Bibliografia

mercoledì 28 giugno 2023

Stiamo tutti lavorando per lo stato ormai

 

 

di Alasdair Macleod

Una conseguenza del crescente intervento economico da parte dello stato è che ora ci si aspetta che in futuro vengano generati più contribuenti e che le persone attingano sempre di più alle pensioni per vivere. Anche la nostra produttività dev'essere migliorata, massimizzando così le entrate fiscali dello stato.

Per quanto riguarda il processo democratico, è davvero questo ciò a cui abbiamo aderito? Non sorprende che stiamo perdendo la libertà individuale. Ora lavoriamo per lo stato e non il contrario.

Questa inversione dei ruoli è il logico risultato di quando si voltano le spalle al libero mercato e si cede allo stato la gestione dei nostri affari personali ed economici. Ed è un fatto ulteriormente giustificato dall'analisi statistica che supporta il ruolo dello stato stesso, ma che a un esame più attento si rivela del tutto fuorviante.

In questo saggio commenterò l'economia della crescita della popolazione discussa dagli economisti mainstream, mostrando come siamo gravemente fuorviati dalle statistiche sulla produttività e dal valore del PIL il cui unico scopo è quello di consentire allo stato di stimare le entrate fiscali future.

Ma la predazione abituale degli stati sui loro settori privati sta per finire, perché diventerà impossibile da finanziare. A ciò provvederà la fine della tendenza a lungo termine del calo dei tassi d'interesse.


Tasso di natalità/morte

Gli economisti commentano regolarmente le relazioni tra nascite e morti. Tipicamente l'invecchiamento della popolazione è visto come un problema, principalmente a causa delle conseguenze per le pensioni. Colpisce tutti i Paesi in cui l'aspettativa di vita è migliorata, sconvolgendo il rapporto tra chi paga le tasse e pensionati che le ricevono.

Anche i costi associati all'assistenza all'infanzia stanno aumentando, colpendo in modo particolarmente duro le economie avanzate, perché le donne danno sempre più priorità alla carriera rispetto all'avere figli. E l'enorme spesa per conformarsi a leggi e regolamenti che i genitori nel secolo scorso non hanno dovuto affrontare, unita a tasse sempre più elevate, rende anti-economico per molti avere figli.

La combinazione invecchiamento della popolazione e calo dei tassi di natalità sta suonando un campanello d'allarme. Ma perché questa dovrebbe essere la preoccupazione di stati e dei loro economisti? La risposta è che i primi si sono assunti una crescente responsabilità per le nostre stesse azioni e ora stanno cavillando sui costi. Stanno cercando di alzare l'età pensionabile, costringendo le persone a lavorare più a lungo e a pagare le tasse invece di riscuoterle attraverso la pensione. Non dovrebbe sorprendere che l'innalzamento dell'età pensionabile stia causando disordini in Francia.

Nel Regno Unito c'è stata polemica sul "triplo blocco", ovvero l'aumento annuo delle pensioni al 2,5%, l'aumento dei guadagni medi e l'aumento dei prezzi misurati dall'IPC. In altre parole, i conservatori nel loro manifesto elettorale avevano promesso di proteggere i pensionati dalle conseguenze dell'inflazione, una proposta del tutto ragionevole.

Ma il governo inglese era di parere contrario, considerandolo come un trasferimento di risorse nazionali dai lavoratori dipendenti che pagano le tasse ai pensionati che le consumano. In poche parole, questo definisce l'interesse acquisito del governo rispetto ai suoi elettori. L'establishment non rappresenta più l'elettorato, rappresenta sé stesso. E vede l'elettorato come una fonte di fondi per qualunque schema lo stato ritenga auspicabile. È socialismo strisciante che ora ha reso lo stato il padrone di tutti, senza l'apparente vincolo di dover eseguire gli ordini del pubblico.

