Bibliografia

venerdì 7 luglio 2023

L'Eurosistema è messo di fronte al proprio fallimento

 


di Alasdair Macleod

In questi giorni di canicola, c'è un rinnovato senso di compiacimento per lo status finanziario ed economico dell'Eurozona: l'inflazione è scesa, le azioni bancarie sono salite e la fine di ulteriori rialzi dei tassi d'interesse è in vista.

La tregua dalle cattive notizie nasconde una situazione in via di deterioramento. In comune con altri mercati, i rendimenti obbligazionari dell'Eurozona stanno salendo e le banche stanno ora visibilmente cercando di ridurre il loro indebitamento in eccesso. Questa situazione è destinata a portare a carenze di credito nei prossimi mesi, mantenendo o addirittura facendo salire i tassi d'interesse. La contrazione del credito potrebbe portare anche a carenze di finanziamenti per i governi dell'Eurozona, tutti impantanati nelle loro trappole del debito.

A presiedere tutto questo c'è una BCE che va alla cieca: tanta retorica ma poca sostanza economica. Inoltre, anche se riducesse il suo bilancio di mille miliardi di euro, le perdite nascoste nell'Eurosistema ne cancellerebbero di molte volte il capitale. Come può ricapitalizzarsi e salvare il resto della baracca in un sistema bancario commerciale in via di deterioramento?

È una ricetta per il fallimento sistemico.

Definizioni: l'Eurozona comprende le nazioni europee che hanno adottato l'euro come valuta. L'Eurosistema è la rete combinata di banche centrali, comprendente la stessa BCE e le banche centrali nazionali.


Introduzione

Ci sono buone notizie sul fronte dell'inflazione per alcuni Paesi dell'Eurozona. l'IPC in Spagna è tornato al 2,9%, in Germania è sceso al 6,1% dal 7,2% di aprile e in Francia è sceso al 5,6%. I tassi annuali stanno diminuendo, principalmente perché i forti aumenti dei prezzi stanno scomparendo dal back-end delle statistiche. Ma con il sostanziale calo dei prezzi dell'energia (il gas naturale è sceso del 74% su base annua e il petrolio per il riscaldamento è sceso del 44%, entrambi in termini di dollari) gli economisti mainstream sono sempre più fiduciosi che la tendenza al ribasso continuerà e che il mostro dell'inflazione sia stato ucciso.

Invece le loro preoccupazioni ora riguardano più la prospettiva di una recessione, con la speranza di un calo dei tassi d'interesse ora che l'inflazione sta diventando parte del passato. In questo contesto molti guardano all'offerta di denaro e nel primo trimestre di quest'anno M3 dell'Eurozona si è contratto di €140 miliardi sin dallo scorso settembre, a poco più di €16.000 miliardi. Ma in un'altra statistica la rete dell'Eurosistema, che comprende la BCE e le banche centrali nazionali, ha ridotto il suo bilancio collettivo di poco più di €1.000 miliardi nello stesso lasso di tempo.

Pertanto la contrazione monetaria è avvenuta a livello di sistema bancario centrale, riducendo le disponibilità di titoli di stato dell'area Euro e riducendo di conseguenza gli asset delle banche commerciali. La contrazione del bilancio non è andata molto a scapito dei depositi bancari, che sono la componente principale di M3; invece le banche hanno collettivamente ridotto altre passività, ovvero pronti contro termine, mercati interbancari e altre fonti di finanziamento, per compensare la riduzione delle loro riserve nell'Eurosistema.

Gli economisti sottolineano che aggiustata all'IPC, l'offerta reale di denaro si sta contraendo seriamente. La loro opinione è che il rallentamento della crescita monetaria sia una chiara indicazione di un rialzo eccessivo dei tassi d'interesse, cosa che porterà a una recessione. Hanno ragione, ma non necessariamente per ragioni diverse dall'evidenza empirica che citano. Il motivo per cui questo è vero è che il PIL nominale è semplicemente la somma totale delle transazioni (ammissibili) in un periodo di tempo definito. Il credito bancario misurato dai depositi è lo stock di valuta/credito per tutte le attività economiche, comprese le voci PIL e non PIL. Supponendo che ci sia un piccolo cambiamento nel livello delle attività diverse dal PIL, un calo dei depositi bancari deve alimentare direttamente un calo del PIL.

