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mercoledì 28 febbraio 2024

Le regole fiscali non compromettono gli investimenti, ma lo sperpero degli stati sì

 

 

di Mihai Macovei

Per evitare che il debito pubblico salisse alle stelle sulla scia della crisi finanziaria mondiale del 2009, la Germania inserì un “freno al debito” nella sua costituzione. Tale freno pone limiti rigorosi ai livelli del debito pubblico e limita l’indebitamento dello stato. Questa regola fiscale raggiunse il suo scopo e il debito pubblico seguì un percorso discendente, calando di circa 15 punti percentuali in rapporto al prodotto interno lordo (PIL) sin dalla sua introduzione. Tuttavia lo stato l'ha sospesa durante la pandemia e ha contratto ulteriori €370 miliardi di debito nel 2020 e nel 2021. Ha anche cercato di aggirare suddetta regola in diverse occasioni istituendo fondi fuori bilancio, come un fondo speciale da €100 miliardi per spese militari durante la guerra in Ucraina.

Nel 2022 il parlamento tedesco ha deciso di trasferire circa €60 miliardi dal debito inutilizzato e contratto durante la crisi sanitaria in un nuovo fondo per il clima e finanziare la transizione verde della Germania. Con sorpresa di tutti, la Corte Costituzionale tedesca ha dichiarato illegale questa mossa, lasciando i politici a grattarsi la testa su come pagare i sussidi previsti. Invece di rendersi conto che la carenza di finanziamenti è dovuta principalmente a un sistema di welfare gonfiato e a un’economia stagnante, i verdi e i politici di sinistra danno la colpa al freno all’indebitamento e cercano di sbarazzarsene.


Le regole possono migliorare la performance fiscale

Il freno al debito tedesco limita l’indebitamento strutturale netto dello stato allo 0,35% del PIL all'anno, ma mantiene una certa flessibilità consentendo ulteriori prestiti durante le recessioni. Inoltre la norma può essere sospesa in caso di calamità naturali o situazioni di emergenza, com'è avvenuto dal 2020 al 2022 a causa della pandemia. Il freno al debito tedesco è molto più severo del quadro fiscale dell’Unione Europea, il quale consente invece un deficit strutturale pari al 3% del PIL all’anno. La normativa fiscale tedesca è una delle più severe al mondo, sia per il suo obiettivo numerico che per il suo ancoraggio costituzionale.

Anche la Svizzera ha introdotto un freno all’indebitamento più di vent’anni fa. La norma fu approvata da un’ampia maggioranza di elettori in un referendum costituzionale e successivamente servì da modello per il governo tedesco. Inoltre i cantoni svizzeri beneficiano di una lunga tradizione di regole fiscali e di autonomia fiscale decentralizzata. Un altro esempio calzante è quello della Svezia, anch’essa ha un rigido quadro fiscale basato su regole numeriche, come un obiettivo di surplus strutturale di bilancio pari allo 0,3% del PIL e un tetto del debito pubblico pari al 35% del PIL.

Negli ultimi trent’anni le regole fiscali sono diventate molto popolari e il numero di Paesi che le hanno introdotte è passato da meno di dieci nel 1990 a oltre un centinaio nel 2021, secondo il Fondo monetario internazionale (FMI). L’adozione di regole fiscali è stata spesso guidata da crisi finanziarie ed economiche che hanno innescato forti aumenti del debito pubblico; diversi Paesi dell’UE hanno adottato norme nazionali analoghe al quadro fiscale comune dell’UE stessa.

Con un numero così elevato di Paesi che utilizzano regole fiscali, ci si potrebbe chiedere perché il debito pubblico sia cresciuto a dismisura in tutto il mondo negli ultimi anni. La risposta è semplice: la definizione delle regole fiscali è fondamentale e, in molti Paesi, le regole sono troppo morbide o la loro attuazione è troppo permissiva. Le regole fiscali sono efficaci solo quando sono accompagnate da un forte impegno politico, da una solida base giuridica per garantirne un’adeguata applicazione e da un rigoroso monitoraggio da parte di istituzioni fiscali indipendenti.

Un’indagine condotta dall’Amministrazione federale delle finanze svizzera ha concluso che le regole migliorano la performance fiscale in termini di migliori saldi di bilancio, riduzione del debito e riduzione della volatilità della spesa. Inoltre la ricerca empirica ha dimostrato che le regole fiscali sono associate a previsioni di bilancio più accurate e a un miglioramento dei rating dei titoli sovrani. Ciò spiega perché anche i Paesi con regole fiscali più morbide, come l’Australia e i Paesi Bassi, beneficiano comunque di una migliore pianificazione di bilancio a medio termine e di migliori risultati fiscali. Negli ultimi anni il debito pubblico è sceso a livelli moderati in Germania e in altri Paesi con regole fiscali – nonostante la pandemia e la guerra in Ucraina – mentre è cresciuto raggiungendo livelli molto elevati negli Stati Uniti e nel Regno Unito (Grafico 1). Di fatto il Government Accountability Office degli Stati Uniti raccomanda agli stessi d'introdurre regole fiscali rigorose e di correggere il loro “percorso fiscale insostenibile a lungo termine”.

