Bibliografia

mercoledì 15 novembre 2023

Non c'è un soldo bucato per il pacchetto di guerra di Biden

Da tre anni a questa parte, ormai, qualsiasi tema internazionale dibattuto pubblicamente diventa una questione di tifo. I campi si dividono in due ed entrambe le fazioni si fanno polarizzare al punto da attaccare non solo i propri "opponenti", ma anche coloro che tentano di rimuovere il proverbiale velo di Maya piazzato astutamente sui loro occhi. Si è passati, ad esempio, dalla questione obbligo di vaccinazione spacciata come unica via da seguire durante la crisi sanitaria (facendo pressione politica affinché si censurassero le alternative e garantendo immunità legale alle case farmaceutiche nel caso di effetti avversi) alla difesa indefessa della causa ucraina (ultima in ordine cronologico la riabilitazione di personaggi storici chiaramente nefandi che si sono macchiati dei più terribili crimini contro l'umanità), fino a oggi con la spaccatura tra pro-israeliani e pro-Gaza. Sapendo di attirare le ire di entrambe le tifoserie, vorrei far notare dei fatti taciuti da ambo gli schieramenti che puzzano tanto di manipolazione dell'opinione pubblica affinché prenda le parti dell'una o dell'altra causa. In primo luogo c'è la narrativa della "prigione a cielo aperto" della striscia di Gaza, ma questa fa acqua da tutte le parti quando si fa notare che essa confina con l'Egitto e anche lì i confini sono chiusi. Se tutti i mali dei palestinesi che vivono lì sono dovuti a Israele, allora qualcuno deve spiegare perché non c'è (almeno) un concorso di colpe con l'Egitto. In secondo luogo c'è la questione legata ad Hamas che manda a curare i propri parenti in Israele; qualcuno, come minimo alzerebbe un sopracciglio se Zelensky mandasse a farsi curare un suo parente a Mosca. In terzo luogo c'è il costante rifiuto palestinese di una soluzione a due stati, a partire da quella del 1947 rifiutata con le armi. Passando all'altra fazione in gioco, c'è, in primo luogo, l'omissione del ruolo che hanno avuto l'Irgun e l'Haganah nella costituzione dello stato d'Israele, in particolar modo l'attentato al King David Hotel dove morirono persone di varie nazionalità; anche la nascita dello stato d'Israele, quindi, coinvolge spargimenti di sangue. In secondo luogo, c'è adesso magicamente la legittimazione di atti di guerra come quello di togliere l'energia elettrica o bombardare edifici strategici al cui interno, però, ci sono anche civili usati come scudi umani, fino a un anno fa invece queste strategie legittime di guerra erano considerate terrorismo se perorate della Russia ai danni dell'Ucraina (soprattutto la seconda). In terzo luogo, c'è la dominazione di Israele su un territorio ampio più del doppio rispetto a quello che gli era stato assegnato dalla risoluzione ONU del '47, espansione avvenuta sempre con attacchi preventivi. A tal proposito sarebbe gustoso sapere come tutto ciò sia in contraddizione con l'Europa dell'est, dove invece gli attacchi preventivi sono condannati pubblicamente per non si sa bene quale motivo. Aggiungiamoci anche che se i palestinesi votano per Hamas allora quelle elezioni sono legittime e quest'ultimo è un rappresentante della popolazione, nonostante sia a dir poco discutibile il processo elettorale con cui s'è sviluppato tale consenso dato che tale organizzazione è assimilabile a una mafiosa; se accade invece nelle regioni del Donbass, allora suddetta legittimità scompare. Senza contare, poi, che Hamas essendo un'organizzazione mafiosa sarà difficile da eradicare con bombardamenti (sarebbe come bombardare la Sicilia per eradicare Cosa nostra) e anche se ci si dovesse riuscire, molto probabilmente verrà sostituita da qualcos'altro più virulento e radicalizzante in tutto il mondo arabo (senza contare, poi, che è stato Israele stesso ad alimentare l'ascesa di Hamas nella regione e a finanziarlo nel corso del tempo in una sorta di strategia "divite et impera"). La guerra santa indetta dal mondo arabo non prevede un esercito regolare, bensì "soldati civili" che in qualsiasi momento possono perorare un "atto di fede" facendosi saltare in aria ovunque. Metteteci dunque l'immigrazione incontrollata degli ultimi anni e avete per le mani una ricetta per il disastro. Ecco, tutte queste "cosucce" andrebbero chieste ai fanatici dell'una e dell'altra parte, ma dubito che le risposte siano coerenti con la realtà dato che sono le premesse a essere sbagliate.

