mercoledì 16 ottobre 2024

Il mio terzo libro: “Il Grande Default”

Ho pubblicato il mio terzo libro, il titolo è Il Grande Default. Lo trovate disponibile per l'acquisto al seguente link su Amazon: https://www.amazon.it/dp/B0DJK1J4K9

L'accumulo di capitale è necessario per fornire i finanziamenti alle imprese sostenibili, le quali generano occupazione, reddito e gettito fiscale. La determinazione dei prezzi nei mercati dei capitali è essenziale per valutare accuratamente il rapporto rischio/rendimento sia degli investimenti economici reali che delle attività finanziarie. La determinazione dei prezzi alimenta quindi l'allocazione efficiente del capitale al suo impiego più redditizio sulla base delle informazioni raccolte da milioni di investitori. Questo concetto è uno dei fondamenti cruciali della teoria capitalista.

Quando le banche centrali hanno spinto i tassi d'interesse sia a lungo che a breve termine ai minimi storici, sono successe due cose:

• Gli investimenti meno attraenti sono diventati "redditizi";

• L'allocazione del capitale ha iniziato a subire distorsioni.

Il tasso d'interesse è essenzialmente il "prezzo del tempo", poiché il futuro tende ad essere più rischioso del presente. Quando prendiamo in prestito dal futuro per investire, un tasso d'interesse cerca di riflettere questo rischio: maggiore è l'incertezza, maggiore è il tasso d'interesse. O è così che dovrebbe andare, ma le banche centrali hanno fatto e stanno facendo di tutto per aggirare questa legge economica. Con tassi d'interesse molto bassi o negativi, che sono diventati comuni dal 2010 in poi, i finanziamenti diventano disponibili anche per quegli investimenti che non sono redditizi.  Questa è un'allocazione del capitale pericolosa perché tali imprese non redditizie dovrebbero fallire, ma schivano il proverbiale proiettile d'argento grazie ai finanziamenti artificialmente a buon mercato. Queste imprese "zombi" sprecano capitale che invece potrebbe essere utilizzato per finanziare investimenti più redditizi, il che a sua volta si tradurrebbe in salari più elevati, dividendi e plusvalenze per gli azionisti e un'economia più vigorosa e dinamica.

Questo è il fardello che le banche centrali hanno apposto sulle spalle dell'economia mondiale, e si vede anche nei numeri ufficiali. La misurazione dell'impatto della distruzione creativa, ovvero il flusso di innovazioni tecnologiche nell'economia, è ostacolata dal fatto che non è osservabile. Quando si manifesta un'innovazione tecnologica in grado di aumentare la redditività, le imprese acquisiscono nuove attrezzature e lavoratori più qualificati per integrarle nella produzione. Sebbene possiamo misurare attrezzature, macchinari e persino la qualità del lavoro, l'aumento effettivo della produttività dell'innovazione non può essere osservato direttamente, almeno a livello "macro".

Tuttavia conosciamo il livello di aumento della produzione, gli investimenti in attrezzature e macchinari (capitale) e il miglioramento della quantità/qualità della forza lavoro. La parte riguardante l'aumento della produzione che non può essere spiegata da questi elementi può essere interpretata come crescita della produttività in tutta l'economia.

Le banche centrali hanno svuotato l'economia mondiale indebolendo seriamente il processo di distruzione creativa e hanno distrutto il meccanismo di determinazione dei prezzi nei mercati dei capitali, il che ha portato a gravi distorsioni (bolle) nei mercati finanziari. La conseguente fragilità dell'economia mondiale e dei mercati finanziari significa che siamo soggetti ad un crollo epico, che danneggerà gravemente famiglie, aziende e persino i Paesi. Le probabilità che il suo epicentro sia l'Europa sono molto alte. In un periodo come questo in cui le finanze delle imprese sono sotto forte stress ed il loro patrimonio netto fortemente eroso, le banche commerciali finiranno nuovamente nell'occhio del ciclone a causa dell'inettitudine del governo italiano e dell'azzardo morale generato dal denaro facile.

E quando tale crollo arriverà, con esso verrà deciso il destino delle nostre generazioni e di quelle future. Se lasciamo che le banche centrali assumano il pieno controllo delle nostre economie, emergerà uno scenario futuro davvero orribile. La generazione degli anni '30 e '40 ha affrontato tempi difficili e ha imparato a lavorare duro, a risparmiare denaro e a lasciare che l'economia facesse il suo corso. Questo semplice fatto è ciò che ha prodotto i bei tempi degli anni '50 e '60, rendendo gli Stati Uniti leader mondiali senza pari, in tutti i sensi. Il 1955, infatti, fu l'ultimo anno in cui gli USA sperimentarono una deflazione dei prezzi al consumo. Però, come dice il proverbio, ciò che una generazione impara quella successiva dimentica.