Ma questa è una situazione con cui dobbiamo convivere. Gli attuari statali hanno ragione: gli impegni pensionistici stanno portando le finanze pubbliche verso una crisi sempre più profonda e che dev'essere affrontata. Ma nel Regno Unito, e in un certo numero di altri Paesi, s'ignora la crisi pro capite ancora più costosa creata dalle pensioni per i dipendenti pubblici — un fardello che deve essere sostenuto dagli altri, naturalmente. E ci sono anche i costi crescenti dell'assistenza sanitaria, ma in Gran Bretagna il servizio sanitario è considerato un tesoro nazionale inviolabile, da proteggere da qualsiasi volgare tentativo di migliorare i risultati riducendo i costi. E ora che affrontiamo una potenziale recessione e un aumento della disoccupazione, i costi aggiuntivi associati stanno aumentando anche per lo stato.

Un po' come l'uso di sanguisughe e salassi nei tempi antichi per curare tutti i mali, il ricorso a livelli crescenti di tassazione sugli elementi produttivi della società non fa altro che impoverire l'ambiente economico. La realtà è che la socializzazione delle economie ha raggiunto un punto di crisi. Se si vuole evitarlo, bisogna accettare l'inevitabile contrazione della spesa pubblica. L'Occidente ha uomini e donne di buon senso e la capacità di comprendere e arrivare a questo risultato? Non contateci troppo...

Anche i politici ben intenzionati dipendono dai funzionari pubblici per consigli e statistiche, e una volta eletti non sono più in grado di argomentare a favore della riduzione dell'incidenza dello stato sul totale dell'economia. In parole povere, è difficile per loro resistere all'aumento dell'intervento statale “per il bene comune”.

Per dimostrare come il sistema ci fuorvia dal punto di vista statistico, pochi esempi sono migliori di quello riguardante la produttività.


Il mito della produttività

Di tanto in tanto parte un'ondata di commenti sulla produttività nazionale. E per gli inglesi la produttività è stata una parte importante del dibattito sulla Brexit, con l'OCSE, il Tesoro inglese, la Banca d'Inghilterra e i "remainer" che affermano tutti una cosa: la scarsa produttività del britannico medio dimostra quanto abbiano bisogno del conforto dell'Unione Europea.

Dopo la Brexit, l'OCSE pubblicò un documento in cui ripeteva le sue sciocchezze sulle conseguenze economiche che avrebbe avuto, raccomandando persino alla Gran Bretagna d'indire un secondo referendum per annullare la decisione. A sostegno della sua analisi affermava che la produttività del lavoro della Gran Bretagna era ferma, mentre quella di Francia, Germania, Stati Uniti e le medie OCSE stavano migliorando.

I lettori abituali dei miei articoli sapranno che non ho niente a che fare con le statistiche pubbliche, le medie e l'analisi neo-keynesiana che le accompagna. L'analisi della produttività degli econometristi è un ottimo esempio del motivo per cui le statistiche derivate da informazioni discutibili dovrebbero essere completamente ignorate, come dimostrerò tra l'altro. Potete provare qualsiasi cosa con le statistiche, tranne la verità. L'OCSE, che è la principale fonte delle statistiche sulla produttività citate dai politici di tutto il mondo, le usa per giustificare lo statalismo. Avendo sede a Parigi, questa istituzione è particolarmente in sintonia con i concetti di base dell'Unione Europea.

Si tratta dell'organizzazione che guida l'analisi statistica internazionale ufficiale, pur essendo finanziata interamente dagli stati stessi. Lavora duramente per ridurre l'elusione fiscale, avendo mosso l'accusa contro i paradisi fiscali negli anni '90. È una convinta sostenitrice della parità di condizioni nelle imposte sulle società, il che significa imporre aliquote minime a livello mondiale per giustificare la pressione fiscale nelle giurisdizioni ad alta tassazione.

L'OCSE è sostenitrice del socialismo ed è una fonte primaria di statistiche internazionali sul lavoro. Tuttavia la stima della produttività dovrebbe essere incontrovertibile e difficile da criticare. Il PIL diviso per il numero di ore lavorate è un calcolo semplice da effettuare. Come può essere fuorviante? Continuate a leggere.


