venerdì 18 ottobre 2024

Il piatto europeo non deve saltare

 

 

di Francesco Simoncelli

Nei miei ultimi pezzi ho analizzato alcuni fattori che ci permettono di avere un quadro della situazione economica abbastanza chiaro: le due cose principali che fanno crollare una nazione sono la guerra e il debito, le nazioni del mondo stanno alimentando entrambi, il debito della maggior parte di loro supera la soglia critica del 130% del PIL, tutti utilizzano la stessa “carta di credito” per le spese pubbliche e rinviano il debito a qualcun altro, in un altro momento, e in una democrazia moderna chi decide compete per potere e denaro; nessuno ha l'incentivo a smettere di calciare il barattolo lungo la strada. Mettiamo queste intuizioni in prospettiva adesso. Il mercato obbligazionario europeo ha raggiunto il picco (con rendimenti minimi record) a dicembre 2020; il mercato azionario ha raggiunto il picco alla fine del 2000. A tutti gli effetti inversioni nel Trend primario, da allora infatti non è successo nulla che suggerisca il contrario: il picco locale del 2007, ad esempio nell'EuroStoxxx 50, è inferiore a quello precedente, così come l'ascesa attuale non ha ancora superato il massimo relativo del 2007. Molto probabilmente assisteremo a prezzi reali di azioni e obbligazioni più bassi (con tassi d'interesse più elevati) per molti anni a venire.

Abbiamo visto i massimi, ora aspettiamo i minimi. Gli investitori avveduti, quelli di lungo termine soprattutto, dovrebbero essere in modalità “prudenza massima”. Potranno allentare la tensione e vendere oro quando i prezzi delle azioni scenderanno così tanto che si potranno acquistare tutte le azioni nell'indice Dow per cinque monete d'oro da un'oncia. Molto probabilmente anche il governo degli Stati Uniti dovrà toccare un fondo: dovrà entrare nel mezzo di una vera e propria crisi del debito prima di potere rimettere insieme i cocci della nazione. Solo dopo potrà tornare a linee di politica finanziarie sostenibili.

Ma aspettate, c'è sempre qualcosa di più. Javier Milei non sta forse ribaltando le sorti dell'Argentina? Trump non sta suggerendo che farà lo stesso con gli Stati Uniti? La Giamaica, ad esempio, non è forse uscita con successo da una crisi del debito... e anche la Grecia? Sì, sì, sì e forse.

Solo pochi anni fa la Giamaica era sull'orlo di un crollo finanziario. Aveva speso troppo e preso in prestito troppo, i creditori si rifiutavano di concedere altro credito, l'inflazione era alle stelle e la valuta stava perdendo valore. Ma invece di andare in default la Giamaica si è rimboccata le maniche e si è messa al lavoro. Un paio di studi accademici, riportati anche dal Financial Times, ci raccontano cosa è successo:

La Giamaica ha dimezzato il rapporto debito pubblico/PIL dal 144% tra il 2012 e il 2023 [...]. Lo ha fatto attraverso surplus primari sostenuti (eccesso di entrate rispetto alla spesa, esclusi i pagamenti degli interessi) superiori al 7% del PIL per sette anni consecutivi.

Per riferimento, l'Italia attualmente sta operando con un deficit di bilancio di circa il 7% del PIL. Gli autori del lavoro accademico, professori di Stanford e Berkeley insieme a Serkan Arslanalp dell'FMI, hanno concluso che è stata una “dura lotta di costruzione del consenso”. In qualche modo il governo giamaicano è riuscito a convincere quasi tutti a stringere la cinghia mentre comprimeva sempre di più il proprio bilancio.

