venerdì 12 luglio 2024

La follia della guerra dei confini in Ucraina

 

 

di David Stockman

Qualcuno dovrebbe dire alle élite europee di darsi una calmata, le loro infinite lamentele sui russi e su Putin sono semplicemente patetiche perché:

• Non sono giustificate: la Russia non porta i tratti distintivi di una potenza imperiale espansionista;

• Il conflitto Russia-Ucraina non è affare dell’Europa occidentale, dal momento che è essenzialmente una guerra territoriale e civile entro i confini della Russia storica;

• Se i funzionari dell’UE sono davvero preoccupati per la presunta minaccia russa, perché spendono solo una miseria del loro PIL nella difesa?

Eppure abbiamo una Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ex-ministro della difesa tedesco e falco guerrafondaio, che dice solo assurdità:

Il presidente russo, Vladimir Putin, vuole vedere il ritorno di imperi e autocrazie in Europa, ha dichiarato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, al Congresso economico europeo di Katowice.

Parlando al fianco del primo ministro polacco Donald Tusk, la von der Leyen ha insistito sul fatto di sostenere un’Unione Europea pronta a fare tutto il necessario per proteggere l’Europa, e in particolare l’Ucraina.

La guerra di Putin consiste nel ridisegnare la mappa dell'Europa, ma è anche una guerra contro la nostra Unione e contro l'intero sistema globale basato sulle regole”, ha affermato.

Beh, questa è solo spazzatura. L'unica volta in cui i confini dell'Ucraina sono stati ridisegnati con la canna di un fucile è stato quando lo fecero Lenin, Stalin e Krusciov tra il 1922 e il 1954. Esatto, questa idiota vuole coinvolgere il mondo nella Terza Guerra Mondiale per far rispettare i confini disegnati da un trio di tiranni tra i più assetati di sangue della storia.

Non è mai esistito un Paese che somigliasse anche lontanamente alla moderna Ucraina finché i comunisti sovietici non ne decretarono l’esistenza. Prima di ciò pezzi e parti della storia di suddetto Paese risalgono al 1650, quando uno dei sovrani più potenti e brutali dell'etmanato cosacco che occupava una piccola parte dell'odierna Ucraina centrale abbandonò la storica fedeltà della sua tribù ai re polacchi e si rivolse ai russi. Successivamente le “terre di confine” (cioè Ucraina in russo) furono tutte legate al vassallaggio nei confronti dell’impero russo e di quello sovietico che ne seguì.

Durante questo arco di 375 anni i confini si spostarono ovunque e viceversa, mentre gli imperi mongolo, turco e polacco-lituano si ritiravano e quelli russo e comunista si espandevano. Cosa c'è di così sacrosanto, quindi, nell'ultima versione delle mappe, quella che ha ospitato sia il regime omicida di Stalin che la Wehrmacht di Hitler?

Infatti l’Europa è piena di confini ridisegnati più e più volte. Mentre la von der Leyen era in Polonia a predicare le guerre di confine in Ucraina, ci si potrebbe chiedere quali sacrosanti confini polacchi aveva in mente?

Per 700 anni la “Polonia” ha saltellato lungo i fiumi, le pianure e le foreste dell’Europa centrale come uno spettacolo di menestrelli itineranti. Ciò include la sua scomparsa per mano di Prussiani, Russi, Asburgo e altre potenze minori scomparse da tempo durante gli ultimi anni del XVIII secolo e l’intero XIX secolo. Fu resuscitata solo nel 1919, in parte nelle terre tedesche a Versailles, perché Woodrow Wilson si rese conto che c’erano voti da ottenere tra quei polacchi che erano emigrati a Chicago e nel Midwest industriale.

Poi Hitler e Stalin ridisegnarono nuovamente i confini della Polonia sotto il famigerato patto Molotov-Ribbentrop del 1938, annullando il lavoro di Wilson e restituendo il corridoio tedesco di Danzica al suo precedente proprietario. E poi, sette anni dopo, un diverso gruppo di vincitori lo ridisegnò nuovamente, fissando i confini per la “Polonia” che soddisfacevano l’obiettivo di Stalin di recuperare le terre orientali perse dai sovietici nella guerra civile post-1918.

