Bibliografia

venerdì 23 agosto 2024

Progressi innaturali

 

 

di Francesco Simoncelli

La domanda di oggi è: davvero quello che vediamo è il “naturale progresso delle cose?” Man mano che lo stato sottrae sempre di più all'economia produttiva, ne rimane sempre meno per tutto il resto; man mano che lo stato spende di più, sempre più persone diventano subordinate a esso, diventano più potenti e più difficili da fermare. Perché permettere che ciò accada? Le aziende sono già obbligate a divulgare tutti i rischi “materiali”, ora devono anche capire come le loro emissioni influenzano l'ambiente, come affronteranno tale rischio, come la transizione energetica verde influenzerà la loro attività, tutto in un marasma di dettagli strazianti e un'angosciante incertezza. Regolamentazione su regolamentazione, norma su norma ed eccezione su eccezione: alla fine si ottiene un'economia completamente pianificata e completamente controllata, come la Corea del Nord o l'Unione Sovietica, in cui gli sforzi imprenditoriali sono dedicati a soddisfare i capricci e le fantasie dei burocrati, tanto da non esistere più alcun progresso. Anche il PIL reale, che non è affatto una misura della ricchezza di una nazione, ingrana la retromarcia.

Perché allora permettere allo stato di crescere? Sarebbe facile fermarlo.

Gli interessi “speciali” dei gruppi “speciali”, come le grandi aziende, sono definiti tali perché traggono beneficio da regole e regolamenti speciali, progettati per aiutarli e paralizzare i loro concorrenti. Ma i politici non dovrebbero rappresentare l'intera nazione, l'interesse generale? Eppure, in quanto collettività, staremmo meglio con meno tasse, meno inflazione dei prezzi, meno spesa pubblica, meno legacci burocratici e meno ostacoli da superare; come nazione, collettivamente, staremmo molto meglio con un bilancio in pareggio, per esempio. Quindi perché i bilanci pubblici non sono mai in pareggio? E perché la sinistra e i fanatici al seguito, alfieri dell'egualitarismo, non hanno usato la loro opportunità al governo per promulgare un nuovo programma, uno adatto all'interesse generale, piuttosto che agli interessi speciali dei gruppi speciali? Uno che avrebbe scaraventato tali interessi in parossismi di indignazione e sarebbe andato a beneficio del “popolo”?


IL PREZZO DELLA REDENZIONE

Dal punto di vista teorico è ancora possibile invertire la tendenza a scivolare nel debito e nel caos, soprattutto da parte degli Stati Uniti. Ovviamente non è facile, i tossicodipendenti “toccano il fondo” prima di rimettersi in sesto; anche gli alcolisti. I peccatori si pentono, perfino gli ex-segretari della Difesa potrebbero versare lacrime e rimpiangere la miseria che hanno causato (Robert MacNamara è l'unico esempio che si può portare). La redenzione ha un prezzo.

In teoria, un uomo potrebbe “rinascere” a 90 anni, ma in pratica muore. Così come un grande e vecchio albero, tagliato a pezzi per fare del comune truciolato, un impero deve essere schiacciato e umiliato: deve toccare il fondo prima di poter essere ricostituito come una Repubblica rispettosa della legge. Ma dove si trova il “fondo”? Prendiamo in considerazione l'Argentina, almeno per iniziare a mettere dei paletti. Se non ha ancora toccato il fondo, deve esserci vicina. Il sessanta percento della popolazione vive in povertà; rispetto al resto del mondo è in discesa da 75 anni; fare affari è una sfida tale, con corsie finanziarie in continuo cambiamento, che la maggior parte delle persone o crolla o rinuncia; il PIL è a picco; le persone ambiziose lasciano il Paese e coloro che rimangono sviluppano straordinarie capacità di sopravvivenza finanziaria.

E ora, dall'Argentina, arriva un po' di speranza. Milei dice ciò che la maggior parte dei politici non dice: ha identificato il vero problema, la “casta politica”, con tutti i suoi raggiri, trucchi e truffe e ha un piano per correggere le cose. Non è riuscito a ottenere il sostegno di cui aveva bisogno nel parlamento argentino, quindi si è rivolto ai governatori degli stati e al popolo con qualcosa che chiama il “patto del 25 maggio”. Si tratta di un piano, con diversi elementi chiave tra cui:

  1. l'inviolabilità della proprietà privata;
  2. un bilancio equilibrato e non negoziabile;
  3. la spesa pubblica deve essere mantenuta al di sotto del 25% del PIL;
  4. libero scambio.

Negli Stati Uniti di oggi, i bilanci federali non sono in pareggio da 50 anni. Anche la bilancia commerciale è negativa da mezzo secolo. E il costo del governo federale, comprese tasse, regolamentazione e inflazione, supera il 30% del PIL. Le cose si stanno incartando sempre di più.

Ma non disperiamo, finora nessun pomposo idiota militare ha preso il potere; nessuna banda di camicie brune o camicie nere “fa sparire” i propri avversari di notte; i negozi sono ancora pieni; il mercato azionario è ancora vicino a un massimo, non a un minimo. E da qualche parte più avanti, forse molto più avanti, c'è il minimo... prima o poi lo raggiungeremo.


