È un errore aspettarsi che l'inflazione continui a scendere: tutti i valori del mercato finanziario negli Stati Uniti e altrove si basano su questa speranza.
L'equivoco è presumere che la recessione ampiamente attesa porterà a ulteriori cali dell'inflazione dei prezzi al consumo e che quindi i tassi d'interesse e i rendimenti obbligazionari scenderanno. Queste speranze si basano sul rifiuto della Legge di Say, la quale sottolinea che non esiste qualcosa come un eccesso generalizzato, a differenza di quello che disse Keynes, perché i disoccupati smettono semplicemente di produrre.
Un altro punto è che le banche sono sempre più spaventate dal rischio di prestito, il quale sta portando a una stretta creditizia. Ciò solleva la domanda: come possono i tassi d'interesse scendere quando c'è una crescente carenza di credito?
L'attuale configurazione economica per gli Stati Uniti, l'Eurozona e il Regno Unito è destinata a far aumentare il credito delle banche centrali in sostituzione di quello delle banche commerciali, cosa che indebolirà le valute fiat. Inoltre i requisiti di finanziamento degli stati aumenteranno in un momento in cui i flussi degli investimenti transfrontalieri sono minacciati da mercati finanziari al ribasso.
La tempistica di una nuova valuta BRICS coperta dall'oro e la determinazione della Cina a consolidare la sfera d'influenza dei BRICS e dell'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai hanno il potenziale per offrire alternative ai flussi di capitale in fuga dalle finanze al collasso dell'alleanza occidentale.
Stiamo soprattutto assistendo alla morte della valuta fiat, perché è sempre più difficile vedere come potrà sopravvivere l'attuale sistema monetario fiat.
Fallacie comuni
Le azioni e le obbligazioni sono prezzate nell'aspettativa che l'inflazione dei prezzi al consumo scenda e che i tassi d'interesse inizino a scendere in un futuro non troppo lontano. Questa è la ragione alla base di una curva dei rendimenti negativa, con i rendimenti dei decennali inferiori a quelli dei biennali. E il grafico qui sotto mostra che questa disparità è la più alta dagli anni '80.
Una curva dei rendimenti negativa è anche associata a una recessione e il grafico conferma che le curve dei rendimenti negative sono effettivamente seguite da recessioni, ma il tasso d'inflazione dei prezzi dovrà rimanere contenuto perché le aspettative di tassi bassi a lungo termine devono essere confermate dagli eventi. Infatti l'apparente successo della politica monetaria nel periodo coperto dal grafico, ovvero l'assenza di un'inflazione persistente, ha contribuito alla convinzione diffusa che le politiche monetarie ufficiali funzionino.
Ma è corretta la scommessa dei mercati finanziari secondo cui questo ciclo del credito si conformerà a quelli degli ultimi quarant'anni e che una curva dei rendimenti negativa ci dice che con il calo della domanda dei consumatori, l'inflazione dei prezzi si ridurrà e i tassi d'interesse a breve termine scenderanno? Questa è l'essenza della convinzione che i rendimenti obbligazionari lungo la curva dei rendimenti si normalizzeranno nella parte a sinistra e che il mercato rialzista nelle azioni rimarrà intatto.
Attenendoci al grafico, possiamo notare che a -1% il rendimento negativo sulla curva supera di gran lunga quello delle occasioni precedenti, il che deve far sorgere la preoccupazione che per una volta il passato non sia una guida per il futuro. Forse la recessione prevista sarà considerevolmente peggiore di qualsiasi cosa a memoria d'uomo; forse l'estremità lunga della curva dei rendimenti è mal valutata, essendo troppo bassa. In quest'ultimo caso, come sosterrà questo saggio, le prospettive per i valori degli asset finanziari sono estremamente scarse.
Illustrati di seguito ci sono i grafici dei rendimenti delle obbligazioni a 10 anni in tutto il mondo e danno poco conforto.
Qualsiasi analista descriverebbe questi grafici come forti mercati rialzisti, intenti a consolidarsi prima di salire di nuovo. Nei casi di Germania e Regno Unito, la forma del consolidamento è immensamente rialzista. Stiamo, ovviamente, discutendo dei rendimenti obbligazionari, il che significa che i prezzi delle obbligazioni sono destinati a ribassi sostanziali; e se i prezzi delle obbligazioni scendono, anche i valori delle azioni scenderanno. Sulla base dell'esperienza degli ultimi quarant'anni, questo è l'opposto di ciò che viene prezzato dai mercati finanziari.