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di David Stockman

Quando vi trovate di fronte a una minaccia esistenziale alla vostra stessa sopravvivenza nazionale, questo è ciò che fate: mobilitate la vostra economia per una guerra totale e imponete pesanti  “tasse di guerra” per pagare un drastico aumento della capacità militare.

Ad esempio, tra il 1939 e il 1945 le entrate del governo federale americano salirono di quasi sette volte, da $6 miliardi a $42 miliardi all’anno, a causa di aumenti fiscali generalizzati che portarono l’aliquota media dell’imposta sul reddito dal 4% al 24% e l’aliquota massima dell’imposta sul reddito fino al 90%. Rispetto all’economia nazionale, le entrate federali (barre rosse) salirono dal 6% del PIL a un picco di quasi il 20% nel 1945.

A ciò si aggiungevano un’enorme quantità di titoli di guerra e prestiti, di conseguenza le spese derivanti da tasse e prestiti (barre blu), principalmente per la mobilitazione militare, aumentarono da meno del  10% del PIL nel 1940 a un picco del 40% in tempo di guerra nel 1944-1945.

Chiamatela pure mobilitazione nazionale americana innescata da Pearl Harbor. È ciò che fa una democrazia che si rispetti quando la sua stessa esistenza viene messa in discussione.

Aumento entrate/uscite federali in percentuale del PIL durante la seconda guerra mondiale

La leadership israeliana ha paragonato a Pearl Harbor i barbari attacchi di Hamas del 7 ottobre. E Netanyahu, in particolare, ha insistito sul fatto che il devastante bombardamento di Gaza da parte di Israele non deve cedere il passo a una “pausa” o a un cessate il fuoco, proprio come Washington non si tirò indietro dopo Pearl Harbor.

Bene, allora dov'è il potente “discorso sul bilancio” di Netanyahu alla Knesset simile alla famosa chiamata alle armi e al sacrificio economico decantati da Roosevelt davanti al Congresso nel gennaio 1942? Dov'è la campagna di pressione politica da parte di Netanyahu per una mobilitazione economica israeliana a tutto campo e rigide tasse di guerra che aumenterebbero la pretesa dello stato sulle risorse economiche della nazione?

Dov'è il piano per un vero "Stato-guarnigione" con il budget militare e le forze armate notevolmente ampliati, necessari in futuro per proteggere i cittadini israeliani dall'essere nuovamente colti alla sprovvista? Dove sono i piani per le centinaia di migliaia di soldati aggiuntivi, necessari per garantire che i barbari di Hamas che abitano nella prigione a cielo aperto sul confine meridionale di Israele non sfondino mai più una barriera militarizzata e adeguatamente sigillata lungo il perimetro della Striscia di Gaza?

Naturalmente non esiste nulla del genere in cantiere. C'è un sacco di pressione politica in corso, ma non alla Knesset, bensì nella capitale mondiale della finanza di guerra sul Potomac sotto forma di pacchetto di aiuti a Israele, in gran parte simbolico, da $14 miliardi.

