martedì 22 agosto 2023

Stato e controllo dell'inquinamento: storia di un fallimento

 

 

di Timothy D. Terrell

In oltre venticinque anni di insegnamento agli studenti universitari, ho sentito innumerevoli volte lo stesso ritornello: il libero mercato ha molti problemi che tocca allo stato risolvere. Infatti gli studenti si aspettano che stato "intervenga" così spesso che i mercati occupano un ruolo periferico nel loro sistema economico idealizzato. Anche gli studenti con una predilezione ideologica verso il libero mercato saranno pronti a sostenere che alcuni problemi, come l'inquinamento, richiedono un'ampia regolamentazione statale e probabilmente un'abbondante spesa pubblica.

Ciò non sorprende affatto, dato che gli studenti universitari sono stati bombardati da racconti di soluzioni statali a problemi sociali da parte di mezzi d'informazione, insegnanti e genitori. Quando sentono parlare di "fallimento del mercato" nella loro prima lezione di economia, non ci vuole molto affinché si convincano che il libero mercato sia nel migliore dei casi impraticabile e nel peggiore una debole motivazione per lo sfruttamento capitalista. I libri di testo di economia più venduti a livello universitario fanno poco per contrastare queste percezioni e la maggior parte dei professori non si discosterà molto da tali testi.

La maggior parte dei libri di testo sui principi della microeconomia e della microeconomia intermedia dedica almeno un capitolo al fallimento del mercato, il quale include tipicamente il "potere di mercato" (si pensi al monopolio), la fornitura inadeguata di "beni pubblici" (beni che il settore privato presumibilmente non produrrà a sufficienza perché incapace di far pagare gli utenti) e le "esternalità" (gli effetti collaterali non intenzionali dell'attività umana sugli astanti, come l'inquinamento). Mentre i libri di testo di solito contengono qualche riconoscimento del fatto che gli stati non sono all'altezza dei modelli di efficienza idealizzati, è raro che venga dedicato spazio proporzionale al "fallimento dello stato" ed è facile per gli studenti concludere che l'intervento statale è la risposta alle carenze quasi onnipresenti dei mercati.


Gli apologeti della regolamentazione ambientale

I problemi con la teoria del monopolio e gli errori del pensiero mainstream sui beni pubblici sono stati affrontati altrove. Nella mia esperienza, le esternalità, in genere i problemi ambientali, si sono rivelate una delle sfide più difficili per gli studenti che cercano di comprendere i mercati e lo stato. I problemi di inquinamento non richiedono l'intervento dello stato?

Tipicamente la sezione sulle esternalità contiene alcuni diagrammi che mostrano la differenza tra costi (o benefici) privati ​​e costi (o benefici) sociali. Il diagramma delle esternalità negative di solito è simile al Grafico 1, con il costo privato marginale (MPC), il costo sociale marginale (MSC) e il beneficio privato marginale (MPB). Gli studenti sono quindi indirizzati ad osservare la differenza tra la quantità ottimale di output (Q*) del bene che si traduce nell'esternalità negativa e la quantità di output prodotta nel mercato (QM). Qualsiasi produzione eccedente Q* aggiunge più costi che benefici, creando una perdita netta denominata "perdita secca". La presenza di questa perdita secca è ritenuta una prova del fallimento del mercato e gli autori normalmente procedono a valutare vari modi in cui lo stato può spingere il mercato verso Q*.

Grafico 1: la differenza tra costi e benefici nella quantità di output risultante in esternalità negative

Walter Block ha sostenuto che ci sono problemi con il consueto trattamento delle esternalità come fallimento del mercato. Se il destinatario dell'inquinamento non è in grado d'essere indennizato dai danni o ottenere un'ingiunzione da un tribunale — il rimedio tipico prima della metà del diciannovesimo secolo circa — allora non si tratta di un fallimento del mercato, ma del fallimento dello stato nel difendere i diritti di proprietà. Una volta diligenti nella protezione dei diritti di proprietà, i tribunali iniziarono a indebolire queste protezioni a metà del 1800. Un esempio è il caso del 1866, Ryan v. New York Central Railroad Co. (35 NY 210), in cui una ferrovia non era ritenuta responsabile per la perdita di una casa che era stata incendiata dalle scintille della vicina legnaia della ferrovia, bruciata per negligenza della compagnia. La protezione del tribunale mostrò la sua forza solo molto tempo dopo. Come sottolineò Jonathan Adler riguardo un famoso caso del 1913 a New York, Whalen v. Union Bag and Paper Co. (208 NY 1): “La più alta corte dello stato ha confermato un'ingiunzione che chiudeva una cartiera da $1 milione che impiega diverse centinaia di lavoratori al fine di proteggere i diritti ripariali di un singolo agricoltore”.