Ma il calo dei bilanci delle banche dell'Eurozona non è tanto nei depositi, ma dovuto al quantitative tightening, dato che  la riduzione delle riserve bancarie detenute presso le banche centrali non è in circolazione pubblica. Al margine alcuni depositi potrebbero essere distrutti dalla riduzione dei bilanci bancari, il che probabilmente spiega il minuscolo calo di M3. Stando così le cose, dovremmo concludere che le attuali preoccupazioni circa una recessione a causa del rallentamento del PIL sono per il momento sovrastimate.

Vale la pena sottolineare questo punto per stabilire dove si posiziona l'Eurozona nel ciclo del credito bancario. Sebbene i monetaristi non comprendano gli elementi motore alla base del loro approccio matematico, possiamo presumere che fino a quando i rischi della leva finanziaria nei bilanci bancari non saranno adeguatamente affrontati, il credito bancario in connessione col PIL ristagnerà o addirittura si contrarrà, portando a una contrazione anche l'attività economica.


La condizione delle grandi banche dell'Eurozona

Confermato dall'indebitamento delle banche giapponesi, una conseguenza dei tassi d'interesse negativi è stata l'eccessivo indebitamento di bilancio per le GSIB dell'Eurozona, ovvero le banche d'importanza sistemica mondiale. Indubbiamente ciò è dovuto alla compressione del margine di credito a causa delle linee di politica sui tassi d'interesse da parte della BCE e del tentativo di suddette banche di coprire i profitti degli azionisti. Molti anni di tassi d'interesse in calo e la mancanza di un effetto stimolante sull'IPC hanno portato a una convinzione che la BCE potesse continuare a mantenere i tassi d'interesse soppressi, pari o inferiori allo zero, senza conseguenze inflazionistiche. Pertanto non si prevedeva alcun pericolo significativo di un rialzo dei tassi d'interesse, inducendo i dirigenti delle banche a credere che i livelli record di leva finanziaria fossero giustificati. Inoltre i banchieri agiscono come una coorte, scambiandosi opinioni nei club e in altri forum in tutti i principali centri bancari. E se la Banca A mantiene con successo i suoi profitti avendo sottoposto a leva le sue attività di bilancio (es. oltre venti volte), allora le Banche B, C, D ed E seguiranno l'esempio.

Questo pensiero di gruppo spinge ogni ciclo del credito bancario a livelli pericolosi fino a quando le condizioni di prestito non cambiano. Di solito emergono una diversa serie di prove che portano i banchieri a credere che i rischi di prestito stiano aumentando, non si tratta di eventi specifici. E quando ciò accade, la coorte bancaria agisce sempre in sincronia, cercando di contrarre gli attivi dei propri bilanci. Questo è quello che è successo al culmine dell'ultimo ciclo, quando improvvisamente si sono resi conto dei rischi derivanti dai prestiti garantiti da obbligazioni coperte da altri prestiti. Questa volta è un po' diverso e le sanzioni contro la Russia hanno rappresentato un campanello d'allarme per i banchieri in Europa, a causa dell'impatto sui prezzi dell'energia e dei generi alimentari.

Infatti i tassi d'interesse misurati dai rendimenti obbligazionari lungo tutta la curva delle scadenze stavano già salendo prima delle sanzioni alla Russia, e anche i prezzi al consumo stavano cominciando a salire. Inizialmente i banchieri si sono bevuti la storiella dell'inflazione transitoria, poi però hanno appreso che c'erano crescenti rischi di prestito sia per gli asset finanziari che per quelli non finanziari. E mentre l'inflazione al consumo sta scendendo, all'unisono gli economisti mainstream stanno ora prevedendo un peggioramento delle prospettive economiche.

La conseguenza è che il credito bancario non è più in espansione e, con lo sviluppo di condizioni recessive, le linee di credito alle imprese comportano costi d'indebitamento più elevati. Inizialmente ciò porta a un miglioramento dei margini di prestito e il vantaggio per i profitti bancari si riflette nel seguente grafico di un ETF legato ad azioni bancarie europee.

I margini di prestito migliorati stanno incoraggiando alcuni analisti a rimanere positivi. Leggiamo cosa scrive ZeroHedge in merito:

Alcuni investitori mantengono una visione positiva. “Abbiamo ancora una certa propensione verso le banche europee, poiché riteniamo che il pieno impatto dei tassi d'interesse più alti debba ancora manifestarsi”, afferma Helen Jewell, vice CIO di BlackRock EMEA Fundamental Equities. Comprende la necessità di essere selettivi data la recente volatilità del settore bancario.

