Bibliografia

venerdì 27 ottobre 2023

Tempus fugit, furtum manet



di Francesco Simoncelli

La settimana scorsa è stato approvato in Italia, con tanto di fanfara sui giornali, il cosiddetto Ddl Bilancio in cui l'attuale governo cerca in qualche modo di barcamenarsi nel mare magnum dei deficit di bilancio e delle tasse. Questo è un ottimo esercizio per sottolineare, per l'ennesima volta, la differenza tra ragionamento logico e feticismo per l'empirismo. Se prendiamo, ad esempio, l'ultima manifestazione in merito di questo tema da parte di Krugman, noteremo una tendenza ricorrente tra la gente della sua risma: mentire sapendo di mentire torcendo la statistica e usandola come martello sulle teste degli sprovveduti. D'altronde, come sosteneva anche George Canning, si può dimostrare tutto con la statistica... tranne la verità. Ed è per questo motivo che è vitale, di questi tempi in particolar modo, ricorrere e affidarsi al proprio intelletto e alla propria capacità di giudizio. Soprattutto quando IA, deepfake e strumenti analoghi possono essere usati per manipolare e fuorviare l'opinione pubblica. Oggigiorno i "valori occidentali" di cui tanto blatera gran parte dei commentatori sono virati tragicamente verso la dittatura "a fin di bene". In particolar modo nella libertà d'informazione ed espressione: si è liberi di essere d'accordo con chi ha (presumibilmente) ragione. In caso contrario le punizioni, o sanzioni come si ama chiamarle adesso, vanno dalla ghettizzazione (ohibò!) all'impedimento di espressione alla fonte, passando attraverso vari strati di censura "soft" (es. bavagli, riduzione della portata del messaggio, ecc.). Questa è la dittatura "a fin di bene", per salvaguardare chi ha (presumibilmente) ragione. Si è liberi di dire ciò che si vuole... finché le cose dette sono accettabili per il sentire comune del politicamente corretto.

Ma meglio non divagare, torniamo in tema. Infatti la prasseologia è la metodologia d'indagine che deve sempre seguire i nostri passi verso l'analisi degli eventi, di qualsiasi natura, in modo da rendere noi stessi la fonte ultima assolutamente affidabile. Sapendo, quindi, che i mentitori seriali sono dietro l'angolo è lecito sospettare della fanfara con cui si accoglie una manovra nata dall'apparato statale. Questo, a sua volta, dovrebbe permettere di porci una domanda: c'è l'inganno? Oh sì, cari lettori, che c'è l'inganno: il Ddl Bilancio è stato redatto considerando l'inflazione dei prezzi una costante. Peggio ancora! I numeri usati sono quelli ufficiali che hanno una tendenza a sottostimarla. E l'inganno viene subito smascherato quando, leggendo dei presunti benefici fiscali che si ottengono sulla scia della manovra, si fa il confronto (impietoso) con l'andamento dei salari reali: calati pesantemente, soprattutto negli ultimi tre anni. Di conseguenza non solo i presunti tagli fiscali vengono mangiati completamente, ma la crescita negativa delle retribuzioni orarie continua ad apporre sulla classe media un fardello punitivo non indifferente.

Uno dei problemi con la teoria del “prezzo attraverso il tempo” è che si tratta di pura teoria. È solo un'idea. Nella pratica le persone non acquistano “panieri” dei loro prodotti preferiti, comprano invece la cena, una casa, un'auto... quanto costa comprare queste cose? Secondo questo dossier redatto dal Corriere della Sera, e prendendo come campione di riferimento la città di Firenze, il confronto tra gli anni Sessanta e oggi è a dir poco impietoso. La paga oraria media nel 1960 era di circa 270 lire l'ora per uno stipendio medio di 47.000 lire, il quale, attualizzato ai tempi odierni, sarebbero all'incirca €640; oggi, invece, la paga oraria media è di circa €9 l’ora, ovvero circa il 130% in più rispetto a prima. In sintesi, il lavoratore medio è più povero: se in passato con un'ora di lavoro poteva acquistare ciò che gli occorreva, ora per comprare quelle stesse cose gli occorre più del doppio del suo tempo. E la macchina? Nel 1960 era stata appena lanciata sul mercato la Fiat 500 D e il costo medio di un'utilitaria si aggirava intorno alle 450.000 lire, che sempre secondo l'Istat sarebbero l'equivalente di circa €6.000 di oggi. Dove trovate oggigiorno una Fiat 500 nuova e venduta a €6.000? Da... nessuna... parte. Una rapida ricerca su Internet vi indicherà un prezzo non al di sotto dei €17.800 (per non parlare poi delle ibride e dell'elettrico). In termini di ore lavorate, l’acquirente impiegherà un'ora e venti minuti di lavoro, rispetto al passato, per potersi permettere una macchina nuova.