La foto qui sotto ricorda non solo come sono stati tracciati gli ultimi confini della “Polonia”, ma come nel corso degli ultimi secoli di storia si sono formati la maggior parte degli attuali confini dell'Europa. Non sono stati tracciati dai delegati di Dio sulla Terra e nemmeno dagli statisti del momento, ma dai vincitori delle guerre più recenti.

Winston Churchill, Franklin Delano Roosevelt e Joseph Stalin all'inizio della Conferenza delle potenze alleate a Yalta, Crimea, 4 febbraio 1945

Inoltre anche uno sguardo alla mappa odierna ricorda che il lavoro di tracciamento dei confini di generali e politici, e occasionalmente di statisti, è sempre stato soggetto a revisione senza necessariamente fare una guerra al riguardo.

A Versailles nel 1919 si decretò l'esistenza della Cecoslovacchia come un pot-pourri di nazioni comprendenti molti slovacchi, cechi, ungheresi, rom, slesiani, ruteni, ucraini, polacchi, ebrei e soprattutto milioni di tedeschi. Fu successivamente smembrata da Hitler per riportare a casa i tedeschi dei Sudeti, poi venne riassemblata dai vincitori di Yalta e infine divisa pacificamente tra Slovacchia e Repubblica Ceca nel 1993.

Oppure prendiamo il caso dei confini tortuosi delle sei repubbliche autonome dello scomparso Stato della Jugoslavia e in particolare della Serbia. Wikipedia ci spiega il processo di creazione di quei confini:

(La Serbia) ottenne l'indipendenza de facto nel 1867 e ottenne il pieno riconoscimento da parte delle Grandi Potenze al Congresso di Berlino del 1878. Come vincitrice nelle guerre balcaniche del 1912-1913, la Serbia riconquistò la Macedonia di Vardar, il Kosovo, Metochia e Raška (Antica Serbia). Alla fine del 1918, con la sconfitta dell'impero austro-ungarico, la Serbia si espanse fino a includere le regioni dell'ex-Vojvodina serba. La Serbia fu unita con altre province austro-ungariche in uno Stato panslavo di sloveni, croati e serbi; il Regno di Serbia aderì all'unione il 1° dicembre 1918 e il Paese prese il nome di Regno dei Serbi, Croati e Sloveni.

La Serbia raggiunse i suoi confini attuali alla fine della seconda guerra mondiale, quando divenne un'unità federale all'interno della Repubblica popolare federale di Jugoslavia (proclamata nel novembre 1945). Dopo la dissoluzione della Jugoslavia in una serie di guerre negli anni '90, la Serbia è diventata nuovamente uno stato indipendente il 5 giugno 2006, in seguito alla rottura di un'unione di breve durata con il Montenegro.

Va però menzionata anche l'ex-provincia serba del Kosovo. Washington e i suoi servitori della NATO ne hanno decretato l’indipendenza dopo 75 giorni di persuasione con i serbi. I messaggi erano scritti sulle bombe sganciate da una serie di aerei della NATO che includevano quasi tutto ciò che poteva volare:

Una parte importante dell'operazione è stata costituita dalle forze aeree della NATO, le quali facevano affidamento sull'aeronautica e sulla marina statunitense utilizzando F-16, F-15, F-117, F-14, F/A-18, EA-6B, B-52, KC-135, KC-10, AWACS e JSTARS dalle basi in tutta Europa e dalle portaerei nella regione.

La Marina e l'Aeronautica francese avevano il Super Etendard e il Mirage 2000. L'Aeronautica militare italiana operò con 34 Tornado, 12 F-104, 12 AMX, 2 B-707; la Marina militare operò con gli Harrier II. La Royal Air Force del Regno Unito utilizzava i jet da attacco al suolo Harrier GR7 e Tornado, nonché una serie di aerei di supporto. L'Aeronautica militare belga, danese, olandese, norvegese, portoghese e turca utilizzavano gli F-16. L'Aeronautica militare spagnola schierò EF-18 e KC-130. L'Aeronautica canadese schierò un totale di 18 CF-18, responsabili del 10% di tutte le bombe sganciate nell'operazione.

