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Non sempre gli autori del Mises Institute vanno d'accordo sulle opinioni riguardo i vari argomenti affrontati, ma il nostro (metaforico) sacco da boxe preferito è Paul Krugman. Malgrado ciò, quando si tratta del cadavere resuscitato di recente, ovvero il controllo degli affitti, possiamo dire d'aver trovato una causa comune. Infatti ecco cosa scrisse nel 2000:
Il controllo degli affitti è tra le questioni meglio comprese in tutta l’economia e, tra gli economisti, una delle meno controverse. Nel 1992 un sondaggio dell’American Economic Association rilevò che il 93% dei suoi membri concordava sul fatto che “un tetto al prezzo degli affitti riduce la qualità e la quantità delle abitazioni”. Quasi ogni libro di testo per matricole contiene un caso di studio sul controllo degli affitti, utilizzando i suoi noti effetti collaterali negativi per illustrare i principi della domanda e dell’offerta. Affitti alle stelle su appartamenti non controllati, perché gli affittuari disperati non hanno nessun posto dove andare – e l’assenza di nuovi appartamenti, nonostante gli affitti alti, perché i proprietari temono che i controlli vengano estesi? Tutto abbastanza prevedibile.
Rapporti aspri tra inquilini e proprietari, con una corsa agli armamenti tra strategie sempre più ingegnose per cacciare gli inquilini [...] e regolamentazioni in continua proliferazione progettate per bloccare tali strategie? Tutto abbastanza prevedibile.
Paul Krugman si è sbagliato su moltissime cose, ma questa è una cosa su cui aveva ragione. Non che questo significi molto, alla fin fine. Il sondaggio a cui Krugman faceva riferimento conteneva quaranta domande e fu inviato a 1.350 economisti. La questione relativa al controllo degli affitti ebbe una risposta più sbilanciata tra tutti e quaranta.
Il 93% rispose Sì (il 76,3% era d'accordo e il 16,6% era d'accordo ma con riserve), mentre solo il 6,5% era in disaccordo. Ciò significa che Krugman non poteva essere peggiore del novantatreesimo percentile degli economisti!
Il ritorno del controllo sugli affitti
Il controllo degli affitti divenne originariamente popolare all’inizio del 1900, soprattutto a New York, quando la prima grande ondata d'immigrati era vicina al suo culmine e case popolari di bassa qualità venivano costruite a destra e a manca per ospitarli. Le abitazioni erano anguste e affollate e stimolavano un (fuorviante) animus anti-proprietari così come richieste (fuorvianti) di riforma.
Il controllo degli affitti si diffuse in tutti gli Stati Uniti fino agli anni ’50, quando il boom edilizio del dopoguerra alleviò i problemi di offerta e il fallimento di tale misura divenne più evidente. Negli anni ’70 una nuova generazione di controlli degli affitti leggermente più moderati (chiamati “stabilizzazione degli affitti”) fu introdotta nelle città costiere prevalentemente liberal, ma la cosa non durò a lungo. Come ha scritto l’Urban Institute nel 2019: “Oggi solo quattro stati (New York, New Jersey, California e Maryland) e Washington DC, hanno governi locali con leggi attive sul controllo degli affitti”.
Nonostante la quasi unanimità tra gli economisti sul fatto che il controllo degli affitti sia dannoso, una moltitudine di gruppi di attivisti e politici stanno spingendo per rilanciare questa linea di politica perché, sicuramente, non è stata applicata bene la prima volta.
Le proposte più radicali sono effettivamente comuniste: un gruppo chiamato People's Action ha proposto una “Garanzia nazionale per le case” che “tolga le case dal mercato e le demercifichi”. Si potrebbe sperare che i risultati catastrofici degli “esperimenti” comunisti del ventesimo secolo e i tristi blocchi di appartamenti che hanno creato, o i disastri americani con l’edilizia pubblica come Cabrini-Green, possano far riflettere tali sostenitori.