Richard Nixon si ritrovò a far fronte ad un aumento dell'inflazione dei prezzi: 4,3% nel 1971. Il dollaro era in calo ed i francesi stavano arrivando con le portaerei sui lidi americani per scambiare i loro dollari in oro. Cosa fece Nixon? Tagliò la spesa pubblica, le tasse e si rimboccò le maniche per trovare una via d'uscita dal buco in cui lo aveva scaraventato Lyndon Johnson con le politiche di "Guns and butter"? No, ordinò invece la chiusura della "finestra dell'oro". Da allora in poi l'America avrebbe operato con un nuovo tipo di denaro fasullo, coperto solo dalla credibilità dei futuri capi del Tesoro e della FED.

L'inflazione salì al 13% nel 1980 e sembrava inarrestabile, almeno fino a quando Paul Volcker la riportò sotto controllo. Questa spallata garantì agli Stati Uniti 20 anni di relativa prosperità. Ma da allora è come se fosse stato reciso l'ultimo barlume di sanità economica nelle menti degli economisti mainstream e degli imbonitori nei media generalisti.

In primo luogo, nel 2001 George W. Bush cedette ai guerrafondai e all'ala militare/industriale del Deep State dando il via alla guerra più lunga, più costosa e più inutile nella storia degli Stati Uniti. Non c'era un nemico identificabile. Nel frattempo anche il capo della FED, Alan Greenspan, imboccò la strada dell'azzardo morale infinito: piuttosto che lasciare che l'economia guarisse da sola dopo la recessione del 2001, la manipolò e la distorse ulteriormente abbassando il tasso di riferimento oltre 500 punti base.

Questi tassi d'interesse artificialmente bassi generarono la crisi dei mutui del 2008-2009. Poi sia la FED, con il successore di Greenspan, Ben Bernanke, che il governo federale, con Barack Obama, hanno raddoppiato la dose. Bernanke giustificò la propria mancanza di spina dorsale nel suo libro, The Courage to Act, e come il suo predecessore tagliò il tasso di riferimento di oltre 5 punti percentuali fino a quasi zero. Obama continuò a finanziare le cattedrali nel deserto avviate dalla precedente amministrazione e sebbene si fosse impegnato a far uscire l'America dalle futili guerre di Bush, quando arrivò il momento critico piuttosto che scontrarsi con i guerrafondai, compresi Hillary Clinton e Joe Biden, si lasciò andare.

La crisi successiva, nel settembre 2019, non ha fatto altro che portare alla luce tutti quegli errori economici spazzati sotto il tappeto in passato ma moltiplicati nei costi. La continua distorsione dei mercati attraverso gli interventi progressivi e crescenti da parte del sistema bancario centrale non solo ha creato un scollamento gigantesco tra Main Street e Wall Street, ma i presunti guadagni generati da quest'ultimo comparto sono stati il risultato di un trasferimento di ricchezza grazie alla stampa di denaro. Ma l'Effetto Cantillon non ha ripercussioni solo sull'inflazione dei prezzi, anche e soprattutto sulla qualità degli investimenti" (o pseudo tali) che vengono intrapresi.

Infatti esso toglie risorse preziose a quelle attività che avrebbero creato una prosperità genuina, come abbiamo visto nella sezione precedente, e le costringe al fallimento. Cosa che non sarebbe accaduta in un mercato non ostacolato. Nel contempo quelle realtà privilegiate artificialmente restano in piedi e non si dedicano più a servire il cliente, bensì gozzovigliano con l'ingegneria finanziaria. La speculazione forsennata che ne emerge non è più quel processo migliorativo che funge da collante tra produzione presente e futura, bensì una mania che spinge gli attori di mercato a rincorrere tutti quegli asset che ancora mostrano un rendimento positivo. Non esiste più un mark-to-market, ma solo un market maker (banca centrale) che man mano socializza comparti interi dell'economia nel momento in cui finiscono sotto pressione a causa degli interventi precedenti.

Accade per eccellenza nel mercato obbligazionario statale e si sta diffondendo al resto dei mercati, come quello obbligazionario societario.