L'approccio dell'OCSE alla produttività

Il breve documento dell'OCSE, Defining and Measuring Productivity, cita Paul Krugman:

La produttività non è tutto, ma a lungo termine è quasi tutto. La capacità di un Paese di migliorare il proprio tenore di vita nel tempo dipende quasi interamente dalla sua capacità di aumentare la produzione per lavoratore.

Krugman implica in questa citazione che la produttività è una funzione dello stato e quindi non del datore di lavoro. Questo è chiaramente in contrasto con i fatti: un dipendente produce solo se è impiegato da un datore di lavoro in cerca di lucro. Spetta al datore di lavoro prendere questa decisione, non allo stato. Il fatto che l'OCSE citi Krugman conferma che il suo approccio è in linea col pensiero di quest'ultimo.

Da qui iniziano gli errori statistici, a partire dalla rilevanza del PIL, il quale è progettato per catturare i consumi finali e sottovaluta la produzione di beni di ordine superiore, ad esempio macchinari e input di servizi, non registrando le fasi intermedie della produzione. Pensatela in questo modo: se sommate le vendite lorde di fornitori, aziende, servizi e logistica, ottenete un numero molto più grande del semplice valore netto del prodotto finale. Quando si tratta di produttività del lavoro, è la statistica rilevante, non il PIL.

Questo punto importante è stato ammesso negli Stati Uniti dall'introduzione di una nuova statistica, la produzione lorda (PL), ideata da Mark Skousen, un economista della Chapman University. La PL è ora riportata trimestralmente dal Bureau of Economic Analysis ed è circa il doppio del PIL.

Pertanto, negli Stati Uniti, dove la PL è il doppio del PIL, quest'ultimo per ora lavorata è circa la metà della misura realistica della produzione totale. La PL conferma che usare il PIL in una formula di produttività è oltraggiosamente fuorviante. Ma l'OCSE non stima la PL e va notato che diversi Paesi hanno diversi gradi di produzione intermedia, il che rende comunque impossibile confrontare la loro produzione lorda su una base omogenea.

Possiamo anche esporre il concetto di produttività del lavoro come una sciocchezza nelle nostre faccende quotidiane. Ad esempio, se vi occupate di vendita al dettaglio, potreste ritenere che il vostro personale di vendita sia produttivo, perché produce vendite, ma la maggior parte del numero di clienti nel vostro negozio probabilmente non ha nulla a che fare con le capacità del venditore. Il vetrinista può aver contribuito o meno, e gli addetti alle pulizie e i contabili sono produttivi, insieme al personale del magazzino e ai conducenti di furgoni? Presi singolarmente sono un costo, difficile o impossibile da mettere in relazione con le vendite finali, le quali costituiscono il PIL. Questo è il motivo per cui gestire un'impresa riguarda team di persone con input complementari e registrare la produzione degli individui in termini di PIL non ha senso. Ma sono queste attività più ampie che costituiscono la base della PL.

La produttività del lavoro deve essere considerata anche nel suo più ampio contesto economico, essendo solo una forma di capitale. Nelle economie di libero mercato, l'arbitraggio tende a uniformare i rendimenti su tutte le forme di capitale impiegate nell'intera gamma di imprese, di cui il lavoro è solo una parte. Oltre al lavoro, vi è l'investimento di capitale nella produzione, nell'acquisto di attrezzature e nella fornitura di capitale circolante. Mettendo insieme tutti questi elementi, se una linea di business si distingue per la sua redditività, attirerà la concorrenza.

Quando il capitale non viene ridistribuito in modo migliore, compreso il lavoro, è quasi sempre perché lo stato interviene. Quest'ultimo non vuole che le aziende licenzino i lavoratori che fanno parte di un settore in crisi. Invece lo stato ostacola la ridistribuzione del lavoro sovvenzionando quegli imprenditori non competitivi. Penalizza anche le imprese redditizie sequestrando i loro profitti e in molte nazioni tassando anche l'occupazione.