I combattenti erano armati con munizioni sia guidate che non guidate, inclusa la serie Paveway di bombe a guida laser. La campagna di bombardamenti segnò la prima volta che l’Aeronautica tedesca attaccò attivamente obiettivi dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Il bombardiere stealth statunitense B-2 Spirit vide il suo primo ruolo di combattimento nell'Operazione Allied Force, colpendo dalla sua base negli Stati Uniti.

Alla fine i confini serbi furono ridisegnati!

Nel processo il suo presidente fu catturato come criminale di guerra. Quando morì prima del processo in una prigione della NATO per “cause naturali”, senza dubbio non considerò questo particolare incidente di tracciamento dei confini come un esercizio di stato di diritto.

In ogni caso, nonostante la storica fluidità dei confini, non si può dire che l'invasione della Russia sia stata immotivata e non collegata alle provocazioni della NATO nella regione. I dettagli sono elencati di seguito, ma è necessario affrontare prima il problema più grande: c’è qualche motivo per credere che la Russia sia una potenza espansionista che cerca di fagocitare i vicini che non sono stati parte integrante della sua stessa evoluzione storica, come nel caso dell’Ucraina?

La risposta è NO e si basa su quella che dovrebbe essere chiamata la regola della doppia cifra. I veri Paesi egemoni espansionistici della storia moderna hanno speso enormi parti del loro PIL nella difesa, perché è ciò che serve per sostenere le infrastrutture militari e la logistica necessarie per l’invasione e l’occupazione di terre straniere.

Ad esempio, ecco le cifre relative alla spesa militare della Germania nazista dal 1935 al 1944 espresse in percentuale del PIL. Questo è l’aspetto di un egemone aggressivo nella fase iniziale di una guerra e nella conduzione effettiva di una campagna militare di invasione e occupazione.

Non sorprende che lo stesso tipo di rivendicazione sulle risorse si sia verificata quando gli Stati Uniti si sono presi la responsabilità di contrastare l’aggressione di Germania e Giappone su base globale. Nel 1944 la spesa per la difesa era pari al 40% del PIL americano e sarebbe ammontata a più di $2.000 miliardi in dollari attuali di potere d'acquisto.

Spesa militare in percentuale del PIL nella Germania nazista

• 1935: 8%

• 1936: 13%

• 1937: 13%

• 1938: 17%

• 1939: 23%

• 1940: 38%

• 1941: 47%

• 1942: 55%

• 1943: 61%

• 1944: 75%

Al contrario, durante l’ultimo anno prima dello scoppio della guerra per procura in Ucraina nel 2021, il budget militare russo era di $65 miliardi, pari ad appena il 3,5% del suo PIL. Inoltre gli anni precedenti non hanno mostrato alcun tipo di accumulo del tipo che ha sempre accompagnato le azioni degli aggressori. Per il periodo dal 1992 al 2022, ad esempio, la spesa militare media della Russia è stata pari al 3,8% del PIL, con un minimo del 2,7% nel 1998 e un massimo del 5,4% nel 2016.

Spesa militare russa in percentuale del PIL

Inutile dire che non si invadono i Paesi Baltici o la Polonia – per non parlare di Germania, Francia, Benelux e dell’attraversamento della Manica – con il 3,5% del PIL. Dallo scoppio della guerra su vasta scala nel 2022, la spesa militare russa è aumentata in modo significativo fino al 6% del PIL, ma anche ai livelli attuali non è stata in grado di sottomettere i propri confini storici.

Quindi, se la Russia non ha la capacità economica e militare per conquistare i suoi vicini non ucraini, per non parlare dell’Europa vera e propria, a cosa serve veramente la guerra?