Che ne seguirà una recessione è sicuro ed è il ciclo del credito bancario a renderla tale, con l'offerta di denaro che non cresce o addirittura si contrae in modo allarmante in alcune giurisdizioni. E i neo-keynesiani che costituiscono la maggior parte dell'establishment e delle comunità degli investitori credono che le recessioni siano causate da un calo della domanda che poi porta a un eccesso di prodotti invenduti. Pertanto credono anche che una recessione attenuerà sempre l'inflazione e, guardando al futuro, ci si può aspettare che i mercati scontino il calo dell'inflazione in previsione di una recessione.
I keynesiani furono confusi dagli eventi degli anni '70, quando la recessione fu accompagnata dall'inflazione. Avevano difficoltà a spiegare questo fenomeno, credendo che l'inflazione dei prezzi fosse solo il risultato della sovrastimolazione di un'economia. Avevano scartato la Legge di Say, la quale sottolineava che non poteva esserci qualcosa come un eccesso generalizzato perché la produzione diminuiva con l'occupazione. Hanno anche cancellato dalle loro menti le condizioni di ogni grande inflazione delle valute fiat, ignorando il fatto che se il PIL fosse stato inventata primo, il PIL nominale della Germania sarebbe salito fuori scala nel 1918-1923. E che il deflatore dell'inflazione avrebbe persino dimostrato che l'economia era notevolmente sana in termini reali durante l'intero episodio del crollo del marco tedesco, nonostante impoverì la stragrande maggioranza della popolazione.
Un ulteriore problema è nell'approccio dei monetaristi, i quali raramente, se non mai, hanno fatto disntinzione tra credito e denaro. Certo, i primi avvertimenti di una recessione nelle economie sono venuti dai monetaristi che hanno indicato il rallentamento della crescita monetaria nelle statistiche monetarie generali. Avevano ragione nell'assumere una correlazione tra il PIL e la crescita dell'offerta monetaria in senso lato, ma sono caduti nella trappola di credere che le autorità dovessero gestire la politica economica alla luce dei cambiamenti nella quantità di denaro. In altre parole, sono diventati loro stessi statalisti, voltando le spalle alla capacità del libero mercato di determinare la domanda di credito.
Senza dubbio i monetaristi di oggi affermerebbero di essere pragmatici nel contesto del sistema attuale, ma non possono avere due piedi in una staffa. In ogni caso, le loro affermazioni sulla relazione tra offerta di denaro e prezzi reggono solo in un contesto limitato, come illustra il seguente enigma. Supponiamo che la Nazione A abbia un'economia di una certa dimensione, misurata dai volumi di produzione invece che dai totali del credito rappresentati dal PIL. Supponiamo inoltre che la Nazione B, utilizzando le stesse unità monetarie e con la stessa quantità di risorse umane, abbia un'economia grande il doppio in termini di volumi prodotti. Quale sarà la differenza nel potere d'acquisto delle loro unità monetarie comuni?
La prima cosa da notare è che, a parità di altre condizioni, ci sarà una sostanziale espansione del credito per finanziare la produzione extra. In altre parole, a parità di popolazione, l'offerta di denaro potrebbe essere approssimativamente doppia nella Nazione B rispetto alla Nazione A, ma questo non significa che i prezzi saranno più alti nella Nazione B. È più probabile che saranno più bassi nella Nazione B rispetto a Nazione A a causa dei maggiori volumi di produzione che traggono beneficio dalle economie di scala, dagli investimenti in una produzione più efficiente e dalla maggiore concorrenza.
Da ciò possiamo dedurre una semplice regola che disciplina il rapporto monetario: fintanto che viene fornito credito per il miglioramento del commercio, non si tradurrà in inflazione dei prezzi. Se, nell'esempio precedente, le Nazioni A e B fossero la stessa nazione in condizioni diverse, raddoppiare la quantità di credito non comporterebbe aumenti simili dei prezzi. E il potere d'acquisto del circolante è determinato dai mercati, non dalla sua quantità.
C'è un'ulteriore distinzione da fare, in questo caso tra credito coperto da denaro sano/onesto e credito rappresentato dalla valuta fiat. Il denaro sano/onesto è quella forma di denaro universalmente accettata senza rischio di controparte: l'oro. In un saggio precedente ho mostrato che l'espansione del credito bancario (che costituisce oltre il 90% del circolante) può avere un effetto ciclico di breve termine, mentre la distruzione più permanente del suo potere d'acquisto deriva dallo stato che aumenta la quantità di banconote e depositi bancari commerciali nel bilancio della sua banca centrale. L'esempio in cui l'espansione del credito del sistema bancario centrale è strettamente controllata, mentre i depositi delle banche commerciali sono determinati da fattori di mercato, è illustrato nel seguente grafico della Gran Bretagna e del suo gold standard durato oltre nove decenni:
Possiamo vedere come l'emissione delle banconote era stabile, mentre il credito delle banche commerciali si espandeva. Le crisi del 1847, 1857 e 1866, che portarono a sospensioni temporanee del Bank Charter Act del 1844, si riflettono in particolare nelle fluttuazioni dei prezzi all'ingrosso, ma la natura autocorrettiva dei mercati a livello di prezzi generali ha praticamente assicurato un'assenza di variazioni nette nei due indici dei prezzi per più di sessant'anni.