LA CIMA DELLA MONTAGNA

L'inflazione non è stata sconfitta, sale più lentamente in questo frangente. Ciò significa che questa potrebbe non essere solo una “Grande Perdita” temporanea per la maggior parte delle persone, ma permanente. Quando acquistate azioni, dovreste trarre beneficio dal “premio di rischio”, vale a dire guadagnate un po' di più dalle azioni che dalle obbligazioni. Ma tutto ha un prezzo e il prezzo per profitti più elevati è un rischio maggiore: rinunciare alla certezza dei soldi a portata di mano quando ce ne sarà bisogno. Infatti potreste non vederli mai più. Le banche centrali non possono “stampare” denaro come facevano fino a 2 anni fa, non senza far venire i brividi agli investitori obbligazionari. È stato un bagno di sangue negli ultimi 3 anni, con alcune delle peggiori perdite mai registrate nel mercato obbligazionario. Quindi se vedranno le banche centrali tornare ai loro vecchi modi spericolati, prestando a zero, “stampando” nuovo denaro a piacimento, si ribelleranno: venderanno titoli del Tesoro costringendo i relativi governi a pagare di più per i loro prestiti.

Già adesso gli stati pagano cifre esorbitanti all'anno in spese per interessi... e stanno aumentando.

I deficit pubblici continuano a correre e si aggiungono al debito pubblico. E mentre quest'ultimo aumenta e i vecchi debiti vengono rifinanziati a tassi più elevati, la spesa per interessi aumenta drasticamente. Sostenere il mercato azionario con più “stimoli” diventa impossibile. Senza le banche centrali che coprono le loro spalle, le azioni dovranno essere valutate in base ai loro utili. Ciò significherà P/E più normali. Jeremy Grantham pensa che i prezzi di Wall Street potrebbero scendere del 60% per allinearsi agli utili. E poi, potrebbero volerci più di 20 anni di crescita degli utili per riportare i sopravvissuti, se ce ne saranno, ai prezzi odierni.

La bolla odierna sembra molto simile alla bolla delle dotcom del 1998-1999. Anche allora i prezzi erano alle stelle perché gli investitori pensavano che una nuova tecnologia avrebbe reso le loro azioni molto più preziose. Amazon, ad esempio, salì di 21 volte tra il 1998 e il 1999. La gente pensava che avrebbe continuato ad andare “sulla luna”; invece crollò del 92% e non è tornata al picco del 1999 fino a 7 anni dopo. Ovviamente 7 anni non sono poi così tanti, ma la maggior parte delle azioni di quel periodo non furono così fortunate. Allora, come oggi, i grandi capitali erano concentrati in poche azioni. Crollarono in valore tutte e la maggior parte non si è ancora ripresa. E non sto parlando delle dotcom inaffidabili, come Pets.com o Global Crossing, mi riferisco alla crème de la crème, alle aziende più grandi e migliori degli Stati Uniti all'inizio del secolo. Aggiustando i prezzi odierni all'inflazione, vediamo che solo due delle prime 10 aziende sono in attivo per il periodo 2000-2023: Microsoft e Walmart. Le altre hanno subito una perdita complessiva di oltre $1.000 miliardi in capitalizzazione di mercato.

Per dirla in un altro modo, un investitore, nel 1999, che diede fiducia alle principali aziende infallibili aveva l'80% di possibilità di sbagliare. Cisco, GE, Intel, Exxon, Oracle, IBM, Citigroup e Lucent hanno perso soldi in quasi un quarto di secolo, da una perdita del 12% in Exxon a un crollo del 100% in Lucent. E ora gli investitori stanno scommettendo sui Magnifici 7: Apple, Alphabet, Amazon, Meta, Netflix, Nvidia e Tesla. Quale di loro sopravviverà? Quale prospererà?

Non possiamo saperlo, ma questo è il problema quando si è sulla cima di una montagna: che si tratti di mercato azionario, singola azienda, come Nvidia, o un impero, tutte le strade portano verso il basso.


LA DISCESA

Per quanto la direzione sia impostata, suddette strade hanno una pendenza diversa. Qualcuna è più ripida, qualcun'altra meno; la gradualità della discesa può fare tutta la differenza di questo mondo. Soprattutto quando c'è un player in questo contesto che rischia addirittura di scivolare e rendere irrilevante la pendenza. Infatti la traiettoria che ha preso il debito pubblico europeo negli ultimi 15 anni, in particolar modo, è stata tale da richiedere interventi progressivi e sempre più invadenti per dare poi all'esterno una parvenza di stabilità. I mercati non permetteranno al cambio EUR/USD di superare 1.10, così come la BCE difenderà con le unghie e coi denti la soglia 1.06; un barometro più affidabile della salute finanziaria dell'Eurozona è dato dal differenziale tra i decennali tedeschi e quelli statunitensi, la cui tendenza è diretta verso il basso. Questo, in poche parole, ci suggerisce che durante una “fuga verso la qualità e l'affidabilità”, i mercati sceglieranno gli USA. D'altronde è chiaro anche il motivo: i rubinetti dell'eurodollaro sono ormai chiusi, quindi l'UE non può più attingere a una fonte “gratuita” di finanziamenti per tamponare i suoi guai finanziari a scapito degli Stati Uniti. E ciò renderà meno ripida la discesa di questi ultimi.

