di Alasdair Macleod
Mentre il mondo sprofonda nella tanto annunciata recessione, la sorpresa sarà che i tassi d'interesse continueranno a salire mentre l’attività economica si contrarrà e questo non è ciò che l’establishment economico si aspetta.
Questo saggio colloca talea prospettiva nel contesto della teoria economica classica, quando erano i principi alla base della divisione del lavoro a dominare incontrastati. Adottando il tema della Legge di Say, questo saggio suggerisce una previsione con un alto grado di certezza che, lungi da una recessione che porterà a prezzi più bassi, tassi d'interesse più bassi e quindi al paradiso degli investitori, essa invece porterà a prezzi più alti, tassi d'interesse più alti e deficit di bilancio fuori controllo.
Lungi dall’essere la salvezza per gli investitori, sarà la recessione stessa la sfida più grande al sistema monetario fiat.
Introduzione
Finora la progressione degli eventi successivi alla crisi sanitaria è stata del tutto prevedibile. In primo luogo, lo stimolo monetaria è stato portato all’eccesso ed è stato seguito dal livello generale dei prezzi in aumento oltre il livello di guardia del 2%. Le banche centrali hanno quindi rialzato i tassi d'interesse nel tentativo di frenare l’inflazione dei prezzi e la crescita dell’offerta di denaro ha inizialmente rallentato per poi cominciare a contrarsi. E ora le principali economie si trovano ad affrontare una recessione di cui le prove sono sempre più evidenti. Anche se si è trattato di una progressione da manuale, c’è stata una cecità sistemica accompagnata da speranze deluse a ogni evoluzione di tal processo.
L’ultima prova è di un apparente collasso del commercio internazionale. Le importazioni e le esportazioni della Cina hanno subito una forte contrazione; la Germania ha già registrato un calo della domanda di esportazioni, e ora anche la Gran Bretagna ha fatto registrare un crollo delle esportazioni. Secondo il Daily Telegraph: “Gli ordini provenienti da Stati Uniti, Cina, Europa e Sud America sono tutti in caduta libera secondo il Purchasing Managers Index, un influente sondaggio sulle imprese di S&P Global”. Letture in calo del Purchasing Managers Index si osservano anche in Francia e Spagna, oltre che, ovviamente, in Germania.
A luglio le esportazioni cinesi verso l’America sono scese del 23,1% su base annua e verso l’UE del 20,6%. Essendo il primo esportatore mondiale, questi dati provenienti dalla Cina rappresentano un campanello d’allarme per l’economia mondiale. Una possibile spiegazione è che, dopo l’aumento della produzione in seguito alla crisi sanitaria, si sta verificando una riduzione delle scorte a livello globale a causa di una serie di fattori comuni: un rallentamento delle vendite a fronte dei prezzi più alti è ovvio, lo è di meno il fattore generale più importante, ovvero che i banchieri di tutto il mondo sono meno avidi di profitti e più spaventati dal rischio di prestito. Nelle economie altamente indebitate, l’aumento generale dei tassi d'interesse sta spaventando i banchieri che hanno bilanci altamente indebitati e ciò sta portando a un'insolita contrazione del credito bancario.
E tale fattore sta cominciando a spaventare i produttori, i quali, rivolgendosi alle banche per sostenere la propria liquidità mentre i loro margini di profitto sono messi sotto pressione dai costi di produzione più elevati, scoprono che le banche, a conti fatti, si rifiutano di fornire prestiti. Non hanno altra scelta se non quella di ridimensionare le loro operazioni e ridurre le loro scorte. Ergo, la produzione di beni d'importazione ed esportazione si sta fermando.
Gli economisti tradizionali stanno per scoprire una brutta realtà. Presumono che le recessioni siano causate dalla riduzione dei consumi da parte dei consumatori, una situazione che porta a un calo dei prezzi e richiede uno stimolo monetario. Ciò che non riescono a capire è che alla radice del problema c’è il fatto che il credito negato ai produttori e, inevitabilmente, questi ultimi inizieranno a licenziare il personale e a tagliare la produzione. A parte il fatto di osservare gli sviluppi dalla parte sbagliata del binocolo, il motivo per cui i macroeconomisti non comprendono questo fatto è perché hanno rifiutato la Legge di Say. Lo ribadiamo forte e chiaro con un linguaggio semplice:
Produciamo per consumare; se non produciamo, non consumiamo.