Le perturbazioni nei prezzi dovute al ciclo del credito bancario diminuirono nel tempo. Indubbiamente gran parte di ciò fu dovuto ai miglioramenti nel sistema bancario, ma c'era un altro fattore in gioco: col tempo la fiducia della popolazione crebbe affinché il governo inglese mantenesse il gold standard, facendo quindi scendere le variazioni cicliche del potere d'acquisto della valuta. In altre parole, invece della teoria quantitativa della moneta che determina la relazione tra le variazioni della quantità di denaro e dei prezzi, sono i suoi utilizzatori ad avere l'ultima parola.
In un sistema di credito coperto dall'oro, il risparmio è una proposta più allettante. Mentre il credito bancario si ampliò nel corso di quel secolo, anche i risparmi crebbero: secondo la statistica della Bank of England, nel 1830 il risparmio rappresentava il 5,3% del PIL; nel 1844, al momento del Bank Charter Act, era salito al 14%; nel 1890 raggiunse un massimo del 22,5%. La proporzione tra consumi presenti e consumi posticipati ha un'influenza regolatrice sul livello generale dei prezzi.
In un sistema monetario fiat, vale oggi quello che valeva durante il gold standard britannico quando parliamo di risparmi. In Giappone e Cina c'è un'elevata propensione al risparmio e ciò significa che l'espansione del credito bancario alimenta solo in parte la domanda dei consumatori. E ciò che i consumatori risparmiano va a sostenere gli investimenti nella produzione, cosa che tende ad abbassare i prezzi, compensando così le pressioni al rialzo dei prezzi al consumo dovute alla maggiore spesa dei consumatori.
Il punto dietro le valute fiat, che ci hanno accompagnato durante gli ultimi 53 anni, è che offre agli stati una fonte di finanziamento in più gonfiandone la quantità. In questola valuta fiat è fondamentalmente diversa dal denaro sano/onesto che invece impone una rigida disciplina monetaria. E gli stati che hanno scoraggiato il risparmio, sia tassandolo sia incoraggiando la spesa dei consumatori, hanno fatto salire i prezzi al consumo e indebolito la valuta stessa.
La teoria del credito attribuisce quindi l'inflazione non ciclica/persistente all'espansione monetaria della banca centrale, ed entrambi sono associati a un'eccessiva spesa pubblica che porta a deficit di bilancio. Per la maggior parte economie avanzate, una crisi mondiale porta a minori entrate fiscali e maggiori costi per lo stato sociale. Di conseguenza i deficit di bilancio salgono, indebolendo le valute fiat. E una valuta fiat indebolita si riflette in prezzi al consumo più elevati. L'attuale calma nell'indice dei prezzi al consumo è solo temporanea.
La manipolazione dei tassi d'interesse da parte dello stato è fallimentare
I mercati sono schiavi delle politiche monetarie delle banche centrali, incentrate sulla manipolazione dei tassi d'interesse. E nonostante il recente fallimento di queste politiche, gli economisti e gli investitori credono ancora che il controllo dei banchieri centrali sia preferibile ai tassi fissati dal libero mercato. Ma non c'è un esempio più chiaro di fallimento di quello esposto dagli eventi attuali. La soppressione dei tassi d'interesse a zero e al di sotto ha contribuito in misura non trascurabile al pasticcio in cui si trovano oggi le banche centrali. Malgrado ciò i critici incolpano l'incompetenza delle singole banche centrali senza comprendere l'impossibilità di una gestione ufficiale dei tassi d'interesse affinché possa migliorare i risultati economici.
Il pensiero di gruppo che pervade i circoli delle banche centrali nega qualsiasi rivalutazione del rapporto tra tassi d'interesse e prezzi. L'idea che i primi riflettano la preferenza temporale, il rischio di controparte e una valutazione del cambiamento del potere d'acquisto di una valuta non è minimamente presa in considerazione, presumibilmente perché la comprensione di questi fattori escluderebbe le prospettive di un qualsiasi ruolo ufficiale nell'impostazione dei tassi. E per il mercato azionario quotato nella valuta di riserva del mondo, ignorare la relazione tra il potere d'acquisto del dollaro e i tassi d'interesse lo sta portando verso il disastro.