Per quanto riguarda proposte più moderate, due contee di Los Angeles nel 2022 hanno votato per approvare una misura di controllo degli affitti che ne limiti gli aumenti al 4% annuo. L'Oregon ha approvato un limite statale del 10% e diverse roccaforti costiere liberal, come San Francisco e New York, hanno il controllo degli affitti ormai da molto tempo. Infatti anche gli elettori della Florida hanno approvato un provvedimento elettorale per il controllo degli affitti prima che un giudice lo dichiarasse incostituzionale.
Ora l’amministrazione Biden ha proposto un progetto di legge, o di diritti degli affittuari, con una disposizione peculiare al suo interno che impone alla Federal Housing Finance Agency (FHFA) di porre un limite agli “eclatanti aumenti degli affitti”. Una lettera di diciassette senatori democratici chiedeva alla FHFA di limitare qualsiasi aumento degli affitti su tutte le proprietà con un prestito da parte di Fannie Mae o Freddie Mac, il che discriminerebbe di fatto i proprietari di immobili in base al tipo di finanziamento ottenuto.
Inutile dire che il controllo degli affitti è tornato alla ribalta.
Perché il controllo degli affitti non funziona
Forse non dovrebbe sorprendere che si torni a discutere attivamente del controllo degli affitti, sia questi ultimi che i prezzi delle case sono aumentati notevolmente negli ultimi anni. E i prezzi delle case hanno continuato a salire nonostante i tassi d'interesse siano più che raddoppiati sin dalla metà del 2021.
Invece di attribuire l’inaccessibilità agli immobili al massiccio aumento dell’offerta monetaria, che crea inflazione dei prezzi in tutta l’economia, compresi gli immobili, nonché restrizioni su quest'ultimi che a loro volta ne riducono l’offerta e una linea di politica sull'immigrazione sovvenzionata dal governo che aumenta la domanda, il controllo degli affitti è stata la soluzione proposta da quelli di sinistra.
Come con qualsiasi controllo dei prezzi, quando viene posto un limite ai prezzi inferiore al tasso di mercato, l’offerta verrà ridotta.
Fonte: Murray N. Rothbard, Man, Economy, and State with Power and Market, 2 ed. (Auburn, AL: Mises Institute, 2009), fig. 83. |
Il punto P rappresenta la quantità di offerta (in questo caso, l'offerta di immobili) in normali condizioni di mercato. Quando viene introdotto un controllo sui prezzi – in questo caso C – l’offerta viene ridotta dal punto P al punto A. Più restrittivo è il controllo sui prezzi, maggiore sarà la riduzione dell’offerta.
Si potrebbe pensare che questo non si applichi all'edilizia abitativa, poiché i fornitori di immobili non possono scegliere ogni anno quante case ci sono sul mercato; gli edifici già esistono. Anche se questo è vero, i proprietari di case unifamiliari possono scegliere di vendere a un proprietario di casa invece di affittare. Nelle aree di fascia bassa i proprietari possono lasciare che una proprietà cada in rovina e diventi invivibile se non riesce a produrre flussi di cassa positivi. Più comunemente, però, il risultato di un controllo sui prezzi degli immobili è una riduzione delle nuove costruzioni, che, ironicamente, aumenterebbe l’offerta e renderebbe gli immobili più accessibili.
Così, ad esempio, vediamo che uno studio della National Association of Builders mostra che quando i controlli sugli affitti vengono rimossi, si verifica una “crescita dell’offerta più rapida negli anni successivi per quelle comunità sottoposte ad affitti controllati”.
Infatti la letteratura sul controllo degli affitti è estremamente unilaterale. Uno studio di Stanford del 2019 ha rilevato che “il controllo sugli affitti limita la mobilità degli affittuari del 20%” e “i proprietari trattati dal controllo sugli affitti riducono l’offerta di immobili in affitto del 15%” e il controllo generale sugli affitti “fa aumentare gli affitti nel lungo periodo”.
Un altro studio sul controllo degli affitti effuato dal Brookings Institution ha rilevato che “tale linea di politica imponeva $2 miliardi di costi ai proprietari immobiliari locali, ma solo $300 milioni di tal ammontare venivano trasferiti agli affittuari di appartamenti”.