Non accade mai che i consumatori si sentano improvvisamente avversi al consumo, ma accade sempre che gli individui riducano i consumi perché perdono il lavoro. Ne consegue quindi che quando la produzione diminuisce la disoccupazione aumenta; l’offerta di beni e servizi in generale diminuisce insieme alla domanda degli stessi.
In pratica, il rapporto tra offerta, domanda e prezzi è più complesso. Ci si potrebbe aspettare che la riduzione delle scorte, indicata dal forte rallentamento delle importazioni e delle esportazioni in tutto il mondo, riduca temporaneamente il livello generale dei prezzi, ma ciò durerebbe solo per il periodo di riduzione delle scorte. Un fattore molto più importante sono le variazioni del potere d’acquisto di una valuta e, a questo proposito, possiamo già vedere i prezzi dell’energia che iniziano a salire: il petrolio è salito del 21% nell’ultimo trimestre, il gasolio da riscaldamento del 36% e la benzina del 17%. Anche alcuni prodotti alimentari sono in forte aumento: olio di soia in crescita del 41%, avena del 34%, suini magri del 18%, colza del 19% e cacao del 20%. Potremmo definire questi input materie prime essenziali, la cui domanda non calerà neanche durante una recessione profonda.
Ovviamente ci sarà uno spostamento dei consumi da quegli elementi cosiddetti discrezionali a quelli essenziali, ma supporre che produttori e fornitori di servizi continueranno a sfornare prodotti in un mercato di consumo riluttante è sbagliato. Saranno di conseguenza tenuti a limitare la loro produzione e quindi possiamo vedere che la Legge di Say non può essere negata: il rapporto tra produzione e consumo preserva un equilibrio tra i due e l’idea di un eccesso di produttività, presunta dagli economisti neo-keynesiani, è manifestamente sbagliata.
Respingendo La legge di Say, i keynesiani riuscirono a illudersi che esistessero eccessi di produttività durante una recessione e che avrebbero fatto scendere i prezzi al consumo, essendo la conseguenza di una domanda insufficiente; pertanto la soluzione keynesiana è quella di incoraggiare il consumo scoraggiando il risparmio e sopprimendo i tassi d'interesse. Le banche centrali hanno iniziato a fissare come obiettivo un’inflazione dei prezzi al consumo al 2%, in modo da garantire che non si verificassero condizioni recessive.
Le idee sbagliate su un crollo generale dei prezzi hanno avuto origine nella depressione degli anni ’30, la quale sembrò confutare il precetto della Legge Say, ma quella depressione rappresentò lo scoppio della bolla creditizia degli anni ’20. C’erano quindi due cause principali di quella che poteva apparentemente sembrare una prova contro la Legge di Say: in primo luogo, la meccanizzazione dell’agricoltura negli anni ’20 portò a un eccesso di offerta di cereali e altri prodotti alimentari che continuarono a essere prodotti nonostante la domanda in calo; in secondo luogo, il fallimento di migliaia di banche portò a una sostanziale contrazione del credito bancario, aumentando il potere d’acquisto del dollaro e dando l’impressione di un calo dei prezzi. E ad aggravare i problemi per l’America e il resto del mondo ci fu l'approvazione dello Smoot Hawley Tariff Act da parte del presidente Hoover nel 1930.
Gli errori economici si aggravarono allora e si aggravano ancora oggi. La svalutazione della valuta è diventata una linea di politica ufficiale, con i banchieri centrali che negano che l’aumento dei prezzi al consumo sia in realtà un deprezzamento della valuta. E poiché il dibattito ora si concentra sulla questione se l'obiettivo dell'inflazione dei prezzi debba essere aumentato al 3 o addirittura al 4%, ciò indica sicuramente una completa assenza di ragionamento.
Ma se vogliamo riabilitare la Legge di Say, dobbiamo guardarla nel contesto moderno, in cui la produzione di beni in particolare non avviene da parte dei consumatori, ma da parte di fabbriche all'estero.
Legge di Say e commercio internazionale
Jean-Baptiste Say sottolineò i vantaggi della divisione del lavoro più di due secoli fa, ora riassunti nella sua Legge. A quel tempo, a parte le materie prime e il grano importati, quasi tutta la produzione proveniva dalle industrie nazionali. L’argomentazione secondo cui tutti produciamo per spendere i frutti della nostra produzione nell’ambito della divisione del lavoro era ovvia, ma oggi dobbiamo ammettere che la produzione si svolge in centri diversi da quelli in cui si concentra poi il consumo. Dobbiamo stabilire se la Legge di Say si applica a un’economia moderna, la cui origine è basata sull’espansione del credito a livello internazionale e non solo a livello nazionale.
