Sono passati poco più di due mesi dall'ultimo disastro ambientale che ha colpito l'Italia, ma a quanto pare i media generalisti si sono dimenticati di quegli eventi. Sto parlando dell'alluvione che ha colpito le zone dell'Emilia Romagna e che ha causato disastri economici significativi. L'impatto di questo fenomeno, così come in situazioni analoghe precedenti, rappresenta un ottimo caso di studio per evidenziare la deformazione socioeconomica che ha la spesa pubblica sulla scia dell'interventismo statale e l'aumento dei costi generati dalla distruzione del capitale. A primo acchito questa affermazione potrebbe sembrare incivile e senza cuore, ma innanzitutto qui si vuol parlare di economia quindi l'etica non ha spazio e in secondo luogo viviamo in un Paese comunista in cui il volontarismo è punito. La burocrazia sopprime questo tipo d'iniziative perché altrimenti la necessità di conformarsi a essa scomparirebbe, così come il tempo che sottrae in tal processo e che ne rappresenta la linfa vitale. In questo senso l'apparato statale viene sempre chiamato in soccorso quando si verificano eventi catastrofici, come una sorta di assicurazione a cui, obtorto collo, la popolazione deve rivolgersi. Non entreremo nel merito di quanto sia più efficace un'assicurazione privata e l'assenza di quella pubblica, ma l'evidenza empirica e l'esperienza da sole dovrebbero bastare come motivo per farsi un'idea della validità di tale affermazione soprattutto in virtù della sequenza infinita di fallimenti e incapacità dovute all'incapacità di calcolo economico genuino da parte dello stato. A supporto di ciò, inoltre, c'è la solidarietà privata che si smuove ogni volta che accade un disastro di simile portata o inferiore, quindi l'ordine spontaneo del mercato si metterebbe in moto per risolvere in modo efficace, repentino ed efficiente il disagio affrontato da chi è stato sfortunato.
Invece quello che arriva sempre è una pioggia di denaro (presumibilmente) gratis che inonda quelle terre martoriate da una catastrofe naturale e che, col passare del tempo, non porta niente di buono. Un doppio disastro potremmo definirlo, dato che, essendo il keynesismo imperante, l'economia della distruzione rappresenta un'opportunità per rilanciare zone che avevano qualche problema di crescita economica. Così come il "quasi boom" di matrice keynesiana prevede uno stato delle cose in perenne crescita senza alcuna correzione (orrore!), allo stesso modo il disastro naturale viene visto come un innesco per un rinnovato slancio economico. Poco importa quali siano i costi, per quello esiste la statistica: mentire, distorcere, manipolare. Da Pagella Politica:
[...] uno studio del 2011 non ha riscontrato una dinamica di crescita dei costi economici dovuti agli eventi climatici estremi. Questo risultato, hanno sottolineato però gli stessi autori della ricerca, va preso con cautela: gli effetti della crisi climatica sono solo all’inizio e le stime fatte si riferiscono soltanto a quanto visto finora. È molto probabile, quindi, che in futuro i costi aumenteranno.
Anche questo approccio, che tiene conto di come cambia nel tempo il valore del capitale economico, ha però alcuni limiti, in particolare per quanto riguarda le tecniche statistiche utilizzate. Il rischio infatti è quello di sottovalutare l’impatto economico degli eventi climatici estremi. In uno studio più recente, pubblicato nel 2019, alcuni studiosi italiani hanno stimato una dinamica di crescita dei costi, usando una metodologia diversa, che consente di tenere in considerazione l’eterogeneità dei fenomeni climatici considerati.
Altri economisti hanno fatto notare che i costi economici connessi agli eventi climatici possono perpetuarsi per lunghi periodi, che vanno oltre gli anni immediatamente successivi a quando sono avvenuti un uragano o un’alluvione. Uno studio del 2012 ha per esempio considerato l’impatto dell’uragano Iniki sull’isola hawaiana di Kauai, che nel 1992 ha causato poche vittime, ma danni alle infrastrutture e alle aziende per oltre 7 miliardi di dollari. Utilizzando una particolare tecnica statistica, i ricercatori hanno stimato come, due decenni dopo l’uragano, gli impatti dell’evento si facessero ancora sentire, in particolare con un calo della popolazione superiore al 10 per cento, con la mancanza di posti di lavoro e con un calo del reddito degli abitanti.
