giro la mano l'ha vinta la Yellen.

Fonte: Congressional Budget Office

Tornando in tema, invece, il Penn Wharton Budget Model suggerisce che gli Stati Uniti raggiungeranno il livello del 130% un po' prima, già nel 2030 se i tassi d'interesse saranno 250 punti base più alti rispetto al loro modello di base. Quest'ultimo ci dice che se qualcosa non cambia (es. i tassi d'interesse rimangono gli stessi, la spesa non viene tagliata, le tasse non vengono aumentate), il debito totale sul PIL raggiungerà il 188% entro il 2050 (e il 310% del PIL entro il 2050 nello scenario “peggiore”).

A mio giudizio una recessione, più armi nel circo geopolitico, o un'altra emergenza inventata forniranno copertura al governo federale per prendere in prestito più di quanto prevedano le proiezioni ufficiali. La mia stima è che gli USA raggiungeranno il punto di non ritorno del 130% prima del 2028, cioè prima della fine del prossimo mandato presidenziale. Ecco perché le elezioni statunitensi di quest'anno non sono solo l'ennesimo concorso di bellezza presidenziale in cui gli elettori scelgono tra due vecchi in base alle loro posizioni su aborto, immigrazione, chip di silicio, o senzatetto. In questa elezione c'è qualcosa di più in gioco, sarà quella che segnerà il destino dell'America.

Dal punto di vista geopolitico i vandali al comando hanno minato la credibilità della nazione con il ritiro rocambolesco dall' Afghanistan, l'impantanamento nella guerra nell'Europa orientale, l'ignavia nel Canale di Suez e l'attrito con Israele (base americana in Medio Oriente). Dal punto di vista economico, poi, a meno che non ci sia una drastica correzione di rotta il debito degli Stati Uniti raggiungerà il 130% del PIL durante il prossimo mandato presidenziale. Quando ciò accadrà, non ci saranno ulteriori possibilità di una risoluzione “intenzionale” del problema. Come una nave che ha perso potenza, il capitano può dare tutti gli ordini che vuole... non farà alcuna differenza, non ha alcun controllo su dove andrà.


NESSUNO VUOLE FINIRE SOTT'ACQUA

Nel frattempo l'oro continua a macinare nuovi massimi. Cosa sta vedendo il mercato del metallo giallo? Forse la stessa cosa che vedo io: una crisi del debito che si avvicina rapidamente. Tassi d'interesse più elevati rendono impossibile finanziare il debito, quindi, una volta accesa la miccia non può essere spenta... i policymaker non possono controllare cosa succede dopo. E ka-boom! Gli stati in genere ricorrono alla stampa di denaro, contando su periodi prolungati di alta inflazione per ridurre il peso del debito. La mia ipotesi è che si verificherà un'emergenza finanziaria poiché un'inflazione ostinatamente alta mantiene i tassi d'interesse a livelli scomodi.

Gli Stati Uniti hanno ancora un certo spazio di manovra, Europa e Regno Unito, invece, non possono permettersi tassi d'interesse alti. Le aziende non possono rifinanziare le loro obbligazioni, i proprietari di case non possono rifinanziare i loro mutui, gli stessi burocrati non possono indebitarsi senza far salire ulteriormente i tassi d'interesse. Prima o poi una bancarotta importante, o persino una grande svendita nel mercato azionario, potrebbero essere sufficienti a far andare nel panico gli stati europei. Da qui l'urgenza della BCE e di Bruxelles affinché si brucino le tappe per un'integrazione fiscale e obbligazionaria del continente. Chi ha letto il rapporto che ha presentato Draghi alla Commissione europea saprà che è diviso in due parti: pars destruens e pars (presumibilmente) costruens. Nella prima c'è la descrizione impietosa di un Eurosistema al collasso e con un piede nella fossa; nella seconda la giustificazione accademica all'emissione congiunta di bond sovrani.

