venerdì 20 settembre 2024

Alla fine del percorso insostenibile

 

 

di Francesco Simoncelli

Nell'annuncio della BCE della scorsa settimana sono stati a malapena notati un paio di dettagli contraddittori. La BCE è impegnata, a prescindere da tutto, ad avere un obiettivo per l'inflazione al 2%. Raggiungibile come? Dal basso verso l'alto. Invece adesso, magicamente, è un obiettivo da raggiungere dall'alto verso il basso senza che nessun pianificatore centrale abbia addotto alcuna spiegazione a riguardo. Bernanke, nel suo libro The Courage to Act, ha praticamente creato l'impalcatura accademica per la ZIRP e la NIRP, adesso, però, non c'è nessuno che ha il “coraggio” di farsi avanti per spiegarci com'è possibile che si debba fare il contrario quando era la “deflazione” la fonte di tutti i guai economici. Ma questo, cari lettori, è solo teatro. Le sciocchezze sui dati della scorsa settimana includevano le previsioni di una maggiore crescita del PIL e di un ammorbidimento ulteriore dell'inflazione l'anno prossimo. Non ha senso promettere adesso tassi di prestito più bassi, poiché l''inflazione è ancora al di sopra dell'obiettivo ufficiale. Senza scomodare la percezione comune di quando “si va a fare la spesa”, o la cavalcata dell'indice IPC, o la semplice cumulazione dell'effetto dell'inflazione dei prezzi che sebbene rallenti nel tempo non indietreggia (o per meglio dire sale più lentamente), basta dare un'occhiata alla misura che fino al 2020 era la più sbandierata dai banchieri centrali per giustificare la loro linea di politica anti-deflazione: la misura di base dell'inflazione dei prezzi, quella che esclude dal computo cibo ed energia. L'ultima misurazione la pone al 2,8%.

La cosa importante, quindi, è continuare a far fluire il denaro; tutto il resto è una recita. I tassi d'inflazione annui sono stati in media del 6% negli ultimi tre anni e del 3% negli ultimi dieci anni. Non c'è traccia di un'inflazione del 2% che la BCE afferma di cercare; tale obiettivo è solo una finzione.


RAGGIRATI DAI NUMERI

I numeri dell'inflazione e del PIL sono semplicemente “inventati”. “Aggiustato all'inflazione” è una di quelle espressioni come “stavamo solo eseguendo degli ordini”; può nascondere una montagna di menzogne. Negli ultimi due anni abbiamo spesso confrontato l'inflazione del periodo '22-'23 con quella degli anni '70. Ci è stato detto che il tasso d'inflazione odierno ha raggiunto il picco del 10% nel 2022 e poi è sceso rapidamente, ma se misurassimo gli aumenti dei prezzi odierni come facevano negli anni '70, vedreste che la nostra inflazione è peggiore di quanto non fosse allora. State pensando quello che sto pensando anche io? Se la lettura dell'inflazione è fasulla, lo è anche quella del PIL, e lo è anche l'intero quadro finanziario.

Cominciamo con la misura dell'inflazione stessa. Secondo l'ISTAT, ad esempio, il cibo è aumentato (a un ritmo annuo) del 4,8% nell'ultimo anno; i servizi sono aumentati del 3,3% e gli affitti sono aumentati del 3%. Tra rate di mutui più elevate e prezzi delle case più alti, poi, questi numeri sembrano quasi sconfessare le difficoltà generali e percepite da chi deve far quadrare i conti a fine mese, il che è solo la prova che, sebbene i numeri possano non mentire intenzionalmente, se li torturate abbastanza diranno tutto ciò che volete che dicano. E se si usasse il metodo di calcolo degli anni '80, l'intero quadro economico diventerebbe improvvisamente cupo: aggiustare all'inflazione il PIL nominale, quindi, risulterebbe in una crescita negativa spaventosa. E che dire del mercato azionario? Quando si ottiene un “guadagno”, o un “profitto”, dalle azioni, si pensa di stare meglio e ora tutti pensano che il mercato azionario si sia “ripreso” dopo i ribassi nel 2022. Ma è così? Una stima ragionevole è che i prezzi al consumo siano più alti (come minimo) del 25% rispetto al picco del Dow Jones nel 2021. Se così fosse il Dow dovrebbe arrivare a 45.000 solo per andare in pareggio.

