«La maggior parte dei cartelli e dei trust non sarebbero mai stati istituiti se gli stati non avessero creato le condizioni necessarie con misure protezionistiche. I monopoli manifatturieri e commerciali devono la loro origine non a una tendenza immanente nell'economia capitalista, ma alla politica interventista dello stato diretta contro il libero scambio e il laissez-faire.»
~ Ludwig von Mises, Socialism
Il concetto di monopoli naturali ha spesso incuriosito economisti e policymaker, fungendo da caposaldo per i sostenitori dello statalismo. Essi affermano, infatti, che alcune industrie portano naturalmente a un'impresa dominante, ostacolando la concorrenza e richiedendo l'intervento dello stato. Tuttavia un esame più attento rivela che questi "monopolio naturali" sono illusioni causate da dannose interferenze dello stato stesso.
Per comprendere l'errore, dobbiamo prima cogliere l'essenza di un vero mercato libero. In un'economia di mercato senza ostacoli, più aziende competono per il favore dei consumatori con prodotti innovativi e prezzi competitivi. Le forze di mercato, come le preferenze dei consumatori e l'efficienza aziendale, modellano la distribuzione delle risorse e garantiscono risultati ottimali. I monopoli contraddicono fondamentalmente questo ordine naturale.
Correggere gli errori
I critici sostengono che alcuni settori, in particolare quelli che si occupano di infrastrutture o servizi di rete, possiedono caratteristiche intrinseche che facilitano l'emergere di entità monopolistiche. Questi critici sostengono, inoltre, che gli elevati costi infrastrutturali o gli effetti di rete, in cui il valore di un servizio aumenta man mano che più utenti lo adottano, creano barriere insormontabili all'ingresso, consentendo a un singolo attore dominante di stabilire la propria supremazia. Tuttavia un esame più attento rivela che queste caratteristiche da sole non garantiscono la formazione del monopolio. È l'ingerenza dello stato che fa pendere la bilancia a favore del consolidamento e soffoca la concorrenza.
Il caso delle telecomunicazioni
Le telecomunicazioni, con le loro significative esigenze infrastrutturali, sono state spesso etichettate come un'industria soggetta a monopoli naturali. I fautori dell'intervento statale sostengono che i costi associati alla creazione e al mantenimento dell'infrastruttura necessaria rendono impraticabile per più aziende competere in modo efficace. Tuttavia questa affermazione non riesce a riconoscere la natura dinamica e innovativa dei mercati liberi. In assenza di barriere imposte dallo stato e requisiti di licenza, l'ingegnosità imprenditoriale fiorisce e trova modi per superare quelli che inizialmente sembrano ostacoli insormontabili.
I mercati liberi, e non ostacolati dall'interferenza dello stato, incentivano gli imprenditori e le imprese a cercare tecnologie alternative e soluzioni creative. Questa spinta imprenditoriale potrebbe portare all'emergere di sistemi di comunicazione wireless o satellitari, offrendo ai consumatori valide alternative ai tradizionali servizi dipendenti dall'infrastruttura. Introducendo concorrenza e approcci innovativi, queste tecnologie alternative possono interrompere la presunta inevitabilità di un'unica impresa dominante.
L'intuizione chiave sta nel comprendere che l'intervento stesso dello stato crea un ambiente favorevole al dominio monopolistico. Le barriere normative e l'eccessiva burocrazia ostacolano l'ingresso di nuovi concorrenti, soffocando l'innovazione e limitando la possibilità che emergano soluzioni alternative. Erigendo tali barriere, lo stato perpetua quelle condizioni necessarie affinché prevalga una struttura di mercato monopolistica.
Occorre porre l'accento sull'importanza di una concorrenza dinamica come motore del progresso economico. L'assenza dell'intervento dello stato consente uno svolgimento spontaneo di processi di ordine e di mercato, portando a un flusso costante di attività imprenditoriali e risposte innovative alle richieste del mercato. Nel regno delle telecomunicazioni, il potenziale per più aziende di sviluppare e implementare tecnologie alternative nasce proprio da questo processo di scoperta imprenditoriale.
Inoltre è fondamentale riconoscere che le considerazioni sui costi associate allo sviluppo delle infrastrutture non sono statiche. Gli imprenditori e le imprese sono incentivati a cercare soluzioni più convenienti ed efficienti in un ambiente competitivo. Attraverso tentativi ed errori, suddetti imprenditori e aziende trovano modi per ridurre i costi dell'infrastruttura, ottimizzare l'allocazione delle risorse e migliorare l'erogazione dei servizi. Queste riduzioni dei costi alimentate dal mercato creano opportunità per nuovi concorrenti e aumentano la fattibilità della concorrenza nel settore delle telecomunicazioni.