Gli stranieri, che al margine determinano il potere d'acquisto del dollaro, sono i primi a diventare venditori. Posseggono dollari e asset denominati in dollari per un ammontare di $32.000 miliardi, ben al di sopra del PIL degli Stati Uniti. Non solo ci sono i BRICS+ che vogliono ridurre la dipendenza dal dollaro, rendendone la proprietà meno rilevante per le nazioni coinvolte, ma se le aspettative di un calo dei tassi d'interesse si rivelassero errate, ci sarà sicuramente una sostanziale liquidazione estera degli asset finanziari statunitensi man mano che le perdite aumenteranno nei portafogli. Inoltre, con $6.000 miliardi dei suddetti $32.000 miliardi totali in depositi bancari, è probabile che un mercato ribassista guidato dalle prospettive evanescenti di un calo dei tassi d'interesse, e anche dalla prospettiva di una contrazione del credito delle banche commerciali, minerà il mercato dei cambi del dollaro.
Il primo problema che le autorità statunitensi dovranno affrontare sarà il calo della domanda estera di dollari e di debito denominato in dollari. Tra i principali detentori stranieri di debito del Tesoro statunitense, pari a $7.581 miliardi ad aprile, la più grande liquidazione negli ultimi anni è effettuata dalla Cina, come mostra il grafico qui sotto.
Ma in caso di necessità, riciclando dollari attraverso i centri finanziari come Isole Cayman, Lussemburgo, Londra e Dublino, i mancati acquisti da parte della Cina e dalla tribù BRICS sarà probabilmente compensato. La Cina e altri potrebbero persino trovarsi di fronte a un Tesoro degli Stati Uniti che rifiuta di accettare trasferimenti di proprietà delle obbligazioni, ma con il rischio che questa mossa gli si ritorcerebbe contro.
Il problema più grande è la liquidazione del dollaro stesso. Ad aprile gli stranieri possedevano titoli a breve termine, inclusi depositi bancari, conti di deposito e obbligazioni, per un totale di $7.198 miliardi e titoli a lungo termine per un totale di $24.865 miliardi: totale complessivo $32.063 miliardi. Stiamo parlando dell'intero PIL statunitense e tale cifra non include gli eurodollari, che sono crediti denominati in dollari creati tra banche estere e non riflessi nei saldi delle banche corrispondenti. Peggio ancora, i cittadini, le imprese e gli investitori residenti negli Stati Uniti detengono asset e depositi a breve termine in valute estere per l'equivalente di $689 miliardi (dati TIC del Tesoro degli Stati Uniti a marzo), essendo l'unica valuta estera disponibile per assorbire la liquidazione netta in dollari da parte di detentori stranieri di dollari. E praticamente tutti gli investimenti a lungo termine sono sotto forma di ADR, il che significa che la liquidazione di questi investimenti non aumenterà le transazioni in valuta estera (e quindi la domanda di dollari) a meno che non vengano acquistati da stranieri.
La fase di crisi del Dilemma di Triffin si sta rapidamente avvicinando e c'è una fonte di liquidità molto limitata non in dollari sulle borse estere per scongiurarla. Il dollaro ha già violato un'importante linea di supporto nel grafico qui sotto.
Come misura della fiducia estera nel dollaro, il TWI è improvvisamente peggiorato dopo la notizia che verrà discussa una nuova valuta coperta dall'oro al vertice BRICS. E se non è solo il deterioramento del sentimento nei confronti del dollaro, sarà l'aumento dei tassi d'interesse e un mercato ribassista dei titoli che ne accelererà la liquidazione.
È universalmente presupposto nei mercati finanziari mondiali che l'inflazione dei prezzi al consumo diminuirà e che le banche centrali saranno in grado di abbassare i tassi d'interesse. Ma solo questa settimana la Russia ha rifiutato di rinnovare il permesso per le spedizioni di grano da Odessa, dando ulteriore slancio all'inflazione mondiale dei prezzi alimentari. Il calo dell'inflazione è la condizione affinché gli asset finanziari conservino il loro valore e quindi affinché gli stranieri conservino in portafoglio asset denominati in dollari: ma l'aumento dei prezzi dei cereali e l'attuale rinnovato vigore dei prezzi del petrolio indicano che il drago dell'inflazione sta ancora sputando fuoco.