La relazione del Fraser Institute sul controllo degli affitti sottolinea che:
Gli economisti che ne hanno studiato gli effetti sono praticamente unanimi nella loro valutazione. La portata del loro accordo è dimostrata dalle osservazioni dei Premi Nobel per l’economia nel 1974: Gunnar Myrdal e Friedrich Hayek, le cui opinioni ideologiche su questioni diverse dal controllo sugli affitti sono, per usare un eufemismo, piuttosto diverse.
Gunnar Myrdal, che Samuelson descrisse come un importante architetto dello stato sociale del Partito laburista svedese, aveva la seguente opinione sul controllo degli affitti e su coloro che lo implementavano: “Il controllo sugli affitti ha costituito, in alcuni Paesi occidentali, il peggior esempio di cattiva pianificazione da parte di stati privi di coraggio e visione”.
In tutta la relazione ci sono immagini di edifici in rovina con la domanda “Danni da bombe o da controllo sugli affitti?”. Onestamente è abbastanza difficile indovinare quale faccia parte dell'uno e quale faccia parte dell'altro.
È anche importante notare che il controllo sugli affitti non causa solo una riduzione dell'offerta. Come ha scritto Krugman nel suo pezzo citato all'inizio, trovò un articolo sul New York Times in cui si lamentava di come “a San Francisco gli affittuari sono diventati dei supplicanti”.
Era un pezzo interessante con storie di aspiranti affittuari che passavano mesi a passeggiare lungo i marciapiedi spulciando gli annunci, dozzine di disperati in cerca di un appartamento e quando ne trovavano uno cercavano d'impressionare il proprietario con le loro credenziali. Eppure mancava qualcosa in quel pezzo, tre parole che sapevo dovevano far parte di quella storia: “Controllo sugli affitti”.
Dopo tutto, il tipo di comportamento dei proprietari descritto nell'articolo – pretendere che i potenziali inquilini forniscano curriculum e rapporti di credito, che si vestano bene e si comportino con entusiasmo – non si verifica nei mercati immobiliari liberi. I proprietari non vogliono umiliarsi: preferiscono avere solo i soldi.
Infatti non è difficile trovare casi in cui i proprietari interrompono la manutenzione ordinaria di quegli immobili a canone controllato, perché l'affitto non copre le loro spese. Più comunemente smettono di preoccuparsene e gli immobili di ottima qualità finiranno con l'avere impianti vecchi di diversi decenni. In alcuni casi i proprietari senza scrupoli richiederanno favori sessuali, o altri tipi di tangenti, per quelle che, secondo la linea di politica dello stato, sono proprietà in affitto sottomercato con una domanda maggiore rispetto all'offerta.
La soluzione del libero mercato
Naturalmente è impossibile soddisfare ogni desiderio umano, poiché ciò che gli esseri umani vogliono è effettivamente infinito mentre la realtà ci mette di fronte alla scarsità.
Ma quando si tratta di immobili, la soluzione per renderli più accessibili è piuttosto semplice: costruirne di più.
È necessario affrontare la politica monetaria sconsiderata del sistema bancario centrale e le sue oscillazioni selvagge, e si dovrebbero porre fine ai sussidi statali all’immigrazione di massa. Ma nel breve termine, quando si verifica una dislocazione del mercato tra domanda e offerta, il modo per alleviarla è attraverso un’offerta aggiuntiva.
Eppure, dovunque ci giriamo, lo stato si sta intromettendo mediante regolamenti edilizi cervellotici. San Francisco, una delle città con il controllo degli affitti, è quasi comica a questo riguardo. Il tempo medio che intercorre tra la richiesta di autorizzazione per un nuovo progetto di costruzione è poco meno di tre anni, mentre i costi ammontano a $440/metro quadro; il più alto al mondo e gran parte di tale costo è dovuto alla durata dello sviluppo e alle tasse comunali.
C'è da sorprendersi se la gente stia lasciando San Francisco in massa? La soluzione è sostanzialmente prendere ciò che sta facendo San Francisco e fare il contrario.
Costruire di più è l’unica via d’uscita dalla crisi immobiliare americana. Il controllo sugli affitti e altre restrizioni statali non faranno altro che peggiorare i problemi di accessibilità economica negli Stati Uniti.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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