A partire dalla metà degli anni Ottanta, le banche statunitensi diversificarono le loro attività dedicandosi all’investment banking e alla negoziazione di titoli quando Londra aprì l’intermediazione azionaria alle banche. È stato definito una sorta di Big Bang della "finanziarizzazione" e ha rivoluzionato l’intero settore dei servizi finanziari, non solo a Londra, ma in tutto il mondo tranne che in America. Consentì alle banche di operare sia nel settore degli investimenti che in quello commerciale. Il Glass Steagall Act, però, vietava alle banche statunitensi di svolgere entrambe le attività e la legge fu abrogata solo nel 1999. Di conseguenza per quindici anni le banche statunitensi perseguirono lucrosi finanziamenti aziendali al di fuori degli Stati Uniti, dove il Glass-Steagall non si applicava. L’eredità della lentezza degli Stati Uniti nell’adattarsi al nuovo sistema bancario globale è stata che le banche statunitensi hanno incoraggiato le aziende statunitensi a costruire fabbriche all’estero, svuotando la produzione nazionale e consentendo alla Cina e al Sud-Est asiatico di industrializzarsi. Ciò portò le catene di approvvigionamento a diventare internazionali.
L’impatto della produzione globale sugli Stati Uniti rappresenta in realtà una parte minore della sua economia totale. Con un PIL statunitense pari a circa $27.000 miliardi, le importazioni rappresentano il 15% del PIL e le esportazioni l’11%; ciò lascia il 74% del PIL indiscutibilmente soggetto alla Legge di Say nel senso originale, ma gli articoli di consumo rappresentano in realtà una parte minore delle importazioni, pari a $784 miliardi, meno del 20% delle importazioni statunitensi, mentre gli articoli di consumo esportati ammontano a $256 miliardi, pari all’8,3% delle esportazioni statunitensi. In proporzione al PIL totale, i beni di consumo interessati, pari a $1.040 miliardi, rappresentano solo il 4%. Il saldo dei totali d'importazione ed esportazione comprende materie prime e beni intermedi.
Questa cifra notevolmente bassa ci suggerisce che gli articoli di consumo non sono tanto importazioni dirette, ma importazioni assemblate, distribuite e vendute al dettaglio negli Stati Uniti. Qualsiasi argomento secondo cui gli aspetti internazionali del commercio compromettano la validità della Legge di Say può quindi essere scartato.
Cerchiamo di stabilire il rapporto tra produzione e consumo in ogni momento, soprattutto durante la recessione. Coloro che respingono la Legge di Say sostengono erroneamente che in una recessione la produzione supera la domanda, portando ad un calo dei prezzi. Ci sono altre due questioni da chiarire: il disallineamento implicito tra la produttività automatizzata e il consumo individuale, e le conseguenze della distribuzione dello stato sociale.
Nel settore manifatturiero, con la moderna meccanizzazione, il valore della produzione di un dipendente è notevolmente superiore al suo reddito. E dobbiamo tenere presente la sequenza degli eventi: i consumatori non si limitano a decidere di smettere di consumare, ma lo fanno solo quando non ne hanno i mezzi. In una recessione è sempre la produzione a diminuire per prima, portando ad un aumento della disoccupazione, pertanto se quest'ultima aumenta a causa dei tagli alla produzione, il valore dei prodotti diminuirà molto più rapidamente della perdita di reddito subita dai licenziati. Lungi dall’essere una recessione che porta a un eccesso generale di beni invenduti, oltre alla riduzione iniziale delle scorte, essa è destinata a provocare una maggiore carenza di prodotti.
Lo stesso vale per i servizi ad alto valore aggiunto, come quelli finanziari, legali e di consulenza. I servizi a bassa produttività come il settore dell’ospitalità sono vulnerabili ad altri fattori, come l’essere classificati dai consumatori come spese non essenziali. Ovviamente la Legge di Say non definisce i rapporti tra domanda e offerta in settori specifici, ma esclude solo un calo generale della domanda.