Un ulteriore errore nella speranza che i tassi d'interesse scendano presto è quello di non rendersi conto delle conseguenze delle banche commerciali che limitano l'espansione del credito. È una certezza che il costo degli interessi sul credito salirà: si chiama credit crunch. Questa contrazione del credito bancario, che sta iniziando a essere evidente nelle statistiche bancarie statunitensi, non solo minaccerà il fallimento di molte imprese, gettando così l'economia in una crisi, ma aumenterà i requisiti di finanziamento dello stato a causa di scarse entrate e un aumento delle spese sociali.
Nel frattempo, per la confusione delle aspettative neo-keynesiane, l'inflazione dei prezzi al consumo continuerà a rappresentare un problema, addirittura accelerando nuovamente dopo l'attuale pausa. L'errore qui deriva in parte dalla negazione della Legge di Say e dal non rendersi conto che non può verificarsi un eccesso generalizzato derivante dal calo dei consumi. Un ulteriore errore è quello di non capire che il dollaro fiat continuerà a perdere valore quando misurato in merci, proprio come fece la livrea di John Law dopo il maggio 1720 nonostante i tentativi di contrarne l'emissione. Come le macchie del morbillo, l'inflazione dei prezzi è il sintomo visibile di tutte le valute fiat morenti.
Il punto essenziale è che i mercati stanno assumendo il controllo dei tassi d'interesse, togliendolo dalle mani delle banche centrali. Questo è un ulteriore problema per le autorità statunitensi. Impareranno nel modo più duro che i tassi d'interesse non sono il prezzo del denaro, ma il compenso che gli stranieri richiedono affinché acquistino i loro titoli finanziari. E anche questo presuppone che con la corretta compensazione degli interessi, gli stranieri continueranno a essere detentori passivi piuttosto che utilizzare il credito per scopi migliori come sembrano destinati a fare.
Ora che sta emergendo un'alternativa solida al mantenimento dei saldi di riserva in dollari, se il biglietto verde non vuole subire una grave crisi, la FED dovrà assecondare i mercati e continuare a rialzare i tassi. Senza contare che se le autorità tenteranno di sostenere il dollaro attivando linee di swap, si contrarrà ulteriormente la quantità di credito in dollari in circolazione, peggiorando la stretta creditizia. Ma come scoprì John Law nei mesi successivi al maggio 1720, contrarre credito in una valuta fiat non è detto che la possa salvare. Anche le implicazioni per il deficit del governo degli Stati Uniti e i suoi costi di finanziamento sono terribili.
Il Congressional Budget Office prevede disavanzi di bilancio superiori ai $1.500 miliardi per questo e il prossimo anno fiscale, ciononostante prevede altresì una media di interessi apgati al 2,7%, il che è eccessivamente ottimista.
Gli ultimi due grafici parlano chiaro: trappola del debito e le finanze statunitensi si stanno deteriorando in modo incontrollabile. Inoltre gli Stati Uniti affrontano la prospettiva di una forte contrazione dell'attività economica a causa del rallentamento dei prestiti bancari e dei suoi effetti sui tassi d'interesse. Le entrate fiscali saranno inferiori alle attuali stime del Congressional Budget Office e gli impegni previdenziali obbligatori aumenteranno dal lato della spesa. Di conseguenza l'indebitamento del governo federale accelererà ulteriormente e anche il pagamento degli interessi.
Anche senza una crisi bancaria, la FED si troverà di fronte a una scelta: provare a salvare il dollaro o tentare di salvare le finanze pubbliche. Benvenuti nel Dilemma di John Law.
Il credito bancario è in contrazione
Il credito bancario negli Stati Uniti ha iniziato a contrarsi, come mostra il grafico qui sotto.
Tenendo presente che il costo degli interessi è aumentato per i mutuatari, si trovano ad affrontare crescenti problemi di liquidità, in particolare per coloro la cui crescita delle vendite è stagnante. Una combinazione di costi di input più elevati, problemi persistenti nelle catene di approvvigionamento e costi d'indebitamento più elevati sono destinati a peggiorare ulteriormente le prospettive di espansione del credito bancario, con i banchieri che diventano sempre più preoccupati per la loro esposizione al rischio.
La situazione nell'Eurozona è peggiore, come dimostra il prossimo grafico.
Nella sua indagine sui prestiti bancari, la BCE ha ammesso che “la stretta monetaria cumulata dall'inizio del 2022 è stata sostanziale e i risultati dell'indagine sui prestiti bancari hanno fornito prime indicazioni sul significativo indebolimento delle dinamiche dei prestiti osservate dallo scorso autunno”.
Tuttavia attribuire il calo dei prestiti bancari alla diminuzione della domanda è un errore d'interpretazione comune. In un momento di stagnazione economica, soprattutto se prendiamo in considerazione l'attuale situazione in Germania, le imprese non smettono d'indebitarsi; al contrario, la loro domanda di credito aumenta. L'interpretazione corretta è che le banche stiano ritirando la loro offerta di credito.