La fallacia degli effetti di rete
L'affermazione secondo cui gli effetti di rete portano intrinsecamente a risultati monopolistici è fuorviante. Sebbene sia vero che gli effetti di rete possano contribuire al valore di un servizio man mano che più utenti lo adottano, ciò non preclude l'esistenza della concorrenza e di più imprese all'interno del mercato.
In un mercato veramente libero la concorrenza imprenditoriale prospera, spingendo le aziende a differenziarsi e a offrire esperienze utente uniche. Il caso dei social media come Facebook, Twitter e Instagram fornisce un esempio convincente. Nonostante operi all'interno dello stesso vasto settore dei social network, ogni piattaforma si è ritagliata con successo la propria nicchia e ha attratto basi di utenti distinte.
Queste piattaforme s'impegnano continuamente in una feroce concorrenza per catturare l'attenzione degli utenti e garantire entrate pubblicitarie. Lo fanno attraverso una costante innovazione e l'introduzione di caratteristiche uniche che differenziano i loro servizi. Questo panorama competitivo non solo consente la coesistenza di più aziende, ma garantisce anche che nessuna singola piattaforma detenga il monopolio sui social media.
Questo risultato non dovrebbe sorprendere nessuno. La natura dinamica del mercato, guidata dalle preferenze dei consumatori e dalla creatività imprenditoriale, assicura che la concorrenza persista e prevenga il dominio monopolistico. Le aziende devono continuamente adattarsi, innovare e fornire un valore superiore ai consumatori per prosperare in un tale ambiente.
Inoltre il ruolo della scelta del consumatore non può essere trascurato. In un mercato libero, i consumatori hanno il potere di selezionare le piattaforme che meglio si allineano con le loro preferenze, esigenze e desideri. Questa diversità di scelta funge da antidoto alle tendenze monopolistiche. Se una piattaforma non riesce a soddisfare le esigenze in evoluzione dei consumatori, questi sono liberi di passare a un concorrente che soddisfi meglio le loro esigenze.
In contrasto con la nozione di monopoli naturali c'è il processo di mercato, un ordine spontaneo guidato dalle decisioni decentralizzate di individui che perseguono i propri interessi. Questo processo favorisce la concorrenza, l'innovazione e la scoperta imprenditoriale. Gli effetti di rete, lungi dall'essere una barriera insormontabile all'ingresso, diventano un'opportunità per gli imprenditori: ideare nuovi modi di offrire valore e attrarre utenti.
Il ruolo dell'intervento dello stato
I monopoli, nella loro forma più vera, sono prodotti dell'intervento dello stato e del suo coinvolgimento nel mercato. Attraverso regolamenti, barriere all'ingresso e privilegi artificiali concessi dallo stato, sorgono inevitabilmente tendenze monopolistiche.
Le barriere normative imposte dallo stato, come i requisiti di licenza, la burocrazia e complessi standard di conformità, ostacolano il libero funzionamento dei mercati. I requisiti di licenza limitano nuovi ingressi delle industrie creando ostacoli per i nuovi arrivati. Il gravoso processo di concessione delle licenze scoraggia la concorrenza e consente alle imprese esistenti di mantenere la posizione dominante. L'eccessiva burocrazia e gli standard di conformità deviano risorse dalle attività produttive, ostacolando l'innovazione e la competitività. Queste barriere distorcono i segnali del mercato, scoraggiano gli imprenditori e limitano la scelta dei consumatori, soffocando così la concorrenza del mercato.
Le leggi sulla proprietà intellettuale, come brevetti, diritti d'autore e marchi, hanno lo scopo d'incoraggiare l'innovazione e premiare i creatori, tuttavia queste leggi possono involontariamente ostacolare la concorrenza e favorire tendenze monopolistiche. Le leggi sulla proprietà intellettuale concedono diritti esclusivi a inventori e creatori, ma creano anche barriere all'ingresso. Quando questi diritti esclusivi diventano eccessivamente ampi o estesi, consentono ai detentori di brevetti e diritti d'autore di mantenere il dominio per periodi più lunghi, soffocando potenziali concorrenti e limitando la concorrenza.