Poiché la legge emanata dai tribunali per risolvere i conflitti su problemi come l'inquinamento è stata sempre considerata inadeguata per affrontare le esternalità, gli interventi dello stato hanno generalmente assunto tre forme:

  1. regolamentazione di comando e controllo;
  2. tasse sulle emissioni;
  3. sistemi cap-and-trade (permessi scambiabili).

La regolamentazione di comando e controllo è impopolare presso molti economisti a causa della sua tendenza a richiedere riduzioni delle emissioni in modi poco flessibili e quindi più costosi. È anche particolarmente suscettibile al "capitalismo clientelare", poiché i lobbisti del settore possono spingere le burocrazie normative a imporre tecnologie che tengano fuori i concorrenti. Molto più attraenti per gli economisti sono le tasse sulle emissioni e i permessi scambiabili.

Le tasse sulle emissioni (a volte chiamate tasse pigouviane dal nome dell'economista di Cambridge Arthur Cecil Pigou, uno studente di Alfred Marshall) hanno guadagnato nuova attenzione come parte della politica climatica. Negli ultimi anni sono apparse numerose proposte per una tassa federale sull'anidride carbonica, incluso il "Green New Deal", e anche alcuni che affermano di essere libertari le hanno spalleggiate. I sistemi di permessi scambiabili sono in uso negli Stati Uniti da decenni, in particolare con l'Acid Rain Program dell'Environmental Protection Agency che ha iniziato a mettere all'asta i permessi sull'anidride solforosa nel 1993. I sistemi di permessi scambiabili suscitano un certo fascino nei confronti degli economisti favorevoli al mercato perché, dopo tutto, vengono scambiati in un mercato. Peccato però che sia un finto mercato, dato che l'offerta dei permessi viene dettata dai regolatori.

La maggior parte degli economisti sembra favorire l'una o l'altra di queste linee di politica, tuttavia sia le tasse sulle emissioni che i sistemi di permessi scambiabili soffrono di problemi critici.


Il problema del calcolo dell'inquinamento

In primo luogo, lo stato non ha modo di determinare i costi causati dall'inquinamento, né ai fini dell'imposizione di una tassa né per la creazione di un limite alle emissioni. Facendo riferimento al diagramma nel Grafico 1, non c'è modo di trovare MSC, il che significa che lo stato non può sapere a quanto fissare la tassa e un sistema di permessi scambiabili non avrà informazioni utili su quanti permessi dovrebbero essere creati.

Questo problema di calcolo è stato a lungo trattato e James Buchanan lo spiegò in Cost and Choice:

Si consideri, in primo luogo, la determinazione dell'importo dell'imposta correttiva da imporre. Tale importo dovrebbe essere pari ai costi esterni che altri oltre al decisore devono sostenere in conseguenza della decisione. Questi costi sono sostenuti da persone che possono valutare le proprie perdite di utilità risultanti. [...] Per stimare l'entità dell'imposta correttiva, tuttavia, è necessario porre alcune misurazioni oggettive su questi costi esterni. Ma l'analista non ha punti di riferimento con cui poter proporre stime plausibili. Poiché le persone che sopportano questi “costi” – quelle che sono esternamente interessate – non partecipano alla scelta che genera i “costi”, non c'è modo di determinare, anche indirettamente, il valore che attribuiscono alla perdita di utilità che potrebbe essere evitato.

Come afferma succintamente Art Carden: “Le informazioni necessarie per sapere se una particolare normativa 'funziona' non esistono, e la differenza fondamentale tra aziende e stati è che le aziende [...] hanno test di mercato affinché possano prendere le loro decisioni. Gli stati no”.