Le distorsioni economiche derivanti da parte dei sussidi sociali sono un ulteriore problema che non esisteva quando Say era vivo. Supponendo che lo stato e le organizzazioni di beneficenza siano interamente finanziati, la fonte ultima di tali sussidi è la produzione, poiché sono le tasse sulle vendite, i dazi all’importazione, le imposte sul reddito e tutte le altre fonti di reddito fiscale che, in ultima analisi, vengono fornite dalla produzione. È quando i sussidi dello stato sociale non sono finanziati dalle tasse, ecco che entra in scena la svalutazione della valuta. Le conseguenze della svalutazione monetaria si riflettono nell’aumento dei prezzi.
Coloro che faticano ad accettare che una recessione non porta a un calo generale dei prezzi dovrebbero fermarsi a riflettere sulle condizioni durante un’iperinflazione: l’economia crolla, ma i prezzi salgono, misurati ovviamente in una valuta che si deprezza rapidamente. Non vi è alcuna compensazione con prezzi più bassi dovuti al crollo della domanda. Quest'ultima è preceduto da un crollo dell’offerta ed è la svalutazione della valuta, azione raccomandata dai keynesiani come risposta alla recessione, a causare il vero danno.
Ciò è importante nel contesto delle attuali aspettative, secondo cui le principali economie del mondo sono sull’orlo di una recessione ed essa porterà ad un allentamento della linea di politica riguardo i tassi d'interesse. Questo è un errore perché, come possiamo vedere dalla Legge di Say, anche aggiornata alle condizioni economiche moderne, il livello generale dei prezzi non scenderà. E con un punto di partenza rappresentato da deficit di bilancio pubblici che sicuramente aumenteranno ulteriormente in caso di recessione, la svalutazione della valuta avrà un’influenza molto maggiore sui prezzi rispetto a qualsiasi spostamento marginale nei modelli di consumo.
La relazione tra deficit commerciale e di bilancio
Più di ogni altro fattore, la propensione al risparmio esercita una grande influenza sulle finanze nazionali, essendo il fattore di oscillazione tra il bilancio di uno stato e la posizione commerciale nazionale.
C’è un altro fattore importante che la maggior parte degli analisti ignora: l’ipotesi del cosiddetto deficit gemello, secondo la quale se il tasso di risparmio non cambia, un deficit di bilancio porta a un deficit commerciale. Il motivo per cui i due deficit sono collegati in questo modo è dovuto alla seguente identità contabile nazionale:
(Importazioni - Esportazioni) ≡ (Investimenti - Risparmi) + (Spesa pubblica - Tasse)
In altre parole, un deficit commerciale è una sorta di deficit di bilancio non finanziato dal risparmio ma dal credito aggiuntivo. Questa tesi può essere confermata seguendo il denaro. Per un deficit di bilancio ci sono solo due fonti di finanziamento: i consumatori si astengono dalla spesa per aumentare i propri risparmi al fine di sottoscrivere titoli di stato; il sistema bancario fornisce finanziamenti sotto forma di credito emesso dalla banca centrale, o dalle banche commerciali, mettendo in circolazione ulteriore credito che prima non esisteva.
Il finanziamento di un deficit di bilancio mediante l’espansione del credito porta a un eccesso di credito senza che vi corrisponda un aumento della produzione. Questo è un punto importante alla base della Legge di Say: produciamo per consumare e la funzione del denaro e del credito è quella di intermediazione tra i due. L’iniezione di credito extra in un’economia non fa nulla per aumentare la produzione, ma aumenta la domanda complessiva, almeno fino a quando non viene assorbita secondo l’Effetto Cantillon.
Direttamente o indirettamente, questo eccesso di domanda può essere soddisfatto solo da beni importati, perché non è disponibile un aumento della produzione interna, quindi un deficit di bilancio si riflette in un deficit commerciale.
Il ruolo del risparmio nel contesto delle finanze nazionali è molto importante. Un aumento del risparmio va a scapito del consumo, motivo per cui gli economisti spesso si riferiscono al risparmio come a un consumo posticipato. Affinché il consumo rimanga tale è necessario che venga investito nella produzione o nel debito pubblico, solitamente attraverso le banche, i fondi pensione, le compagnie assicurative o altri canali finanziari che agiscono per conto dei risparmiatori.
Se, ad esempio, la destinazione dei risparmi aggiuntivi è l’investimento nel debito pubblico, questi verranno trasformati in consumi da parte dello stato. Non essendo speso in beni di consumo aggiuntivi, il deficit commerciale diminuisce rispetto al deficit di bilancio.