Mises aveva messo in guardia nel suo piccolo gioiello degli anni '50, Planned Chaos, da questo percorso pericoloso. È una strada verso la rovina che infatti richiede interventi sempre più grandi ed invadenti per permettere allo status quo di andare avanti ancora un giorno in più. Il problema è il prezzo da pagare e stiamo vedendo che più passa il tempo più si fa salato, sia in termini economici che in termini sociali. Non dovrebbe sorprendere quindi che il vicepresidente della Banca mondiale, Carmen Reinhardt, ha detto che un disastro finanziario è all'orizzonte: default sovrano e default per il debito aziendale. Il fatto stesso di un crollo imminente non dovrebbe essere una sorpresa, specialmente se ci si ricorda di $1,5 triliardi di derivati in un'economia mondiale che genera solo $80.000 miliardi/anno in beni e scambi misurabili. Non importa ciò che le banche centrali hanno tentato di fare per fermare un nuovo crash dei mercati, niente ha funzionato. I tassi d'interesse da zero a negativi non hanno funzionato, l'apertura di prestiti repo overnight per $100 miliardi a banche fallite non ha funzionato, né il salvataggio da $4.500 miliardi. Non importa cosa provano a fare questi maghi finanziari, la situazione continua a peggiorare. Piuttosto che riconoscere ciò che sta realmente accadendo, sono stati selezionati capri espiatori per spostare la colpa.

Dallo schema Ponzi delle pensioni fino alla "Everything bubble" dei giorni nostri, il sistema in cui operiamo è stato distorto a tal punto che ormai inizia ad essere una passività anche per chi è ai posti di comando. L'incapacità di attuare un calcolo economico in accordo coi mercati è il cuore del problema. La teoria Austriaca del ciclo economico, annunciata da Ludwig von Mises nel 1912, ci dice che un'offerta di denaro gonfiata porta a distorsioni dei prezzi nei mercati dei capitali. Queste distorsioni promuovono investimenti in linee di produzione che produrranno perdite quando l'offerta di moneta smetterà di crescere, peggio quando si contrae.

La tesi di un Grande Reset è la demolizione controllata dell'economia. Questa non è un'ipotesi campata in aria, bensì documentata sin dal 1977 e avanzata nientemeno che da Paul Volcker. Il settore più colpito è quello della piccola/media impresa. Questo è il cuore della classe media, la quale è indebitata a livelli senza precedenti e quindi ferma al proverbiale Picco del Debito. Non è più in grado di rispondere agli stimoli monetari e non essendoci più bilanci da saturare attraverso il credito facile la pianificazione centrale fallisce. Nessuna forward guidance è in grado di aggirare questo esito.

Quindi cosa fanno i pianificatori monetari centrali? Agirebbero in base alla fallacia della finestra rotta, annientando il sopraccitato settore per poi permettergli, attraverso sovvenzioni, di tornare a produrre. Un deleveraging classico di quell'ammontare di debiti significherebbe anche la deflagrazione di tutte quelle entità che sono connesse col sistema bancario centrale e che ne traggono profitto: grandi banche commerciali e stati. Libero mercato significa necessariamente libera scelta,  e la piccola/media impresa è la quintessenza del decentramento e dell'imprevidibilità. La spasmodica ricerca del controllo da parte delle autorità centrali, sventolando il feticcio delle emergenze, serve quindi a tenere tutti buoni mentre si riorganizza il "giocattolo". Una strategia, questa, che diventa sempre più impellente per l'UE in particolar modo man mano che passa il tempo. Senza integrazione fiscale, e soprattutto senza un sistema di emissione obbligazionaria di debito comune, non supererà la proverbiale notte. Ha bisogno come il pane di questa soluzione e ciò significa maggiore centralizzazione dei poteri, con tutte le conseguenze del caso.

Il mio libro, in definitiva, esplora e analizza la logica conclusione dell'economia mista, un viaggio per comprendere e svelare le meccaniche ombra che regolano il mondo dell'economia e della finanza di oggi. L'esperimento di fondere insieme economia e geopolitica chiarisce il caos socioeconomico dei giorni nostri, permettendo al lettore di acquisire un nuovo grado di consapevolezza e quindi la possibilità di sfruttare opportunità che prima non vedeva. Un vantaggio comparato rispetto agli altri che, al giorno d'oggi, significa salvezza (economica) oppure dannazione (economica). Il manoscritto va a concludere la mia trilogia di testi dedicati alla corretta e facile comprensione dei temi economici attraverso gli occhiali della Scuola Austriaca. Tutto è iniziato con L'economia è un gioco da ragazzi che presentava ai lettori la teoria basilare, poi ho proseguito con La fine delle fallacie economiche in cui portavo a un livello avanzato la teoria e ora sono pronto a chiudere questo filone con la "messa in pratica", facendo evolvere la teoria del ciclo economico attraverso l'inclusione del sistema bancario ombra e le tematiche geopolitiche.

Un testo, Il Grande Default (qui la versione cartacea) (qui la versione digitale), che sicuramente vi prenderà del tempo ma in cambio di questo investimento metterà insieme i tasselli di quel mosaico che ancora appare confuso a molti.

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