Tuttavia economisti e policymaker continuano a fingere che le informazioni necessarie siano alla loro portata, o che tale criticità possa essere tranquillamente ignorata. William Baumol, scrivendo sulla prestigiosa American Economic Review nel 1972, ammise i problemi d'informazione nelle tasse pigouviane:

Nonostante la validità, in linea di principio, dell'approccio agevolativo della tradizione pigouviana, in pratica esso soffre di serie criticità. Dato che non sappiamo come stimare l'entità dei costi sociali, non abbiamo nemmeno i dati necessari per attuare le proposte pigouviane di agevolazioni fiscali. Ad esempio, una parte molto consistente del costo dell'inquinamento è psichico; e anche se sapessimo valutare il costo psichico di un individuo, abbiamo poche speranze di affrontare effetti così diffusi sulla popolazione.

In seguito osserò anche: “Non sappiamo come calcolare le tasse e i sussidi richiesti e non sappiamo come approssimarli per tentativi ed errori”.

Sfortunatamente Baumol ignorò questi problemi e propose di agire “sulla base di una serie di standard minimi di accettabilità”, in modo da trovare “un livello massimo di un dato inquinante che fosse considerato soddisfacente”. Ovviamente stava nascondendo il problema dell'informazione (quanto è "accettabile" o "soddisfacente"?) sotto il tappeto, cosa che ammise anche. “Ma”, sosteneva Baumol, “se ci lasciamo paralizzare dai consigli di perfezione, potremmo avere più motivi per rammaricarci”. In altre parole, è meglio fare qualcosa per ridurre l'inquinamento piuttosto che non imporre alcun limite. Baumol, e coloro che ancora oggi propugnano tasse sulle emissioni o permessi scambiabili, non riescono a vedere che anche all'interno del loro quadro analitico problematico, è facilmente possibile sovrastimare MSC e quindi "correggerlo eccessivamente" con tasse troppo alte o limiti di emissione troppo bassi, aumentando (invece di diminuire) la dimensione del triangolo di perdita secca (si veda il Grafico 2). Inoltre non riescono ad apprezzare l'efficacia della legge sulla responsabilità civile e sul fastidio nella prevenzione delle violazioni ambientali. Murray Rothbard ci ricordò il valore di questo approccio decentralizzato e basato sui tribunali (la common law) nel suo saggio del 1982: Law, Property Rights, and Air Pollution.

Grafico 2: Gli effetti sulla quantità di produzione di sovraimposte sulle esternalità negative


(In)giustizia ambientale

La seconda grande criticità è che né le tasse sulle emissioni né i permessi scambiabili hanno un modo chiaro per risarcire le vittime dell'inquinamento per le perdite che continuano a subire. Le multe, o i proventi delle aste sui permessi, vanno allo stato, non a chi sta subendo l'inquinamento. Infatti tutto l'apparato del diritto ambientale autoritario che si è sviluppato nel corso degli anni, che si tratti di comando e controllo o di qualche altro tipo di regolamentazione, non è riuscito a proteggere i diritti di proprietà dei vicini di chi inquina. Obbligare uno scrubber su una centrale elettrica a carbone, o tassare l'anidride solforosa, non fa nulla per compensare qualcuno che potrebbe ancora essere influenzato negativamente dalle emissioni rimanenti. Inoltre se i permessi di emissione nell'ambito di sistemi di permessi scambiabili vengono scambiati tra inquinatori in aree diverse, le emissioni si sposteranno dai vicini di un inquinatore a quelli di un altro senza alcuna compensazione per questi ultimi. La giustizia richiederebbe che l'impresa acquisisca i permessi per aumentare il risarcimento ai suoi vicini proporzionalmente all'aumento dell'inquinamento che emetterà, mentre l'impresa che li vende dovrebbe ridurlo ai suoi vicini. Quindi se i diritti di proprietà sono protetti, l'impresa che acquisisce i permessi verrebbe pagata dall'impresa che li vende, poiché l'acquirente accetta l'onere di risarcire i suoi vicini. Tuttavia i sistemi di permessi di emissione scambiabili producono l'opposto: l'impresa che acquisisce i permessi paga l'impresa che li vende. I guadagni per alcuni attori e le perdite per altri sono considerati irrilevanti.

