Le statistiche ufficiali sull’inflazione sono distorte: gli effetti di sostituzione e i cambiamenti di qualità sono problemi che non possono essere risolti oggettivamente, nemmeno con i metodi statistici più sofisticati. I dati ufficiali sull’inflazione non sono affatto rappresentativi dell’aumento generale dei prezzi nell’economia. Se guardiamo ai beni e servizi non inclusi nell’IPC, la direzione della distorsione è indiscutibile. I beni e i servizi forniti dallo stato sono un esempio calzante. Potremmo riferirci a essi come “beni pubblici”, anche se la maggior parte non soddisfa i criteri formali di non rivalità e non escludibilità, e alcune persone potrebbero addirittura non considerarli affatto come beni. “Beni pubblici” qui significa semplicemente che sono finanziati dai contribuenti; e, cosa fondamentale, non sono inclusi nelle misure convenzionali dell’inflazione dei prezzi. Sebbene le famiglie non paghino direttamente per i beni pubblici, pagano indirettamente attraverso le tasse. Si può quindi affermare che il carico fiscale rappresenti il prezzo di tutti i beni pubblici e se presumiamo che le entrate fiscali rappresentino il prezzo di tutti i beni pubblici, ci risparmiamo anche il noioso compito di valutare il peso dei singoli beni pubblici. Prendendo i dati Eurostat, tra il 1998 e il 2021 l’IPC nell'area Euro è salito complessivamente del 47%, corrispondente a un tasso d'inflazione medio annuo dell’1,7%; il gettito fiscale totale per i Paesi dell’Eurozona è aumentato complessivamente del 99%, corrispondente a un aumento più che proporzionale dei prezzi dei beni pubblici pari in media al 3,0% annuo (senza contare che stiamo assumendo costante la qualità dei beni e dei servizi pubblici, cosa irreale). Il peso dei beni pubblici sulla spesa totale delle famiglie è enorme e nell’Eurozona le entrate fiscali rappresentano oltre il 40% del reddito totale misurato dal PIL. I beni pubblici finanziati dalle tasse sono di gran lunga la voce più importante nel “carrello della spesa” della famiglia media e i loro prezzi crescono in modo sproporzionato, ma non vengono presi in considerazione nelle statistiche ufficiali.
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I beni pubblici, nella teoria economica tradizionale, sono beni non rivali: una persona che li utilizza non preclude la capacità di qualcun altro di fare lo stesso; sono inoltre non escludibili: i proprietari dei beni pubblici non sono generalmente in grado di limitarne l'accesso agli altri. Esempi comunemente pubblicizzati includono l’illuminazione pubblica, la radio, gli spettacoli pirotecnici, le difese militari e le difese contro le inondazioni.
Per il mainstream i beni pubblici rappresentano un problema economico e sociale: la mancanza di rivalità ed escludibilità consente l’esistenza dei cosiddetti scrocconi, il che elimina in primo luogo il motivo del profitto per fornire il bene e quindi l’incentivo a fornirlo. Ciò significa che il mercato da solo non produrrebbe abbastanza illuminazione pubblica, radio e difesa, ad esempio, e, dato tale fallimento, lo stato deve provvedere a fornirli nella quantità più vicina possibile alla loro quantità ottimale.
La critica della maggior parte degli Austriaci si concentra sull’errata affermazione secondo cui la coercizione dello stato è più “efficiente” delle azioni volontarie degli individui. Altri potrebbero scegliere di sfatare la visione tradizionale di un bene, erroneamente impostata sull'essenza fisica piuttosto che sui desideri soggettivi dell’individuo che ne fa un mezzo per raggiungere un fine. Sebbene entrambe le critiche siano importanti, c’è un aspetto che spesso viene dimenticato: pochi si concentrano sull’affermazione secondo cui non esiste alcun potenziale di profitto (o nessun potenziale adeguato) per i beni che chiunque può consumare e a cui chiunque può accedere in qualsiasi momento, il che significa che il mercato per quel bene sarà sempre in disequilibrio. Questa affermazione è il cuore del problema ed è il motivo per cui il mainstream utilizza formalmente i beni pubblici per giustificare l’intervento statale. Supponendo le buone intenzioni, questo è principalmente un errore derivante dal fallimento del mainstream nell'incorporare l'imprenditore nelle proprie teorie economiche.