Il processo complesso e costoso per ottenere e far rispettare i diritti di proprietà intellettuale è un ulteriore svantaggio per i piccoli imprenditori e le start-up. Le grandi aziende con risorse e team legali possono utilizzare strategicamente queste leggi per scoraggiare la concorrenza, consolidando il potere nelle mani di una manciata di attori dominanti. È importante comprendere che l'innovazione prospera in un ambiente di concorrenza aperta, in cui le idee vengono condivise liberamente e le aziende sono motivate a migliorare e differenziare continuamente la propria offerta.
Gli interventi dello stato attraverso sussidi, agevolazioni fiscali e trattamenti preferenziali perturbano l'equilibrio del mercato favorendo determinati settori e creando condizioni di disparità. Ciò distorce i segnali per gli imprenditori e mina la concorrenza. I sussidi forniscono vantaggi sleali, consentendo alle imprese sovvenzionate di acquisire potere di mercato e portare a potenziali tendenze monopolistiche. Le agevolazioni fiscali e il trattamento preferenziale distorcono ulteriormente il panorama economico, ostacolando l'innovazione e l'allocazione delle risorse. Questi interventi perpetuano anche l'errata allocazione delle risorse economiche, ostacolano l'efficienza e scoraggiano nuovi concorrenti e soluzioni innovative. Inoltre promuovono comportamenti incentrati sulla ricerca di rendite, sottraendo risorse alle attività produttive e minando la crescita economica.
Conclusione
Riguardo ai monopoli, Ludwig von Mises scrisse quanto segue in Human Action:
Il grande problema del monopolio che l'umanità deve affrontare oggi non è una conseguenza del funzionamento dell'economia di mercato. È un prodotto di un'azione intenzionale da parte degli stati. Non è uno dei mali insiti nel capitalismo come strombazzano i demagoghi. È, al contrario, il frutto di linee di politica ostili al capitalismo e intente a sabotarne e distruggerne il funzionamento.
L'illusione dei monopoli naturali scompare dopo un attento esame, rivelando il ruolo dell'intervento dello stato e delle distorsioni del mercato. I mercati liberi, senza vincoli, favoriscono innovazione e concorrenza, prevenendo il dominio monopolistico. L'interferenza dello stato attraverso regolamenti e politiche protezionistiche perpetua il mito dei monopoli naturali.
In qualità di sostenitori della libertà economica, è nostro dovere smascherare gli errori, ripristinare i mercati liberi e promuovere la concorrenza per un futuro prospero che rafforzi l'imprenditorialità, tuteli i consumatori e alimenti la crescita. Rallegriamoci delle meraviglie della competizione e abbracciamo il suo sconfinato potenziale.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Si, ok… ma per le infrastrutture puramente fisiche tipo autostrade, ferrovie, porti il ragionamento purtroppo regge. Sono Monopoli di fatto. Esiste un percorso ottimo per andare da lì a la, e due autostrade una a fianco all’altra (ponti, gallerie…) proprio non ce le vedo.
RispondiEliminaMi direte che la concorrenza la fa l’aereo, e sono d’accordo, ma per quanto riguarda il trasporto su gomma le autostrade sono monopoli di fatto.
Salve Anonimo.
EliminaCominciamo dal perché il libero mercato sarebbe uno strumento più efficace. Il libero mercato ha dimostrato nel corso della storia di essere un giudice delle imprese migliore di qualsiasi forma di governo. Se un'azienda, ad esempio, decide che una qualsiasi autostrada è un'impresa praticabile per la propria proprietà e per gli azionisti, allora spetterebbe a quell'azienda costruire un prodotto che i consumatori vorrebbero utilizzare. Se diverse aziende volessero costruire un'autostrada, allora l'azienda che dovesse offrire il miglior prodotto (cioè l'autostrada meglio mantenuta, più economica e più veloce) verrebbe scelta dai consumatori per consegnare quel prodotto tramite il sistema dei prezzi. Quando lo stato ha il monopolio su qualsiasi mercato, la concorrenza è soffocata e gli sconfitti non sono solo le aziende che avrebbero potuto investire in un'area designata, ma anche i consumatori che sono costretti ad accontentarsi di un prodotto non competitivo, solitamente scadente.
Ma i pianificatori centrali mantengono la parvenza della concorrenza mettendo all'asta i diritti per costruire i loro piani centrali. In un sistema di libero mercato, i segnali inviati tramite il meccanismo dei prezzi consentono al mercato di adattarsi a qualsiasi cambiamento in modo molto più rapido ed efficiente rispetto all'attuale modello pianificato centralmente. La conoscenza non è qualcosa che può essere aggregato e pianificato centralmente da un dipartimento dei trasporti. La conoscenza è qualcosa che deve essere acquisita in piccoli pezzi in tutto il mercato. Bisogna correre dei rischi per acquisire conoscenza; e nessun uomo, né alcun gruppo di uomini in un determinato campo, può possedere la conoscenza necessaria per pianificare perfettamente qualsiasi impresa specifica.