Dal minimo del mercato ribassista di marzo 2020, l'ETF nel grafico sopra è raddoppiato. Ma questo è un effetto iniziale, che serve solo a giustificare ulteriori riduzioni della leva finanziaria mantenendo un livello di redditività mirato. Non incoraggia le banche ad aumentare i prestiti. Con tutte le banche guidate dalla stessa motivazione, possiamo osservare un fattore ciclico che si sviluppa con uno stallo della crescita dei prestiti seguito da una contrazione del credito bancario e tassi d'interesse ostinatamente alti che riflettono la scarsità di credito.

Tuttavia ridurre la leva finanziaria sul proprio bilancio non è semplice, perché una volta creati i depositi nell'intero sistema bancario non possono essere facilmente cancellati. E dal lato dell'attivo, la negazione del capitale circolante alle imprese minaccia di provocare la loro insolvenza, aumentando i prestiti in sofferenza e la cancellazione del debito, il cui effetto sul patrimonio netto è amplificato dal rapporto tra attivi ed equity. Le linee di minor resistenza sono il ritiro da impegni futuri, come le offerte di finanziamento ipotecario e la svendita di titoli di stato con scadenza oltre i pochi anni sostituendoli con obbligazioni del Tesoro a breve termine. Con i tassi d'interesse in aumento e le curve dei rendimenti ora negative, la vendita di obbligazioni a scadenze più lunghe ha senso dal punto di vista del conto profitti/perdite, ma spesso comporta significative cancellazioni sui bilanci, come ha dimostrato la bancarotta di Silicon Bank in America.

Come mostrato nei grafici sopra, i rendimenti obbligazionari dell'Eurozona stanno già salendo di nuovo e senza dubbio questa tendenza riflette le banche che riducono i rischi dei loro bilanci in un momento di presunta inflazione decrescente. Ma ci sono delle anomalie, con il rendimento del titolo di stato greco a 10 anni al 3,8% simile al suo omologo negli Stati Uniti; il Portogallo è al 3,2%, la Spagna al 3,5% e l'Irlanda al 2,86%. La probabile spiegazione è che gli stranieri hanno venduto i mercati obbligazionari più grandi, perché son quelli che possiedono per la maggiore. E quando gli stranieri iniziano a vendere, i detentori nazionali seguono l'esempio quasi sempre. Una crisi finanziaria per alcune o tutte queste nazioni è destinata a ripresentarsi quando i rischi sistemici saranno adeguatamente ponderati.

Collettivamente le banche dell'Eurozona stanno riducendo i loro depositi presso le banche centrali (riserve in eccesso), ma questi non vengono conteggiati come depositi nell'offerta di denaro. Banche che riducono attivamente le proprie passività, diverse da quelle nei confronti dei propri azionisti, è un'azione che può essere inizialmente intrapresa solo a scapito della liquidità, ad esempio riducendo i pronti contro termine o non novando le passività di deposito degli stranieri (i quali ritirano i loro depositi per vendere euro in cambio di divise estere). In breve, a parte le riduzioni dei saldi dovute alla stretta creditizia della BCE, le banche con un indebitamento eccessivo sono più o meno intrappolate. E questo spiega perché i direttori delle grandi banche sovraindebitate non hanno affrontato i rischi che invece hanno dovuto fronteggiare i loro azionisti.

L'attuale posizione della leva finanziaria per le GSIB dell'Eurozona è illustrata nella tabella qui sotto.

La leva finanziaria totale degli azionisti illustra la straordinaria rischiosità delle banche d'importanza sistemica mondiale dell'Eurozona. Queste sono designate come GSIB ai sensi delle regole di Basilea e sono tenute a mantenere riserve di liquidità per alleviare il rischio di controparte a causa della loro esposizione internazionale. Ma mentre implementa un coefficiente netto di finanziamento stabile per proteggere la liquidità, Basilea 3 presta scarsa attenzione alle responsabilità dei dirigenti delle banche nei confronti dei loro azionisti, e ciò si vede in quelle cifre.

