Bibliografia

mercoledì 25 settembre 2024

La madre di tutte le bolle immobiliari

 

 

di David Stockman

I dati sui prezzi delle case hanno gridato: “Ma quale raffreddamento dell'inflazione?” L'indice Case-Schiller di giugno ha raggiunto il massimo storico e è salito del +6,5% rispetto all'anno scorso, mentre il salario medio è aumentato di circa la metà, al +3,7% su base annua.

Tuttavia il periodo annuale fino a giugno è stato solo l'ultimo inning di una partita che i lavoratori dipendenti stanno perdendo da diversi decenni. Ciò è dovuto alle linee di politica della banca centrale che gonfiano gli asset a tassi molto più rapidi del prezzo dei salari, dei beni e dei servizi quotidiani.

I burocrati non sanno nemmeno quanto velocemente stiano aumentando i prezzi delle case, perché si rifiutano ostinatamente di dare credito ai dati del settore privato sui prezzi delle case residenziali. Ma come mostrato dalla linea viola nel grafico qui sotto, la quale raffigura l'indice Zillow dei prezzi delle case (che comprende residenze unifamiliari, condomini e cooperative), il prezzo medio negli Stati Uniti è aumentato da $124.000 a gennaio 2000 a $362.500 a luglio 2024.

Si tratta di un aumento del 194%. Durante lo stesso periodo di 24 anni, l'indice dei prezzi al consumo per gli immobili è aumentato solo del 110% e la versione del deflatore PCE dei prezzi degli immobili è aumentata ancora di meno. In breve, i prezzi delle case nel mondo reale sono aumentati di 2 volte il livello rappresentato dai “dati in entrata” per i quali sbavano gli idioti nell'Eccles Building.

Naturalmente a Wall Street diranno che in questo modo si mescolano le mele con le arance: prezzi degli asset contro costi dei servizi di affitto. Ma in un lasso di tempo di 24 anni non così tanto, questo perché a lungo termine gli affitti riflettono il valore attuale scontato dei flussi di reddito da locazione meno i costi operativi.

Di conseguenza il fatto che la linea blu (prezzo degli immobili nell'IPC) sia aumentata di appena la metà del prezzo dell'asset indicizzato da Zillow (linea viola) suggerisce che il BLS è all'opera coi suoi soliti magheggi: sosttostimare i prezzi del mondo reale.

Infatti l'indice OER (owners' equivalent rent) nell'IPC è a dir poco assurdo. Si basa su un sondaggio condotto su alcune migliaia di proprietari di case a cui viene chiesto a quanto affitterebbero il loro castello se, presumibilmente, decidessero di piantare una tenda sul marciapiede e diventare palazzinari.

Esiste un semplice test per dimostrare l'assurdità del bias riguardo allo sgonfiamento dell'inflazione dei prezzi: basta prendere il tasso dei mutui trentennali e l'indice Zillow negli ultimi 24 anni, supponendo un acquisto standard con un saldo immediato del 20% del costo della casa. I costi annuali del mutuo vengono quindi confrontati con il valore annuo del salario medio di un operaio (linea blu).

Poiché quest'ultimo è aumentato solo del 119% negli ultimi 24 anni, è evidente che la linea di politica pro-inflazione della banca centrale è tutt'altro che imparziale. Il salario medio annuo, l'indice Zillow Home e il tasso del mutuo trentennale a gennaio 2000 erano rispettivamente $124.000, $24.600 e 8,23%; a luglio 2024 questi valori erano rispettivamente $52.830, $363.000 e 6,78%.

Se si ipotizza un rapporto prestito/valore dell'80% in entrambi i casi, si ottiene quanto segue:

• Gennaio 2000: costo annuo del mutuo $2.990, pari al 12% dello stipendio medio annuo.

• Luglio 2024: costo annuo del mutuo $19.925, ovvero il 38% dello stipendio medio annuo.

Proprio così. La tanto decantata linea di politica pro-inflazione al 2,00% all'anno era un'illusione. Il proprietario medio si è visto consegnare la sua testa finanziaria in un cesto, poiché il costo degli interessi di un mutuo standard su una casa a prezzo medio è passato da un ottavo del suo stipendio lordo a quasi due quinti.

Indice Zillow dei prezzi delle case, salari medi e prezzi degli immobili nell'IPC, dal 2000 al 2024

La presunta frizzantezza dell'economia americana, poi, raggiungerà presto un altro traguardo: $50.000 miliardi per quanto riguarda il valore di mercato degli immobili residenziali occupati dai proprietari. Al momento questa cifra (linea viola nel grafico qui sotto) è di $46.000 miliardi (primo trimestre 2024), quasi il doppio del suo livello pre-crisi ($24.000 miliardi) nel quarto trimestre 2006. È anche 8 volte il suo livello di quando Greenspan prese il timone della FED ($5.600 miliardi) nel secondo trimestre 1987 e un sorprendente 51 volte ($900 miliardi) di quando Nickson fece il suo annuncio a Camp David nell'agosto 1971.