Ma nel grande schema delle cose questo è un falso conforto per gli israeliani e un lurido moralismo da parte dei politici a Washington. Il fatto è che lo zio Sam è completamente al verde. Washington non può permettersi un solo centesimo del pacchetto da $106 miliardi che Biden sta cercando d'imporre agli sfortunati legislatori americani. Ciò include in particolare lo spreco totale di altri $61 miliardi per la folle guerra per procura di Washington contro la Russia in Ucraina e i sopraccitati $14 miliardi per Israele.

In verità, Israele non ha ancora nemmeno iniziato a stringere la propria cinghia economica per finanziare la politica di guerra su cui insiste il suo governo estremista militarista e religioso. Infatti il pacchetto di aiuti statunitense in sospeso ammonta solo al 2,5% del PIL di Israele e arriva sulla scia dell’incessante campagna decennale di Netanyahu per una politica di sicurezza nazionale incentrata sullo "Stato-guarnigione", finanziata però attraverso un livello di spesa per la difesa quasi pacifista.

Proprio così: le spese militari di Israele sono crollate da oltre il 20% del PIL al momento dell’ultima crisi esistenziale durante la guerra dello Yom Kippur nel 1973 ad appena il 5% del PIL alla vigilia degli attacchi del 7 ottobre. Infatti Netanyahu ha falsamente detto agli elettori israeliani che non dovevano correre rischi, rendendo implicite le concessioni territoriali in una soluzione a due stati e su base diplomatica; allo stesso tempo potevano anche evitare d'essere tassati fino all’osso per pagare l’alternativa: uno "Stato-guarnigione" costoso e pesantemente militarizzato.

Alla base di questa falsa soluzione c'era la volontà di tenere sotto controllo Hamas “falciando l’erba cattiva” ogni tot. anni a Gaza, come sta facendo ancora una volta un disperato governo israeliano con orrore di gran parte del mondo civilizzato.

Quindi, ancor più del fallimento delle tanto decantate operazioni d'intelligence di Israele nel periodo precedente ai massacri del 7 ottobre, il vero fallimento politico è la flaccida linea blu qui sotto, che si inclina verso il 5,0% del PIL per la spesa per la difesa dopo che la coalizione di Netanyahu è arrivata a dominare la vita politica israeliana negli anni '90. Su queste basi, quindi, non si può avere una linea di politica basata sullo "Stato-guarnigione": nessun negoziato con i palestinesi, nessuna soluzione a due stati, nessuna continuazione del processo di Oslo o di altri negoziati internazionali e la quarantena di 2,3 milioni di palestinesi in gran parte indigenti in una striscia di terra congestionata e disfunzionale con un budget di guerra pari al 5% del PIL.

Il budget della difesa da $25 miliardi di Israele è una miseria rispetto alla sua economia nazionale in forte espansione, tecnologicamente avanzata e robusta da $550 miliardi. Quest’ultima, a sua volta, è 20 volte più grande di quella da $28 miliardi di Gaza – finanziata principalmente da filantropi stranieri e personaggi malevoli, e anche questo stato di cose presto cesserà di esistere.

Anche se si contano gli aiuti provenienti dai cosiddetti personaggi malevoli – alcune centinaia di milioni all’anno provenienti dall’Iran e da altri Paesi – che arrivano ad Hamas attraverso il Qatar, non c'è affatto paragone: Israele è un Golia economico rispetto alle scarse risorse dell'apparato terroristico di Hamas e non ha bisogno di alcun lurido moralismo proveniente da Washington per gestire la propria sicurezza. Hanno solo bisogno di:

• ritornare al tavolo dei negoziati internazionali per una soluzione a due stati basata sui confini pre-1967 e sulla riunificazione di Gaza e della Cisgiordania sotto un’autorità responsabile e garantita a livello internazionale;

• o, in alternativa, gravare gli elettori con pesanti tasse di guerra per finanziare l’intera potenza militare richiesta.

Inutile dire che Bibi Netanyahu e la sua coalizione di partiti religiosi di destra probabilmente non sarebbero mai rimasti al potere se avessero parlato apertamente all’opinione pubblica riguardo l’immenso aumento delle spese militari e tasse richieste da queste linee di politica.