Seguita da Deutsche Bank, Société Generale ha il prezzo più basso in fatto di price to book: al 27,5%. In altre parole, valutando queste azioni con enormi sconti rispetto all'equity, il mercato ci sta dicendo che le possibilità che Société Generale e Deutsche Bank falliscano e debbano essere salvate sono significativamente più alte delle loro possibilità di sopravvivenza. Mettendo da parte il punto di vista del mercato, vediamo che l'indebitamento di bilancio per tutte le GSIB è alquanto elevato, con la sola eccezione di Unicredit che non è molto superiore al limite massimo di 10-12 volte solitamente osservato al culmine dei cicli del credito bancario. E nel caso di Credit Agricole questo rapporto è stratosferico. Le autorità di regolamentazione bancaria non possono essere totalmente cieche di fronte a questa situazione, nel qual caso stanno deliberatamente sopprimendo le informazioni sulla solvibilità delle banche in modo da non essere direttamente incolpate per aver mancato al loro dovere.

Vi è una notevole varianza nei rating di mercato per queste banche, con rapporti prezzo/valore contabile che non sempre riflettono la leva cui sono sottoposti i loro bilanci. È un qualcosa che possiamo attribuire a diversi fattori, come il mix di operazioni di prestito finanziarie e non finanziarie, l'esposizione fuori bilancio ai derivati, la liquidità per il finanziamento delle passività e la contabilità "creativa". Pertanto l'esposizione al rischio mostrata dai rapporti di bilancio è probabilmente meno indicativa per gli azionisti rispetto ai rapporti prezzo/valore contabile.

Tuttavia il fallimento di una di queste banche avrebbe conseguenze inimmaginabili per le altre, a causa dei rischi di controparte all'interno dell'Eurozona e oltre. Tutte sono interconnesse l'una all'altra, in particolare negli obblighi di derivati ​​e pronti contro termine. Il rating per l'istituto di credito olandese ING, il cui rating è fuori pericolo, dovrebbe riflettere il rischio sistemico per le altre GSIB, per quanto solida possa sembrare tale banca.


TARGET2 e il problema del mercato pronti contro termine

Il grafico qui sotto illustra gli squilibri nel sistema TARGET2 tra le banche centrali nazionali e tra queste e la BCE. Si sono leggermente ridotti negli ultimi mesi, ma sono ancora estremamente elevati per Germania e Lussemburgo sul lato del credito e BCE, Spagna e Italia sul lato del debito.

La Germania e il Lussemburgo hanno un credito netto di €1.377 miliardi; Italia e Spagna insieme sono in debito di €1.130 miliardi e la BCE deve alle banche centrali nazionali €370,5 miliardi. L'effetto del disavanzo della BCE, che sembra derivare dagli acquisti di obbligazioni effettuati per suo conto dalle banche centrali nazionali nei loro mercati locali, è quello di ridurre artificialmente i saldi TARGET2 dei debitori. Mettendo da parte gli acquisti di obbligazioni della BCE, i debiti combinati di Italia e Spagna nei confronti delle altre banche centrali nazionali superano facilmente i €1.300 miliardi.

In teoria questi squilibri non dovrebbero esistere e il fatto che esistano, e che dal 2015 siano in aumento, è dovuto in parte all'accumulo di crediti inesigibili sulla scia della crisi bancaria europea, quando Portogallo, Italia, Grecia, Spagna, Irlanda e Cipro hanno avuto difficoltà a finanziare il proprio debito o a salvare le proprie banche.

I regolatori locali erano stati incentivati a dichiarare in bonis i crediti bancari in sofferenza, in modo che potessero essere utilizzati come collaterale per operazioni di pronti contro termine con la banca centrale locale. Ciò ha avuto l'effetto di ridurre le sofferenze a livello nazionale, favorendo l'idea che il problema fosse stato risolto, in particolare in Italia e in Spagna. Ma il problema è stato semplicemente rimosso dai sistemi bancari nazionali e spostato nell'Eurosistema. E il fatto che non ci sia una spiegazione ufficiale del motivo per cui la Bundesbank sia diventata un creditore così grande nel sistema TARGET2 ha probabilmente portato alle dimissioni del suo presidente, Jens Weidmann, nel 2021.

La domanda di garanzie a fronte delle quali ottenere liquidità ha portato a una significativa espansione del credito, con il mercato dei pronti contro termine che non agisce come un fornitore marginale di liquidità (come invece accade in altre giurisdizioni), ma come un'offerta accumulata di credito grezzo. Ciò è mostrato nel seguente grafico, il risultato di un'indagine condotta dall'International Capital Markets Association su 61 uffici d'istituzioni primarie dell'Eurosistema.

