Bibliografia

mercoledì 28 agosto 2024

L'economia delle emergenze finisce sempre col controllo dei prezzi

 

 

di Jeffrey Tucker

La grave ondata di inflazione negli Stati Uniti – che si riflette in molti Paesi del mondo – è stata messa in moto nella prima settimana del marzo 2020, come gran parte delle altre emergenze ancora in corso. Ci vollero due settimane affinché venisse annunciato il lockdown, il che indica che molto stava già accadendo dietro le quinte. La Federal Reserve decise in un batter d'occhio di fornire un'enorme liquidità al sistema, pochi giorni dopo che il CDC informò la stampa nazionale sui lockdown, di cui l'amministrazione Trump allora non sembrava sapere nulla.

La gozzoviglia fiscale e monetaria è durata solo per un certo periodo. Dopo l’insediamento del nuovo presidente arrivò anche la scadenza della prima tornata di conti, continuata fino a oggi, cancellando rapidamente il valore degli assegni piovuti dal cielo che sembravano avessero reso tutti improvvisamente ricchi senza lavorare.

Dopo due anni e dopo 10 mesi di conseguente calo del potere d’acquisto, insieme a interruzioni delle catene di approvvigionamento, la FED ha iniziato a preoccuparsi e a rialzare i tassi d'interesse dallo 0%. Una strategia, questa, progettata per assorbire la liquidità in eccesso che era stata iniettata direttamente nelle vene della vita economica. L’azione della FED ha rallentato, ma non ha posto fine a ciò che aveva scatenato.

Normalmente tassi più alti ispirerebbero nuovi risparmi, soprattutto perché era la prima volta in quasi un quarto di secolo che il solo risparmio di denaro era un mezzo per fare soldi più velocemente di quanto il denaro perdesse valore. Ciò non è accaduto, perché le finanze delle famiglie erano ridotte e tutto il reddito discrezionale è stato reindirizzato verso il pagamento delle proprie pendenze economiche. Oggi circa il 40% degli intervistati afferma di riuscire a malapena a sopravvivere, mentre l'acquisto di una casa è fuori questione.

Eccoci quattro anni e sei mesi dopo, e cosa sentiamo? Da un lato ci viene detto che il problema dell’inflazione è in gran parte risolto, anche se vi sono numerose prove che ciò non è vero. Non abbiamo nemmeno una lettura verificabile di quanti danni siano stati arrecati al valore del dollaro. Si dice che sia intorno al 20%, ma questa cifra include un'ampia gamma di imprecisioni ed esclude molte delle categorie di acquisti che sono aumentate di più (come i tassi d'interesse). Di conseguenza non conosciamo realmente la pienezza del problema. Potrebbe il dollaro aver perso il 30 o addirittura il 50% o più del suo valore in quattro anni? Aspettiamo dati migliori.

Tutti i portavoce ufficiali affermano che il problema è in gran parte scomparso e ciò rende particolarmente curioso che proprio questa settimana il candidato in testa nei sondaggi per la presidenza, Kamala Harris, abbia annunciato il sostegno al controllo dei prezzi a livello nazionale sui generi alimentari e sugli affitti. Se fosse disposta a farlo, sarebbe altrettanto disposta a espanderli a qualsiasi categoria di beni o servizi.

Nonostante affermi che si tratta della “prima” imposizione di una cosa del genere, ha torto: il 15 agosto 1971 il presidente Richard Nixon impose un congelamento di 90 giorni su tutti i prezzi, salari, affitti e interessi; furono inoltre istituiti nuovi comitati di controllo sia per i salari che per tutti i prezzi. Anche allora si trattò di soli 90 giorni per “appiattire la curva”.

L’amministrazione fece fatica a tirarsi indietro da questa linea di politica e la reintrodusse nuovamente nel 1973. Fu completamente abrogata solo nel 1974. Novanta giorni si trasformarono in tre anni, proprio come due settimane si sono trasformati in due anni.

Ciò che Nixon fece ai suoi tempi fu in risposta a un’emergenza. Le richieste sull'oro necessitavano di un cambiamento nella politica monetaria e, soprattutto, la chiusura della finestra dell'oro, mentre i controlli sui prezzi erano progettati per sostenere la sua posizione politica nei sondaggi. Fu costretto a scegliere tra ciò che sapeva essere giusto e ciò che pensava avrebbe rafforzato la sua popolarità. Scelse quest'ultima.

Nixon scrisse quanto segue nelle sue Memorie:

Mentre lavoravo con Bill Safire al mio discorso quel fine settimana, mi chiedevo come sarebbero stati i titoli: Nixon agisce coraggiosamente? O Nixon cambia idea? Avendo parlato fino a poco tempo prima dei mali insiti nel controllo dei salari e dei prezzi, sapevo di espormi all’accusa di aver tradito i miei principi o nascosto le mie reali intenzioni. Filosoficamente, però, ero ancora contrario al controllo dei prezzi, anche se ero convinto che la realtà oggettiva della situazione economica mi costringesse a imporlo.

La reazione del pubblico al mio discorso televisivo fu estremamente favorevole. Sulle reti il 90% dei telegiornali era dedicato a questo tema e gran parte dell'attenzione era concentrata sul brillante briefing che John Connally aveva tenuto durante la giornata. Da Wall Street le notizie erano buone: quel lunedì alla Borsa di New York vennero scambiate 33 milioni di azioni e la media del Dow Jones guadagnò 32,93 punti.