Ciò presenta problemi etici significativi, sebbene la maggior parte degli economisti sembri disposta a ignorarli e perseguire il punto sfuggente della cosiddetta "efficienza sociale". Come scrisse Murray Rothbard in Law, Property Rights, and Air Pollution: “Anche se il concetto di efficienza sociale fosse significativo, non risponde alle domande sul perché l'efficienza dovrebbe essere la considerazione prevalente nello stabilire i principi giuridici, o perché le esternalità dovrebbe essere interiorizzate al di sopra di ogni altra considerazione”. Alla stessa conclusione sono giunti Robert McGee e Walter Block: i permessi di emissione scambiabili, nonostante alcuni vantaggi in termini di efficienza rispetto alla regolamentazione di comando e controllo, “comportano una violazione fondamentale e pervasiva dei diritti di proprietà” e questa forma di "socialismo di mercato" dovrebbe essere sostituita con la common law che invece li tutela rigorosamente.


A chi interessa l'efficienza?

Anche se mettiamo da parte il problema dell'informazione e il problema etico, non è chiaro perché dovremmo aspettarci che lo stato persegua il risultato più efficiente. I politici e le burocrazie hanno i propri obiettivi: in genere i politici vogliono essere eletti e i burocrati vogliono budget più ampi con cui giocare. Di fronte alla pressione implacabile dei gruppi di pressione che non si preoccupano particolarmente dell'efficienza economica complessiva, i politici ignoreranno volentieri qualsiasi cosa i professori di economia abbiano detto sul costo sociale marginale; le organizzazioni ambientaliste non saranno inclini a smettere di chiedere tagli alle emissioni anche quando Q* — anche se sapessimo di cosa si tratta — verrà raggiunto; i produttori di gas naturale vorranno tasse sull'anidride carbonica tanto alte da svantaggiare i loro concorrenti, ma non abbastanza alte da spingere i servizi elettrici verso l'energia nucleare. In un tale ambiente di gruppi d'interesse in competizione, il risultato Q* da manuale si manifesterebbe solo in rari casi.

Faremmo bene, quindi, a scartare le teorie "basate sull'efficienza" che impongono richieste d'informazioni impossibili e che si basano sull'altruismo da parte dei policymaker. Come hanno sottolineato Ed Stringham e Mark White, seguendo Murray Rothbard:

Le teorie utilitaristiche in generale soffrono di questi problemi di calcolo, ma le teorie deontologiche, come i sistemi etici basati sui diritti, no. In tali teorie le decisioni giuridiche verrebbero prese sulla base di nozioni di giustizia piuttosto che di efficienza, e i giudici non dovrebbero affrontare il non invidiabile compito di calcolare le conseguenze economiche, in tutti i possibili stati del mondo, in tutte le loro possibili azioni.

Ci sono altri problemi con le tasse sulle emissioni e gli schemi dei permessi scambiabili oltre ai molti che ho menzionato in questo articolo. Ad esempio, Bob Murphy ha dimostrato che anche una carbon tax “neutrale rispetto alle entrate” è “probabile [...] che imponga una perdita secca maggiore, compensando parte dei potenziali benefici ambientali”. Inoltre le proposte per una tale tassa — che nell'effettivo è una patrimoniale — sono piene di affermazioni fuorvianti e sarebbe distruttiva per la crescita economica. Inoltre dato che molte di queste proposte hanno lo scopo di prevenire danni che potrebbero teoricamente verificarsi in un lontano futuro, possiamo sapere ancora meno sulle capacità e sulle priorità dei nostri remoti discendenti, e i costi potrebbero ancora gravare sulle generazioni future prima che si possano materializzare i presunti benefici.

Lo stato non può realizzare un miglioramento, rispetto ai risultati del libero mercato, con le tasse sulle emissioni e i permessi scambiabili sulle emissioni, anzi potrebbe facilmente peggiorare le cose. Come abbiamo visto, lo stato non ha le informazioni di cui avrebbe bisogno per identificare quale livello d'inquinamento è efficiente per un'intera società, e comunque i funzionari statali non hanno gli incentivi per essere particolarmente interessati all'efficienza. Affrontare le ricadute ambientali sulla base dei diritti, piuttosto che di un'incoerente “efficienza sociale”, è una posizione più difendibile, sia sul piano pratico che etico. Un rinnovato apprezzamento per la libertà e la common law farebbero molto per recuperare le tutele dei diritti di proprietà e ridurre i problemi dell'inquinamento.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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