Il totale per questa forma di finanziamento a breve termine è cresciuto fino a €10.370 miliardi entro dicembre 2022. Le garanzie comprendono di tutto, dai titoli di stato al debito preconfezionato delle banche commerciali nazionali. Secondo l'indagine, il doppio conteggio è minimo per cui i pronti contro termine sono compensati dai pronti contro termine inversi. Questo è importante se si considera che un pronti contro termine inverso è l'altra faccia della medaglia di un pronti contro termine, quindi con questi ultimi che si aggiungono ai primi, la somma è una misura valida della dimensione del mercato. Il valore dei pronti contro termine negoziati con le banche centrali nell'ambito delle operazioni ufficiali di politica monetaria non è incluso nell'indagine, ma potrebbe essere leggermente diminuito rispetto ai livelli rilevati nelle indagini precedenti, a causa della riduzione delle garanzie obbligazionarie nei bilanci dell'Eurosistema. Ma sono inclusi i pronti contro termine con le banche centrali nel corso ordinario dei finanziamenti.

A fine dicembre il saldo netto tra pronti contro termine e pronti contro termine inversi era pari a €617 miliardi. Ciò rappresenta la liquidità aggiuntiva fornita alle banche commerciali nel mercato dei pronti contro termine, parte della quale proverrà dal sistema bancario ombra. Ma come sottolinea l'indagine ICMA, questa cifra potrebbe riflettere i cambiamenti nei finanziamenti delle banche centrali, come notato sopra. Tuttavia, in un momento in cui l'espansione dell'offerta di denaro è rallentata, sembra che il finanziamento pronti contro termine delle passività bancarie sia una fonte alternativa di fondi, andando a confondere il quadro generale.

Negli ultimi anni l'espansione del mercato dei pronti contro termine è stata una caratteristica significativa, accompagnata da tassi d'interesse in calo e negativi. Prima dei pronti contro termine, i mercati monetari erano costituiti da prestiti interbancari, che non erano garantiti. Di conseguenza gli squilibri tra le banche erano relativamente modesti, al massimo di qualche milione. Il boom dei pronti contro termine è arrivato perché l'attività bancaria ha avuto una tendenza verso maggiori squilibri quotidiani, dato che le banche sono passate dalla creazione di prestiti ad intraprendere attività puramente finanziarie, in particolare nei derivati, nel market making e nel trading di obbligazioni. Le banche che detengono garanzie di alta qualità sono state felici d'impegnarle in operazioni pronti contro termine, raccogliendo denaro per ulteriori speculazioni finanziarie. In tal senso la crescita del mercato dei pronti contro termine è stata coerente con i banchieri che hanno allontanato dalle loro menti i rischi sistemici e di mercato. In un'Eurozona sempre più finanziarizzata, l'espansione dei bilanci si è concentrata su funzioni puramente finanziarie per le quali i pronti contro termine hanno fornito liquidità. Ora che le banche commerciali stanno temendo una leva finanziaria eccessiva in un contesto di tassi d'interesse diverso, è probabile che i mercati dei pronti contro termine si contraggano a livello mondiale, facendo emergere tensioni nell'intero sistema bancario e abbassando i valori degli asset finanziari.

I mercati dei pronti contro termine in euro differiscono dai mercati dei pronti contro termine in dollari, dato che questi ultimi utilizzano solo garanzie di alta qualità (obbligazioni del Tesoro, obbligazioni statunitensi e debito delle agenzie governative). In Europa le variazioni nella qualità delle garanzie per i pronti contro termine sono mostrate di seguito.

Le obbligazioni prive di rating e le obbligazioni con rating BBB o peggiore costituivano il 42,3% del totale delle garanzie a dicembre 2022. Ciò espone il mercato a rischi crescenti se i tassi d'interesse saliranno ulteriormente, o se l'economia dell'Eurozona entrerà in recessione.

Oltre a una minoranza di banche alla ricerca di liquidità in questi tempi difficili, la coorte delle banche commerciali ridurrà il proprio coinvolgimento nelle operazioni pronti contro termine in futuro. Il tasso di crescita nel 2022 stava già rallentando ed è probabile che diventino più difficili da reperire operazioni di pronti contro termine inverse, in base alle quali un prestatore acquisisce garanzie a fronte di crediti in contanti, poiché è probabile che vengano accettate solo garanzie di prestito di alta qualità (principalmente debito pubblico a breve scadenza). Per le banche più deboli, il finanziamento pronti contro termine potrebbe effettivamente essere interrotto, portando a una crisi di liquidità nella rete bancaria commerciale dell'Eurozona, in particolare se una banca ha difficoltà a trattenere i depositi.