Chiunque avesse un cervello rimase inorridito dallo svolgersi di quegli eventi, dubitando della loro legalità e prevedendo con grande precisione l'imminente disastro: carenze e confusione di massa. Alla fine l'inflazione tornò a ruggire.

Nixon lo sapeva, ma agì comunque in quel modo. Difese quella decisione nelle sue memorie anche se affermò che la sua linea di politica era sbagliata. Provate a dare un senso a questo:

Cosa ha raccolto l’America dalla sua breve avventura con i controlli dei prezzi? La decisione del 15 agosto 1971 di imporli era politicamente necessaria e immensamente popolare nel breve periodo, ma alla lunga credo che fosse sbagliata. I nodi arrivano sempre al pettine e c’è stato un prezzo indiscutibilmente alto per la manomissione dei meccanismi economici ortodossi [...] abbiamo ritenuto necessario allontanarci dal libero mercato e poi faticosamente ritornare a esso.

Quindi eccoci qua: la razionalità è passata in secondo piano rispetto all’opportunità politica. Nixon era nel panico, anche Kamala lo è? Continuano a dirci che l’inflazione si è raffreddata al punto da essere quasi scomparsa. Perché, allora, vuole imporre controlli sui prezzi a livello nazionale? Forse dietro la facciata pubblica si nasconde il panico? Forse si tratta solo del desiderio di un potere esecutivo estremo su tutto il Paese fino ai cereali per la colazione? È impossibile saperlo.

È troppo anche per il Washington Post: “Quando il vostro avversario vi definisce 'comunista', forse è meglio non proporre controlli sui prezzi?”

Uno strano effetto del discorso attuale sul controllo dei prezzi è quello di incentivare i proprietari ad aumentare gli affitti ora, prima che i nuovi controlli entrino in vigore dopo la loro eventuale entrata in vigore. Questo è forse il motivo per cui stiamo iniziando a vedere contratti di affitto con canoni mensili più bassi a 7 mesi anziché a 12 mesi. A partire dal prossimo anno l’affitto delle abitazioni non potrà essere aumentato più del 5% annuo. Negli ultimi 4 anni gli affitti sono aumentati in media dell'8,5% all'anno, il che significa che la differenza deve pur venire da qualche parte.

Nel breve periodo potrebbe derivare da un aumento degli affitti; nel lungo periodo dalla riduzione di comfort, riparazioni e servizi di ogni tipo. Quando l'attrezzatura della palestra si rompe o la piscina chiude per la pulizia, potreste dover aspettare molto tempo prima che venga riparata, se non mai. L’esperienza di New York City – o sotto l’imperatore Diocleziano nell’antica Roma – mostra esattamente quali risultati: carenze, deprezzamento di proprietà e servizi, e chiusure di imprese.

Ciò che è profondamente preoccupante nell'esperienza di Nixon è che lui sapeva che era sbagliato e lo fece comunque; ciò che è ancora più preoccupante nel caso di Kamala Harris è che non è chiaro se lei sappia che sia sbagliato. Forse questo non sorprenderà quelli di noi che ricordano il passato più recente in cui i funzionari sanitari agivano come se l’immunità naturale non esistesse, come se non avessimo terapie per le infezioni respiratorie, come se le mascherine funzionassero e come se due settimane di chiusure globali avrebbero risolto la situazione.

Sembriamo condannati a vedere ripetersi gli stessi vecchi errori in una spirale di follia: dalla stampa di denaro all’inflazione e al controllo dei prezzi, così come dalle quarantene alla cattiva salute, alle perdite di istruzione e alla demoralizzazione della popolazione. Possano gli dei salvarci da altre esperienze simili prima che sia troppo tardi.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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1 commento:

  1. I neo-keynesiani puntano spesso il dito alla disinflazione come un trionfo del loro approccio ai guai economici: l'economia non è entrata in recessione, la disoccupazione è bassa e i prezzi si stanno raffreddando gradualmente. C'è un'evidente controargomentazione a questa visione ottimistica: l'economia si sarebbe ripresa più velocemente e i consumatori non avrebbero sofferto di una crescita piatta dei salari reali, una perdita di potere d'acquisto e un debito soverchiante. L'idea che la spesa pubblica abbia rafforzato l'economia non ha alcun fondamento. L'interventismo è una causa diretta del deficit insostenibile, dell'aumento delle tasse, dell'inflazione e della crescita più debole della produttività.

    Sia il tasso di partecipazione al lavoro che i rapporti occupazione-popolazione rimangono al di sotto dei livelli pre-crisi sanitaria; la crescita dei salari reali è stata piatta per anni; l'inflazione è una tassa nascosta e ha peggiorato il percorso di ripresa; il deficit pubblico ha ulteriormente alimentato l'inflazione.

    Il problema è che l'economia si sta indebolendo nel mezzo di un'enorme espansione fiscale e il debito continua a crescere a un ritmo allarmante, mentre le spese per interessi raggiungono nuovi massimi. Le linee di politica keynesiane hanno indebolito il tessuto del settore privato e delle piccole/medie imprese. Le grandi aziende sono state in grado di gestire queste linee di politica grazie alla loro forza finanziaria. Le famiglie e le piccole imprese stanno vivendo un incubo keynesiano: occupate ma impoverite, piene di ordini ma incapaci di far quadrare i loro bilanci.

    Qual è il problema? Gli squilibri nel settore pubblico genereranno meno crescita, tasse più alte e più guai economici in futuro. Il debito pubblico non è uno strumento per la crescita; è un fardello opprimente.

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