Di recente i media generalisti hanno avvertito dell’imminente fine dell’accordo sul petrodollaro, comunemente chiamato petrodollaro. Con tali narrazioni arriva l’ansia degli investitori soprattutto se si prendono in considerazione i seguenti titoli sull'argomento.
• L’OPEC interromperà il legame con il dollaro per la determinazione del prezzo del petrolio – The New York Times
• Il petrodollaro è morto e questo è un grosso problema – FX Street
• Dopo 50 anni la morte del petrodollaro segnerà la fine dell'egemonia statunitense – The Street Pro
Prima di saltare alle conclusioni, discutiamo di cosa è e cosa non è il petrodollaro. Con questa consapevolezza potremo poi affrontare le preoccupazioni sulla sua presunta morte. Inoltre possiamo screditare titoli minacciosi come: L'accordo sul petrodollaro scade: perché questo potrebbe innescare il “collasso di tutto”.
Prima di iniziare è necessario fare un disclaimer: l'articolo del New York Times di cui abbiamo parlato sopra non è recente, l'ho aggiunto per dimostrare che questa non è una storia nuova. L’articolo del giugno 1975 inizia così:
LIBREVILLE, Gabon, 9 giugno — I Paesi produttori di petrolio hanno concordato oggi di recidere il legame tra i prezzi del petrolio e il dollaro e di iniziare a quotare i prezzi in Diritti Speciali di Prelievo, ha detto il governatore della banca nazionale iraniana, Mohammed Yeganeh.
Cos'è il petrodollaro?
Nel 1974, in seguito all’embargo petrolifero in cui il prezzo del petrolio greggio al barile aumentò di quattro volte, provocando quindi un’impennata dell’inflazione dei prezzi e indebolendo l’economia, gli Stati Uniti cercarono disperatamente di evitare un altro embargo a tutti i costi. I politici statunitensi teorizzavano che un rapporto più forte con l’Arabia Saudita avrebbe contribuito notevolmente al raggiungimento del loro obiettivo.
Fortunatamente anche i sauditi speravano in una relazione vantaggiosa con gli Stati Uniti e avevano bisogno di investimenti affidabili per le loro nuove ricchezze; desideravano anche un migliore equipaggiamento militare. All’epoca l’Arabia Saudita fece registrare un enorme surplus di bilancio a causa dei guadagni derivanti dagli alti prezzi del petrolio e dalle esigenze di spesa relativamente minori provenienti dall’interno del Paese.
Sebbene non sia mai esistito un patto formale sul petrodollaro, è opinione diffusa che gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita abbiano stipulato un accordo sottobanco per soddisfare i reciproci bisogni. L’Arabia Saudita fu incoraggiata a investire il proprio surplus in titoli del Tesoro statunitensi, in cambio gli Stati Uniti avrebbero venduto attrezzatura militare all’Arabia Saudita. Entrambi speravano che una relazione migliore sarebbe stata un sottoprodotto di questo accordo.
Il petrodollaro non riguardava realmente il dollaro
Ritengo che le discussioni sul petrodollaro riguardassero principalmente l’Arabia Saudita che necessitava di un luogo sicuro per i propri surplus e gli Stati Uniti che cercavano dollari per finanziare i propri deficit fiscali. Anche se il dollaro sarebbe stata la valuta per tali transazioni, probabilmente non era il fulcro dei colloqui.
Nell’affrontare gli immensi costi della guerra in Vietnam e l’ambiziosa spesa sociale per pacificare i disordini sociali, l’America cercò finanziamenti in deficit; l’Arabia Saudita aveva bisogno di investire le sue eccedenze. Considerata la liquidità e la sicurezza senza precedenti del mercato dei titoli del Tesoro statunitense rispetto ad altre opzioni, l’“accordo” aveva molto senso per entrambe le parti. Inoltre, poiché i proventi petroliferi sauditi sarebbero stati utilizzati per acquistare titoli del Tesoro statunitensi, era logico che l’Arabia Saudita richiedesse ad altri acquirenti di petrolio di pagare in dollari.