A breve termine, è probabile che ciò venga risolto dalle banche centrali nazionali che intensificano le loro linee di liquidità. Dobbiamo ancora vedere i risultati dell'ultima indagine ICMA (condotta questa settimana e pubblicata a settembre), ma sarà interessante confrontarli con quelli di dicembre 2022 e verificare se è in corso una contrazione.


L'intero Eurosistema è insolvente

In comune con altre grandi banche centrali, la BCE e la sua rete di banche centrali nazionali, insieme all'Eurosistema, hanno accumulato titoli di stato e altri titoli attraverso l'allentamento quantitativo. La misura in cui ha accresciuto le dimensioni del bilancio è mostrata nel grafico qui sotto.

Dopo aver toccato un massimo di €8.828 miliardi esattamente un anno fa, gli attivi della BCE e delle banche centrali nazionali sono scesi a €7.713 miliardi. La maggior parte dell'aumento dall'ultima crisi finanziaria al picco è avvenuto attraverso quelli che la BCE chiama programmi di acquisto di asset, altrimenti noti come quantitative easing. Il calo degli attivi totali è stato ottenuto consentendo la maturazione di asset a breve termine e non reinvestindo i fondi, ma riducendo le passività nei confronti delle banche commerciali.

Tuttavia, sulle restanti posizioni in titoli, per un totale attuale di €5.067 miliardi, si registrano perdite significative su base mark-to-market. Ipotizzando una scadenza media di cinque anni, e un rialzo medio del rendimento dallo 0% al 3% per i titoli di stato dell'Eurozona, nell'ultimo anno le perdite dell'Eurosistema ammontano a circa €700 miliardi. Quasi sei volte il suo patrimonio netto.

Supporre che questo non sia un problema perché la BCE può sempre stampare euro è solo una scusa. L'unica speranza per l'Eurosistema è che i rendimenti obbligazionari scendano e quindi i valori salgano ripristinando l'integrità del bilancio. Ma per ora i rendimenti stanno salendo e con le banche commerciali che limitano l'espansione del credito, la prospettiva è che i rendimenti obbligazionari continuino a salire. Ad un certo punto l'ipotesi che l'inflazione possa tornare all'obiettivo del 2% e che i tassi d'interesse e i rendimenti obbligazionari possano scendere verrà abbandonata, e si dovrà quindi prendere in considerazione la ricapitalizzazione dell'intero Eurosistema.

Non sarà facile. Indubbiamente sarà necessaria una legislazione a livello nazionale in più giurisdizioni. Una cosa è che la BCE porti avanti le sue linee di politica inflazionistiche nonostante le proteste dei politici in Germania e altrove, ma l'elemosina per il suo capitale azionario mette la stessa BCE in grande difficoltà. È inevitabile che negli ambienti politici vengano sollevate domande sui fallimenti della politica monetaria e sul perché esistano gli squilibri TARGET2. L'intero processo di ricapitalizzazione potrebbe sfociare in una scellerata farsa, soprattutto perché anche le banche centrali nazionali potrebbero aver bisogno di iniezioni di capitale prima di poter ricapitalizzare la BCE in proporzione alle loro posizioni da azionisti.

Tuttavia ci affidiamo all'Eurosistema affinché sostenga l'intera rete bancaria commerciale. Il modo in cui ciò deve essere fatto è ulteriormente complicato dal fatto che la maggior parte delle nazioni della zona Euro (se non tutte) ha approvato la legislazione sul bail-in, il che significa che in caso di fallimento bancario i grandi depositanti e i detentori di obbligazioni saranno spazzati via prima dei piccoli depositanti.

Inoltre ci saranno sicuramente equivalenti di Silicon Valley Bank nell'Eurozona, i cui bilanci sono stati minati fino all'insolvenza dall'inaspettato aumento dei tassi d'interesse e dal crollo dei valori obbligazionari. C'è un mercato pronti contro termine che sta affrontando una marea calante e le GSIB con una forte esposizione ai rischi di controparte dei derivati. Tuttavia lo stesso Eurosistema è in bancarotta, avendo pagato caro per obbligazioni che poi sono affondate molto velocemente. È nella natura di una crisi bancaria che diversi fattori si uniscano in un'inaspettata tempesta perfetta. Ora possiamo solo osservare i fili disparati che probabilmente si uniranno e distruggeranno l'Eurosistema, le sue banche commerciali e forse l'euro stesso.