In pratica il lavoratore medio può permettersela solo indebitandosi. Le auto sono scarse, ma grazie al credito facile abbondano; la reliquia barbarica dei nostri tempi è la proprietà e il possesso, mentre tutto può essere preso in affitto (rings a bell?). Gli economisti del “prezzo attraverso il tempo” direbbero: “Sì, ma è un'auto migliore la Fiat 500 di oggi”. E lo è: la tecnologia avanza, i componenti migliorano e gli “extra” diventano necessità. Ma è pur sempre solo un'auto e gli stessi miglioramenti tecnologici che la rendono migliore, a rigor di logica, avrebbero dovuto renderla più economica da produrre. Invece è più cara, in tempo ma anche in denaro. E, poi, come non menzionare le case? A tal proposito il quadro generale è meno offuscato dai cosiddetti miglioramenti tecnologici: oggi infatti si possono acquistare case costruite sia nel 2023 che nel 1960. Sessantatré anni fa una casa sarebbe costata circa 4.200.000, che attualizzati ai tempi odierni equivarrebbero a circa €110.000; il prezzo medio delle case oggi è pari a circa €300.000. Ma che dire, però, della casa del 1960 con pochi dei progressi tecnologici degli ultimi 60 anni? Le abitazioni, in realtà, sono rimaste più o meno le stesse. Dovrebbe essere molto più economica, vero?

Nuovi materiali e nuovi strumenti – tubi di plastica, pistole sparachiodi, finto legno – avrebbero dovuto rendere anche le nuove case più economiche da costruire, ma entrambe – vecchie e nuove – sono molto più costose. Le case vecchie dovrebbero essere generalmente più economiche: sono fuori moda e di solito hanno problemi che devono essere risolti come scaldabagni difettosi, tetti da rifare, cablaggi difettosi, ecc. Qualunque cosa, ma con gli aggiornamenti – nuovi ripiani in granito, cucina e bagni ristrutturati, elementi in legno rifiniti – si può supporre che il costo di una vecchia casa sia più o meno lo stesso di una nuova. Qual è il confronto quindi? A 270 lire l’ora, nel 1960, l’acquisto di una casa avrebbe richiesto circa 15.500 ore di lavoro; una casa oggi – supponendo che costi circa €300.000, aggiornamenti compresi – costerà circa 33.300 ore di lavoro.

Stando a queste misure, i lavoratori non hanno nulla per cui festeggiare... né quest’anno, né quelli precedenti sin dal 1960. I salari reali non hanno affatto tenuto il passo con i costi reali. Che tipo di economia è questa? Una che appone una corona di spine d'inflazione sulla testa del lavoratore e lo crocifigge su una croce di sciocchezze? Che tipo di governi sono stati quelli che lo hanno impoverito, anno dopo anno, e hanno accumulato un debito di quasi €3000 miliardi con il suo nome come garante?


LA STATISTICA PIÙ AFFIDABILE PER MISURARE L'INFLAZIONE DEI PREZZI

L’indice dei prezzi al consumo (IPC), il punto di riferimento per la maggior parte dei commentatori che vuole riferire di un aumento/calo "generalizzato" dei prezzi, non solo sottostima l’inflazione dei prezzi reale, ma maschera anche l’inflazione monetaria. Sulla stampa finanziaria e negli ambienti accademici l’indice dei prezzi al consumo viene utilizzato come principale misura della cosiddetta "inflazione". Sebbene possa apparentemente fornire una stima della direzione verso cui sta andando l’economia, si tratta di una statistica difettosa. L’inflazione dei prezzi è un sintomo dell’inflazione monetaria, quindi un buon economista deve identificare la causa dell’aumento dei prezzi, proprio come un buon medico deve identificare, attraverso i sintomi, la malattia. Tuttavia l’inflazione monetaria non è sempre la causa unica dell’aumento dei prezzi, essi cambiano anche in base a domanda/offerta e quindi un aumento del prezzo di un bene è il risultato anche del fatto che la sua domanda supera l’offerta.

