venerdì 13 settembre 2024

Ludwig von Mises e la teoria Austriaca della moneta, dell'attività bancaria e del ciclo economico — Parte #3

 

 

di Richard Ebeling

Quando l'edizione in lingua inglese di The Theory of Money and Credit di Ludwig von Mises fu pubblicata 90 anni fa, nel 1934, il mondo era nel mezzo della Grande Depressione. Il crollo del mercato azionario americano nell'ottobre del 1929 si trasformò presto in una grave crisi economica che raggiunse il punto più basso in termini di disoccupazione e calo della produzione industriale/agricola nel 1932 e all'inizio del 1933.

In Europa le condizioni economiche non erano migliori. La Gran Bretagna e la Francia, ad esempio, stavano sperimentando gli stessi effetti negativi di calo della produzione e aumento della disoccupazione, anche se il peggio, in termini di questi due indicatori economici, si stava verificando in Germania. A intensificare l'impatto mondiale della crisi economica fu un ritorno al protezionismo commerciale in molte delle principali economie, compresi gli Stati Uniti, insieme ai controlli sui cambi che portarono a un drastico calo del commercio e degli investimenti internazionali.


Stato e Grande depressione

Perché la gravità e la profondità di questa depressione economica erano le più gravi nella memoria di chiunque? Secondo Mises ciò era dovuto al grado in cui gli stati stavano introducendo linee di politica che ostacolavano e impedivano all'economia di mercato di riaggiustarsi e riequilibrarsi dopo quella che si era rivelata la falsa prosperità del decennio precedente. Non che tutto ciò che era accaduto in quest'ultimo periodo di tempo fosse insostenibile. Le innovazioni tecnologiche, l'efficienza dei costi, i miglioramenti nell'organizzazione e nella gestione dell'industria e della produzione avevano rappresentato miglioramenti tangibili negli standard e nella qualità della vita in tutto il mondo, specialmente negli Stati Uniti.

Ma a sovrastare questi impressionanti miglioramenti nei potenziali di produzione c'erano state linee di politica monetarie negli Stati Uniti e in Europa che avevano portato a disallineamenti e squilibri tra risparmi e investimenti, preparando il terreno a un inevitabile periodo di correzione. Relazioni insostenibili tra prezzi e salari e usi di risorse e capitale dovevano essere corretti se si voleva tornare a una crescita e stabilità economica a lungo termine.

In passato c'erano stati boom e bust, inflazioni e depressioni, tuttavia raramente erano stati così gravi e destabilizzanti come quelli vissuti negli anni '30. Prima di ciò gli stati avevano mantenuto un approccio abbastanza “non intromissivo”, consentendo ai mercati finanziari, degli investimenti e dei consumatori di aggiustarsi e trovare i loro modelli di coordinamento di prezzi/salari e usi di risorse/capitale per tornare alla piena occupazione e ai potenziali di produzione.


Il gold standard e il crescente interventismo dello stato

Negli anni '30 gli stati fecero il contrario: nel settembre 1931 il governo britannico aveva posto fine al gold standard come base del sistema monetario del Paese; dopo l'insediamento di Franklin D. Roosevelt negli Stati Uniti nel marzo 1933, il gold standard venne rimosso nel giugno di quell'anno ordinando agli americani di consegnare le loro monete d'oro e i lingotti in cambio di cartamoneta della Federal Reserve sotto la minaccia di arresto, confisca e imprigionamento.

Prima con il presidente repubblicano Herbert Hoover e poi con i programmi del New Deal, il governo degli Stati Uniti gestì grandi deficit di bilancio, aumentò le tasse sulle imprese, intraprese ingenti progetti di lavori pubblici e interferì con gli aggiustamenti di salari/prezzi. Infatti con l'avvento del New Deal Roosevelt impose un sistema di pianificazione economica in stile fascista sull'industria e l'agricoltura, eliminando a tutti gli effetti l'economia di mercato. Solo una serie di decisioni della Corte Suprema nel 1935 e nel 1936, che dichiararono incostituzionali alcuni dei principali programmi del New Deal, salvarono l'America dalla possibilità di un'economia pianificata permanente.