Condivido due grafici per apprezzare meglio il deterioramento della posizione fiscale statunitense in quel momento. Il primo grafico qui sotto evidenzia i deficit durante la metà degli anni ’70. Oggi molti considererebbero ridicolo un deficit di $50 o $60 miliardi; d’altra parte i deficit rappresentavano un netto allontanamento dalla norma.
Il secondo grafico fornisce il contesto adeguato: la nazione stava sperimentando deficit federali più significativi tra la metà e la fine degli anni ’70 rispetto a quelli affrontati durante la seconda guerra mondiale. Considerata l’immensa spesa per quest'ultima, tale fatto fu sorprendente per molte persone all’epoca.
L'Arabia Saudita non ha dollari da investire
Oggi la situazione è diversa. L’America ha ancora un disperato bisogno di finanziamenti, ma l’Arabia Saudita non ha surplus di bilancio da investire. Secondo un articolo di Bloomberg intitolato Il petrodollaro è morto, lunga vita al petrodollaro:
Avanti veloce fino ad oggi e l'Arabia Saudita non ha affatto un surplus da riciclare. Invece il Paese si sta indebitando pesantemente sul mercato del debito sovrano e sta vendendo asset, comprese parti della sua compagnia petrolifera nazionale, per finanziare i suoi piani economici. È vero, Riyadh detiene ancora importanti riserve in valuta forte, alcune delle quali investite in titoli del Tesoro statunitensi, ma non li accumula più. La Cina e il Giappone hanno molto più denaro immobilizzato sul mercato del debito americano rispetto ai sauditi.
Il monopolio sulle riserve
Molti credono che il governo degli Stati Uniti costringa i Paesi stranieri a utilizzare il dollaro, forzandoli così ad avere riserve in dollari. Ciò sembra logico in quanto le riserve devono essere investite e possono contribuire a finanziare i nostri deficit.
Non sappiamo cosa dicono i nostri politici agli altri Paesi a porte chiuse, ma presumiamo che una certa “persuasione” spinga altri Paesi a utilizzare il dollaro. Indipendentemente da ciò, non ci sono molte opzioni oltre al dollaro.
Gli Stati Uniti offrono ad altre nazioni il posto migliore in cui investire per quattro ragioni principali:
Le quattro ragioni, lo stato di diritto, la liquidità dei mercati finanziari e la potenza economica e militare, garantiscono che la morte del dollaro non avverrà in tempi brevi.
Nessun altro Paese possiede tutte e quattro queste caratteristiche. Cina e Russia non dispongono dello stato di diritto e di mercati finanziari liquidi; inoltre la Russia ha un’economia piccola e fragile. L’Europa non ha mercati dei capitali sufficientemente liquidi, né potenza militare.
Si dice spesso che l’oro e Bitcoin siano candidati a usurpare il dollaro. Tanto per cominciare, non guadagnano un ritorno sull’investimento e i loro prezzi sono incredibilmente volatili. Ci sono molte altre difficoltà che impediscono loro di ottenere lo status di valuta a pieno titolo, che tratterremo però in un altro articolo.
Riepilogo
Anche se ci fosse stato un accordo formale, il petrodollaro non andrà da nessuna parte. Anche se l’Arabia Saudita accetta rubli, yuan, pesos, od oro per il suo petrolio, dovrà convertire quelle valute in dollari in quasi tutti i casi.
L’Arabia Saudita mantiene ancora il suo valore valutario ancorato al dollaro, come mostrato nel grafico qui sotto. Detengono inoltre circa $135 miliardi in titoli del Tesoro statunitensi, il massimo degli ultimi tre anni. Sembra davvero che l’Arabia Saudita stia cercando di dissociarsi dal dollaro e dai mercati finanziari statunitensi?
Storie come quella sul petrodollaro e sulla sua morte “imminente” del dollaro circolano da decenni. Un giorno avranno ragione e il dollaro seguirà la strada delle precedenti valute di riserva mondiali, ma affinché ciò accada è necessario che ci sia un’alternativa migliore e ad oggi non esiste nulla che ci si avvicini.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
Nessun commento:
Posta un commento