I governi dell'Eurozona sono messi di fronte a una crisi dei finanziamenti

Con un sistema bancario commerciale di fronte alla contrazione del credito e all'aumento del costo dei prestiti, l'impatto sui finanziamenti pubblici sarà sicuramente profondo. La BCE ha già perso il controllo sui tassi d'interesse, essendo stata costretta a rialzarli contro la sua volontà e contro la sua filosofia economica. Ha dovuto ridurre le proprie disponibilità di titoli di stato e troverà praticamente impossibile invertire il suo quantitative tightening fintanto che l'inflazione rimarrà significativamente al di sopra dell'obiettivo del 2%. Inoltre è probabile che i prezzi dell'energia ricominceranno a salire mentre l'Europa dovrà rifornirsi di gas naturale prima del prossimo inverno. Anche i prezzi del petrolio potrebbero salire, poiché le riserve strategiche statunitensi non possono essere utilizzate per sopprimere il prezzo ancora per molto e gli speculatori sembrano aver venduto l'energia allo scoperto.

L'aumento dei tassi d'interesse ha fatto scattare le trappole del debito sui governi di tutta l'Eurozona. La tabella seguente quantifica la posizione attuale: l'ultima colonna mostra il debito pubblico rispetto al PIL con riferimento alla base imponibile del settore privato, mostrando il vero onere di uno stato sui suoi cittadini.

Sulla carta la situazione è migliorata per tutte queste nazioni a seguito della crisi sanitaria. A quel tempo, la spesa pubblica era schizzata ai livelli più alti rispetto al PIL, mentre quest'ultimo era sceso. Da allora c'è stata una ripresa generale del PIL, con riduzione sia della spesa pubblica in proporzione ad esso, sia del rapporto debito/PIL. Tuttavia, credendo alla favoletta secondo cui i soldi crescono sugli alberi, ora è politicamente impossibile per queste nazioni sfuggire alle loro trappole del debito.

Consigliati dai loro economisti neo-keynesiani, c'è un'aspettativa che non solo l'inflazione sarà domata, ma che i tassi d'interesse scenderanno e che i deficit e le obbligazioni in scadenza possano continuare a essere rinnovati come prima. Questo si rivelerà un errore costoso.

Come notato sopra, i rendimenti obbligazionari in alcuni mercati del debito pubblico sono diventati fuori linea rispetto a dove ci si potrebbe aspettare. Con un debito rispetto al PIL del 171% e una spesa pubblica al 52,5% del PIL, è ridicolo che il decennale della Grecia renda solo il 3,8%, lo stesso del governo degli Stati Uniti. Ad un certo punto il mercato rifiuterà di prestare fondi al governo greco a un rendimento simile. Quando l'arbitraggio tra i diversi mercati obbligazionari dell'Eurozona sarà sospeso, cosa che accade sempre quando le considerazioni sul rischio diventano il fattore principale, il debito greco e altri debiti nazionali diventeranno semplicemente impossibili da finanziare. Il Portogallo è un altro caso disperato e, durante una crisi finanziaria, lo diventerà anche l'Irlanda.

E come faranno questi stati indebitati e le loro banche centrali nazionali a sostenere il loro sistema bancario in fallimento, composto da banche commerciali sovraindebitate e una rete di banche centrali profondamente impantanate in un patrimonio netto negativo?

Solo il tempo ce lo dirà.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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2 commenti:

  1. I disavanzi sono sempre un problema derivante dalla spesa pubblica, perché le entrate sono, per natura, cicliche e volatili, mentre la spesa diventa intoccabile e aumenta ogni anno.

    Keynesiani e neo-keynesiani (come gli sciroccati della MMT) diranno che i deficit non contano e il debito è una risorsa. Se così fosse, non si spiegherebbe l'ossessione per gli aumenti delle tasse. Inutile spiegare perché l'idea che i deficit e il debito non contino perché sono costantemente rifinanziati non ha senso, dovrebbe essere automatico ormai averlo capito: i deficit e il debito contano perché la fiducia nella solvibilità dello stato e della sua valuta si basa sulla sua capacità di gestire il debito a un livello tale da non spaventare gli investitori nazionali e internazionali. Il debito è un asset per gli altri solo se la solvibilità dello stato non è in discussione. Le banche italiane stanno riducendo la loro esposizione ai titoli di stato italiani come asset di riserva proprio a causa della diminuzione della fiducia nei conti pubblici. Inutile aggiungere che li vogliono mollare ai fessi che guardano le pubblicità in TV sulle campagne patriottiche legate ai BTP o sulla presunta sicurezza granitica di Poste Italiane.