La situazione nel Regno Unito è altrettanto allarmante, come mostra il grafico qui sotto.
Negli Stati Uniti, nell'Eurozona e nel Regno Unito i livelli elevati d'indebitamento dei bilanci bancari e il deterioramento delle prospettive economiche e finanziarie sembrano garantire un'ulteriore contrazione del credito bancario. Ma queste sono anche le condizioni che portano ad una crescente domanda di credito per compensare le difficoltà di liquidità dei mutuatari. Inevitabilmente i tassi d'interesse saliranno e saranno accessibili solo a una minoranza d'imprese che saranno abbastanza convincenti da farsi estendere linee di credito. In caso contrario dovranno cercare finanziamenti da altre fonti, come società di private equity, vendita di beni, o ridimensionamento per ridurre i costi.
Durante il resto di quest'anno vedremo la maggior parte delle imprese messe con le spalle al muro. Inoltre le implicazioni per l'occupazione, le entrate fiscali e gli impegni dello stato sociale aumenteranno i disavanzi pubblici al di sopra delle aspettative attuali. E il finanziamento di questi richiederà un'espansione del credito da parte delle banche centrali, a compensazione della contrazione del credito delle banche commerciali.
Il credito delle banche commerciali, che conferisce valore sia ai prestiti che ai depositi, con un piccolo sconto teorico per il rischio di controparte, è saldamente legato al valore del credito delle banche centrali, evidenziato nelle banconote e nelle riserve delle banche commerciali presso le banche centrali stesse. La differenza tra queste due forme di credito bancario è che, a parte le variazioni cicliche, le variazioni del potere d'acquisto derivano interamente dal credito delle banche centrali. Se quest'ultime sono costrette ad espandere la quantità del loro credito per qualsiasi motivo, allora quasi certamente mineranno il potere d'acquisto delle loro valute.
Stime estere nei confronti delle valute
Nel mantenere il potere d'acquisto del dollaro, le autorità statunitensi affrontano un problema insormontabile: le prospettive sull'economia peggiorano a causa delle prospettive sul credito bancario. È probabile che il deficit di bilancio aumenti notevolmente al di sopra delle aspettative ufficiali e con l'incomprensione di cosa rappresentino effettivamente i tassi d'interesse, le implicazioni inflazionistiche del finanziamento del deficit pubblico negli Stati Uniti richiederanno ai detentori stranieri di non liquidare le loro esposizioni.
Per gli stranieri che vendono dollari, le alternative euro, yen o sterlina sono ugualmente poco attraenti, il loro unico aspetto positivo è che il dollaro è posseduto in eccesso dagli stranieri, mentre essi no. L'euro ha il problema aggiuntivo che la BCE e le banche centrali nazionali sono tecnicamente in bancarotta a causa di perdite nascoste sulle obbligazioni nei loro bilanci; e ricapitalizzare l'intero sistema in un momento di crisi del credito bancario, cosa che porta a tassi d'interesse più elevati, è praticamente impossibile. La sterlina può essere paragonata al dollaro di serie B e lo yen offre solo tassi d'interesse negativi, oltre a una banca centrale che necessita anch'essa di ricapitalizzazione.
Ci sono due destinazioni alternative per i flussi di capitali esteri che lasciano suddette valute. Quello ovvio è l'oro fisico, ma forse questa argomentazione avrà maggiore forza quando la nuova valuta di saldo commerciale dei BRICS sarà confermata nel prossimo vertice di Johannesburg. L'opzione meno ovvia è acquistare il renminbi cinese.
Il caso del renminbi è che la Cina abbia piani d'investimento sostanziali in Asia, Africa e America Latina. In collaborazione con la Russia, i due egemoni sono determinati a proteggere sé stessi e i propri interessi dalla perturbazione degli Stati Uniti. Questa è una battaglia che gli Stati Uniti potrebbero aver già perso. Ne sapremo di più dopo il vertice BRICS, ma con la priorità di neutralizzare il dollaro fiat come arma, è probabile che Cina e Russia consolidino la loro posizione di capobanda in un gruppo allargato di nazioni.
Stando così le cose, mentre le economie dell'alleanza occidentale che deve la sua fedeltà all'America stanno sprofondando nell'oblio, le prospettive per i BRICS+ e l'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai stanno migliorando. A differenza del momento in cui il presidente Trump riuscì a interrompere i flussi d'investimenti interni attraverso lo Shanghai-Hong Kong Connect, questa volta il presidente Biden può solo vietare ai fondi statunitensi d'investire in Cina. In previsione della domanda d'investimenti interni, la Cina ha ampliato lo schema nel dicembre dello scorso anno in modo da aumentare la gamma di azioni disponibili alla Borsa di Shanghai. Senza dubbio ci saranno ulteriori modifiche a questa struttura.