In breve, affonda le sue radici nelle controversie territoriali e nei conflitti civili in terre che sono state vassalle o parti integranti della Grande Russia per diversi secoli. Ucraina in realtà significa “terra di confine” in lingua russa. Come abbiamo visto, ora comprende uno Stato che non esisteva nemmeno finché Lenin, Stalin e Krusciov non lo costruirono con la forza delle armi dopo il 1920.

Infatti, prima della presa del potere da parte dei comunisti in Russia, non era mai esistito nessun Paese che assomigliasse anche solo lontanamente agli odierni confini ucraini. Ciò a cui equivale in realtà la guerra per procura della NATO è un orribile tentativo di far credere che esista una presunta e neonata minaccia sovietica.

A scanso di equivoci, ecco le mappe che raccontano la storia e che fanno a polpette la sacralità dei confini della von der Leyen. La prima di queste è una mappa di 220 anni fa, dove l’area gialla raffigura il territorio approssimativo delle quattro regioni separatiste – Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia più Crimea – che ora sono presumibilmente sotto “occupazione” russa, ma che di fatto hanno votato a stragrande maggioranza durante i referendum del 2023 e del 2014, rispettivamente, a favore della separazione dall’Ucraina e per un’affiliazione con la Russia.

Collettivamente le cinque regioni erano storicamente conosciute come Novorossiya, o “Nuova Russia”, ed erano state acquisite dai governanti russi, tra cui Caterina la Grande tra il 1734 e il 1791.

Come si evince dai segni rossi sulla cartina che indicano l'anno di acquisizione, l'Impero russo aveva progressivamente acquisito il controllo di questa vasta area, firmando trattati di pace con l'Etmanato cosacco (1734) e con l'Impero Ottomano al termine delle varie guerre Guerre russo-turche del XVIII secolo.

In seguito a questa spinta espansionistica – che comprendeva massicci investimenti russi e l’immigrazione di grandi popolazioni russe nella regione – la Russia istituì il governatorato di Novorossiysk nel 1764. Quest'ultima doveva originariamente prendere il nome dall'imperatrice Caterina, ma lei decretò che si chiamasse invece “Nuova Russia”.

Le province separatiste dell’Ucraina facevano parte della Russia prima ancora che la Costituzione degli Stati Uniti fosse scritta

Completando l'assemblaggio della Nuova Russia, Caterina liquidò con la forza il già citato alleato cosacco noto come Zaporizhian Sich (l'attuale Zaporizhzhia) nel 1775 e annesse il suo territorio alla Novorossiya, eliminando così il dominio indipendente dei cosacchi ucraini. Più tardi, nel 1783, acquistò la Crimea dai turchi, che fu annessa anche alla Novorossiya, come mostrato nell'area gialla della mappa sopra.

Durante questo periodo formativo, il famigerato sovrano ombra sotto Caterina, il principe Grigori Potemkin, diresse il vasto insediamento e la russificazione di quelle terre. Infatti Caterina gli aveva concesso i poteri di sovrano assoluto sulla zona dal 1774 in poi.

Lo spirito e l’importanza della “Nuova Russia” in quel momento sono giustamente catturati dallo storico Willard Sunderland:

L'antica steppa era asiatica e apolide, quella attuale è stato determinata e rivendicata per la civiltà europeo-russa. Il mondo di paragone era quello degli imperi occidentali. Di conseguenza era chiaro che l'impero russo meritava che la propria Nuova Russia andasse d'accordo con la Nuova Spagna, la Nuova Francia e la Nuova Inghilterra. L'adozione del nome di Nuova Russia fu infatti la dichiarazione più potente che si potesse immaginare nel raggiungimento della maggiore età della Russia.

Infatti il passare del tempo ha consolidato ancora più saldamente i confini della Novorossiya. Un secolo dopo l’area giallo chiaro nella mappa qui sotto, 1897, veicola un messaggio inequivocabile: nel tardo impero russo non c’erano dubbi sulla paternità delle terre adiacenti al Mar d’Azov e al Mar Nero, erano parte della “Nuova Russia” che esiste da 125 anni.

Dov'è l'Ucraina su questa mappa?