Qual è, quindi, quello strumento metodologico attraverso il quale poter definire correttamente i fenomeni economici senza che essi siano diluiti attraverso le lenti opache della statistica? Il ragionamento logico-deduttivo, ereditato dalla straordinaria letteratura della Scuola Austriaca. Uno degli autori, e padre spirituale di tale Scuola, che più ha scritto in merito alla distruzione vista come molla per innescare successivamente una ripresa economica fu Freédéric Bastiat con la sua parabola della finestra rotta. Ipotizziamo di rompere una finestra. Chiameremo poi il vetraio e lo pagheremo €100 per la riparazione. Le persone che guardano diranno che è una cosa positiva. Che fine farebbe il vetraio se non ci fossero finestre rotte? I €100 gli permetteranno di comprare altri beni e servizi, creando utili per gli altri. Questo è “ciò che si vede”. Se invece la finestra non fosse stata rotta, i €100 sarebbero potuti servire per comprare un nuovo paio di scarpe. Il calzolaio avrebbe fatto un acquisto e avrebbe speso i soldi in modo diverso. Questo è “ciò che non si vede”.
La società (in questo caso tre suoi membri) sarebbe stata meglio se la finestra non fosse stata rotta, perché ci sarebbe stata una finestra intatta e un paio di scarpe, invece che solo una finestra. La distruzione non porta a più beni e servizi, o crescita. Questa fu la lezione di Bastiat. Uno dei primi tentativi di quantificare l’impatto economico di una catastrofe fu un libro del 1969, The Economics of Natural Disasters. Gli autori, Howard Kunreuther e Douglas Dacy, studiarono ampiamente il caso del terremoto dell’Alaska del 1964, il più potente mai registrato in Nord America. Conclusero che gli abitanti dell’Alaska stavano molto meglio dopo il terremoto, poiché erano piovuti soldi da donatori privati, concessioni e prestiti agevolati dallo stato. Di nuovo, questo è “ciò che si vede”. Mentre le compagnie edili beneficiano dalla ricostruzione dopo un disastro, dobbiamo sempre chiederci: “Da dove provengono i soldi?” Se i fondi vengono dallo stato, esso deve tassare, prendere in prestito, o stampare denaro; i contribuenti rimangono con meno soldi da spendere in altri settori.
L’economia dei disastri rimane un piccolo campo di studio. C’è stato un numero limitato di studi empirici che ha esaminato la connessione tra la crescita e i disastri naturali e possono essere divisi in quelli che esaminano l’impatto a breve e a lungo termine. Gli studi a breve termine, in generale, hanno trovato una correlazione negativa tra disastri e crescita, mentre un minor numero di studi sul lungo termine ha avuto risultati misti.
Lo studio di lungo termine maggiormente citato è Do Natural disasters Promote Long-run Growth? di Mark Skidmore e Hideki Toya, i quali esaminarono la frequenza di disastri in 89 Paesi confrontandola con i loro tassi di crescita economica in un periodo di 30 anni. Gli autori tentarono di controllare una moltitudine di fattori ognuno dei quali avrebbe potuto distorcere le loro scoperte: la dimensione del Paese, la dimensione dello stato, la distanza dall’equatore e la tendenza al commercio. Operando in questo modo, trovarono una correlazione positiva tra i disastri climatici (per esempio uragani e cicloni) e la crescita. Gli autori spiegarono questa scoperta invocando ciò che potrebbe essere definito il contributo di Madre Natura a quello che l’economista Joseph Schumpeter notoriamente chiamò “distruzione creativa” del capitalismo. Distruggendo vecchie industrie e strade, aeroporti e ponti, i disastri permettono che vengano costruite infrastrutture nuove e più efficienti, forzando la transizione ad un’economia più raffinata e più produttiva. I disastri forniscono il servizio economico di ripulire infrastrutture obsolete per fare spazio a rimpiazzamenti più efficienti.
Ci sono tre principali problemi con questi studi empirici. Il primo è controfattuale: non possiamo misurare quale sarebbe stata la crescita se non fosse mai avvenuto il disastro; il secondo riguarda la correlazione e la causalità: non possiamo dire se il disastro abbia causato la crescita o se era semplicemente associato ad essa; il terzo problema è ciò che gli economisti chiamano ceteris paribus. È impossibile mantenere altri fattori costanti e misurare esclusivamente l’impatto di un disastro sulla crescita. Non ci sono laboratori per testare i concetti macroeconomici. Questa è la stessa limitazione dei lavori di Rogoff e di Reinhart sul debito e la crescita, e molte altre relazioni bilaterali in economia. Usando i dati storici dai primi anni del 1900, i ricercatori scoprirono che al crescere del prezzo del grano anche il suo consumo cresceva e proclamarono trionfalmente che la curva di domanda aveva pendenza positiva. Ovviamente la loro relazione non era una curva di domanda, ma rappresentava i punti d'intersezione tra provviste e domanda; l’assunzione di “tenere tutto il resto costante” era stata violata. In economia i dati empirici possono sostenere un ragionamento teorico, ma non possono provarlo o confutarlo.