Le conseguenze per l'oro
Una ripresa dell'inflazione dei prezzi al consumo durante una recessione non si verificava da molto tempo. È durante le recessioni che i disavanzi pubblici aumentano e questa volta il punto di partenza del governo degli Stati Uniti è un deficit di oltre $1.500 miliardi. E come dimostrato in questo articolo, è l'espansione del credito del sistema bancario centrale, non del credito di quello commerciale, che mina i valori delle valute fiat.
Come minimo tornano in mente le condizioni della stagflazione degli anni '70, le quali portarono il prezzo dell'oro da $35 a $850 in meno di dieci anni, anche se il tasso di riferimento americano passò dal 5% a un picco del 19%. I problemi per il dollaro sono condivisi da altre divise fiat, in particolare la sterlina e l'euro. Ma il dollaro è anche posseduto in eccesso dagli stranieri e quasi certamente verrà scaricato, in alcuni casi in cambio di oro.
Potrebbe esserci un ulteriore problema per il dollaro: una nuova valuta di saldo commerciale coperta dall'oro, proposta per essere discussa al vertice BRICS della prossima settimana. È da notare che Sergei Lavrov, ministro degli Esteri russo, ha dichiarato che la Russia ha accumulato miliardi d'inutili rupie indiane come pagamento per le vendite di petrolio, infatti la tolleranza di Russia, Arabia Saudita, Iran e altri esportatori nei confronti di valute minori illiquide è strettamente limitata, quindi l'accettazione di una valuta più sicura è praticamente una certezza.
Di conseguenza le riserve in dollari presso le banche centrali di oltre quaranta nazioni saranno scambiate con oro, una tendenza che è già stata evidente negli ultimi diciotto mesi. È quindi probabile che il prezzo dell'oro salga proprio a causa di fattori economici destinati a destabilizzare le economie dell'America e dei suoi alleati occidentali. E le influenze straniere sposteranno il capitale verso oro, materie prime e opportunità d'investimento offerte dai due egemoni asiatici.
Supponendo che la nuova valuta coperta dall'oro venga introdotta, è destinata ad accelerare uno spostamento di Russia e Cina verso un gold standard tutto loro. Altri seguiranno l'esempio. Solo allora potranno beneficiare appieno di una rivoluzione industriale per la maggior parte delle economie emergenti, mentre il sistema fiat basato sul dollaro verrà distrutto.
La distribuzione mondiale dell'oro
Le linee di politica della Cina riguardo l'oro sin dal 1983 hanno introdotto distorsioni nella distribuzione mondiale delle disponibilità di lingotti. Bloccandone quantità significative, la liquidità disponibile per le nazioni al di fuori dell'asse Cina-Russia è diventata seriamente limitata. Per illustrare il punto, la tabella seguente tenta d'identificare categorie di proprietà sulla base di un'estrapolazione delle scorte estratte, analisi effettuata nel 2012 da James Turk con l'economista Juan Casteñada utilizzando i numeri dell'US Geographical Survey. Un tale lavoro ha sottolineato in modo convincente che non vi era alcun supporto per le stime adottate dal World Gold Council, che rispetto a quelle dei due analisti sopraccitati sovrastimava le scorte estratte di circa 17.000 tonnellate. Di conseguenza credo che nel 2022 la cifra totale fosse di 191.584 tonnellate, non le 208.874 tonnellate ipotizzate dal WGC. Questa differenza è sostanziale.
I seguenti punti riguardanti tale tabella sono a titolo esplicativo:
• La stima di Turk-Casteñada, confrontata con quella del WGC, illustra l'impatto del calcolo finale che secondo questa tabella dovrebbe mostrare un saldo non contabilizzato di 68.535 tonnellate. Esso include le disponibilità statali di oro non dichiarato da parte di Russia e Cina, che potrebbero superare le 40.000 tonnellate, lasciando poco spazio agli investitori privati.
• I gioielli sono per lo più di proprietà di cinesi, indiani e altri cittadini asiatici, che tradizionalmente li usano come mezzo di risparmio tanto quanto ornamenti. Questo spiega la dimensione di tale categoria.
• Le riserve ufficiali delle banche centrali sono raccolte dal World Gold Council, così come le stime per gli ETF riguardanti l'oro. Possiamo presumere che queste cifre riportate siano accurate, ma includono un doppio conteggio.