    L' errore keynesiano/neo-keynesiano si basa sull'idea che lo stato possa sempre assorbire più ricchezza dal settore privato senza alcun costo. Peccato che quest'ultimo aspetto sia più che evidente. L'inflazione è arrivata ed è una diretta conseguenza di anni di monetizzazione del debito pubblico, cosa che ha innescato una spirale distruttiva: inflazione dei prezzi elevata, aumento delle tasse e aumento del debito. E non c'è alcun miglioramento nei conti pubblici anche con incassi record. L'inflazione non sta riducendo il livello del debito complessivo perché la spesa in deficit aumenta insieme ai prezzi al consumo, se non anche più in alto. Il bilancio del governo italiano è del tutto insostenibile e il problema è la spesa pubblica. Se non vi si mette un freno (essendo un pio desiderio sperare che possa essere diminuita), la fiducia sul debito italiano verrà intaccata ulteriormente e una maggiore monetizzazione non farà che peggiorare le cose perché distruggerà la fiducia nell'intero sistema monetario europeo a partire dalla valuta.

    Un debito più elevato significa più tasse, crescita più debole e salari reali più deboli in futuro. L'elevata spesa in deficit non è uno strumento per la crescita, ma uno strumento per il clientelismo e un peso soffocante per il futuro.

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  2. La performance disastrosa dell'area Euro, entrata in recessione nel primo trimestre di quest'anno, continua a imperversare nonostante i notevoli venti favorevoli: il calo dei prezzi dell'energia e delle materie prime, meno importazioni, impatto presumibilmente positivo del piano di stimolo Next Generation UE, aumento delle esportazioni grazie alla riapertura cinese che sebbene possa essere cresciuta al di sotto delle stime è ancora il motore della crescita mondiale insieme all'India. Nessuno di questi fattori ha aiutato, il che dimostra ancora una volta che l'interventismo economico difficilmente stimola la crescita e la produttività ed è spesso diretto a settori privilegiati con scarso impatto reale sull'occupazione o sulla crescita. E questa non è certo una sorpresa, dato che anche il piano Juncker e il piano per la crescita e l'occupazione del 2009 non hanno prodotto alcun effetto moltiplicatore. L'area Euro è stata ridotta a una catena di piani di stimolo che non producono alcun ritorno economico reale.

    Molti danno la colpa ai rialzi dei tassi per i dati macroeconomici deludenti rispetto alle stime, pochi invece incolpano i tassi reali follemente negativi e i pacchetti di stimolo mostruosi. Il mondo "ha investito" quasi il 20% del suo PIL in stimoli fiscali e monetari nel 2020 per realizzare una forte ripresa che non si è mai verificata, ricevendo in cambio solo un'inflazione dei prezzi elevata e una crescita scarsa. Lo spettacolare fallimento di questi enormi piani di stimolo non viene quasi mai analizzato nei documenti accademici, perché, ovviamente, nessuno morde la mano che lo nutre e quindi il problema diventa magicamente la normalizzazione dei tassi e non l'inesistente effetto moltiplicatore di questi giganteschi stimoli che lasciano una scia insostenibile di debito più elevato e, ora, inflazione dei prezzi.

    Il bilancio delle principali banche centrali (FED, BCE, BOJ, BOE, PBOC) è diminuito di quasi il 10% dopo essere salito di circa l'80% nel 2020-2021. I rialzi dei tassi hanno solo corretto l'aberrazione economica dei tassi negativi. La normalizzazione della politica monetaria sta avvenendo lentamente e le banche centrali rimangono estremamente accomodanti.

    Non c'è alcun miglioramento visibile nella produttività, o nella creazione di posti di lavoro oltre al ritorno del turismo, e certamente nessun moltiplicatore fiscale. Il trend di crescita è tornato al punto in cui si trovava a dicembre 2019... solo che adesso, però, aleggia lo spettro della recessione che aleggia sulle teste dei governi europei oltre a un debito notevolmente maggiore.

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