Ma non sono solo i gusti e le preferenze delle persone a determinarlo, fenomeno che potremmo definire naturale, accanto a essi ci sono anche mutamenti innaturali: controlli dei prezzi, regolamentazione, incentivi dettati dalla burocrazia, ecc. Un’altra cosa da considerare, poi, sull’inflazione dei prezzi è il cosiddetto Effetto Cantillon: gli aumenti di prezzo più consistenti si verificheranno in genere laddove vengono inizialmente iniettate grandi quantità di denaro. È finita qui? Ovvio che no, perché a tutto ciò si aggiunge anche il ritmo di crescita di beni e servizi.

Supponiamo, quindi, che esista un indice dei prezzi che possa includere tutti i prezzi di un’economia e che l’offerta di denaro aumenti del 10% mentre la quantità totale di beni e servizi aumenta del 30%. A parità di altre condizioni, dovremmo aspettarci un calo dell’indice dei prezzi, proprio come sarebbe accaduto se l’offerta di denaro fosse rimasta invariata. Tuttavia, poiché non è rimasto invariata, l’indice dei prezzi è sceso meno di quanto sarebbe sceso altrimenti.

Esiste una metrica in questo oceano di variabili in grado di approssimare, nel modo più affidabile possibile, i cambiamenti nella struttura dei prezzi? Sì ed è l'offerta di denaro reale (o True Austrian Money Supply, TMS). Creata da Murray Rothbard e Joseph Salerno, è la migliore metrica dell’offerta di denaro e di conseguenza la migliore misura dell’inflazione (e della deflazione). Si basa sulla definizione Austriaca di denaro, al cui riguardo Rothbard scrisse: “Il denaro è il mezzo generale di scambio, la cosa con cui vengono scambiati tutti gli altri beni e servizi, il pagamento finale per tali beni e servizi sul mercato”. La TMS include tutti i sostituti del denaro utilizzati come mezzo di scambio, inoltre esclude tutti i sostituti che altre scuole di economia contano come denaro.

Il Mises Institute fornisce aggiornamenti regolari sulla TMS ed è un ottimo strumento che ogni esperto di previsioni di mercato può utilizzare in aggiunta ad altri. Il miglior utilizzo della TMS è mostrare alla gente comune fino a che estremi l’offerta di denaro viene manipolata artificialmente, andando a deformare le loro preferenze e a derubarli di tempo e risparmi.


SPECCHIETTI PER LE ALLODOLE

Camuffare questa realtà attraverso la macroeconomia ha permesso a Keynes e ad altri di escogitare un ruolo per lo stato affinché potesse intervenire negli affari economici e attirare attorno alla sua orbita risorse e tempo delle persone. Ciò richiedeva, inutile dirlo, l'abbandono del denaro sano/onesto e lo sganciamento dal calcolo onesto della metrica dell'offerta di denaro. Non è un caso infatti che, sin dalla fine degli anni '80, si è passati dall'avere l'offerta di denaro come obiettivo della cosiddetta "stabilità economica" all'avere il tasso d'inflazione feticcio del 2%. L’idea originale era che gli stati dovessero colmare la fase di recessione attraverso lo stimolo attivo dell’economia (es. deficit di bilancio) e recuperare successivamente le finanze pubbliche "perse" attraverso l’aumento delle entrate fiscali una volta che l’economia si sarebbe ripresa. In questo modo si credeva che le recessioni sarebbero state ridotte al minimo e che le finanze pubbliche sarebbero state in equilibrio durante il ciclo economico. Si trattava di un tema applicato con (presunto) successo negli anni del dopoguerra fino alla fine degli accordi di Bretton Woods, quando l’inflazione di M3 statunitense raddoppiò da $27 miliardi nel luglio 1950 a $59 miliardi nell’agosto 1971, senza l’effetto inflazionistico che infine eruttò dopo la sospensione di Bretton Woods.