Inoltre diverse industrie impiegano il proprio capitale in modi diversi, quindi all'interno delle statistiche come il database dell'OCSE, il contributo dello sforzo umano varia notevolmente. Un meccanico su una linea di produzione automatizzata che supervisiona robot costosi non dovrebbe essere paragonato a un addetto al parco cittadino.

Il contributo dello stato al PIL dev'essere escluso da qualsiasi calcolo della produttività, in quanto è un drenaggio della produzione reale.

Il problema con statistiche come la produttività è che tutti pensano che significhino qualcosa, soprattutto la classe politica. Ciononostante mettiamo il fatto che questa media econometrica non sia fuorviante; che sia qualcosa che un imprenditore troverà utile come base di confronto nella ricerca della migliore giurisdizione per stabilire la propria attività, qualcosa che lo guiderà sull'opportunità di trasferirsi dalla Gran Bretagna all'Europa continentale o viceversa.

A tal fine selezioneremo quattro Paesi in Europa dal database dell'OCSE, incluso il Regno Unito. Nella Tabella 1 vediamo quanto segue:

Queste sono le cifre dell'OCSE su cui i successivi ministri delle finanze britannici hanno basato le loro lamentele su quanto siano improduttivi i loro contribuenti; e se potessero essere esortati a lavorare in modo più produttivo, le entrate fiscali ne gioverebbero. Questo è il vero interesse del tesoriere di stato. Certo, secondo l'OCSE, la produttività ufficiale è migliorata rispetto a quella che metteva la Gran Bretagna dietro l'Italia e la Francia prima del voto sulla Brexit. Quello che è cambiato è che il livello di disoccupazione in Italia e in Francia è sceso, quindi ci sono più occupati, più ore lavorate e minore produttività oraria. Certo, non abbiamo idea di quanto siano produttive quelle ore di lavoro, perché purtroppo la produttività stessa non può essere misurata nell'effettivo, solo ipotizzata.

Un approccio più sensato è guardare alla produttività dal punto di vista di un imprenditore. Impiega salariati e si aspetta di farlo in modo redditizio. È con le sue entrate dalle vendite che deve pagare sia le tasse che i salari per i suoi dipendenti. Nel decodificare le cifre dell'OCSE, dobbiamo anche rimuovere lo stato, perché esso è un salasso per la produzione; poi dobbiamo eliminare i disoccupati per arrivare al numero degli occupati nel settore privato.

La Tabella 2 quantifica la forza lavoro nel settore privato.

Vale la pena notare che esistono diversi modi per contare i dipendenti pubblici e che la Francia, ad esempio, ha nazionalizzato le industrie i cui dipendenti non sono inclusi nel totale. Nel Regno Unito si stima che un ulteriore 5% sia impiegato come appaltatori statali e, teoricamente, dovrebbero essere considerati come dipendenti pubblici. Le distorsioni alla base delle statistiche dell'OCSE stanno aumentando...

Le statistiche dell'OCSE presumono che le persone in età lavorativa abbiano appena quindici anni, il che può essere vero in una nazione emergente, ma gli europei continuano a studiare fino a un'età media di circa diciotto anni. Non abbiamo altra scelta che ignorare questi importanti errori.

Successivamente dobbiamo derivare il PIL del settore privato per dipendente in tal settore. Ciò corrisponde agli adeguamenti alla forza lavoro nella Tabella 2 con il PIL del settore privato, come mostrato nella Tabella 3.

La persona media è ritenuta responsabile della produzione di una quota del PIL che è la più bassa in Italia e la più alta nel Regno Unito. Chi l'avrebbe mai detto! Nella Tabella 1 l'OCSE ci diceva invece che la Francia era in cima alla classifica della produttività.