Negli anni '20 la Germania aveva un governo democratico debole, noto come Repubblica di Weimar. Nel 1931 e nel 1932 i tre maggiori partiti politici rappresentati nel parlamento tedesco erano i socialdemocratici, i nazionalsocialisti (nazisti) e i comunisti. Nel gennaio 1933 Adolf Hitler fu nominato cancelliere (primo ministro) e nel giro di pochi mesi i nazisti trasformarono rapidamente il Paese in una dittatura, con la spesa e gli investimenti diretti dal governo. I nazisti introdussero formalmente la pianificazione centralizzata quadriennale nel 1936.

Nella vicina Austria, dove Mises viveva e lavorava come analista economico per la Camera di commercio di Vienna, scoppiò una breve guerra civile nel febbraio 1934 tra il governo di orientamento fascista e le forze armate del Partito socialdemocratico, e si concluse con la sconfitta dei socialisti austriaci. Poco dopo fu istituita una nuova costituzione che stabiliva ufficialmente un sistema politico autoritario e un'economia corporativista. Nell'ottobre 1934 Mises lasciò l'Austria e accettò la sua prima cattedra a tempo pieno presso il Graduate Institute of International Studies di Ginevra, in Svizzera. Ciò gli permise di sfuggire sia alla vita sotto la dittatura fascista nel suo Paese d'origine, sia alla crescente ondata di antisemitismo che divenne violenta e mortale dopo che Hitler entrò a Vienna nel marzo 1938 e l'Austria fu annessa al Terzo Reich.


Mises sulle cause della Grande depressione

Nel febbraio 1931 Mises tenne una conferenza sulle cause della crisi economica. I Paesi d'Europa e gli Stati Uniti furono coinvolti nella Grande depressione proprio perché gli stati non erano riusciti a consentire aggiustamenti e ribilanciamenti basati sul mercato in modo da ripristinare la produzione e l'occupazione.

Invece fecero del loro meglio per mantenere prezzi e salari a livelli non di mercato attraverso varie forme di interventismo e regolamentazione. I dazi proteggevano i produttori nazionali non competitivi dai rivali stranieri; i sindacati avevano il potere non ufficiale di chiudere le aziende e usare la violenza per impedire ai lavoratori non sindacalizzati di riempire i posti di lavoro dei lavoratori sindacalizzati in sciopero, affinché venissero imposti salari più alti di quelli di mercato; l'indennità di disoccupazione fu utilizzata per ridurre la pressione sui sindacati da parte dei disoccupati; le tasse sulle imprese private ridussero gli investimenti e minacciarono il consumo di capitale; la spesa in deficit degli stati fu utilizzata per “creare” posti di lavoro inutili. Da ciò Mises concluse:

Se si fa tutto il possibile per impedire al mercato di svolgere la sua funzione di bilanciare domanda e offerta, non dovrebbe sorprenderci se persiste una grave sproporzione tra domanda e offerta, se le merci restano invendute, le fabbriche restano inattive, ci sono milioni di disoccupati, la miseria e l'indigenza crescono e se, sulla scia di tutto ciò, il radicalismo distruttivo dilaga nella politica [...]. Con la crisi economica la politica economica interventista, la linea di politica seguita oggi da tutti gli stati indipendentemente dal fatto che siano responsabili nei confronti dei parlamenti o che abbiano aperto le porte alle dittature, diventa evidente.


L'influenza corruttrice dello stato interventista

L'effetto corrosivo che tali linee di  politica interventiste ebbero sul funzionamento del mercato e sugli incentivi antisociali nel settore privato venne spiegato da Mises un anno dopo, nel 1932, in un saggio intitolato “Il mito del fallimento del capitalismo”:

Nello stato interventista non è più di fondamentale importanza per il successo di un'impresa che l'attività venga gestita in modo da soddisfare le richieste dei consumatori nel modo migliore e meno costoso. È molto più importante avere “buoni rapporti” con le autorità in modo che gli interventi vadano a vantaggio e non a svantaggio dell'impresa. Qualche protezione commerciale in più per i prodotti dell'impresa e qualcuna in meno per le materie prime utilizzate nel processo di produzione possono essere di gran lunga più vantaggiosi per l'impresa rispetto alla massima cura nella gestione dell'attività. Non importa quanto bene essa possa essere gestita, fallirà se non sa come proteggere i propri interessi nella stesura dei dazi e nelle negoziazioni davanti ai collegi arbitrali e con le autorità dei cartelli. Avere “collegamenti” diventa più importante che produrre bene e a basso costo.