Quando l’accordo di Bretton Woods cominciò a sgretolarsi in seguito al fallimento del Gold pool di Londra alla fine degli anni sessanta, per i sommi sacerdoti della macroeconomia il problema erano le restrizioni del gold standard, non i fallimenti delle loro teorie economiche e monetarie. Bretton Woods venne abbandonata e da allora la teoria economica interventista raddoppiò i suoi sforzi per giustificare un'invasione ancor più marcata da parte dello stato nella vita economica dei contribuenti. Nonostante i deficit pubblici da record, la teoria keynesiana dello stimolo economico/fiscale ha fatto il suo corso ed è fallita. Ma non è tutto: tassi d'interesse artificialmente bassi avevano lo scopo di rilanciare l’economia e anche in questo si è fallito. Le teorie macroeconomiche si sono talmente allontanate dalla realtà che l’intera professione economica ha bisogno di reimpostare il proprio approccio al libero mercato.

Uno degli straordinari fallimenti del pensiero moderno riguarda la quasi totale cecità nei confronti della ciclicità dei prestiti bancari. E cos'è il PIL nominale, utilizzato per misurare la performance economica? Non si tratta né più né meno dell’impiego del credito per le transazioni che lo compongono. Il PIL aumenta e diminuisce non in base ai consumatori, ma ai cambiamenti nella disponibilità del credito bancario. Il comportamento dei consumatori non è la fonte delle recessioni, lo è invece la disponibilità di credito; la maggior parte delle persone, sia nel settore finanziario che in quello non finanziario, non comprendono il ciclo del credito bancario e le sue implicazioni. E la schiera più ostinata di negazionisti è la burocrazia statale. Dalle principali banche centrali alle autorità di regolamentazione bancaria, una cecità di pensiero di gruppo rispetto alle cause dei periodi di espansione e di recessione è la fonte di una crisi ciclica del credito. Sfortunatamente se uno stato e i suoi agenti continuano con linee di politica sbagliate per un periodo sufficientemente lungo, invece di essere derisi e cacciati via, la fiducia in loro da parte della popolazione in generale cresce. Si tratta di un problema particolare nei mercati dei capitali che ora hanno accettato senza riserve la presunta insostituibilità del sistema bancario centrale.

I dirigenti delle banche commerciali non sono immuni da questa tendenza. Di conseguenza invece di attenersi ai propri obiettivi aziendali, sono vincolati alle banche centrali e ai regolatori statali. Il loro vero compito è quello di essere commercianti di credito e di ottenere rendimenti per i propri azionisti, non di assumersi la responsabilità per coloro che affermano di essere stakeholder e regolatori. Pochi banchieri sembrano rendersi conto di essere intrappolati in un ciclo del credito da loro stessi creato. Questo è il motivo per cui il ciclo esiste da quando sono disponibili le statistiche sul credito. Se mettiamo insieme la mancanza di comprensione della causa del ciclo e l’assenza di responsabilità degli azionisti, otteniamo che il management delle grandi banche pensa che con il supporto normativo esse possano uscire quanto più indenni dalle recessioni. Ma quando sentono il campanello d’allarme per antonomasia, ovvero che i loro bilanci sono eccessivamente indebitati e i prezzi dei fattori di produzione sono in aumento, non c'è pensiero di gruppo che tenga: a meno che non riducano urgentemente la loro esposizione creditizia, rischieranno il fallimento a causa di crediti inesigibili e calo dei valori delle garanzie. Ecco perché i prestiti bancari si stanno contraendo e perché in termini reali il PIL diminuirà. E la contrazione del PIL alimenta un’ulteriore contrazione del credito, facendo salire i costi di finanziamento. La pressione sulle banche affinché liquidino sia gli investimenti in bilancio che le garanzie a supporto dei prestiti è destinata a intensificarsi.