Dopo la rivoluzione russa i pezzi e le parti di questa regione del vecchio impero zarista furono raggruppati in un'entità amministrativa dai nuovi governanti rossi di Mosca, che la battezzarono “Repubblica socialista sovietica ucraina”. Allo stesso modo crearono entità amministrative simili in Bielorussia, Georgia, Moldavia, Turkmenistan ecc., creando alla fine 15 “repubbliche” di questo tipo.

Ecco come e quando questi brutali tiranni attaccarono ogni pezzo dell'odierna mappa ucraina ai territori acquisiti o conquistati dagli zar russi nel periodo 1654-1917 (area gialla):

• La vecchia Novorossiya del Donbass e del Mar Nero fu aggiunta da Lenin nel 1922 (area viola);

• Il territorio occidentale intorno a Leopoli (area blu), noto come Piccola Polonia o Galizia, fu conquistato da Stalin nel 1939 e successivamente quando lui e Hitler si spartirono la Polonia;

• Alla morte del sanguinario Stalin nel 1954, Krusciov fece un accordo con i suoi alleati del Presidium per trasferire la Crimea (zona rossa) dalla Repubblica socialista sovietica russa a quella ucraina in cambio del loro sostegno nella battaglia per la successione.

In una parola, l’Ucraina è nata nel sangue e nel ferro comunista. Eppure ora la NATO e gli eurofalchi come la von der Leyen vogliono spendere altri miliardi di dollari per garantire che l’opera degli zar e dei commissari autocratici rimanga intatta nel XXI secolo e presumibilmente oltre.

Ucraina moderna: nata nel sangue e nel ferro comunisti

Naturalmente se il suddetto trio comunista del XX secolo fosse stato un benefattore dell’umanità, forse il suo successivo lavoro di cartografia e riassegnazione della Novorossiya avrebbero potuto essere giustificati: avrebbero combinato popoli con una storia etnica, linguistica, religiosa e politico-culturale simile in un sistema politico e uno stato naturale coeso; una nazione che vale la pena perpetuare, difendere e forse anche per cui vale la pena di morire.

Ahimè, era vero proprio il contrario. Dal 1922 al 1991 l’Ucraina moderna è stata tenuta insieme dal monopolio della violenza dei suoi governanti brutalmente totalitari. E ciò divenne più che evidente quando il Cremlino perse temporaneamente il controllo dell’Ucraina durante le battaglie militari della Seconda Guerra Mondiale: durante quell’intervallo particolarmente sanguinoso, l’entità amministrativa comunista chiamata Ucraina andò in pezzi.

I nazionalisti ucraini si unirono alla Wehrmacht di Hitler nelle sue depredazioni contro ebrei, polacchi, rom e russi quando invase il Paese da ovest nel suo cammino verso Stalingrado; e poi, a loro volta, le popolazioni russe del Donbass e del sud fecero una campagna con l’Armata Rossa durante il suo ritorno vendicativo dall’est dopo aver vinto la sanguinosa battaglia che cambiò il corso della Seconda Guerra Mondiale.

Non sorprende, quindi, che dal momento in cui è uscita dal giogo comunista quando l’Unione Sovietica è stata spazzata nella pattumiera della storia nel 1991, l’Ucraina è stata inghiottita da una guerra civile. Le elezioni che si svolsero ebbero come risultato un 50/50 a livello nazionale, ma rispecchiarono duelli di voti 80/20 all'interno delle regioni: i candidati nazionalisti ucraini tendevano ad ottenere margini di voto di oltre l’80% nelle aree centro-occidentali, mentre i candidati simpatizzanti per la Russia ottennero una maggioranza simile nelle aree orientale/meridionale prevalentemente russofone.

Questo modello emerse perché una volta terminato il pugno di ferro del regime totalitario nel 1991, vennero alla luce il conflitto storicamente radicato tra il nazionalismo ucraino, la lingua e la politica delle regioni centrali e occidentali del Paese e la lingua russa e le affinità storiche religiose e politiche nel Donbass e nel Sud. La cosiddetta democrazia è sopravvissuta a malapena a queste sfide fino al febbraio 2014, quando una delle “rivoluzioni colorate” di Washington ebbe successo: il colpo di stato  guidato dai nazionalisti, fomentato e finanziato da Washington, pose fine al fragile equilibrio post-comunista.