Questa è l'unica strada che l'UE presuppone abbia per sopravvivere alla crisi economica/finanziaria che pende sulla sua testa, una che preservi anche l'attuale catena di comando tra l'altro. La guerra, invece, è una strategia per allentare la pressione dei debiti, una che l'Inghilterra conosce bene. Gli Stati Uniti sono stati tirati dentro per far guadagnare tempo a questo processo. Ciò ha significato a sua volta rendere ancor più ipertrofico il mercato degli eurodollari, con tutte le conseguenze del caso nel sistema bancario ombra, andando a distorcere e deformare definitivamente la percezione del rischio. A questo punto preservare i propri bilanci e schermarli quanto più possibile da un ritorno sostenibile alla valutazione dei rischi è la priorità di qualsiasi istituzione mondiale, ecco perché quando la Lagarde parla di “problema nella trasmissione della politica monetaria della BCE” se la sta velatamente prendendo con le banche commerciali che non hanno alcuna intenzione di assecondare gli stimoli monetari alimentati da una linea di politica più morbida sui tassi d'interesse.

Temono gli scoperti di bilanci, temono che un improvviso spike, in basso o in alto, negli asset finanziari e non possano scatenare effetti a catena imprevedibili da determinare ex ante. Negli ultimi 15 anni in particolar modo, sono stati alimentati i fuochi dell'ingegneria finanziaria così come quelli della creazione di liquidità ombra; da quando la Federal Reserve ha deciso di isolarsi quanto più possibile dagli spillover di questa follia, un “calmo” panico è quello che accompagna i mercati: la bancarotta di un qualsiasi player dall'altra parte del mondo potrebbe far scattare margin call a cascata e intaccare indirettamente i bilanci di un'istituzione sana... o apparentemente tale. Senza la Federal Reserve che salva il mondo e senza la BOJ che facilita un carry trade sullo yen, i più fragili in questa catena del rischio sono i primi a finire sotto l'occhio di bue. E si dà il caso che essi siano proprio i player europei e inglesi. La principale contromisura è stata quella di far inguaiare gli Stati Uniti il più in fretta possibile e dirottare tutte le attenzioni su di loro, in modo da mettere una toppa, per quanto temporanea, alla debolezza europea e inglese.

In questo contesto l'oro sale per la percezione del rischio: non ha rischio di controparte.

In conclusione, se si lascia che i tassi salgano, si rischia una grave crisi del debito. I proprietari di case, le aziende e gli stati stessi potrebbero non essere in grado di rinnovare i loro enormi debiti. Se invece li si sopprime, ciò apre la porta a più inflazione, ulteriore soppressione dei tassi e una spirale vertiginosa di prezzi sempre più alti. Inoltre le cose non possono nemmeno rimanere come stanno, perché i deficit pubblici aggiungono ogni giorno nuovo debito. Giorno dopo giorno. Più bombe; più farmaci brevettati.

Ogni unità monetaria deve essere finanziata, gli interessi sui debiti devono essere pagati e ogni unità monetaria aumenta la pressione per tassi d'interesse più alti, aumentando il costo totale degli interessi e avvicinando il giorno della resa dei conti.


CONCLUSIONE

Il problema è talmente semplice che persino un politico potrebbe capirlo: gli stati spendono troppi soldi. La differenza tra ciò che ottengono in entrate e ciò che spendono in cianfrusaglie, bombe e farmaci brevettati deve essere coperta prendendo in prestito o “stampando” denaro. Se i burocrati prendono in prestito denaro, devono pagare interessi; più prendono in prestito, più interessi pagano. A meno che non smettano di spendere, devono prendere in prestito sempre di più.

