Bibliografia

lunedì 2 settembre 2024

Le persone con vite prive di significato cercano potere sugli altri

 

 

di Barry Brownstein

Uno dei miei scambi più memorabili con uno studente è avvenuto durante una lezione sui principi di economia. Parte del compito di quella settimana riguardava i capitoli di The Rational Optimist di Matt Ridley. Quest'ultimo paragonò gli standard di vita di un lavoratore medio oggi con quelli del Re Sole, Luigi XIV, nel 1700 e alcuni dei miei studenti più antistorici erano increduli davanti alla descrizione della povertà opprimente della persona media.

Il re aveva uno stile di vita opulento rispetto ad altri: aveva ben 498 lavoratori che preparavano ciascuno dei suoi pasti, ciononostante il suo tenore di vita era ancora una frazione di quello che sperimentiamo oggi.

Ridley delineava i miracoli della specializzazione e dello scambio nel nostro tempo: una cornucopia quotidiana al supermercato, comunicazioni e trasporti moderni, abbigliamento per tutti i gusti. Se togliamo i nostri paraocchi e vediamo quante persone ci forniscono servizi abbiamo “molti più dei 498 servitori a nostra completa disposizione”.

Poi avvenne il memorabile scambio: uno studente disse che avrebbe preferito vivere nel 1700 se avesse avuto più soldi e potere sugli altri. La mia prima reazione fu divertita, pensavo che lo studente stesse esercitando le sue abilità di umorismo. Invece no, per lui avere potere era un attributo di una vita con un significato.

Se solo la mentalità del mio studente fosse un'aberrazione...

Durante il regno di Luigi XIV il matematico e filosofo francese Blaise Pascal diagnosticò il motivo di una certa brama di potere. Nei suoi Pensieri Pascal scrisse: “Ho detto spesso che l'unica causa dell'infelicità dell'uomo è che non sa stare tranquillo nella sua stanza”. Spiegò anche che dall’incapacità di stare seduti da soli nasce la tendenza umana a cercare il potere come diversivo.

Pascal ci chiede di immaginare un re con “tutte le benedizioni di cui potreste essere dotati”. Un re se non ha “distrazioni”, “mediterà e rifletterà su ciò che è”. L’ipotetico re sarà infelice perché “è destinato a pensare a tutte le minacce che lo attendono, alle possibili rivolte, infine alla morte e alla malattia”.

“Ciò che la gente vuole non è la vita facile e pacifica che ci permette di pensare alla nostra infelice condizione. Ecco perché la guerra e le alte cariche sono così popolari”.

Pascal sosteneva che gli individui cercano di essere “distratti dal pensare a ciò che sono”. Direi che una scelta migliore di parole è cosa fanno di sé stessi.

Lascerò che sia il lettore a determinare a quanti politici moderni si applicano le idee di Pascal. Grazie alle sue intuizioni possiamo comprendere perché il conflitto è una caratteristica della politica e non un problema.

Pascal non risparmiò i sentimenti di nessuno. Alcuni “cercano distrazioni e occupazioni esterne e questo è il risultato del loro costante senso di miseria”. Per loro “il riposo risulta intollerabile a causa della noia che produce. [Loro] devono allontanarsene e bramare l’eccitazione”.

Una persona in grado di esercitare il potere coercitivo può usare la propria mente “miserabile” e moralmente non sviluppata per creare miseria infinita per gli altri perché l’esercizio del potere la distrae dai suoi fallimenti come essere umano.

Molti dei Padri fondatori dell'America avevano un'istruzione classica e comprendevano i pericoli del potere. John Adams scrisse: “Il pericolo può arrivare da qualsiasi essere umano. L’unica massima di un governo libero dovrebbe essere quella di non fidarsi di nessun essere umano che vive per il potere e che quindi può mettere in pericolo la libertà di tutti”.

Possiamo superare il nostro “senso di miseria” e il bisogno di “eccitazione” non attraverso i mezzi perversi della ricerca del potere, ma dando significato alla nostra vita.

Viktor Frankl, l'autore di Man's Search for Meaning, capì l'importanza di avere una vita con un significato e quanto sia dannoso quando tale spinta viene contrastata. Sottolineò quanto sia facile “disperarsi per l’apparente insensatezza della propria vita”.

Non c’è da stupirsi se coloro che sono insoddisfatti desiderino essere distolti da ciò che hanno fatto della loro vita. Ciò che Frankl scrisse è coerente con Pascal: “A volte la volontà frustrata è indirettamente compensata dalla volontà di potere”.

