Questo saggio esamina la nostra attuale condizione dal punto di vista dell'economia classica. Sono passati ormai 87 anni da quando è stata liquidata da John Maynard Keynes nel suo libro, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta.
Al centro dell'opera di Keynes c'era il desiderio di creare un ruolo per lo stato, intervenendo negli affari economici. Nella ricerca di questo obiettivo, dovette calunniare la Legge dei mercati: la Legge di Say. Dimostrerò perché questo fosse un errore e da allora quest'ultimo è stato alla radice degli errori accumulati nelle politiche monetarie.
Ha portato alla distruzione del potere d'acquisto del dollaro, riflettutosi in un prezzo dell'oro salito da $35 a $2000: un deprezzamento del valore del dollaro come mezzo di scambio rispetto al denaro giuridico di oltre il 98%. Inoltre ha indebolito l'America e i suoi alleati rispetto agli egemoni che possono o meno avere una comprensione coerente dell'economia, ma almeno non sono schiavi delle politiche stataliste dell'Occidente.
Introduzione
Il governo degli Stati Uniti, che quest'anno si ritroverà un deficit di bilancio di oltre $1.400 miliardi, affronta una recessione e possiamo prevederla perché M2, che alimenta direttamente il PIL, si sta contraendo. E una recessione porta a minori entrate fiscali e maggiori spese per lo stato sociale. Il deficit sarà di gran lunga superiore alla cifra sopraccitata.
L'establishment responsabile della politica monetaria deve ora affrontare un problema difficile: deve finanziare un disavanzo pubblico in forte aumento e che come dipartimento del governo federale è la sua massima priorità. Oltre alle tasse ci sono due fonti per questo finanziamento: l'impiego di risparmi e la stampa di denaro. Non è mai chiaro da dove provenga questo denaro: se proviene dal risparmio, allora i risparmiatori deviano risorse di capitale dal settore privato allo stato, e questa è una cattiva notizia per l'economia produttiva la quale ha bisogno di tali risorse; se non viene dai risparmiatori, allora viene dall'espansione del credito da parte del sistema bancario.
Questa analisi, però, tiene poco conto dell'origine del credito bancario, creato dalle banche commerciali che cercano di trarre profitto dai prestiti ai mutuatari tramite un margine d'interesse. Ma le banche attualmente sono meno disposte a concedere prestiti perché sono più attente al rischio che alle opportunità di profitto. Inoltre stanno tentando di attenuare le perdite sulle posizioni in obbligazioni del Tesoro, perché il costo del finanziamento è aumentato mentre i rendimenti sono scesi. E fino a quando i tassi d'interesse non caleranno al di sotto dei rendimenti dei titoli di stato, non c'è profitto nel creare credito per finanziare la spesa pubblica.
L'unica alternativa è che la FED finanzi il deficit pubblico reintroducendo il QE. Si tratta di un'inversione della politica attuale, che consiste nel ridurre il proprio bilancio non sostituendo il debito in scadenza. Ma c'è un vento cattivo che soffia dalle banche commerciali, le quali stanno entrando in una crisi ciclica e potrebbero aver bisogno di essere salvate mentre i depositi migrano da istituti di credito rischiosi. Potrebbe diventare la scusa per una ripresa del QE e “salvare l'economia”.
Possiamo ora presumere che i futuri disavanzi del governo degli Stati Uniti saranno finanziati sempre più dalla FED. Quest'ultima dovrà anche raccogliere i pezzi dagli stranieri che non sono più disposti ad acquistare titoli del Tesoro statunitensi; semmai si stanno trasformando in venditori netti, creandone un eccesso.
La FED deve comunque destreggiarsi con un'anti-bolla. Finora una bolla finanziaria aveva alimentato un aumento dei prezzi degli asset e creato un fattore di benessere per le classi degli investitori. In questo contesto finanziare il debito pubblico era un gioco da ragazzi.
L'azione anti-bolla sta ora alimentando un crollo sia dei valori patrimoniali che dell'attività economica nell'economia non finanziaria; entrambi risentono delle conseguenze dell'inflazione monetaria e dei fattori correlati. Avevamo visto aumentare i valori degli investimenti, il che ci ha portato a credere che, nonostante le difficoltà a breve termine, alla fine tutto sarebbe andato per il verso giusto. Ma l'onere accumulato dalla redistribuzione socialista, dalla svalutazione monetaria e dalla bancarotta intellettuale dei governi di tutto il mondo è ora evidente a chiunque abbia una mezza idea di osservarli. C'è solo una conclusione: niente andrà per il verso giusto. Al centro della tragedia c'è l'assenza di risparmi. Il desiderio di Keynes di praticare l'eutanasia dei risparmiatori, espresso nella sua Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta, è stato infine realizzato, almeno in America e nel Regno Unito. E anche la sostituzione dei risparmiatori con lo stato nel ruolo di fornitori di capitale.
La macroeconomia inventata da Keynes nega il ruolo del risparmio come componente fondamentale del libero mercato. L'inflazione monetaria nasconde le conseguenze di questo errore fino a quando non si manifestano improvvisamente su di noi. Quali sono? Un eventuale crollo sia della bolla degli asset finanziari che del potere d'acquisto del denaro fiat, la cui unica ancora è la fiducia nello stato e nelle sue finanze. È un collasso che sta diventando sempre più evidente.