FAME DI DOLLARI

E l'effetto evidente, a valle, di questa catena di eventi, a monte, è l'aumento dei prezzi dell'energia. Infatti l’unità Global Equity Research di JPMorgan prevede prezzi di $150 per il Brent e, inutile sottolinearlo, le conseguenze sui prezzi al consumo sono particolarmente dannose, come indica l’andamento dei prezzi dell’energia e delle materie prime negli ultimi tre mesi. Quindi, sì, il comparto bancario commerciale è particolarmente sotto stress e potremmo vedere molte più Silicon Valley Bank a causa di una catena di fallimenti dovuta a causa di un sistema che ha raggiunto la sua data di scadenza e deve cambiare in qualcos'altro. Sarà un problema per gli Stati Uniti? Non proprio, soprattutto ora che la FED si è emancipata dal carrozzone della coordinated central banking policy e sta cercando di ricostruire, non senza fatica, un mercato dei capitali funzionante in patria. Sia i mercati finanziari che quelli non finanziari hanno capito l'antifona di Powell incarnata nell'assunto "higher for longer" e, oltre ai capitali finanziari che affluiscono negli Stati Uniti e stanno puntellando gli indici azionari americani, c'è da notare anche un altro fenomeno rappresentato dal cosiddetto onshoring delle aziende che in passato avevano delocalizzato altrove, perlopiù in Cina. Oltre alle evidenti tensioni geopolitiche, il fenomeno del cosiddetto onshoring delle imprese statunitensi andrà a ricostruire un tessuto industriale (si spera) funzionante in patria e di conseguenza tornare ad avere una nazione prospera e, soprattutto, in grado di fortificare la propria resilienza alla crisi economica che dovrà ripulire di anni di azzardo morale.

Questo fenomeno, a sua volta, sta privando del capitale necessario la Cina per sostenere la gigantesca bolla immobiliare di cui ancora fa fatica a liberarsi, aggiungendo ulteriore polvere da sparo alla sua esplosività.

Infatti le continue vendite di titoli del Tesoro USA di cui parlano tanto i commentatori mainstream da parte della Cina, non sono simbolo di forza da parte di quest'ultima ma di necessità di liquidità per sostenere sul mercato dei cambi una situazione che rischia seriamente di sfuggire di mano. Soprattutto in questo momento in cui, diversamente dal passato in cui l'abbondanza di eurodollari permetteva alle varie giurisdizioni mondiali di accendere prestiti in dollari ombra e lasciare poi la patata bollente nelle mani della FED, i rubinetti monetari sono stati chiusi e i pasti gratis della riserva frazionaria estinti in questo sistema.

Inutile ricordarlo, il malato terminale in questa nuova condizione mondiale è decisamente l'Europa e su queste pagine si è spiegato più volte il perché. Questo per dire che anche se gli USA dovessero finire nei guai, in particolar modo il settore bancario commerciale, essi hanno un carnet di opzioni molto più efficace rispetto alle altre giurisdizioni: tra il mercato dei pronti contro termine, le azioni della FED stessa e le garanzie sul proprio bilancio (es. T-bond, T-bills), lo zio Sam ha abbastanza liquidità da poter puntellare il proprio sistema affinché superi la tempesta finanziaria e possa avere un'occasione migliore per ricostruire ciò che le precedenti amministrazioni hanno distrutto.


CONCLUSIONE

Per sopravvivere le istituzioni centrali hanno bisogno di sequestrare risorse scarse e, soprattutto, tempo. Non solo per allungare di un giorno in più la propria vita, ma anche per tenere occupate la maggior parte delle persone in faccende vitali che risucchiano più del loro tempo rispetto al passato. In questo modo girano sulla ruota dei criceti, troppo occupati per prestare attenzione a ciò che accade intorno a loro. Il lavoro è importante, certo, ma aver allungato le tempistiche per il raggiungimento degli obiettivi legati a esso ha rappresentato un trucchetto efficace nello strumentario dei pianificatori centrali affinché potessero distrarre le attenzioni delle persone, con la mano destra, e con la sinistra derubarle. Se c'è una cosa che è più dannosa e pericolosa del furto dei risparmi, quella è il furto del tempo. Su questo singolo fattore, poi, è stata eretta tutta una serie di illusioni per rendere ancora più confusionario la comprensione del fenomeno inflattivo e delle relative conseguenze sulla vita della maggior parte delle persone. Un esempio è il Corriere della Sera che s'interroga sul fatto che l'inflazione percepita dalle persone è il doppio rispetto a quella registrata ufficialmente. La conclusione del giornale italiano è che tutto si riduce alle aspettative. Non parla minimamente della sottostima della stessa nelle statistiche ufficiali attraverso window dressing, panieri distorti e altri fronzoli matematici per nascondere sotto il tappeto l'ovvio.