Conviene guardare all'oro per cercare di mettere ordine in tutta questa storia. Dal suo picco alla fine del 2021 a oggi il Dow è salito di quasi 4.000 punti, ma aggiustato al prezzo dell'oro è ancora in calo di quasi il 10%. Indietro? Avanti? In che direzione stiamo andando?

Un'altra curiosità della storia della crescita del PIL è il ruolo dei deficit fiscali. Se lo stato spende soldi, anche se sprecati in armi, l'ammontare è incluso come avanzamento nel PIL. Quindi più si spende, più alto è il PIL... almeno nel breve periodo. I deficit sono particolarmente importanti: se lo stato incassa 100 in entrate fiscali e li spende, rimuove quei soldi dall'economia. Nessun aumento netto del PIL. Ma se prende in prestito i soldi, la spesa extra viene conteggiata come se “uscisse dal nulla” e viene aggiunta al totale. Non c'è alcun prelievo compensativo nell'economia dei consumatori, quindi il PIL sale.

L'anno scorso il deficit pubblico italiano è stato del 7% del PIL. Erano soldi che sono stati spesi, ma non raccolti dalle tasse. Devono essere andati da qualche parte, quindi ecco una semplice domanda: come si è potuto pompare un ulteriore 7% (del PIL) nell'economia, con quasi €100 miliardi aggiunti al debito pubblico, ma ottenere solo un aumento dell'1% del PIL?

Cosa è successo all'altro 6%? Dove sono finiti i €135 miliardi mancanti? Dove sono andati a finire i soldi?

Ciò significa che l'economia reale, non statale, si sta contraendo a un ritmo così allarmante da spazzare via gran parte delle nuove immissioni di denaro? Oppure questi numeri sono così “falsati” da essere privi di significato?


INSOSTENIBILE A OGNI LIVELLO

Spendere per il semplice scopo di spendere, sostanzialmente era questo lo scopo dietro i vari programmi di QE attivati dalla BCE e dal resto del caravanserraglio delle banche centrali. L'azzardo morale derivante è stato dirottato nel mercato finanziario, andando a gonfiare gli asset finanziari delle varie industrie che in questo modo hanno potuto aprire a giri sempre più rischiosi di ingegneria finanziaria. Questo ha fatto in modo che i numeri finanziari salissero, permettendo di conseguenza a suddette aziende di assumere personale. Ma tutto questo processo non era basato su una situazione sostenibile di allocazione di capitale, bensì sull'imputazione che questa manna sarebbe durata per sempre. Peccato che fosse una tantum, peccato che abbia causato supply shock a ripetizione, peccato che abbia saturato i bilanci delle aziende... peccato, in conclusione, che fosse tutta una illusione. La considerazione dell'economia “nominale” è diventata il nuovo dio da pregare.

Ora, però, la cruda realtà di quella “reale” sta facendo pagare lo scotto di tutte quelle distorsioni e deformazioni che si sono moltiplicate nel tempo. Il settore automobilistico è solo la punta dell'iceberg di un doloroso processo di normalizzazione che, diversamente dal presunto “effetto ricchezza” alimentato dalle politiche delle banche centrali, parte dal basso e va verso l'alto.

Le aziende, soprattutto quelle automobilistiche, hanno poche vendite e molte perdite. Meriterebbero un valore di mercato di circa... zero. Eppure gli investitori ci vedono valore, puntando le loro scommesse su quel poco di illiquidità che riescono a racimolare grazie al rinnovato lassismo della BCE. Nel frattempo il ritmo di crescita del PIL dipende interamente dal calcolo dell'inflazione, che è incostante come l'impasto della pasta: gli statistici stendono la sfoglia e lo cuociono in forno, finché non ottengono il sapore e la consistenza desiderati. Se misurassero l'inflazione come si faceva durante gli anni ottanta, ad esempio, il PIL reale non sarebbe cresciuto affatto bensì risulterebbe sgonfiato come una torta fatta male. E, se misurate in oro, le azioni sono ancora in calo del 13,6% rispetto ai massimi del 2021. C'è qualcosa di reale, indiscutibile, di cui vale la pena preoccuparsi? Ahimè, sì: il debito. Non se ne va, anzi sta crescendo.

Ci sono molte incognite note nelle cifre del debito, ma quasi tutte portano allo stesso punto: si possono eseguire un milione di simulazioni per vedere cosa potrebbe accadere, ma in quasi tutte il “rapporto debito/PIL” si rivela instradato lungo un “percorso insostenibile”. Cosa succede quando il percorso insostenibile giunge al termine? Man mano che diventa sempre più grande (rispetto all'economia che lo sostiene) e diventa “insostenibile”, deve succedere qualcos'altro... ma cosa?