Nonostante le linee di politica keynesiane distruttive dello stato, i risparmiatori giapponesi rispondono abitualmente ad un aumento del credito trattenendolo nei loro conti di risparmio e in altri mezzi d'investimento. Di conseguenza l’inflazione dei prezzi al consumo è contenuta rispetto a quella di altri Paesi con tassi di risparmio più bassi. L’Eurozona ha adottato linee di politica simili sui tassi d'interesse e ha visto un indice dei prezzi al consumo maggiore rispetto al Giappone, dato che l’UE ha un tasso di risparmio complessivo più basso. Come noteremo di seguito, in Cina, il cui tasso di risparmio è superiore al 40%, l’inflazione misurata dall’IPC è attualmente pari a zero.
L’impiego di capitali da parte delle imprese cinesi e giapponesi, che è la contropartita dell’aumento dei risparmi, viene investito in miglioramenti nella tecnologia e nei metodi di produzione, mantenendo i prezzi al consumo più bassi di quanto sarebbero altrimenti. Poiché i risparmiatori cinesi e giapponesi sono così coerenti nella loro cultura del risparmio, le loro aziende hanno beneficiato di un costo del capitale relativamente basso e stabile, rendendo i calcoli aziendali più affidabili. Per entrambe le nazioni, il risparmio costituisce il fattore di oscillazione positivo nell’ipotesi del deficit gemello.
Lo stesso vale per qualsiasi economia in cui vi sia un deficit pubblico e allo stesso tempo vi sia una propensione della popolazione a risparmiare piuttosto che a spendere. È la forza trainante degli enormi surplus delle esportazioni cinesi, perché con la sola eccezione di Singapore, i cinesi sono i maggiori risparmiatori del pianeta. La posizione delle nazioni le cui politiche economiche mirano a tassare il risparmio e a incoraggiare il consumo immediato è diametralmente diversa. Sono i consumi finanziati indirettamente dall’espansione del credito, senza aumenti del risparmio, che hanno portato a deficit commerciali persistenti accoppiati a deficit di bilancio.
In contraddizione con le politiche economiche neo-keynesiane, l’evidenza conferma che un’economia guidata dal risparmio ha più successo ed è meno incline all’inflazione rispetto a un’economia guidata dai consumi. Non solo il risparmio protegge il potere d’acquisto della valuta riducendo la necessità di fare affidamento sugli afflussi di capitale estero per finanziare i deficit interni, ma l’evidenza empirica mostra chiaramente che le economie guidate dal risparmio hanno più successo nel creare ricchezza per i loro cittadini. È importante sottolineare che una valuta sostenuta da una cultura del risparmio può resistere a un maggiore livello di espansione del credito da parte della sua banca centrale senza conseguenze negative sui prezzi.
Gli effetti della recessione in base all’ipotesi del deficit gemello
La spiegazione di cui sopra della relazione tra deficit commerciale e di bilancio pubblico è valida perché si tratta di un’identità contabile nazionale. E nell’attuale clima economico, ci troviamo ora di fronte a una flessione dell’attività economica mondiale, laquale porterà a minori entrate per gli stati. E quando hanno già deficit di bilancio, tali deficit inevitabilmente aumenteranno ancora di più.
Una recessione nell'attività economica creerà non poche difficoltà al governo americano. Alla vigilia di una recessione, il suo deficit di bilancio per l’anno fiscale in corso è stimato a $2.000 miliardi, pari al 7,4% del PIL. Quasi certamente aumenterà molto con il progredire della recessione e, allo stesso tempo, sembra che il tasso di risparmio stia diminuendo e che il debito delle carte di credito sia in aumento, la conseguenza naturale del fatto che i consumatori hanno dovuto affrontare un aumento dei prezzi più rapido del loro reddito.
L’identità contabile nazionale che collega il deficit di bilancio di uno stato con il suo deficit commerciale ci informa che, lungi da una recessione che porta a una minore domanda d'importazioni, e quindi a una riduzione del deficit commerciale, si verificherà il contrario. Non solo il deficit di bilancio degli Stati Uniti aumenterà, ma con i risparmi già in calo ciò porterà a un deficit considerevolmente più elevato nella bilancia commerciale. La domanda ora è: com'è possibile che ciò avvenga?