Quindi le posizioni di comando all'interno delle imprese non sono più ottenute da persone che sanno come organizzare le aziende e dirigere la produzione nel modo in cui la situazione di mercato richiede, ma da persone che sono considerate “in alto”, che sanno come andare d'accordo con la stampa e tutti i partiti politici, in modo che loro e la loro azienda non diano fastidio. È questa classe dirigente che negozia molto di più con funzionari statali e leader di partito che con coloro da cui comprano e a cui vendono.

Poiché si tratta di ottenere favori politici per le loro imprese, i direttori devono ripagare i politici con favori. Negli ultimi anni ci sono state poche grandi imprese che non hanno dovuto spendere somme molto considerevoli [...] in contributi per le campagne elettorali, organizzazioni di assistenza pubblica e simili [...]. La crisi di cui soffre oggi il mondo è la crisi dell'interventismo e del socialismo nazionale e municipale; in breve, è la crisi delle linee di politica anticapitaliste.

L'ambiente economico tedesco era uno in cui una relazione simbiotica collegava coloro che erano in politica e nella burocrazia con gruppi d'interessi particolari che desideravano favori e privilegi a spese degli altri. Non sorprende poi se un anno dopo, nel 1933, lo stato interventista, corrotto e corruttore, si trasformò nell'economia di comando/controllo nazionalsocialista, e che nel Paese di Mises, l'Austria, il fascismo e l'economia pianificata vennero implementati un anno dopo, nel 1934.


La teoria del ciclo economico di Mises

Anche se una ragnatela crescente di politiche interventiste spiega come e perché la Grande depressione degli anni '30 divenne così profonda e prolungata, rimaneva ancora la questione di come e perché si fosse verificata. In altre parole, quali erano le politiche monetarie e bancarie che precedettero la Grande depressione e che la resero inevitabile? Mises, nel libro The Theory of Money and Credit e poi nella sua monografia Monetary Stabilization and Cyclical Policy (1928), aveva presentato quella che in seguito divenne nota come teoria Austriaca del ciclo economico.

La teoria di Mises su denaro, sistema bancario e ciclo economico era una sintesi della teoria del denaro di Carl Menger, della teoria del capitale di Eugen von Böhm-Bawerk e della teoria dei tassi d'interesse e dei prezzi di Knut Wicksell. Basandosi su Menger, Mises sviluppò un'analisi della non neutralità del denaro, ovvero come i cambiamenti nell'offerta di denaro si fanno strada nel mercato in modelli sequenziali temporali e che influenzano la struttura dei prezzi e dei salari, nonché le allocazioni di risorse e capitale tra i settori dell'economia.

Mises adattò la teoria di Böhm-Bawerk, su una struttura temporale di investimento e produzione, concentrandosi sui processi di coordinamento dei prezzi mediante i quali risorse e lavoro vengono combinati nelle fasi di produzione sia per produrre beni capitali sia per fabbricare i beni finiti desiderati dai consumatori. Ognuna di queste fasi di produzione deve essere coordinata con successo con le altre. La “lunghezza” delle rispettive strutture temporali deve anche essere coerente con la quantità di risparmi complessivi nell'economia in modo che le risorse, il lavoro e i beni capitali necessari possano essere disponibili per completare e mantenere i processi di produzione complessi attraverso un periodo di tempo dopo l'altro.

Come abbiamo visto, il tasso d'interesse che emerge dal mercato assicura che gli investimenti intrapresi possano essere mantenuti entro i limiti dei risparmi accantonati dai percettori di reddito. In un mondo di scarsità, gli usi delle risorse di qualsiasi società sono in competizione tra diverse applicazioni di esse sia nel presente che tra gli orizzonti temporali presenti e futuri. Una maggiore utilizzazione in una direzione significa che ce n'è meno disponibile per l'utilizzo in modi alternativi.


Knut Wicksell sui tassi d'interesse e il processo inflazionistico

L'economista svedese, Knut Wicksell (1851-1926), sosteneva in Interest and Prices (1898) che se i beni nel presente fossero scambiati direttamente con beni nel futuro, cioè come nelle transazioni di baratto, il prezzo determinato in modo competitivo tra beni nel presente e nel futuro tenderebbe ad assicurare che l'investimento fosse mantenuto in equilibrio con i risparmi. Il prezzo intertemporale dei beni presenti per beni futuri è il “tasso d'interesse naturale” di equilibrio. Tuttavia, nei mercati reali, tutti gli scambi, compresi quelli nel tempo, vengono effettuati tramite il mezzo del denaro. Quest'ultimo nel presente (e il potere d'acquisto su vari beni che quella somma di denaro rappresenta) viene scambiato per una somma di denaro nel futuro (e il potere d'acquisto su vari beni che quella somma di denaro dovrebbe rappresentare).