La struttura aziendale nei settori tradizionali è incentrata principalmente sull’escludibilità. Grazie a essa gli imprenditori possono addebitare un prezzo prima dello scambio, come nel caso di un acquisto da un droghiere, o all'ingresso, come nel caso dell'ingresso in un cinema. Altri settori che prevedono l’escludibilità, ma che prevedono che l’imprenditore addebiti i costi dopo il consumo, hanno una struttura aziendale simile, come nella maggior parte dei ristoranti, dove il conto viene presentato dopo aver mangiato anziché prima. Tutto ciò è molto rilevante per la struttura aziendale dell'imprenditore, in particolare perché i consumatori lo pagano dato che apprezzano il bene più del denaro.
Eliminata l’escludibilità, l’imprenditore non dispone più dei ricavi generati dall'offerta di beni al consumatore; e questa è ancora una questione di struttura aziendale. L’imprenditore deve ancora generare un profitto servendo i consumatori, ma ora deve anche tenere conto degli scrocconi, quindi la logica è un po' diversa. Poiché l'acquisizione del bene da parte del consumatore non è più subordinata al pagamento, l'imprenditore non deve solo convincerlo a scegliere il suo bene rispetto alle altre opzioni disponibili, ma deve anche convincerlo che vale la pena pagare per l'offerta futura di quel bene. La struttura aziendale, poi, deve tenere conto anche del marketing, in qualunque forma esso si manifesti, non solo nei confronti del consumatore affinché scelga subito il bene dell'imprenditore, ma anche nei confronti del futuro. L'imprenditore deve promuovere ed enfatizzare il patrocinio del consumatore come mezzo per l'offerta continua del bene.
Una piccola industria che si è sviluppata durante la mia vita è nata attorno a un bene pubblico che dimostra questi principi. Saggi letti in video, video di persone che giocano ai videogiochi, vlog, video educativi e qualsiasi altro tipo di video regolarmente caricato su YouTube, o piattaforme simili, sono beni pubblici. Il produttore dei video non ha modo di escludere nessuno dalla visione del video finché non lo pagano e la visione del video da parte di chiunque non impedisce a qualcun altro di vederlo.
Secondo la teoria dominante, poiché questa forma d'intrattenimento è un bene pubblico, non può essere fornita in misura sufficiente da attori privati: ci sarebbero gli scrocconi che impedirebbero al settore di raggiungere livelli di equilibrio di offerta. Anche se fosse sciocco suggerire che lo stato debba fornire assistenza nell'offerta di video, questa è la logica utilizzata per giustificare l'offerta da parte dello stato di tutti gli altri beni pubblici. Come chiunque può vedere dai profitti generati da un numero qualsiasi di produttori di video su YouTube e dall'abbondanza di video caricati regolarmente su sito web a scopo di lucro, è la teoria dominante a essere un fallimento. Sebbene alcune persone possano lamentarsi di un tipo specifico di video, i reclami non derivano dal fatto che i video siano un bene pubblico, ma perché un imprenditore, in questo caso un produttore di video, non li ha ancora offerti o lo ha fatto e non è stato in grado di realizzare un profitto.
I produttori di video di successo possono godere di un flusso continuo di entrate dalle loro produzioni principalmente grazie al loro marketing. Nel modo menzionato in precedenza, essi comunicano ai propri consumatori che l'offerta futura ha più valore di una certa somma di denaro detenuta dal consumatore. Poiché le persone pensano che li apprezzeranno più dei loro soldi, pagano il produttore del video.
La logica che abbiamo sondato nella produzione dei video e nei pagamenti può applicarsi a qualsiasi altro bene pubblico. È facile immaginare che, con una corretta comunicazione al consumatore, gli imprenditori possano fornire l'illuminazione pubblica alle città senza alcun intervento statale, convincendo i consumatori a pagare per l'offerta futura. Lo stesso ragionamento si applica alla difesa, dove il fornitore del servizio potrebbe comunicare chiaramente che se l'impresa non è redditizia, i consumatori in futuro ne rimarranno senza. In breve, è possibile trarre profitto dall'offerta di beni pubblici.
Nel sostenere politiche interventiste, il mainstream ha trascurato l’imprenditore, un grave errore di ragionamento, e usa tale errore per giustificare l’intervento statale. Reintrodurre l'imprenditore e la sua struttura aziendale nella logica economica risolve il problema della motivazione del profitto e dell'incentivo a fornire beni pubblici. Ciò invalida l’intera concezione tradizionale secondo cui i beni pubblici costituiscono un problema in un libero mercato, il che significa che quest'ultimo non fallisce affatto. È quindi insensato che lo stato li fornisca al posto dei privati.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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