La Grecia è un altro caso di studio. Le finanze pubbliche della Grecia erano gestite in modo assurdo e notoriamente corrotto. Il governo greco era stato in “quasi default” per tutto il XIX secolo e gran parte del XX secolo, ha speso soldi che non aveva e poi ha mentito sui suoi numeri in modo che non si potesse capire cosa stesse realmente succedendo. Nel 2008, ad esempio, la sua spesa militare era il doppio della media dell'UE. Nel 2009, poi, è arrivato il giorno del giudizio, con un debito superiore al 130% del PIL. In circostanze normali le persone non avrebbero prestato tutti quei soldi, ma Goldman Sachs l'aveva aiutata a mascherare la sua situazione finanziaria reale in modo che ottenesse l'adesione all'Unione Europea. Come membro dell'UE è stata in grado di prendere in prestito in una valuta stabile, l'euro, e sembrava avere il sostegno di Germania e Francia. Poi, quando sono iniziati i guai, i tedeschi hanno protestato: non volevano salvare i greci, pigri e dissoluti.

Questi ultimi hanno fatto quello che hanno sempre fatto: sono diventati la prima nazione sviluppata a non pagare un prestito dell'FMI. Ci sono state rivolte, chiusure di banche, caos e tumulti. Le spese sono state tagliate, sono stati negoziati salvataggi, altre crisi, altre negoziazioni. Nel 2012 un bond greco a 20 anni era quasi senza valore, con un rendimento salito quasi del 140%. La Grecia era un “caso disperato”, ma la vita continuava. Gli sportelli bancomat non funzionavano, ma i ristoranti erano aperti. La disoccupazione era salita, ma molti greci erano comunque abituati a non lavorare.

Nel 2011 la Grecia era in depressione, con un PIL in calo del 7%. Più di 100.000 aziende erano fallite e il tasso di disoccupazione aveva raggiunto il 23%. Il rapporto debito/PIL aveva raggiunto il 177% nel 2014 e nel 2016 sembrava aver toccato il fondo, con un greco su tre che si diceva vivesse in povertà. Ma può sempre peggiorare: le crisi economiche spesso diventano anche crisi politiche. Se siete fortunati le persone perdono soldi, perdono il lavoro, le aziende e gli investitori vanno in rovina e questa è la fine; se invece siete sfortunati, volano proiettili e ci sono carri armati nelle strade. Finora la Grecia è stata fortunata.

Avrebbe potuto scappare dall'Europa e dire alla “Troika” (FMI, Banca Mondiale e UE) di andarsene al diavolo; avrebbe potuto tornare alla sua moneta, la dracma, come consigliato da Paul Krugman, e lanciarsi in un baccanale di stampa di denaro e iperinflazione. Invece si è rimboccata le maniche, ha tagliato la spesa, ha aumentato le tasse, licenziato “dipendenti pubblici” fannulloni ed è riuscita a ottenere un surplus di bilancio di circa il 4% del PIL. Il suo rapporto debito/PIL è sceso dal 180% al 160%, ma con l'aiuto della Troika sembra tenere le cose insieme mentre riduce il suo debito.

Cosa possiamo imparare da questi esempi? Probabilmente non molto. Sono piccoli Paesi, dove la democrazia sembra funzionare meglio. E, a differenza degli Stati Uniti ad esempio, non sono mai stati in grado di prendere in prestito grandi quantità in una valuta il cui valore controllavano... quindi non potevano “svalutare” i loro debiti.


L'INCALZANTE STRETTA SULLE PENSIONI

Nel frattempo ci sono anche schemi negli affari politici e a volte è difficile collegare le due cose: finanza e politica (un campo che viene definito Megapolitica). Ma i massimi da record nel mercato obbligazionario e azionario sono stati chiaramente il prodotto di linee di politica governative, due in particolare: debito e guerra. Gli stimoli fiscali/monetari, le guerre e i debiti sono aumentati, così come i prezzi al consumo, e poi l'inflazione ha costretto le banche centrali ad abbandonare il loro sostegno ai mercati azionari e obbligazionari. Le azioni sono scese, così come il valore delle obbligazioni (i rendimenti sono aumentati), anche se nel mercato azionario il danno è stato mascherato dall'inflazione stessa. Ciononostante l'impatto vero sui mercati obbligazionari non è stato ancora avvertito. Fondi pensione, compagnie assicurative e banche commerciali detengono miliardi di euro in obbligazioni sovrane e molti di essi sono stati obbligati ad acquistarle come forme “sicure” di riserve di capitale; poi quando hanno iniziato a perdere valore, i loro proprietari le hanno tenute al valore nominale, impegnandosi a detenerle fino alla scadenza e fingendo che non avrebbero perso denaro.