Se il tasso d'interesse monetario coincide con l'ipotetico tasso d'interesse “naturale” di equilibrio, allora risparmi e investimenti vengono mantenuti in un equilibrio coordinato anche in un'economia che usa il denaro. Il problema, sottolineò Wicksell, è che la quantità di denaro offerta tramite il sistema bancario per scopi d'investimento può superare la quantità di denaro che i percettori di reddito avevano originariamente depositato nel sistema bancario come risparmi; oppure le banche potrebbero prestare meno di quanto era stato depositato presso di esse. Quindi potrebbero esserci investimenti di denaro totali maggiori dei risparmi di denaro, o più risparmi di denaro rispetto ai prestiti emessi all'interno del sistema bancario; investimenti totali maggiori dei risparmi disponibili, o investimenti totali inferiori ai risparmi disponibili.

Le banche potrebbero provare a estendere prestiti superiori ai risparmi depositati fissando il tasso d'interesse al di sotto del tasso naturale attraverso la creazione di banconote, o maggiori depositi a vista. Ma poiché la scarsità continua a limitare il totale reale delle attività economiche che possono essere intraprese, la maggiore quantità di denaro finisce solo per generare un aumento cumulativo dei prezzi (inflazione dei prezzi) finché il tasso d'interesse monetario viene mantenuto al di sotto di quello naturale. Analogamente se il tasso d'interesse monetario dovesse essere fissato al di sopra del tasso naturale, i prestiti totali sarebbero inferiori ai risparmi disponibili, con conseguente calo cumulativo dei prezzi (deflazione dei prezzi) finché il tasso d'interesse monetario viene mantenuto più alto di quello naturale.


Il sistema free banking e i limiti delle valute scoperte

Questo era lo sfondo della teoria del ciclo economico di Mises. Mentre la sviluppava negli anni '20 e '30, sosteneva che se fosse prevalso prevalso un sistema free banking competitivo, ci sarebbero stati controlli ed equilibri basati sul mercato che avrebbero impedito agli squilibri tra risparmi e investimenti di verificarsi in misura significativa. Se una o più banche avessero deciso di aumentare la rispettiva quantità di banconote, o depositi a vista, abbassando il tasso d'interesse monetario a cui stavano estendendo prestiti a potenziali mutuatari, le somme prese in prestito sarebbero state presto spese in vari beni e servizi che essi volevano acquistare.

Coloro che ricevevano le banconote emesse in questo modo, ad esempio, dalla Adam Smith Bank le avrebbero depositate nelle loro banche, ad esempio la Thomas Malthus Bank e la David Ricardo Bank. Le Thomas Malthus e David Ricardo Bank, ricevendo depositi delle banconote dai clienti della Adam Smith Bank, li avrebbero scambiati tramite quella che viene chiamata “stanza di compensazione”, chiedendo oro o argento che quelle banconote dovevano coprire. Le banche che avevano emesso banconote in eccesso rispetto ad altre banche avrebbero subito un deflusso netto delle loro riserve di oro e argento. Se avessero continuato la loro espansione monetaria in questo modo, sarebbero finite per incappare, col tempo, nell'insolvenza o addirittura nella bancarotta poiché il numero totale di banconote rivendicate nei loro confronti avrebbe significato una perdita di tutte le loro riserve in oro e argento.

Allo stesso tempo se i loro depositanti si fossero preoccupati della solvibilità della banca, questa avrebbe rischiato di affrontare una corsa agli sportelli, ovvero molti dei depositanti che, più o meno simultaneamente, richiedono indietro il ​​loro denaro in oro e argento. Nel loro stesso interesse personale, sotto le pressioni del processo della stanza di compensazione e per mantenere alta la fiducia dei loro clienti, le banche private, in un sistema di free banking competitivo, avrebbero incentivi a resistere alla creazione eccessiva di mezzi fiduciari (banconote e depositi non completamente coperti da riserve in oro e argento).