Tuttavia per assumere la persona media dev'essere pagato uno stipendio. La Tabella 4 mostra il rapporto tra il PIL per dipendente e il suo stipendio medio

La conclusione di questo esercizio è che, nonostante la Brexit, l'imprenditore medio che assume il dipendente medio ottiene il miglior ritorno sul suo investimento in capitale umano nel Regno Unito, segue poi l'Italia. Se avete una predilezione per la Francia, è meglio assicurasi condizioni vantaggiose dal punto di vista statale per tutta la durata dell' investimento. E la Gran Bretagna batte persino la Germania, a mani basse. Utilizzando i dati dell'OCSE, riformulati per riflettere la realtà commerciale, i risultati negano le conclusioni dell'OCSE. Ma...

Houston, abbiamo un problema...

Il tedesco medio sarebbe impiegato in modo non redditizio? E i francesi assumerebbero persone su base marginale prima di prendere in considerazione onerose tasse sul lavoro? E gli esigui margini in Italia e nel Regno Unito per i salari medi suggeriscono che mentre alcuni dipendenti sono impiegati in modo redditizio, sono controbilanciati da molti che non lo sono.

O le statistiche sono sbagliate (e sappiamo che lo sono), o vengono utilizzate statistiche sbagliate. In caso contrario, interi settori della produzione europea sarebbero già stati chiusi.

Il problema non è difficile da identificare: il PIL è composto dai prezzi finali, la somma totale del valore aggiunto lungo le filiere di produzione e di approvvigionamento, non cattura i valori della produzione lorda. Come accennato in precedenza, se l'UE producesse cifre per la PL, compresi i processi intermedi per beni e servizi, il rendimento per dipendente sarebbe più realistico. La Germania, con la sua forte base manifatturiera, è probabilmente la più sottovalutata, mentre l'Italia e la Francia con le loro industrie turistiche, forse meno. La Gran Bretagna potrebbe trovarsi da qualche parte nel mezzo, simile alla PL per gli Stati Uniti.

Accettando che non abbiamo prove statistiche riguardo la PL, a parte una guida approssimativa negli Stati Uniti dove è circa il doppio del PIL, cerchiamo di applicarla in modo rudimentale alle quattro nazioni europee nella nostra analisi. E ora possiamo aggiungere ulteriori costi di occupazione (pensioni, tasse sul lavoro, detrazioni sociali, ecc.) che secondo i dati dell'OCSE avrebbero reso tutta l'occupazione europea uno spreco di risorse per qualsiasi datore di lavoro. Inoltre il valore del capitale umano impiegato per fare cose diverse non può essere misurato da nessuno se non da chi ne ha interesse economico al pagamento degli stipendi. Tutto questo è catturato nella Tabella 5.

Queste cifre dovrebbero comunque essere prese con le pinze per tutti i motivi già esposti. In pratica ci sono enormi variazioni nazionali nei salari, nelle tasse relative all'occupazione e nei costi aggiuntivi, come lo spazio per gli uffici, le attrezzature: l'elenco potrebbe continuare all'infinito. Ma, mettendo tutto questo da parte, la giurisdizione più redditizia per assumere qualcuno rispetto ai quattro Paesi analizzati è il Regno Unito.

Se prendete i calcoli dell'OCSE al valore nominale, cosa che fanno tutti, pensereste che la Francia sia il posto giusto per assumere qualcuno, mentre in realtà è il peggiore. E mentre in base ai dati OCSE non c'è molta differenza per quanto riguarda la produttività tra i tre, in realtà le differenze sono significative.

La Gran Bretagna ha gli ulteriori vantaggi della lingua e della cultura. Nel corso dei decenni ha accolto i migranti a un livello che altre nazioni non hanno. E dopo aver abolito la tassa selettiva sull'occupazione nel 1973, la tassazione dell'occupazione in Gran Bretagna è circa la metà di quella europea.