Ecco perché si parla tanto di abbassare i tassi d'interesse. Non c'è nulla di intrinsecamente buono in tassi d'interesse più bassi. Le persone li pagano e li ricevono sui loro risparmi, ma sono solo informazioni. I principali player nel nostro sistema finanziario, ovvero banche commerciali e agenzie governative, sono tutti grandi proprietari e venditori di obbligazioni sovrane. Quando i tassi d'interesse salgono, non solo per loro diventa più difficile prendere in prestito denaro, ma diminuisce anche il valore dei titoli obbligazionari in loro possesso.

I fondi pensione, ad esempio, dedicano circa il 56% dei loro portafogli alle obbligazioni sovrane. Man mano che queste ultime perdono valore a causa dell'inflazione, i rendimenti dei fondi pensione vengono schiacciati. I deflussi, i pagamenti ai pensionati, vengono aggiustati all'inflazione, ma i loro titoli di Stato no. Devono quindi raccogliere più denaro per coprire il deficit nelle loro riserve e ciò richiede più prestiti, il che spinge i tassi d'interesse verso l'alto.

Nel frattempo sempre più persone vanno in pensione mettendo ulteriore pressione sulle finanze degli stati. I pensionati diventano a tutti gli effetti dipendenti dalla previdenza sociale.

Questo schema segue i modelli di Trend primario nei mercati. Le linee di politica delle banche centrali, in particolare i tassi d'interesse estremamente bassi, hanno ingannato i mercati azionari e obbligazionari fino a farli raggiungere massimi estremi. Ora, e nei decenni a venire, le politiche fiscali/monetarie, guerra e debito li spingeranno a minimi estremi.


LENTO E PROGRESSIVO IMPOVERIMENTO PER NON FAR SALTARE IL PIATTO

Il succo del benessere, di cui tanti hanno nostalgia, degli ultimi 40+ anni era questo: la ricchezza ha abbandonato l'economia dei consumatori (grazie ai prezzi più bassi dei beni di fabbricazione estera e alla perdita di posti di lavoro nel settore manifatturiero) ed è entrata nell'economia finanziarizzata (grazie ai tassi di interesse ultra bassi). Le azioni sono salite alle stelle, gli stipendi sono rimasti stagnanti. Il periodo successivo sarà l'opposto: il denaro verrà sottratto all'economia del capitale e immesso nell'economia dei consumatori (tramite deficit). Tassi più alti, prezzi delle azioni più bassi.

Quanto è utile questa intuizione? Ci permette di capire come il Trend primario nei mercati (tassi d'interesse più alti, prezzi delle azioni più bassi) si collega ai modelli della politica. Non si può capire come funziona una colonia di formiche diventando una formica, né si può capire la politica moderna diventando un democratico o un repubblicano. Bisogna fare un passo indietro e osservare. Come un antropologo che cerca di studiare una tribù mai contattata prima. Anche nel mondo della finanza, conviene essere invisibili, non partigiani. Imparziali.

L'inflazione è diventata parte integrante del sistema, non è più alimentata principalmente dalla politica monetaria (tassi d'interesse bassissimi) ma dalla politica fiscale (deficit elevatissimi). Ogni anno le banche centrali sottraggono dall'economia finanziaria da uno a due mila miliardi di dollari in più (in deficit). Gli investitori acquistano obbligazioni e i fondi finiscono nei “programmi non discrezionali”, come la previdenza sociale e le pensioni. E anche nei programmi discrezionali, come i miliardi spesi in armi da usare nei vari conflitti nel mondo. Questo denaro alla fine arriva negli stipendi e poi nei prezzi al consumo. Il processo è insidioso: vent'anni fa, ad esempio, si poteva comprare un chilo di pane a circa €1,85; oggi costa €4,2 circa, quasi il 70% di più. Il pane è l'alimento più economico e veloce per la classe operaia quando si tratta di mangiare. Una paga oraria media nei primi anni 2000 era di €8 l'ora circa: ci volevano circa 15 minuti di lavoro per comprare un chilo di pane. Oggi la paga oraria media è di €19 circa, il che equivale a circa 18 minuti per comprare un chilo di pane... tre minuti in più. Non è solo inflazione; è un impoverimento lento e progressivo. Negli ultimi 24 anni i lavoratori sono diventati più poveri.