Prima o poi dovranno così tanti interessi che non saranno in grado di ripagarli. Gli investitori vedono arrivare la resa dei conti e chiedono tassi d'interesse più alti per coprire il rischio, aumentando ulteriormente la spesa pubblica per interessi. Il punto di non ritorno si verifica quando il debito pubblico raggiunge il 130% del PIL. Questo non è un numero arbitrario, è quando i politici perdono il controllo. Le entrate fiscali coprono solo il una porzione sempre più risicata della spesa pubblica: per ogni unità monetaria spesa essa è coperta da una frazione sempre più risicata di entrate. E ogni anno questa perdita aumenta con l'aumento dei costi per gli interessi. Presto diventa proibitivamente costoso. Quando ciò accade, i politici in genere ricorrono alla stampa di denaro: è allora che arriva la miseria, i prezzi aumentano e le persone diventano più povere.

Inoltre l'inflazione mina le istituzioni chiave, in particolare lo stato stesso, portando al caos politico e sociale. Ciò di cui ci sarebbe realmente bisogno, l'unica cosa da fare, è proprio la cosa che non si vuole fare: tagliare la spesa pubblica. Drasticamente.

Dal momento che la maggior parte di ciò che spendono i politici è inutile, dovrebbe essere facile da fare. Dal punto di vista politico, però, è quasi impossibile. Ogni unità monetaria spesa finisce nelle tasche di qualcuno e quest'ultimo è politicamente potente, altrimenti suddetta unità non ci sarebbe finita nelle sue tasche. Prosciugare questo flusso sarà davvero un'impresa ardua. D'altro canto, se il denaro continua a fluire allo stesso ritmo, il disastro è praticamente garantito. In questa situazione un imprenditore, o più in generale la persona media e avveduta, deve mettersi il coltello tra i denti e prepararsi alla battaglia. Con le spalle al muro, dovrebbe fare il necessario per proteggersi... o altrimenti soccombere.

La lotta più dura attende le popolazioni europee, dato che è il continente con i guai economici più seri. Senza più il presunto monopsonio che si fregiava di avere, una produzione industriale al palo e una burocrazia asfissiante, l'inflazione dei prezzi non può più essere sterilizzata bensì assorbita tramite l'erosione dei risparmi reali della popolazione autoctona. Processo portato ai massimi giri con l'euro digitale. Ecco perché, ad esempio, ha praticamente perso la partita sul mercato degli scambi transfrontalieri con lo yuan cinese. Il dollaro, invece, continua a essere predominante soprattutto perché gli Stati Uniti hanno i mercati dei capitali più liquidi e una produzione industriale/tecnologica frizzante. Ricorreranno ancora una volta alla svalutazione del dollaro per potenziare le esportazioni e ridurre le importazioni, potenziando l'industria locale e isolandosi da fornitori esteri come la Cina. Da questo punto di vista gli USA asseconderanno la narrativa secondo cui esiste una de-dollarizzazione. L'obiettivo di Washington, così come quello dei BRICS, è isolarsi quanto più possibile dagli scossoni di mercati finanziari rotti; resistere ai contraccolpi del ritorno di una valutazione sana del rischio.

Meno problemi emergeranno sui mercati dei cambi esteri, meno problemi di gestione del debito (in dollari) avranno le economie emergenti. In caso contrario il dollaro schizzerà in alto portando alla morte repentina dello stesso e di tutte le economie satellite che hanno debiti denominati in dollari. In uno scenario del genere avremo nuovi Accordi del Plaza, ciononostante ci sarà tremenda inflazione dei prezzi negli USA e deflazione nel resto del mondo (con relativi fallimenti a catena). Lo scenario alternativo, uno verso cui stanno puntando gli Stati Uniti, è quello di utilizzare un sistema super partes, uno che non è controllato da nessuno: Bitcoin. Potrebbe diventare un meccanismo di equilibrio indipendente verso cui convergere senza che nessuno debba affermare il proprio predominio sugli altri. La Cina non ha nessuna intenzione di trasformare lo yuan in valuta di riserva mondiale, ha visto cosa è accaduto al dollaro e soprattutto alla creatura deforme (eurodollaro) che è nata da esso. Il settlement interno ai BRICS tramite l'oro è solo un modo per emanciparsi dallo SWIFT, non sostituire il dollaro.


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