Dobbiamo sottolineare che il principio dell'approccio dell'OCSE è completamente sbagliato piuttosto che discutere sui dettagli, ma esso incoraggia i politici e gli economisti a ignorare l'impatto delle tasse sul lavoro. È qui che il Regno Unito ottiene risultati relativamente buoni e la Francia è un disastro.

Ma gli stati non sono interessati al metodo statistico, ma al messaggio di fondo riguardante le entrate. Se l'OCSE afferma che gli inglesi dovrebbero essere più produttivi, allora offre la prospettiva di maggiori entrate fiscali, se solo le imprese potessero essere incoraggiate a migliorare la produttività.

Invece di criticare il settore privato, è sicuramente più rilevante guardare agli oneri statali sulla produzione, in particolare per quanto riguarda l'eccesso di regolamentazione che è quasi certamente il più grande ostacolo all'ambizione imprenditoriale.


Spesa pubblica e PIL

L'uso del PIL piuttosto che della produzione lorda per determinare la produttività è indubbiamente sbagliato, ma gli stati sono fissati sul PIL e secondo loro deve crescere sempre. Il PIL non rappresenta la crescita economica, ma la crescita del valore in valuta delle transazioni totali, di solito nel corso di un anno.

Svalutate la valuta e accelererete il PIL nominale; aumentate la spesa pubblica e con essa aumenterete il PIL. In passato gli stati hanno regolarmente confuso le acque riguardo le aspettative sulla crescita del PIL tramite l'aumento della spesa pubblica. I mercati azionari sono saliti dopo la notizia. Ma se serve a qualcosa, il PIL consente a uno stato di stimare il reddito fiscale potenziale, altrimenti è inutile e fuorviante.

Il PIL è una statistica sponsorizzata dallo stato che viene sistematicamente e inconsciamente confusa con il progresso economico, ma un momento di riflessione mostrerà che il progresso non può essere misurato statisticamente. Ed è quasi certo che i progressi continuino o addirittura accelerino con una lieve recessione del PIL. Dovremmo saperlo perché è la concorrenza che porta al calo dei prezzi al consumo, ammesso che la valuta sia stabile nel suo valore.

Durante la crisi sanitaria, quando gran parte dell'economia produttiva è stata chiusa, la spesa pubblica del Regno Unito è salita a circa il 50% del PIL, anche se da allora è scesa a circa il 43% nell'ultimo anno fiscale (5 aprile 2023). Quando si analizza il PIL è estremamente importante decidere come trattare la spesa pubblica.

Gli economisti mainstream sono tenuti a sostenere che la spesa pubblica sia importante in termini economici e che la crescita del PIL debba includerla. Inoltre, in base al consumo, dev'essere inclusa anche la spesa dei dipendenti pubblici. Questo è certamente un punto valido, ma manca il quadro più ampio.

Se è vero che la spesa dei dipendenti pubblici fa parte del totale, le tasse riducono il consumo alimentato dai consumatori per coloro che non sono impiegati dallo stato, sostituendolo con la fornitura di servizi non liberamente richiesti. Non è necessario guardare lontano per capire come la spesa pubblica sia un peso per l'attività economica e che un approccio economico di successo sia quello di liberare il settore privato, eliminando il più possibile lo stato e i suoi interventi. È questo approccio che ha portato al notevole successo di Hong Kong nei decenni del dopoguerra, rispetto alla povertà inflitta alle stesse etnie sulla terraferma sotto Mao Zedong, dove lo stato rappresentava il 100% dell'economia.

Convincere l'establishment che usare come riferimento il PIL finisce per sopprimere il progresso economico, è una strada in salita. Invece di accettare l'evidenza empirica, l'establishment rafforza sistematicamente il PIL aumentando il suo intervento nell'economia, la sua spesa in proporzione al totale e svalutando la valuta.

Ciò porta a una divergenza di interessi tra i politici che cercano di rappresentare l'elettorato e lo stato stesso. I politici di destra sono di solito sostenitori del libero mercato, con l'ambizione di ridurre la presenza dello stato in proporzione all'economia totale. Sono nominati per abbattere le spese e la burocrazia, ma ci sono buone ragioni per cui non raggiungono mai tale obiettivo.