Jeffrey Tucker ci mostra, poi, come i dati ufficiali sull'inflazione distorcono ulteriormente la percezione della realtà.

La politica degli stati è cambiata. Le banche centrali non possono più dare una spinta all'economia finanziaria tramite tassi d'interesse ultra bassi, la Legge dei rendimenti decrescenti sta decretando erosione di PIL e non creazione aggiuntiva mediante nuove unità di debito immesse nel sistema. Il cambio di rotta da parte della BCE, ad esempio, non sta facendo altro che incentivare la fuga di capitali dal mercato obbligazionario europeo e ciò rende più difficile per gli stati membri prendere in prestito i soldi di cui hanno bisogno. E questo, a sua volta, necessita di misure più stringenti sui sottoposti.

Questa “carta di credito”, però, per quanto possa essere profonda, soprattutto in Italia, non è infinita e serve solo a comprare tempo. Perché? Perché con la chiusura dei rubinetti dell'eurodollaro i sogni di scalare gli Stati Uniti sono stati infranti. Questa era la fonte prediletta dei presunti pasti gratis che per molto tempo hanno tenuto in piedi le illusioni burocratiche dell'UE di far marciare in avanti l'idea che l'URSS aveva senso solo che “era gestita male”. Le illusioni socialiste sono sempre le stesse: “Abbiamo imparato dalla storia e non commetteremo gli stessi errori”. Finché i guai economici potevano essere trasferiti a qualcun altro, questo assioma pareva reggere... poi, nel 2017, sono iniziati i lavori per implementare il SOFR negli Stati Uniti e nel 2019 i sogni socialisti dell'UE sono definitivamente tramontati quando i mercati dei pronti contro termine statunitensi sono stati chiusi alle garanzie extra-americane.

Il resto è storia e potete approfondirne i vari aspetti nell'ultimo libro che ho pubblicato di recente, Il Grande Default.

Il succo della storia è che la nave europea sta seguendo la direzione del fallimento e l'unico modo che ha per salvarsi, o almeno per provarci, è quello di accentrare ancora di più il potere. Questo significa la possibilità di tassare direttamente i contribuenti di ogni singolo stato europeo e il trasferimento di tali competenze direttamente a Bruxelles. Non solo, ma anche la possibilità di emettere debito comune, ovvero obbligazioni sovrane comuni. I piani come il Next Generation EU o le obbligazioni SURE sono tutti strumenti che puntano in tale direzione. Chi ha il potere decisionale, infatti, sa benissimo che questa è solo una fase di transizione e affinché rimanga saldamente al comando deve assolutamente condurre il gioco verso suddetto finale di partita. Pensateci, il tessuto industriale è sfilacciato, la capacità innovativa inesistente e la produzione continua a perdere vigore a vista d'occhio; il presunto monopsonio europeo era un'illusione tenuta in piedi dall'accesso al mercato dell'eurodollaro che, a sua volta, permetteva all'UE di accedere a finanziamenti a basso costo. Tale accesso adesso è precluso e lo è in un momento storico in cui le principali potenze del mondo, Cina e Stati Uniti, stanno progressivamente autarchizzando le proprie economie. Se gli Stati Uniti hanno dalla loro l'innovazione tecnologica e l'energia relativamente a basso costo, la Cina può contare anche su un allargamento della sua sfera d'influenza tramite i BIRCS. Cos'ha l'Europa invece? Niente di tutto ciò, così come ha sottolineato di recente anche Draghi nella sua relazione.

Se fino al 2017 l'accentramento progressivo era stato messo sul pilota automatico, abbiamo visto che con la crisi sanitaria e l'escalation in Europa orientale e Medio Oriente ci sono state nuove vampate d'accelerazione in tal senso. Aspettiamocene, quindi, un'altra nell'arco di questa Commissione europea dato che senza tale propellente la macchina europea si ingolfa e salta in aria.


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