Ma anche questa non è la metà di tutta la storia. La verità è che Netanyahu è un megalomane che ha avuto la sconsiderata audacia di perseguire una strategia machiavellica assolutamente pericolosa di promozione e finanziamento di Hamas al fine di uccidere qualsiasi prospettiva di un accordo a due stati.

La documentazione pubblica rende assolutamente chiaro che questo è ciò che Netanyahu ha chiaramente fatto, anche se non è riuscito a dire alla popolazione israeliana che questa linea di politica, a sua volta, necessitava di un corposo "Stato-guarnigione" con tasse schiaccianti per mantenerlo in piedi.

Spendere altri $25 miliardi, o addirittura $50 miliardi, per un tale approccio nei confronti della sicurezza nazionale, come sarebbe necessario, equivarrebbe a tra il 5% e il 10% del PIL in tasse più alte. Tuttavia, secondo la Banca Mondiale, il carico fiscale israeliano è diminuito sin dall’inizio del secolo, quando la linea di politica di Netanyahu a favore di uno stato unico è arrivata a dominare la sicurezza nazionale di Israele.

Entrate fiscali israeliane in percentuale del PIL, dal 1995 al 2021

I fatti sono questi: tra il 2012 e il 2018 Netanyahu ha dato l’approvazione al Qatar per trasferire una somma complessiva di quasi un miliardo di dollari a Gaza sotto forma di valigie piene di contanti. E si stima che almeno la metà abbia raggiunto Hamas, compresa la sua ala militare.

Secondo il Jerusalem Post:

[...] in un incontro privato con i membri del suo partito del Likud l’undici marzo 2019, Netanyahu ha spiegato il passo sconsiderato come segue: il trasferimento di denaro è parte della strategia per dividere i palestinesi a Gaza e in Cisgiordania. Chiunque si opponga alla creazione di uno stato palestinese deve sostenere il trasferimento di denaro dal Qatar a Hamas. In questo modo sventeremo la creazione di uno stato palestinese (come riportato nel libro in lingua ebraica, “Neged Haruach” , dell'ex-membro del gabinetto Haim Ramon, p. 417).

In un’intervista con il sito web di notizie Ynet il 5 maggio 2019, Gershon Hacohen, associato di Netanyahu, un generale maggiore delle riserve, ha dichiarato: “Dobbiamo dire la verità. La strategia di Netanyahu è quella d'impedire l'opzione dei due stati, così da trasformare Hamas nel suo partner più stretto. Hamas è apertamente un nemico; di nascosto, invece, è un alleato”.

Infatti all’inizio di quella primavera lo stesso Netanyahu era stato citato per aver affermato, durante il suddetto incontro dei parlamentari del Likud, che:

“Chi si oppone a uno stato palestinese deve sostenere la consegna di fondi a Gaza (contanti in valigie dal Qatar) perché mantenere la separazione tra l’Autorità Palestinese in Cisgiordania e Hamas a Gaza impedirà la creazione di uno stato palestinese”.

Così la fazione governativa israeliana composta da estremisti religiosi, militaristi, coloni messianici e ideologi di Eretz Yisrael ha scelto, invece, di vivere in uno "Stato-guarnigione" e di essere periodicamente costretta a “falciare l'erba cattiva” nella prigione all'aperto di Gaza. Tuttavia se i suoi governi di destra vogliono gestire una Sparta moderna, devono prima attingere ai propri contribuenti.

Nel frattempo Washington deve tornare sobria dal punto di vista fiscale. Il conto corrente dello zio Sam è enormemente scoperto e ora non è il momento di finanziare guerre che non fanno nulla per la sicurezza interna dell’America (Ucraina), o di fornire un aiuto puramente simbolico a un alleato che ha risorse più che sufficienti per finanziare le imprudenti politiche di guerra che si ostina a perseguire.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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