Le creazioni ingiustificate di banconote e di depositi a vista (vale a dire, in eccesso rispetto all'oro e all'argento depositati presso quell'istituto finanziario) verrebbero mantenuti entro limiti ristretti nell'ambito di un sistema free banking competitivo. Considerando il mercato nel suo complesso, quindi, gli investimenti verrebbero mantenuti entro i limiti di scarsità dei risparmi effettivi accantonati dai percettori di reddito. Come Mises spiegò in Monetary Stabilization and Cyclical Policy, in un ambiente free baking potrebbero ancora esserci mezzi fiduciari emessi dalle banche:

Tuttavia le banche dovrebbero essere particolarmente caute a causa della sensibilità alla perdita di reputazione dei loro mezzi fiduciari, dato che nessuno sarebbe costretto ad accettare. Nel corso del tempo gli abitanti dei Paesi capitalistici imparerebbero a distinguere tra banche buone e cattive [...]. La gestione di banche solventi e altamente rispettate, le uniche banche i cui mezzi fiduciari godrebbero della fiducia generale, incarnerebbe un esercizio di apprendimento dalle esperienze passate.

Una linea di politica fatta di moderazione e prudenza da parte di banche rispettate e affermate costringerebbe i dirigenti più irresponsabili di altre banche a fare lo stesso [...] perché l'espansione del credito circolante non può mai essere l'atto di una singola banca, né di un gruppo di singole banche [...]. Se esistessero fianco a fianco diverse banche capaci di emettere denaro, ciascuna con uguali diritti, e se alcune di esse cercassero di espandere il volume del credito circolante mentre altre non modificassero la loro condotta, allora a ogni compensazione bancaria i saldi a vista apparirebbero regolarmente a favore delle banche conservatrici. Di fronte al rimborso delle cambiali e al ritiro dei saldi di cassa, le banche sconsiderate sarebbero costrette a limitare la portata delle loro emissioni [...]. Può darsi che una soluzione definitiva al problema [dell'ingiustificata espansione monetaria] possa essere raggiunta solo attraverso l'istituzione di un sistema bancario completamente libero.


Banche centrali ed espansione monetaria

Tuttavia non era così che si erano sviluppati i sistemi bancari in Europa o in Nord America. È vero che nel diciannovesimo secolo, dopo le precedenti esperienze con le inflazioni causate dagli stati o dalle loro banche centrali, furono stabilite nuove regole in base alle quali molte delle principali banche centrali avrebbero gestito i loro sistemi secondo le regole del gold standard, ciononostante rimasero sistemi monetari monopolistici controllati centralmente.

Gli stati e le loro banche centrali avrebbero periodicamente supervisionato le espansioni dei mezzi fiduciari e l'abbassamento artificiale dei tassi d'interesse attraverso i sistemi bancari sotto il loro controllo. Ciò avrebbe preparato il terreno per i tipi di boom e bust che Wicksell aveva delineato in Interest and Prices. Questa situazione fu esacerbata nel ventesimo secolo quando le banche centrali vennero sollevate dal gold standard dai rispettivi governi, senza più il controllo e la paura di perdere le riserve auree alla base del sistema monetario di un Paese.

L'aspetto aggiuntivo del processo wickselliano, fatto poi evolvere da Mises, era un focus sul modo non neutrale in cui le espansioni monetarie e creditizie distorcevano la struttura dei prezzi e le allocazioni/uso di capitale e lavoro. Un abbassamento artificiale del tasso d'interesse monetario al di sotto del tasso “naturale” fa sì che il denaro e il credito passino prima nelle mani dei mutuatari che utilizzano il nuovo denaro a loro disposizione per intraprendere progetti d'investimento per i quali le quantità di risorse reali per completarli e sostenerli si riveleranno insufficienti nel lungo periodo.

Essi effettuano ordini ai fornitori di beni strumentali e alle imprese di costruzione per avviare o espandere progetti d'investimento e assumono lavoratori per assisterli. Le risorse, il lavoro e il capitale per queste iniziative sono attratti attraverso l'offerta di salari più elevati.

Se questi fattori di produzione venissero, invece, reindirizzati verso quei settori che richiedono più tempo a causa di aumenti nelle preferenze di risparmio delle persone (e quindi una diminuzione implicita delle preferenze per i beni di consumo), l'aumento della domanda di input nella produzione di beni d'investimento sarebbe controbilanciato da una diminuzione della domanda di beni di consumo. Le variazioni nei prezzi relativi e nei salari e le riallocazioni di input da alcune aree del mercato ad altre porterebbero al necessario equilibrio: nel tempo i maggiori risparmi e le attività d'investimento completate porterebbero a un miglioramento e a un aumento delle forniture di beni di consumo che rappresenterebbero la “ricompensa” futura per il consumo posticipato nel presente.