Inutile dire che né i redditi delle famiglie, né l'economia statunitense nel suo complesso sono cresciuti a livelli simili. Ad esempio, il PIL nominale è aumentato di 24 volte dal secondo trimestre del 1971, ovvero meno della metà rispetto all'aumento dei valori immobiliari. Di conseguenza il valore delle abitazioni occupate dai proprietari rispetto al PIL è aumentato costantemente negli ultimi 50 anni.

Valore di mercato degli immobili occupati dai proprietari in % del PIL dal 1971:

• Secondo trimestre 1971: 79%

• Secondo trimestre 1987: 117%

• Quarto trimestre 2006: 172%

• Primo trimestre 2024: 175%

Valore di mercato degli immobili occupati dai proprietari e % del PIL, dal 1970 al 2024

Ecco il punto: l'economia statunitense era decisamente sana nel 1971. Durante i 18 anni tra il 1953 e il 1971 il reddito familiare mediano reale è aumentato da $38.400 a $62.700, o di un robusto 2,8% annuo. Quindi il fatto che l'edilizia residenziale rappresentasse solo il 79% del PIL all'epoca non era indicativo di una grave carenza o di un malfunzionamento strutturale dell'economia statunitense.

Infatti quando si nota che il reddito familiare mediano reale è aumentato solo dello 0,8% annuo durante il più recente periodo di 18 anni, o solo del 29% rispetto al tasso 1953-1971, si potrebbe concludere che sarebbe stato saggio lasciare le cose come stavano. Non solo l'economia di Main Street prosperava, ma lo stava facendo con tassi d'interesse onesti grazie alla linea di politica della FED che era vincolata dal gold exchange standard di Breton Woods e anche dalla filosofia del denaro sano/onesto che prevaleva nell'Eccles Building durante l'era di William McChesney Martin.

Come mostrato di seguito, il tasso di riferimento del decennale statunitense durante il lasso di tempo sopraccitato superava il tasso d'inflazione IPC di oltre 200 punti base, fatta eccezione per i brevi periodi di recessione. Tuttavia l'economia statunitense prosperava, gli standard di vita reali aumentavano costantemente e il mercato immobiliare residenziale era letteralmente in boom.

Rendimento aggiustato all'inflazione dei titoli del Tesoro USA a 10 anni, dal 1953 al 1971

Il periodo successivo tra il 1971 e il 1987 fu scosso prima dall'inflazione a due cifre degli anni '70 e poi dai tassi d'interesse nominali brutalmente elevati che derivarono dalla Cura Volcker durante la prima metà degli anni '80. Ma nel 1986 l'inflazione al consumo era tornata sotto il 2% e si stava dirigendo ancora più in basso, aprendo così la strada alla normalizzazione dei tassi d'interesse in un'economia a bassa inflazione.

Ma il nuovo presidente della FED, Alan Greenspan, aveva altro in mente: l'idea che la “disinflazione” in contrapposizione alla non inflazione fosse un'opzione migliore per il governo federale e anche che la FED potesse migliorare la performance dell'economia di Main Street tramite quella che lui chiamava la dottrina del cosiddetto “effetto ricchezza”. Se la FED avesse mantenuto Wall Street felice e gli indici azionari in forte crescita, la maggiore ricchezza tra le famiglie avrebbe acceso gli spiriti animali capitalisti, alimentando così una maggiore spesa, investimenti, crescita, posti di lavoro e redditi.

Nonostante il messaggio opaco di Greenspan, quello che stava facendo in realtà equivaleva a una bufala monetaria. Iniziò un'era in cui i tassi d'interesse reali sarebbero stati spinti costantemente e artificialmente più in basso fino allo zero e al di sotto, sulla base della teoria che tassi ben al di sotto di quelli che sarebbero prevalsi in condizioni di domanda e offerta oneste avrebbero suscitato un livello maggiore di crescita economica e prosperità.

Naturalmente non è andata così, perché tassi d'interesse inferiori al mercato causano solo un accumulo di debito superiore alla norma sia nel settore pubblico che in quello privato, insieme a distorsioni economiche e investimenti improduttivi, speculazioni insostenibili a Wall Street e, nella migliore delle ipotesi, lo scambio di una maggiore attività economica oggi con una riduzione della stessa e un maggiore servizio del debito domani.

Il tasso del decennale statunitense aggiustato all'inflazione ha marciato in discesa per i successivi tre decenni, finendo in territorio fortemente negativo all'inizio degli anni 2020. Gli effetti negativi sono stati diffusi in tutta l'economia e in questo caso turbo-alimentati dalle profonde preferenze fiscali per i mutui immobiliari. Quindi l'afflusso di debito a basso costo nel mercato immobiliare residenziale è stato massiccio e sostenuto.