La vera domanda è se il cambiamento avviene intenzionalmente o involontariamente. La soluzione “intenzionale” è ovvia, ma irraggiungibile. Richiederebbe una chiarezza politica e una volontà che non esistono: la spesa dovrebbe essere tagliata, ma poiché chi decide è anche chi spende, e poiché i loro amici e sostenitori sono coloro che prendono i soldi, è molto improbabile che si arrivi a una soluzione volontaria. È la risoluzione “non intenzionale” che causerà il vero danno.


CONCLUSIONE

I tassi d'interesse artificialmente bassi sono un problema di per sé: distorcono il costo reale del capitale, inducendo le persone a prendere in prestito troppi soldi. Il debito aumenta portando a una crisi di qualche tipo. In parole povere, man mano che il debito cresce, aumenta anche la spesa per gli interessi. A nessuno importa davvero quanto diventerà grande, ma il costo del suo servizio dev'essere dedotto dalle entrate fiscali e ogni centesimo che bisogna pagare per gli errori di ieri è un centesimo in meno di cui possiamo godere oggi. A un certo punto ci rimarranno pochi centesimi... Da qualche parte lungo questo percorso il mercato obbligazionario si romperà, i tassi d'interesse saliranno alle stelle e il costo del debito, o dell'aggiunta di nuovo debito, sarà troppo da sopportare. Usando come proxy il differenziale di rendimento tra il decennale tedesco e quello statunitense, possiamo vedere che le criticità dell'Eurosistema sono di gran lunga peggiori di quelle statunitensi.

Per tutto questo tempo, infatti, l'obiettivo della BOE e della BCE era l'affossamento del mercato obbligazionario statunitense tramite l'eurodollaro e la trasmissione del malessere economico risultante sulle spalle dei contribuenti statunitensi. Una sorta di socializzazione delle perdite causate dall'overleveraging nel sistema bancario ombra. Con la fine del LIBOR, l'entrata in scena del SOFR e il prosciugamento della liquidità ombra dettato dal cambio di passo della FED, i nodi stanno venendo al pettine. E il sopraccitato differenziale ci spiega chi davvero è nei guai.

Il secondo taglio dei tassi da parte della BCE è un bluff, un finto tentativo di progressione rispetto alle altre banche centrali. I mercati dei cambi non vedono il bluff, ma gli obbligazionisti sì. Il piano dell'UE è sempre stato quello di evitare di tagliare qualsiasi pasto gratis che aveva precedentemente stabilito attraverso finanziamenti presumibilmente illimitati tramite l'eurodollaro. La lotta a livello di megapolitica verte tutta su questo duplice scenario: ridimensionamento, o salvezza attraverso la morte di qualcun altro. O si tagliano drasticamente i presunti pasti gratis e si sconfessa l'illusione di monopsonio dell'Europa (con la conseguente rottura dell'Unione) ragionando con freddo criterio logico su quanto sbagliato in passato, oppure si cede al panico, si stampa e si scaraventa l'intera economia mondiale in una vera e propria catastrofe inflazionistica.

Tutte le emergenze finora sperimentate, sin dalla crisi del debito greco, sono state usate come arma per forzare un mercato obbligazionario comune in Europa. L'insostenibilità della tragedia dei beni comuni richiede un nuovo livello di ridistribuzione, soprattutto adesso che i rubinetti dell'eurodollaro sono chiusi. A tal proposito, infatti, la spinta verso l'unione fiscale si è fatta sempre più pressante sin da quando le obbligazioni SURE hanno fatto capolino e i salvataggi straordinari (es. PNRR) avevano come postilla la tassazione diretta dell'UE su parte dei prestiti erogati. Anche la guerra nell'Europa orientale è stata fomentata per tale scopo: far pagare il proprio default agli altri. Ma non basta, perché un default significa sempre sfiducia, soprattutto nel mercato obbligazionario, e se tutti non remano all'unisono il bluff viene scoperto.

La Germania ha vissuto sulla sua pelle cosa significa questo processo e non vuole ripeterlo, in particolare la Bundesbank. La demolizione controllata dell'economia tedesca serve sostanzialmente a fiaccare la volontà dei banchieri centrali tedeschi affinché accettino questa “nuova normalità”. Il recente piano Draghi è solamente l'ennesimo avvertimento mafioso per integrazione fiscale e obbligazionaria.


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