Negare le leggi dei mercati
La radice delle idee sbagliate di Keynes era il suo desiderio di creare una giustificazione per l'intervento dello stato nell'economia. Per fare ciò dovette respingere il capitalismo del libero mercato e con esso il principio centrale dell'economia classica: la Legge di Say. Questo problema occupava la sua mente negli anni '30 e non poteva liquidarlo in modo convincente, ma doveva comunque farlo affinché la sua Teoria generale, pubblicata nel 1936, potesse avere un senso. In quell'opera i suoi riferimenti alla Legge di Say erano solo due, entrambi all'inizio, in modo che potesse sviluppare la sua tesi nel resto del libro.
Quello di Keynes fu un tentativo di sfuggire alle restrizioni della Legge di Say in modo da far progredire l'economia oltre le sue origini classiche e giustificare un ruolo per lo stato. Nel Capitolo 3 la descrive come “[...] la domanda aggregata della produzione è uguale al suo prezzo di offerta aggregata per tutti i volumi di produzione”, fraintendendo il concetto. Si noti che l'elemento centrale della divisione del lavoro manca del tutto nel trattato di Keynes: vale a dire, il ruolo vitale del denaro e soprattutto dei prezzi nel collegare la produzione alla domanda.
Jean-Baptiste Say non condensò mai in un breve aforisma ciò che successivamente venne attribuito al suo nome. Invece scrisse un libro, Traité d'Économie Politique, pubblicato per la prima volta nel 1803, che alla sua sesta edizione era quasi raddoppiato in lunghezza. La sua abilità consisteva nel descrivere in termini accessibili ai lettori i principi del libero mercato e del denaro sano/onesto, e il motivo per cui portavano progresso economico. Lo spiegò nel contesto degli individui e della loro interazione, disprezzando la manipolazione delle persone per favorire l'ingegneria sociale. A pagina 4/5 di An Austrian Perspective on the History of Economic Thought: Vol 2, Murray Rothbard descrisse come egli demolì la teoria del costo-lavoro e dell'ecoomia basata esclusivamente sulla matematica. Poi, nello stesso libro, a pagina 15/16, scrisse:
In una sorprendente e acuta prefigurazione delle controversie moderne, Say prosegue spiegando perché le deduzioni logiche della teoria economica dovrebbero essere verbali piuttosto che matematiche. I valori intangibili degli individui, di cui si occupa l'economia politica, sono soggetti a continui e imprevedibili cambiamenti: “Soggetti all'influenza delle facoltà, dei bisogni e dei desideri dell'umanità, non sono suscettibili ad alcun rigoroso apprezzamento, e non possono, quindi, fornire qualsiasi dato per calcoli assoluti”. I fenomeni del mondo morale, ha osservato Say, non sono soggetti a un rigoroso calcolo aritmetico.
Ma Keynes era un matematico, piuttosto che un economista, non riuscendo a comprendere l'elemento umano. Un altro fattore importante ignorato da Keynes era il tempo. Un'azienda deve effettuare pagamenti prima delle sue vendite; deve acquistare materiali e assemblare gli altri fattori di produzione; deve pagare i fornitori, compresa l'acquisizione di livelli di produzione più elevati; tutto questo prima di vendere una singola unità della sua produzione. Equiparare, come fece Keynes, le vendite di oggi con il consumo di oggi è sbagliato, perché un'azienda deve pagare i propri dipendenti prima che la loro produzione venga realizzata, cosa per la quale richiede credito.
Il concetto di divisione del lavoro era solo una parte del Traité di Say. Nella sua Legge abbiamo estratto una verità lapalissiana: a lungo termine, e non nell'immediatezza implicita in Keynes, ci deve essere un equilibrio tra ciò che viene prodotto e ciò che viene consumato. Lavoriamo con le nostre competenze specialistiche per massimizzare la nostra produzione in modo da poter acquisire quei beni e servizi di cui abbiamo bisogno e desideriamo. Al centro dell'argomentazione di Say c'erano i cambiamenti nella domanda, i quali avrebbero portato a eccedenze di alcune merci e carenze di altre, che, se lasciate ai mercati, si sarebbero corrette attraverso il meccanismo dei prezzi (questa è una delle ragioni per cui non ha senso ignorare il ruolo del denaro e dei prezzi). Un calo dei prezzi di alcune materie prime creerebbe disoccupazione, questo è ovvio, ma le opportunità create altrove correggeranno sempre questa situazione nel tempo; è parte integrante del modo in cui il libero mercato si evolve per soddisfare i bisogni e i desideri dei consumatori.L'intervento dello stato è quindi indesiderabile e non necessario, e può solo ostacolare la naturale tendenza dei mercati ad adattarsi a una situazione in continua evoluzione, condizione necessaria per il progresso. Negando la Legge di Say, Keynes ci ha fuorviato affermando che un problema di aggiustamento a breve termine equivaleva a una condizione assoluta.