Allora perché lasciare questo "problema della conoscenza", come lo definì Hayek, a un gruppo di individui isolati dai segnali e dalle informazioni dei segnali di prezzo? I grandi investimenti, soprattutto quelli che richiedono una grande quantità di informazioni per funzionare correttamente, come le autostrade o gli acquedotti, dovrebbero essere lasciati al sistema che meglio risponde ai segnali del mercato e al meccanismo dei prezzi: il libero mercato. Inoltre c'è un grosso problema morale in gioco quando si costruisce una qualsiasi opera pubblica: chi paga e con quali soldi? Nel sistema attuale i lavori pubblici sono pagati dal "pubblico". Ma cosa dà ai pianificatori centrali l'autorità morale per determinare che tutti i contribuenti di una data popolazione debbano essere costretti a pagare per quel progetto?
Mentre si potrebbe sostenere che le autostrade pubbliche avvantaggiano un'intera area, coloro che decidono di non utilizzare l'autostrada e le relative infrastrutture dovrebbero essere costretti a pagarla? Lo stato non è una sorta di divinità benevola che concede al pubblico le proprie autostrade; deve finanziare le sue creazioni e poiché lo stato NON PUÒ CREARE RICCHEZZA, deve prenderla con la forza dalla popolazione. L'economista francese Frederic Bastiat espose questo concetto nel suo saggio Ciò che si vede e ciò che non si vede. Lo si può riassumere con una semplice citazione: “Tutti vogliono vivere a spese dello stato. Dimenticano che lo stato vuole vivere a spese di tutti”.
EliminaUn sistema privato eliminerebbe questo dilemma morale non richiedendo finanziamenti a tutti gli individui in una comunità. Il settore privato ha dimostrato di essere magnificamente creativo nei modi per finanziare nuove iniziative. Con l'emergere della "superstrada dell'informazione", abbiamo visto nuovi modi per fornire finanziamenti per i servizi privati senza necessariamente addebitare pedaggi o riscuotere enormi tasse. Internet ha dimostrato che molti servizi privati possono essere forniti a prezzi stracciati; sarebbe sciocco credere che altri mercati potrebbero non funzionare allo stesso modo. Soprattutto oggi in cui la parcellizzazione della proprietà può essere perseguita con maggiore facilità grazie alla tokenizzazione degli asset. Presumere in anticipo che il settore privato fornirà un servizio in un modo specifico trascurerebbe l'ingegnosità del libero mercato, ma una cosa è certa: il libero mercato non costringerebbe i consumatori che non desiderano utilizzare un prodotto a pagarlo.
La richiesta di privatizzazione delle autostrade può sembrare radicale, ma non lo è: diverse autostrade negli Stati Uniti sono di proprietà privata, tra cui la Chicago Skyway e la Dulles Greenway. L'economista Walter Block ha scritto nel suo libro The Privatization of Roads and Highways che “dobbiamo renderci conto che solo perché lo stato ha sempre costruito e gestito la rete stradale, questa non è necessariamente la procedura più efficiente e inevitabile, e nemmeno giustificabile”.
Non sto sostenendo che lo stato sarebbe in qualche modo il migliore ad amministrare un monopolio naturale. Quello che sostengo è che comunque in quasi tutto il settore infrastrutture anche privatizzando si finirebbe in un monopolio. i costi di costruzione delle opere sono enormi, e, ripeto, esiste un percorso ottimo per ogni autostrada. L‘autostrada concorrente non può che essere costruita a fianco dell’altra. In una tale situazione vedo difficile che la concorrenza faccia scendere i prezzi. In questo caso direi che li farebbe salire.
RispondiEliminaÈ utile ricordare, a tal proposito, che la condizione del monopolio naturale resta reversibile. Infatti l'ingresso di nuovi concorrenti che propongono gli stessi beni o servizi di qualità superiore e/o a prezzi più bassi in un determinato mercato. Una tale condizione è preclusa in un monopolio legalizzato. Questo a sua volta significa che per infrastrutture grandi, una volta costruite, potrebbero cambiare i diritti di proprietà, ad esempio. Il problema è l'intrusione dello stato che cristallizza posizioni di rendita artificiali e con le quali alimenta la sua macchina fiscale estrattiva.
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