Espansione monetaria e cattiva allocazione delle risorse

Invece le autorità monetarie nel sistema bancario centrale aumentano le riserve di prestito delle banche (acquistando titoli di stato che il governo del Paese emette per coprire la spesa in deficit), il che espande la loro capacità di estendere ulteriori prestiti a mutuatari interessati a tassi d'interesse più bassi.

I mutuatari competono per sottrarre risorse, manodopera e capitale, offrendo prezzi più elevati, dai loro impieghi nei settori dei beni di consumo. Malgrado ciò non ci sono corrispondenti diminuzioni nei prezzi dei beni di consumo o nei prezzi degli input in queste parti del mercato, poiché non c'è stata alcuna diminuzione nella domanda dei consumatori. Si può presumere che coloro che vengono attratti nei settori dei beni d'investimento abbiano le stesse preferenze di consumo-risparmio che avevano prima dei loro nuovi impieghi. Utilizzano i loro redditi più elevati per richiedere le stesse proporzioni di beni di consumo di prima, pertanto i prezzi nei mercati dei beni di consumo e dei fattori complementari aumentano. Questi prezzi e salari più alti nei settori dei beni di consumo dell'economia agiscono come una “calamita” per attrarre lavoratori e risorse dai mercati dei beni d'investimento e riportarli alla produzione di beni di consumo.

Se l'espansione monetaria, con i conseguenti tassi d'interesse più bassi e un maggiore indebitamento per gli investimenti, fosse un atto “una tantum” della banca centrale, i prezzi e i salari nonché gli usi di risorse, lavoro e capitale si ristabilirebbero dopo un breve periodo di tempo in quel modello che riflette le preferenze di base dei percettori di reddito. Dal punto di vista storico, però, le autorità nelle banche centrali, una volta avviata un'espansione monetaria e un abbassamento artificiale dei tassi d'interesse, li portano avanti nel tempo iniettando nuovi fondi nel sistema bancario commerciale.

I prezzi continuano a salire seguendo la sequenza temporale in cui viene introdotto il denaro creato ex novo, speso prima in attività d'investimento, seguito dall'aumento dei redditi degli input e poi dall'aumento della domanda di denaro per beni e servizi di consumo. Si verifica un tiro alla fune con i produttori di beni d'investimento e i produttori di beni di consumo che competono tra loro nel tentativo di tirare i fattori di produzione in una direzione e poi nell'altra.

Se il castello di carte “contorto” deve essere mantenuto indefinitamente, le autorità nelle banche centrali accelereranno il ritmo di espansione monetaria; nella sequenza temporale dell'aumento dei prezzi, le “iniezioni” saranno abbastanza grandi da mantenere i prezzi dei beni di produzione al di sopra dei prezzi dei beni di consumo. Altrimenti se i prezzi dei beni di consumo inizieranno a salire a un ritmo più veloce rispetto ai prezzi dei beni di produzione, i modelli d'investimento indotti dal denaro creato ex novo si riveleranno insostenibili e s'innescherà la fase di recessione del ciclo economico. A meno che le autorità monetarie non consentano all'inflazione di andare completamente fuori controllo, con una conseguente iperinflazione, essa deve essere interrotta o rallentata, punto in cui la recessione non può più essere evitata.


La stabilizzazione del livello dei prezzi ha destabilizzato il processo di mercato

Negli anni '20 la Federal Reserve tentò di mantenere un “livello dei prezzi” stabilizzato in un'economia in crescita, con aumenti di produttività ed efficienze dei costi che altrimenti avrebbero portato a una diminuzione dei prezzi al consumo (avvantaggiando la popolazione con prezzi dei beni inferiori e miglioramenti degli standard di vita). Invece aumentò l'offerta di denaro nel tentativo di contrastare questa benigna deflazione dei prezzi e, di conseguenza, creò un'inflazione dei prezzi mantenendoli più alti di quanto sarebbero stati altrimenti.

Sotto la superficie di un “livello dei prezzi” relativamente stabile, la politica monetaria della banca centrale aveva messo in moto una distorsione e uno squilibrio tra risparmi e investimenti che inevitabilmente dovevano concludersi con una recessione. Ma quest'ultima divenne la Grande depressione solo perché interventi statali di vario genere impedirono al processo di mercato di realizzare un sano riequilibrio tra domanda/offerta e prezzi che avrebbe riportato la piena occupazione senza il disastro economico degli anni '30.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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