Non c'è mistero sul perché: la legge economica dice che quando si sovvenziona qualcosa in modo consistente, se ne ottiene di più. E i sussidi impliciti della FED raffigurati nel grafico qui sotto erano davvero ingenti.

Rendimento aggiustato all'inflazione del tasso del decennale statunitense, dal 1987 al 2024

Inutile dire che la legge economica ha avuto la meglio sul mercato dei mutui residenziali. Il debito ipotecario delle famiglie (linea nera) era pari a $325 miliardi, ovvero appena il 50% del reddito familiare (linea viola) nel 1971. Ma al culmine della corsa ai prestiti subprime nel 2008-2009, il debito ipotecario era aumentato di 33 volte, arrivando a quasi $11.000 miliardi.

Di conseguenza l'onere del debito ipotecario è salito al 170% del reddito familiare prima di diminuire modestamente sin dal 2009. Ma il punto è che la severa repressione dei tassi d'interesse durante suddetto periodo ha causato una corsa agli armamenti finanziari nel mercato immobiliare residenziale, con un debito sempre maggiore che ha spinto i prezzi delle case sempre più in alto.

In breve, non è stato il libero mercato o il PIL in costante crescita a far passare i valori delle abitazioni residenziali dal 79% del PIL nel 1971 al 175% del PIL attuale. Al contrario, è stata un'ondata di inflazione dei prezzi delle case alimentata dal credito fiat, un torrente finanziario che ha regalato grandi guadagni inaspettati agli acquirenti del periodo precedente (es. i baby boomer) mentre ha progressivamente escluso i nuovi arrivati ​​e le famiglie con problemi di reddito e di credito dal cosiddetto sogno americano.

Infatti lo tsunami dell'inflazione immobiliare non è stato affatto un benefattore per la classe media. Uno studio basato sui sondaggi periodici della FED sulle finanze dei consumatori ha mostrato che tra il 2010 e il 2020 le famiglie con redditi elevati, definite come quelle con un reddito medio di $180.000, hanno visto i loro investimenti immobiliari aumentare da $4.500 miliardi a $10.300 miliardi. Si è trattato di un aumento del 130% in appena un decennio!

Al contrario, il valore degli investimenti immobiliari detenuti dalle famiglie a basso reddito, definite come aventi un reddito medio di $29.000, è salito da $4.460 miliardi a $4.790 miliardi. Si tratta di un aumento insignificante di appena il 3,5%, il che equivale a una perdita a due cifre se si considera l'aumento del 19% dell'indice dei prezzi al consumo nello stesso periodo di 10 anni.

Debito ipotecario delle famiglie e % del mutuo sul reddito da lavoro dipendente, dal 1971 al 2009

Di sicuro i dirigenti della FED non stavano cercando di ridistribuire la ricchezza ai vertici della scala economica, anche se è quello che è successo. La teoria della repressione dei tassi d'interesse era che avrebbe alimentato un livello di spesa e investimento più elevato di quanto non sarebbe altrimenti accaduto, e in particolar modo nel settore dell'edilizia residenziale.

Inutile dire che non è andata così. I completamenti degli alloggi residenziali pro capite e gli investimenti in alloggi residenziali in % del PIL sono andati inesorabilmente verso il basso da quando Nixon ha tirato il tappeto dell'oro da sotto il dollaro e ha scatenato la Federal Reserve per imporre la pianificazione monetaria centrale all'economia di Main Street.

Come raffigurato dalla linea nera nel grafico qui sotto, ad esempio, gli investimenti in edilizia residenziale in percentuale del PIL sono scesi dal 5,7% nel 1972 a solo il 3,9% nel 2023. L'unica deviazione da questa costante tendenza al ribasso si è verificata nel 2003-2006, vale a dire l'intervallo durante il quale è stato alimentato il disastro dei mutui subprime e dell'inflazione dei prezzi delle case.

Infatti il grafico qui sotto abbinato al primo sopra, in relazione a quasi $50.000 miliardi in valore di immobili occupati da proprietari di case, vi dice tutto quello che dovete sapere sulla follia delle banche centrali keynesiane: il denaro artificialmente a buon mercato non stimola livelli più elevati di produzione reale e reddito, gonfia solamente gli asset esistenti nei mercati secondari.

A sua volta l'inflazione sistematica e incessante dei prezzi degli asset esistenti conferisce guadagni e perdite inattese in modo del tutto arbitrario, ma con l'effetto perverso di ridistribuire la ricchezza ai vertici della scala economica. L'intero modello di repressione finanziaria è quindi non solo inutile e inefficace, ma anche profondamente iniquo.

Unità abitative private pro capite completate e investimenti residenziali in % del PIL, dal 1972 al 2023


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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