In questo senso la maggior parte delle persone chiude la propria mente all'indagine e molla l'osso nelle mani dei cosiddetti "esperti", troppo impegnate a dover sbarcare il lunario. L'ironia di tutta questa storia è che la comprensione di tale fenomeno, e quindi furto, porrebbe fine al loro tribolare. E nonostante tutti i trucchi macroeconomici, nati apposta per confondere le acque, l'inflazione dei prezzi non smetterà di mordere, soprattutto in Europa e nel resto del mondo sviluppato perché è finalmente giunto il momento di mettere ordine nel groviglio di azzardo morale eruttato sulla scia della ZIRP e della NIRP. Per quanto i Paesi in via di sviluppo possano parlare di de-dollarizzazione, in realtà sono consapevoli delle loro fragilità strutturali per emanciparsi dal dollaro. Non solo per le crisi economico/finanziarie incalzanti nei vari BRICS, ma soprattutto per i controlli dei capitali e sul mercato dei cambi che li rendono inadatti per rappresentare un sistema affidabile e con uno stato di diritto credibile.

I dollari, quindi, saranno fondamentali in questa fase di transizione e per quanto l'amministrazione Biden abbia tentato di vandalizzare l'economia statunitense, Powell e l'entourage che lo copre (es. grandi banche commerciali) sono riusciti a scalzare finora tutti i tentativi della cricca di Davos di scalare gli Stati Uniti. Sebbene quelle descritte possano sembrare delle questioni lontane dalla vita reale delle persone, in realtà incarnano il famoso aforisma di Mises secondo cui "l'economia si occuperà di quegli individui che non si occuperanno di essa". L'attuale sistema non è un colosso inattaccabile che andrà avanti imperterrito: esistono delle crepe ed esse rappresentano l'inizio di una frattura più grande. Insinuarsi in esse rappresenta un modo per avvantaggiarsi rispetto a coloro che verranno travolti dagli eventi invece. Tutto inizia dalla comprensione e dalla consapevolezza, dal vedere dove si trovano queste crepe.


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1 commento:

  1. La pletora di bonus, prebende e stimoli fiscali in generale è ciò che sta tenendo in piedi i numeri del PIL italiano. Nel frattempo le aspettative sull'inflazione dei prezzi rimangono elevate, i rialzi dei tassi devono ancora mostrare il loro impatto completo sull’economia e il calo degli aggregati monetari dimostra che tale contrazione ricade sulle spalle del settore privato. Un deficit pubblico in aumento significa tasse più alte, inflazione dei prezzi più elevata e debito più elevato in futuro.

    Il motivo per cui la maggior parte degli economisti non è allarmata è perché gli squilibri fiscali (visibili) non hanno generato un impatto significativo sull’economia in generale. E potrebbero avere ragione a credere che non ci sarà presto una recessione, però più tempo ci vorrà prima che si verifichi un’inevitabile recessione, peggiore sarà l’impatto. Cercare di mascherare quella che sarebbe stata una logica recessione tecnica dopo l'enorme stimolo monetario e fiscale nel 2020-2021 rischia di peggiorare la situazione, poiché gli agenti economici sono portati a credere che i rialzi dei tassi non arrecheranno danni e, ancora più ottimisticamente, che l’offerta di credito resterà invariata.

    M3 in Italia sta iniziando già a rimbalzare, molto prima che la battaglia contro l’inflazione sia stata vinta, infatti le letture dell’inflazione core e di quella principale rimangono significativamente al di sopra del target. Inoltre se l’unico fattore in grado di negare una recessione è un ulteriore allentamento monetario, allora la ricetta per la stagflazione sarà completa; elemento che si aggiungerà alla persistente spesa in deficit da parte del governo italiano, che non è disposto a effettuare alcuna riduzione della spesa pubblica.

    Il governo deve tagliare drasticamente quest'ultima e ridurre in modo marcato il deficit. Ulteriori stimoli fiscali non faranno altro che incrementare quella che è già un’economia a bassa crescita, ad alto debito e con scarsa produttività. Non è un caso se l'unico Paese che fa peggio dell'Italia è SOLO la Grecia. La contrazione monetaria dovrebbe mirare a ridurre gli squilibri del settore pubblico, non a soffocare il settore privato. Non vi è alcun atterraggio morbido se la dimensione del governo nell’economia aumenta e il settore privato viene schiacciato.

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