Ma la storia non finisce qui, perché come ben sanno i lettori di lunga data di questo blog la spada di Damocle che pende su tutte le finanze mondiali sono le cosiddette passività non finanziate, ovvero tutti quei conti non ancora attualizzati nei bilanci ufficiali ma che dovranno essere soddisfatti da qui al futuro prossimo. Il sistema pensionistico, a tal proposito, è il proverbiale elefante nella stanza... soprattutto in Europa.

L'aumento della coorte di coloro che hanno maturato il diritto all'assegno previdenziale di “fine lavori” ha, nel corso del tempo, scavalcato la coorte di coloro che avrebbero dovuto fornire i fondi per mantenere in piedi questo gigantesco schema di Ponzi. Inutile dire che la demografia e le deformazioni economiche alimentate dal denaro scoperto hanno richiesto che i pianificatori centrali divenissero sempre più “spericolati” nel tenere liquidi i fondi pensione. Ricorrendo all'ingegneria finanziaria hanno gettato le basi per un'economia talmente drogata dalla liquidità a basso costo che quasi ogni settore è arrivato a esservi dipendente. I tassi artificialmente a zero hanno creato una voragine tale tra la percezione reale dell'orizzonte temporale e quella fasulla data dagli stimoli fiscali/monetari che sta inghiottendo tutti coloro che hanno partecipato a questa sbornia finanziaria.

Come ci insegna la Scuola Austriaca, tutti gli effetti economici partono al margine e la stessa cosa la vediamo accadere col crollo del castello di carte della leva finanziaria puntellata, in passato, dal mercato degli eurodollari.

In questo processo d'inversione verranno sacrificati diversi attori che in passato sono serviti a guadagnare consensi, ma che di fronte a una ristrutturazione obbligata dell'edificio economico mondiale saranno sacrificati sull'altare delle necessità: salvare il sistema pensionistico e il pilastro su cui si fonda la sopravvivenza dell'attuale sistema economico di sfere d'influenze. Cadranno molte teste, appendici deteriorate che verranno gettate in pasto alla famelica forza della correzione economica. La domanda quindi è: quante appendici credibili ha l'Europa da sacrificare? Ne ha di più degli Stati Uniti? Non penso proprio.

Di conseguenza l'unico modo che ha per sopravvivere è quello di attingere pedissequamente alla sua base imponibile, anche a costo di desertificare industrialmente l'intero continente. Il tutto viene venduto all'opinione pubblica con l'etichetta dell'emergenza climatica. Invece gli Stati Uniti, da questo punto di vista, hanno più spazio di manovra rispetto a tutti gli altri e possono gestire meglio la discesa, soprattutto dal 2022 con l'indicizzazione dei debiti interni a un parametro definito internamente piuttosto che internazionalmente (es. LIBOR). Da settembre fino ai prossimi 8-12 mesi, con la fine del LIBOR, dovranno essere riscritti molti contratti finanziari. Il punto di riferimento sarà il SOFR, poi. I mercati stanno iniziando a scontare questo cambiamento epocale e la fine dei pasti gratis per la City di Londra.

Il presunto progresso economico a cui abbiamo assistito negli ultimi 15 anni, in particolar modo, è stato fondamentalmente innaturale: il prodotto di un imbastardimento (voluto) del sistema economico sin dal 1971. Più nello specifico, sin da quando il sistema bancario ombra, pompato attraverso i “pasti gratis” dell'eurodollaro, ha accelerato la Legge dei rendimenti decrescenti e sequestrato sempre più risorse economiche scarse per tenere in piedi le sue operazioni. I tassi a zero sono stati lo strumento che ha prolungato innaturalmente la vita di questo meccanismo diabolico, col beneplacito di una FED governata da presidenti in linea con il vandalizzare la propria nazione. L'arrivo di Trump e Powell ha segnato l'inizio dell'inversione di questo processo e la discesa dalla montagna. E come descritto in precedenza, tale discesa sarà pericolosa per alcuni (Europa) e meno per altri (Stati Uniti): saranno i mercati dei capitali l'ago della bilancia.

Finora hanno premiato la linea di politica della FED e la credibilità che Powell sta ridando alla politica monetaria della FED: non più ostaggio di forze esterne al Paese. La Harris è ormai l'unica speranza dell'Europa, e per estensione della cricca di Davos, per continuare a fare le scarpe agli USA, ecco perché negli ultimi giorni l'euro è salito e mentre il dollaro è sceso nei mercati dei cambi: la vandalizzazione dei conti nazionali è destinata a continuare se vincesse lei. Finché ci sarà Powell a dirigere la nave della FED, allora la rivoluzione socialista avrà un costo elevato: 5.5% o superiore. Per quanto le elezioni del prossimo novembre saranno cruciali, quelle del 2026, per il governatore della FED, lo saranno ancora di più.


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