È in questo contesto che dovremmo guardare al credito nel suo complesso – non solo nel contesto del finanziamento del deficit di bilancio, ma anche per l’attività del settore privato. La contrazione del credito bancario non fa nulla per minacciare la validità dell’identità nazionale che collega i due deficit. La Legge di Say sarà ancora vera anche se la contrazione del credito bancario fosse abbastanza severa da aumentare il potere d’acquisto di una valuta, come descritto sopra nella depressione degli anni ’30. In termini reali, la Legge di Say continuerà a valere; è solo il valore della valuta in termini di beni che cambia. Per quanto riguarda il commercio internazionale di una nazione, i volumi delle materie prime importate diminuiranno durante una recessione e così anche le loro esportazioni. Lo stesso vale per i prodotti semilavorati e gli articoli di consumo, ma i volumi non sono la stessa cosa dei valori contabili registrati in valuta.
Ciò spiega perché l’ipotesi del deficit gemello vale anche in un momento di declino del commercio internazionale, di aumento dei deficit di bilancio e di calo del tasso di risparmio. A parità di condizioni, il declino dell’attività economica dovrebbe portare a un calo della bilancia commerciale, ma questo in termini reali. La soluzione a questo enigma può essere data solo attraverso un calo del potere d’acquisto della valuta nello stesso momento in cui si verifica un calo dell’attività economica. La spiegazione risiede nell’accelerazione della svalutazione della valuta, la conseguenza diretta del crescente deficit di bilancio.
La contrazione del credito da parte delle banche commerciali intensificherà la recessione
Ora sappiamo che in una recessione, o in una crisi, è l’aumento del ritmo della svalutazione della valuta che alimenta i valori delle importazioni e delle esportazioni, i cui volumi diminuiscono. Il ruolo della contrazione del credito bancario suggerisce il contrario ed è questo il nostro prossimo tema.
Il grafico seguente mostra che i depositi bancari negli Stati Uniti si sono contratti del 4,8% rispetto al picco dell’aprile 2022.
La contrazione del circolante è stata in realtà maggiore di recente, perché al credito bancario dobbiamo aggiungere i cali nella struttura reverse repo della FED, per cui i fondi del mercato monetario autorizzati cercano un tasso d'interesse più alto di quello offerto da depositi delle banche commerciali attraverso i mercati monetari. Dallo scorso settembre suddetta struttura ha fatto registrare un calo di $798 miliardi. Se consideriamo i fondi monetari come depositi bancari aggiuntivi, tenerne conto indica che la contrazione del credito bancario è stata in realtà molto più severa, in particolare negli ultimi mesi, diminuendo del 9,2% rispetto al picco dell’aprile 2022.
I monetaristi sostengono che un calo dell’offerta di denaro porta ad un aumento del potere d’acquisto del dollaro, o più convenzionalmente a un calo dei prezzi. È questa la deflazione che cercano di evitare nel raccomandare alle autorità monetarie di abbassare i tassi d'interesse, ma ciò presuppone che siano in grado di farlo, il che non è così. I tassi d'interesse sono alimentati dal ciclo del credito bancario, per cui i banchieri come gruppo temono ora di aumentare il rischio di prestito e tentano di evitarlo.
Ciò è dovuto al fatto che i bilanci delle banche commerciali statunitensi sono altamente indebitati, per cui la contrazione del credito bancario sembra destinata a continuare man mano che aumenteranno i rischi di prestito. Ma un problema per il sistema bancario nel suo insieme è che, mentre può contrarre il lato degli attivi del suo bilancio, è meno facile ridurre il lato dei passivi nei confronti dei depositanti. La soluzione per loro sarà quella di aumentare i prestiti agli stati, anche se in bond di breve termine per evitare il rischio di durata, e ridurre la loro esposizione ad altri asset. Pertanto all’interno del totale dei prestiti bancari, il calo dei prestiti al settore privato sarà più rapido di quanto indicano i numeri principali. La stretta creditizia è già rivolta alle imprese ed è destinata a intensificarsi.
Di conseguenza il costo del credito per le imprese continuerà a salire e la sua disponibilità a diminuire. Anche la produzione calerà e la disoccupazione aumenterà. Con l’offerta di prodotti in calo così come la domanda dei consumatori, questa sarà la base della condizione popolarmente definita come stagflazione, un'anomalia secondo la dottrina dei neo-keynesiani. In realtà, come sostenuto in questo saggio, è facilmente spiegabile purché si rispetti la Legge di Say. E mentre i neo-keynesiani si aspettano che il calo dei tassi d'interesse rifletta il calo della domanda, adesso siamo in grado di capire perché ciò non accadrà.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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