Dunque cosa facciamo se gli studi empirici hanno serie limitazioni? Torniamo alla teoria. Sappiamo che una curva di domanda ha una pendenza negativa a causa degli effetti di sostituzione e reddito. I negozi di elettrodomestici non fanno svendite per vendere meno! Dalla teoria ci si aspetta anche che i disastri naturali riducano la crescita (ovvero, più capitale viene distrutto, maggiore sarà l’impatto negativo sulla crescita). Più capitale significa maggiore crescita.
Robinson Crusoe catturerebbe più pesce se sacrificasse del tempo che usa per pescare con le sue mani per costruire una rete. Ora ipotizziamo che un uragano colpisca la sua isola e distrugga tutte le sue reti. Robinson potrebbe tornare indietro a pescare a mani nude e la sua resa sarebbe permanentemente ridotta. Potrebbe soffrire addirittura un declino più grande nella rendita dovendo perdere tempo nel rifare le reti. La spiegazione di Skidmore-Toya è che lui applicherebbe nuovi metodi e nuove tecniche per costruire reti migliori che poi gli permetterebbero di catturare più pesce di prima. Sorge spontanea una domanda: se aveva questa conoscenza, perché non ha costruito tali reti prima dell’uragano? Qui è dove la logica di Skidmore-Toya va in pezzi. Robinson non aveva costruito migliori reti prima dell’uragano perché per lui non era ottimale farlo.
Se una compagnia decide di sostituire una vecchia macchina con una nuova, tra le prime considerazioni ci sono il prezzo iniziale della nuova macchina, il tasso d'interesse applicabile e i costi di operazione annuali ridotti della nuova macchina. Usando un’analisi di valore attuale netto, la compagnia determina il tempo ottimale per realizzare lo scambio (un’operazione reale). Un uragano forza uno scambio affinché avvenga prima di quando sarebbe stato ottimale da un punto di vista di prezzo e profitto. L’uragano dunque crea un diverso percorso per la crescita: la distruzione creativa sarebbe avvenuta, ma su una linea temporale diversa e più ottimale.
Le stesse conclusioni possono essere tratte per ciò che riguarda i disastri creati dall’uomo. Al contrario di ciò che molti economisti keynesiani vorrebbero farci credere, la seconda guerra mondiale non tirò gli Stati Uniti fuori dalla grande depressione. Fu invece il capitalismo!
Ma la distruzione non è incarnata solo dai disastri naturali che devastano la formazione di capitale e la consecutiva allocazione dello stesso. La distruzione passa anche da misure interventiste attuate dagli stati per "prevenire" eventuali calamità climatiche.
#Bloomberg pubblica questo grafico sui grandi inquinatori. L'#UE è quello spicchietto blu che pesa il 7.3%. Significa che la follia #green di #Timmermans e #Vonderleyen ci costerà la distruzione dell'industria, dell'agricoltura e enormi sacrifici a famiglie per un beneficio… pic.twitter.com/IKT2Z3fhAw
— Marco Zanni (@Marcozanni86) July 21, 2023
Se posso darvi un consiglio letterario, cari lettori, leggete Psicologia delle Folle di Le Bon. Il tutto, in quest'epoca in particolare, si riduce a questo. La polarizzazione politica nell'epoca attuale in cui una congiuntura socio-economica continuare a premere sia sulle finanze pubbliche che sull'architettura fiat della società, necessita di una continua ricerca di scuse/giustificazioni per poter sopravvivere. A oggi stiamo assistendo alla deificazione della scienza come strumento attraverso il quale sfornare quante più giustificazioni possibili a questo scopo. Non è un'anomalia storica, si vide la stessa cosa nel 1936 (solo che allora c'era ancora spazio di manovra). Ciò crea divisioni, schieramenti e arroccamenti; costruire significa interagire e discutere, quindi trovare soluzioni alternative. Il dibattito invece viene scandito secondo binari prestabiliti in modo da potenziare la Legge di Parkinson applicata alla burocrazia: espansione della stessa all'espandersi del tempo necessario a conformarsi a essa. Prima quindi era la scusa sanitaria, poi la guerra e adesso il clima: l'economia delle emergenze è una impalcatura per servire su un piatto d'argento a stati e succursali a esso associate la possibilità di rendere di minor resistenza il percorso verso un maggiore comando/controllo. Infatti stanno già spuntando "accademici" (es. ridistribuzione del potere, tasse ambientali, erosione delle rendite, lotta alle disuguaglianze... rings a bell?) che indirizzano le autorità verso tale direzione.