Quando hanno responsabilità ministeriali, la loro priorità cambia: proteggere i loro bilanci. Eventuali tagli alla spesa comportano una riduzione dello stanziamento di bilancio del Ministero del Tesoro. Per i ministri e l'establishment in generale, ciò equivale a una perdita di potere, pertanto, nella misura in cui si ottengono risparmi, essi devono elaborare altri piani per mantenere o aumentare i livelli di finanziamento. L'interventismo diventa la norma e la quota dello stato sul PIL tende inesorabilmente ad aumentare.

Soprattutto nell'attuale contesto economico, ridurre la spesa pubblica è diventato un compito politico impossibile. Oltre ai ministeri ad alta spesa come la sanità, l'istruzione e la difesa che richiedono sempre maggiori risorse finanziarie, c'è il problema dell'inflazione dei prezzi che porta a disordini tra i dipendenti del settore pubblico.

Insieme a molte altre nazioni, la Gran Bretagna sta entrando in una recessione in un ambiente con tassi d'interesse più elevati e quindi rendimenti obbligazionari e interessi sul debito più elevati a causa di una stretta creditizia, il tutto mentre le banche commerciali tentano di ridurre i loro bilanci eccessivamente indebitati. L'apparato statale deve anche affrontare aumenti della spesa per il credito sociale, altri servizi sociali, assistenza sociale e pensioni. La lezione dell'ultima contrazione del ciclo del credito bancario ha mostrato che la spesa pubblica del Regno Unito in percentuale del PIL è passata dal 36% nel 2006/07 al 40,8% nel 2010/11. Con l'attuale contrazione del credito che minaccia di essere significativamente più dirompente della precedente, la quota del PIL rappresentata dallo stato potrebbe facilmente superare il 50% nel prossimo anno fiscale o due.

Sia al Tesoro inglese che alla Banca d'Inghilterra sembra esserci ignoranza riguardo l'esistenza del ciclo del credito bancario. Il modo in cui possono formulare le loro linee di politica, sia che si tratti d'indirizzarsi all'inflazione dei prezzi al consumo o al PIL, è del tutto sterile. Di fronte a queste difficoltà, guardare al PIL come mezzo per gestire l'economia quasi certamente fallirà.


Conclusione

Abbiamo visto come gli stati hanno invertito il loro rapporto con gli elettori, diventando i loro padroni invece che i loro servitori. Le statistiche ufficiali, come il PIL e la produttività del lavoro, sono sempre più orientate a quantificare il reddito fiscale potenziale. E l'interesse dello stato per le nascite e le morti è quasi interamente alimentato dal desiderio di un numero crescente di contribuenti e di un numero in calo di richiedenti le pensioni.

Ironia della sorte, è la fine della bolla mondiale del debito che dimostrerà la rovina dello stato. L'ossessione per l'aumento delle entrate sta portando tutti gli stati occidentali verso una crisi dei finanziamenti, innescata dalla fine della soppressione dei tassi d'interesse. Sarà porincipalmente questo sviluppo che costringerà gli stati e le loro organizzazioni a confrontarsi con la realtà economica.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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1 commento:

  1. Buongiorno, interessante articolo, con ottime riflessioni e argomentazioni.

    Anch'io, nell'aprile del 2011, scrissi qualcosa sul tema dell'invasività e della forte ingerenza statale nelle nostre vite.

    Mi spinsi sino al punto di immaginare le conseguenze di "una forte imposizione statalista innescata da una violenta crisi economica", cosa che si è tragicamente verificata nel corso della c.d. "emergenza covid".

    Se qualcuno avesse piacere: http://www.santaruina.it/sorridi-e-una-foto-economica

    Grazie per l'ospitatlità,
    Saluti.

    Antonio Pani

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