Questo è il vero significato del colpo di stato di piazza Maidan: pose fine alla tenue coesione che mantenne intatto lo stato artificiale dell’Ucraina per appena due decenni dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Salvo l’intervento distruttivo di Washington, si sarebbe infine materializzata la spartizione di uno stato invaso dai comunisti che non era mai stato costruito per durare.

La prova che il colpo di stato di piazza Maidan fu il colpo di grazia per lo stato improvvisato ucraino è evidente nelle mappe sottostanti. Vi dicono tutto quello che dovete sapere sul perché questa è una guerra civile, non l’invasione di un vicino da parte di un altro.

La prima mappa è quella delle elezioni presidenziali del 2004, vinte dal candidato nazionalista ucraino Yushchenko. Quest’ultimo prevalse nelle zone arancioni della mappa sul filo-russo Yanukovich, che invece fece incetta di voti nelle regioni blu a Est e a Sud.

Risultati delle elezioni ucraine nel 2004: divorzio nazionale in divenire

La seconda mappa è quella delle elezioni del 2010, la quale mostra la stessa netta divisione regionale ma con una vittoria del candidato filo-russo Yanukovich.

Nella mappa qui sotto, le parti blu scuro nell'estremo oriente (Donbass) indicano un voto dell'80% o superiore per Viktor Yanukovich nelle elezioni del 2010. Al contrario, le aree rosso scuro a occidente votarono per l’80% o più per la nazionalista ucraina Yulie Tymoshenko. La separazione dell’elettorato ucraino fu così estrema da far sembrare l’attuale divisione tra stati americani rossi e blu difficilmente degna di nota al confronto.

Infatti la somma della divisione pro-Yanukovich a Est e a Sud (Donbass e Crimea) ammontava a 12,48 milioni di voti e al 48,95% del totale, mentre la somma delle divisioni al centro e a Ovest (terre dell'antica Galizia orientale e della Polonia) ammontavano a 11,59 milioni di voti e al 45,47% del totale.

Detto diversamente, è difficile immaginare un elettorato più nettamente diviso su base regionale/etnica/linguistica. Eppure si è trattato di qualcosa che ha comunque prodotto un margine di vittoria sufficiente (3,6 punti percentuali) per Yanukovich – tanto da essere accettato con riluttanza da tutti i partiti. Ciò divenne particolarmente chiaro quando Tymoshenko, che era il primo ministro in carica, ritirò la sua sfida elettorale poche settimane dopo il ballottaggio del febbraio 2010.

A quel punto la Russia non aveva alcun problema con il governo di Kiev, perché essenzialmente il “Partito delle Regioni” di Yanukovich era basato sulle parti filo-russe (aree blu) dell’elettorato ucraino. Ma quando Washington incaricò le regioni anti-russe di governare l’Ucraina orchestrando, finanziando e riconoscendo immediatamente il colpo di stato di piazza Maidan, tutto cambiò in un attimo. Ciò fu particolarmente vero quando il nuovo governo illegale sancì nella sua costituzione l’obbligo di aderire alla NATO il prima possibile.

Infatti il colpo di stato di Washington nel 2014 fu l’equivalente del posizionamento missilistico di Krusciov a Cuba nel 1962.

In poche parole, non c’è stata alcuna “invasione” immotivata da parte di Mosca dell’artefatto transitorio noto come Stato ucraino; quest’ultimo di fatto iniziò e finì con l’Unione Sovietica.

Inoltre rispetto alla reale ragione di fondo dell’intervento in Ucraina – la guerra per procura della NATO contro la Russia – ricorre una semplice domanda: oltre a rifornire gli arsenali NATO, qual è il motivo di questa guerra?

Ahimè, la domanda si risponde da sola: la capitale mondiale della guerra sulle rive del Potomac insiste su questo punto e i suoi vassalli in Europa, come Ursula von der Leyen, annuiscono con uno jawohl!


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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