• La doppia proprietà dell'oro attraverso leasing e prestiti è stata oggetto di una ricerca dettagliata da parte dell'analista Frank Veneroso e presentata a una conferenza a Lima nel 2002. Egli ha concluso che tra le 10.000 e le 15.000 tonnellate di oro delle banche centrali sono state affittate o date in prestito. Ho estrapolato la cifra più bassa, nonostante l'aumento sostanziale delle riserve auree da parte della banche centrali sin dal 2002.
L'ultimo punto in elenco necessita di ulteriori spiegazioni. Secondo le regole di contabilità riguardanti l'oro dettate dall'FMI:
L'oro monetario è oro detenuto da un'autorità monetaria principalmente come elemento delle sue riserve in valuta estera (a volte chiamate anche riserve internazionali). Per qualificarsi come oro monetario, esso deve soddisfare la definizione di oro monetario del Fondo monetario internazionale (FMI) e l'autorità monetaria deve designare l'oro come parte del suo portafoglio di riserve monetarie. L'oro monetario comprende i lingotti d'oro allocati e i conti in oro non allocati con non residenti che danno titolo a richiederne la consegna.
Un conto non allocato significa che una banca centrale consegna oro in leasing o mediante swap a una bullion bank o a un'istituzione come la Banca dei regolamenti internazionali in cambio di un credito di deposito. La bullion bank ascrive il lingotto nel proprio bilancio, quindi la banca centrale ne perde il possesso. Il fatto che l'FMI consenta a una banca centrale di registrare questo credito come oro monetario nonostante ne abbia ceduto il possesso significa che ci sono almeno due proprietari per una data quantità di lingotti. E ciò presuppone solo una ipoteca, quando inr ealtà non ci può essere alcun limite teorico all'uso del lingotto per una catena di transazioni in questo modo.
Sembra ragionevole presumere che l'oro monetario non allocato sia concentrato nelle banche centrali non allineate con gli egemoni asiatici e saldamente nel campo dell'alleanza occidentale. Il totale teorico dei possedimenti di questi ultimi è di circa 26.000 tonnellate, a seconda di quali nazioni sono incluse nella definizione, nel qual caso si può presumere che solo 16.000 tonnellate esistano in forma fisica. La conferma di questa situazione deriva dalla difficoltà con cui la Germania ha cercato di rimpatriare parte dei suoi lingotti detenuti (in custodia) presso la FED di New York.
I principali attori che organizzano questa giostra sono la FED di New York e la Bank of England, che insieme riportano attualmente oro fisico depositato a nome delle banche centrali estere per un totale di 10.874 tonnellate. Dai siti web dei principali detentori non asiatici (Germania, Francia, Italia e Svizzera) sappiamo che 5.066 tonnellate di suddetto totale sono detenute in queste nazioni, ad eccezione della Francia, che immagazzina quasi tutto il suo oro a Parigi. Complessivamente ci sono 5.271 tonnellate di oro nelle proprie giurisdizioni. Ciò lascia 5.808 tonnellate detenute presso la FED di New York e la BoE a nome di altre banche centrali alleate dell'Occidente, cifra che rappresenta la stragrande maggioranza delle loro partecipazioni registrate.
Dopo aver tenuto conto delle 5.271 tonnellate immagazzinate altrove, c'è ancora un divario di circa 10.000 tonnellate tra le 26.000 tonnellate calcolate sopra e le 10.874 tonnellate registrate a New York e Londra. Questo suggerisce che ci sono significanti livelli di oro non allocato coinvolti, calcolati come segue:
Mentre i calcoli nella tabella qui sopra sono lungi dall'essere completi, c'è un divario significativo tra le disponibilità totali di lingotti dichiarate e ciò che è immagazzinato nei due centri principali.
Nella prima tabella abbiamo notato che mancavano 46.898 tonnellate di oro estratto a livello mondiale. Ciò include le disponibilità di lingotti non dichiarati di Cina e Russia, che potrebbero ammontare a oltre 40.000 tonnellate. Questo squilibrio potrebbe essere causato anche da investimenti privati. L'unico modo in cui queste due grandi quantità possono essere sistemate nel saldo di 46.898 è dovuto al doppio conteggio e alle molteplici rehypothecation dell'oro.
Altrimenti i numeri non tornano.
Ciò lascia pochissima liquidità per le nazioni che cercano di sfuggire all'imminente collasso del sistema monetario fiat post-Bretton Woods. Mette anche in discussione la sopravvivenza dell'intero sistema delle bullion bank, a corto di lingotti consegnabili se il mercato tenta di cambiare le sue posizioni.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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