Frankl aggiunse: “In altri casi, il posto della volontà frustrata viene preso dalla volontà di piacere”. Allo stesso modo Pascal scrisse: “La gioia principale di essere un re è essere circondato da persone che cercano continuamente di distrarlo e di procurargli ogni tipo di piacere [...] e di impedirgli di pensare a sé stesso”. Pascal e Frankl capirebbero perché qualcuno dovrebbe prendere il telefono ogni tot. minuti: il comportamento disadattivo è un tentativo di grattare un prurito esistenziale.

Frankl capì anche perché le persone sarebbero diventate seguaci di leader autoritari. I movimenti di massa attirano seguaci che non riescono a dare un significato alle loro vite e lo prendono in prestito da un dittatore.

Tra i modi in cui Frankl credeva che potessimo dare un significato alle nostre vite c'erano azioni mirate, sforzi creativi e amore per gli altri. L’attività imprenditoriale – la ricerca di nuovi modi per soddisfare i bisogni più urgenti dei consumatori – è un terreno fertile. Sebbene il capitalismo sia un meccanismo per creare un significato, anche il termine stesso è ripugnante per alcuni e quindi non riescono ad avvalersi delle sue opportunità.

Frankl scrisse: “Sempre più persone oggi hanno i mezzi per vivere, ma non hanno alcun significato per cui vivere”.

Per troppo tempo abbiamo sognato un sogno dal quale ora ci stiamo svegliando: se solo miglioressimo la situazione socioeconomica delle persone, tutto andrà bene, le persone saranno felici. La verità è che quando la lotta per la sopravvivenza si è attenuata, è emersa una domanda: sopravvivere per cosa?

Frankl definì l’assenza di significato un “vuoto esistenziale” e ci avvertì che “sta aumentando e diffondendosi al punto che, in verità, può essere chiamata una nevrosi di massa”.

Ciò che Frankl osservò la potremmo chiamare una crisi del nostro tempo. Molte persone credono senza motivo di essere vittime e gli esperti le incoraggiano a pensare in questo modo. Frankl aveva una definizione anche per questo: “fatalismo nevrotico”.

Il fatalismo nevrotico nasconde un fatto fondamentale della vita umana: le persone che danno un significato alla propria vita non cercano la “libertà dalle condizioni”, ma si rendono conto di avere la “libertà di prendere posizione nei confronti delle condizioni”.

Il re autoritario di Pacal, o molti dei politici di oggi, non hanno alcun significato nella loro vita ma ne trovano uno falso esercitando potere sugli altri, scatenando guerre, emanando editti, punendo i nemici, ecc. Allo stesso modo coloro che sono impegnati nell'esecuzione degli ordini vivono vite prive di significato, prendendolo in prestito da coloro che li guidano. Questo ciclo non virtuoso è una minaccia per la libertà. Se invece fosse virtuoso non ci sarebbe richiesta di leader che impongono la propria volontà sugli altri.

Allora dove ci porta tutto questo? Siamo disposti a dare un significato alla nostra vita prendendo posizione nei confronti delle condizioni e delle sfide che affrontiamo?

L'imperativo di Frankl è rispondere alla chiamata di ciò che la vita ci chiede. Le sue esperienze gli insegnarono che “non importa cosa ci aspettiamo dalla vita, ma piuttosto cosa essa si aspetta da noi”.

Le persone cercheranno il potere, ma finiranno per dipendere dai seguaci. Le persone che danno un significato alla propria vita sono immuni al richiamo di questa sirena.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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2 commenti:

  1. Pienamente d'accordo con quanto riportato nell'articolo; le persone intorno a noi sono cambiate, sono tutte alla ricerca di un "parafulmine", di un capro espiatorio sul quale riversare la responsabilità delle proprie frustrazioni e dei propri fallimenti.
    Questo è un aspetto che, sommessamente, ritengo possa aggiungersi o, meglio, fare parte integrante del più ampio concetto di fatalismo nevrotico di cui si parla nel pezzo.
    Questa aberrazione è determinata/incoraggiata da una società completamente de-responsabilizzata, dove chi "comanda/amministra" non è mai tenuto a rendere conto di alcun che, dove le eventuali responsabilità si diluiscono e disperdono nei mille rivoli di leggi, leggine, interpretazioni, cavilli e via discorrendo.
    Tutto ciò genera ingiustizia che, a sua volta, causa frustrazione e profonda insoddisfazione nel popolo e nella mente delle persone, che reagiscono con la classica "guerra fra poveri", incapaci di individuare chi sia veramente il nemico che è causa dei loro mali (oltre a se stessi).
    "Siamo molto più responsabili di ciò che ci accade di quanto non immaginiamo"; essere attori e non spettatori della propria vita è la chiave per trovare significato in essa.

    Un saluto.
    Antonio Pani

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