Grafico 1: debito pubblico. Fonte: dati del “ World Economic Outlook Database ”, Fondo monetario internazionale, consultati il ​​31 gennaio 2024


Le regole fiscali non compromettono gli investimenti pubblici

Nonostante il suo successo, il freno al debito è finito oggetto di forti critiche sia da parte degli esperti che dei politici di sinistra in Germania. Lo descrivono come “troppo zelante” e una “camicia di forza” sugli investimenti pubblici, mettendo in pericolo l’ecologizzazione e la modernizzazione dell’economia tedesca. Per diverso tempo il freno al debito è stato il capro espiatorio dei sottoinvestimenti tedeschi nelle infrastrutture: ferrovie, ponti, scuole e infrastrutture digitali.

Questo non è vero. In primo luogo, i €60 miliardi rappresentano solo circa l’1,5% del PIL e difficilmente rappresentano un punto di svolta in un Paese come la Germania dove il governo spende ben il 50% del PIL. In secondo luogo, se la Germania non riesce a finanziare gli investimenti pubblici con questa enorme dotazione di bilancio, allora il problema è altrove: consumi pubblici eccessivi, spesa sociale eccessiva, burocrazia asfissiante e normative ambientali.

Come controesempio, in Corea gli investimenti pubblici in rapporto al PIL sono più del doppio che in Germania, mentre la spesa pubblica totale è circa la metà (cioè il 25% del PIL), e non ci sono molte lamentele nei confronti delle infrastrutture coreane. In terzo luogo, la regola fiscale tedesca è piuttosto flessibile in quanto persegue un obiettivo di deficit strutturale nel corso del ciclo economico e consente clausole di salvaguardia in caso di emergenza in modo da non penalizzare gli investimenti in tempi di aggiustamento fiscale.

In linea di principio, le regole fiscali non costituiscono un ostacolo agli investimenti pubblici; garantiscono solo che quest’ultimo sia finanziato in modo trasparente dalle entrate fiscali e non dai deficit pubblici e dal debito galoppante. La stessa indagine dell’Amministrazione federale delle finanze svizzere ha mostrato che la maggior parte degli studi esaminati suggerisce che le regole fiscali possono compromettere gli investimenti pubblici solo se applicate rigidamente, mentre le regole fiscali con flessibilità incorporata non compromettono gli investimenti pubblici. In realtà si può sostenere che disciplinando i consumi correnti, riducendo l’onere del debito e minimizzando il costo del capitale, le regole fiscali offrono maggiore margine di manovra per gli investimenti, sia pubblici che privati. Il Grafico 2 mostra che i Paesi con regole fiscali rigide, come Svizzera e Svezia, hanno in realtà investimenti pubblici più elevati rispetto ai più dissoluti Regno Unito e Stati Uniti, mentre la Germania non resta molto indietro.

Grafico 2: Investimenti pubblici. Fonte: dati tratti da “Government at a Glance 2023”, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, consultati il 31 gennaio 2024


Investimenti pubblici & investimenti di mercato

Un elemento chiave che la maggior parte degli esperti sembra ignorare è che non tutti gli investimenti pubblici sono utili e produttivi. È un dato di fatto, gli investimenti pubblici possono essere piuttosto dispendiosi se sono motivati ​​politicamente, mal pianificati, gestiti burocraticamente e soggetti a frode e corruzione. Secondo il Fondo monetario internazionale i Paesi sprecano in media circa un terzo della spesa per le infrastrutture a causa di inefficienze, e la perdita può arrivare fino alla metà in quei Paesi a basso reddito. Secondo Murray Rothbard gli investimenti pubblici rappresentano una deviazione delle risorse economiche dai loro usi più produttivi determinati dagli individui nei processi di mercato. Attraverso un’errata allocazione dei fattori di produzione, l’utilità sociale ed economica della spesa pubblica può essere negativa in molti casi.

Le inefficienze degli investimenti pubblici sono certamente più limitate nel caso della Germania che nei Paesi a basso reddito. Tuttavia la transizione della Germania verso la neutralità dell'anidride carbonica entro il 2045 è un progetto motivato politicamente. La sua giustificazione scientifica e le azioni politiche proposte sono altamente discutibili e non hanno nulla a che fare con le preferenze dei consumatori. La maggior parte degli “investimenti verdi” sono in realtà un mucchio di sussidi per fabbriche di veicoli elettrici e batterie, infrastrutture di ricarica, piste ciclabili, capacità di produzione di idrogeno e altri progetti che gli individui altrimenti non avrebbero intrapreso.

Inoltre il fondamento democratico di questo mega progetto nazionale è molto fragile. La transizione verde comporta un prezzo enorme, stimato in circa €6.000 miliardi, ovvero il 150% del PIL tedesco. Normalmente richiederebbe un voto tramite referendum piuttosto che l’attuazione tramite decisioni dall’alto da parte di politici vicini al Partito dei Verdi. Quest'ultimo ha ottenuto solo il 15% dei voti nelle ultime elezioni e da allora il suo sostegno pubblico è diminuito. Come gli svizzeri, anche la maggioranza dei tedeschi sostiene invece il freno all'indebitamento, secondo un sondaggio dell'emittente ZDF.

Probabilmente è giunto il momento che le élite politiche tedesche riconoscano che la loro ambiziosa agenda verde è difficilmente sostenibile, dato il debole potenziale di crescita del Paese e l’enorme fardello del suo stato sociale. Invece di rimuovere il freno all’indebitamento e finanziare gli enormi costi della transizione verde attraverso la porta sul retro, dovrebbero piuttosto chiederne l’approvazione pubblica in modo democratico.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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