Sapete perché la destra nega o minimizza l’emergenza climatica?
— Filippo Barbera (@FilBarbera) July 21, 2023
Perché sa che le soluzioni richiedono redistribuzione del potere, tasse ambientali, erosione delle rendite e lotta alle diseguaglianze.
Sa che la strada incrocia la giustizia sociale.
Ecco perché.
Il comunismo ha cambiato colore, da rosso a verde, ma l'anima rimane sempre quella. Ecco perché è necessario confutare la paura e il terrorismo che vengono spacciati dai media generalisti (es. 60° al suolo in Spagna e mappe colorate ad mentula canis). Non ho la presunzione di dire che sono in grado da solo di poter invertire il fenomeno descritto, ma nel mio piccolo aver fatto la mia parte e forse essere stato d'esempio. Perché è così che funziona anche col clima: c'è molto da fare singolarmente a tal proposito. Non lasciare l'onere alla burocrazia non significa stare con le mani in mano. Il mondo è destinato a riscaldarsi (come accaduto altre volte in passato)? Bene, allora bisogna lavorare/trovare soluzioni per adattarsi a tale cambiamento, non avere l'arroganza di volerlo arginare. Una volta compreso questo punto, diventerà automaticamente chiaro che è la burocrazia a voler impedire agli uomini di buona volontà di trovare soluzioni praticabili ma che invece non sono di alcuna utilità per i burocrati.
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Perché l'inflazione core non reagisce ai rialzi dei tassi? Perché lo stato non sta riducendo i suoi squilibri ed è per questo che i prezzi aggregati non riflettono la contrazione in settori come il trasporto o l'energia. Inoltre, come abbiamo visto nei dati del PIL, la componente entrate fiscali mostra un netto aumento mentre il valore aggiunto lordo delle imprese e i salari lordi rimangono al palo. Congratulazioni, volevate il socialismo, questo è il socialismo: salari reali più bassi, reddito disponibile reale più basso e risparmi reali più bassi.
RispondiEliminaCon l'attuale calo dell'offerta di denaro, l'inflazione dovrebbe essere la metà di quella attuale, e questo anche considerando le modifiche nel calcolo ufficiale dell'IPC. Tuttavia la velocità del denaro non è calata perché la spesa pubblica aumenta nonostante gli scarsi consumi e investimenti privati. Il problema quando la spesa pubblica ignora la contrazione monetaria è che la spinta dell'inflazione dei prezzi proviene da sussidi statali innescando una spirale discendente impossibile da fermare. Man mano che i tassi di'interesse salgono e l'accesso al credito viene prosciugato nei confronti di chi rappresenta la spina dorsale di un Paese (es. famiglie e piccole/medie imprese), gli stati intervengono per risolvere un problema che hanno causato e peggiorano la svlautazione del potere d'acquisto di una valuta fiat.
Il fardello del calo monetario e dei rialzi dei tassi ricade sulle spalle delle famiglie e delle piccole/medie imprese, mentre le grandi società e gli stati scaricano la patata bollente.
Quando un apparato come lo stato, che pesa dal 40 al 60% del PIL nella maggior parte delle economie, continua a consumare ricchezza e a spendere, il prodotto interno lordo non segnala "recessione" anche se scendono i consumi e gli investimenti privati in termini reali. La spesa pubblica sta mascherando una recessione del settore privato e il calo del reddito reale disponibile, dei salari reali e dei margini delle piccole/medie imprese.
Questi sono i motivi principali per cui viviamo nel mezzo di una recessione e della distruzione della ricchezza privata e dei salari, ma i dati ufficiali non lo riflettono. Poiché il peso dello stato sull'economia aumenta, la recessione tecnica non viene segnalata nei dati ufficiali, ma i cittadini ne soffrono comunque.
La guerra al terrorismo è stata un disastro (probabilmente oggi ci sono più terroristi di 20 fa). Oggi i terroristi, però, ricevono a malapena un cenno sulla stampa generalista. Ora infatti c'è una nuova crociata di cui occuparsi: il riscaldamento globale. In mezzo a questo catastrofismo da fine del mondo, potreste rimanere sorpresi nello scoprire che l’estate 2023 non è stata particolarmente calda. L’indice annuale delle ondate di calore ci dice che la stampa o si sbaglia… o mente. La "nuova normalità" è la vecchia normalità. Non esistevano armi di distruzione di massa, ma ciò non ha fermato il caos provocato dalle guerre. Potrebbero non esserci fatti reali che supportino l’ipotesi del riscaldamento globale, ma questo piccolo inconveniente non impedirà la distruzione futura.
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