Inoltre la divisione del lavoro richiede risorse di capitale, compreso il lavoro stesso, senza il quale non può esprimere il suo potenziale.
Come matematico Keynes mostrò poca o nessuna comprensione del ragionamento aprioristico deduttivo. Invece manifestò un pregiudizio contro il reddito "non guadagnato" dei ricchi oziosi, i quali vivono degli interessi sul loro capitale. Ma il ruolo del risparmio venne affrontato da Say e spiegò perché il capitale come fondo di risparmio matura naturalmente interessi. Il capitale è uno strumento nel mondo degli affari e deve essere calcolato con attenzione. Proprio come le merci hanno un prezzo e il lavoro il suo salario, l'uso del tempo del capitale ha un costo e quel costo, il suo tasso d'interesse, è parte integrante del funzionamento dei mercati.
Il risparmio come fonte di capitale è necessario agli imprenditori e nei loro calcoli aziendali essi determinano quale tasso d'interesse è conveniente per loro. Questo non è il presupposto usuraio che Keynes attribuì agli avidi capitalisti che si astengono dallo spendere, limitando così il potenziale di produzione. Inoltre la macroeconomia matematica di Keynes ci ha portato in un vicolo cieco il cui punto finale è ora raggiunto.
Il suo Paradosso della parsimonia è un esempio calzante. Posticipate il consumo presente, risparmiando, e ci saranno meno consumi, quindi è necessario eliminare i risparmi per aumentare la domanda dei consumatori. In poche parole, quello era il suo livello d'ignoranza e dei suoi seguaci. Lo stesso con i tassi d'interesse e adesso tassi d'interesse pari a zero, e persino negativi in alcuni casi, hanno distrutto l'utilità del risparmio come fonte di finanziamento per le imprese.
La convinzione che l'abbassamento dei tassi d'interesse stimoli la produzione e il consumo è stata dimostrata fallace. Ci ritroviamo con quantità potenzialmente illimitate di valuta fiat, che nel tempo erode il proprio potere d'acquisto. E questa condizione è vera per tutte le principali valute fiat del mondo sviluppato: euro, yen, sterlina, franco svizzero e dollaro.
L'errore fondamentale alla base del finanziamento inflazionistico
In un'economia di libero mercato, con denaro sano/onesto che funge da intermediario nella divisione del lavoro, un certo consumo deve essere messo da parte per fornire una delle forme di capitale assemblate dalle imprese che anticipano le tendenze della domanda dei consumatori. È parte integrante del modo in cui i mercati allocano le risorse economiche. Il punto è che la fonte del progresso della condizione umana è il differimento di una parte del consumo. Possiamo confermarlo con l'evidenza: un'economia orientata al risparmio, come la Germania e il Giappone nei decenni del dopoguerra e la Cina di oggi, crea ricchezza per i suoi cittadini, mentre quelle nazioni che scoraggiano e distruggono il risparmio ottengono risultati opposti. E se non fosse stato per la capacità della loro gente di aggirare le politiche dei loro governi spendaccioni, queste economie avrebbero visto lo stesso livello di progresso di quel faro idealistico per i socialisti rappresentato dall'URSS e dalla Cina maoista.
Il ragionamento e l'evidenza ci informano che il risparmio è un elemento vitale del progresso economico e non può essere sostituito da un'espansione del credito scoperto senza conseguenze indesiderate. Il rifiuto di questa evidenza logica ed empirica da parte di Keynes è responsabile del declino del tenore di vita delle nazioni spendaccione rispetto a quelle che risparmiano. Oggi ha portato l'America a perdere il suo potere sulle nazioni rivali orientate al risparmio. Al contrario, in poco più di tre decenni la Cina si è evoluta sulla scia di uno straordinario livello di risparmio per sfidare l'America spendacciona, sia in termini di totalità della sua economia che di progresso tecnologico. La risposta dell'America è stata quella di fomentare la propria distruzione economica attraverso una guerra finanziaria impossibile da vincere per assicurarsi il finanziamento del proprio debito a livello internazionale, una guerra commerciale per far pagare ai propri consumatori prezzi più alti per le importazioni cinesi e di altra provenienza, e l'accelerazione dell'inflazione monetaria per pagare il proprio attivismo militare.
Il neo-keynesismo che si è evoluto dalla negazione delle ovvie verità di Say nelle prime pagine della Teoria generale di Keynes si è rivelato una truffa messa in piedi solo per inventare un ruolo per l'intervento statale. È ora di smascherare l'errore alla base di questo interventismo e delle sue conseguenze.
L'incapacità dello stato d'indirizzare le risorse economiche
Jean-Baptiste Say descrisse il ruolo del risparmio e come gli individui, o i loro agenti, forniscono il capitale per finanziare la produzione. Il capitale è sempre un elemento economico scarso e che richiede un compenso ai risparmiatori sia per la preferenza temporale, sia per il rischio di prestito; e in questi tempi di valute fiat, un premio aggiuntivo per riflettere i cambiamenti nel potere d'acquisto. E senza copertura statale, le aziende che pianificavano di realizzare profitti sulle loro iniziative si sono dimostrate abbastanza veloci nel correggere i propri errori e limitare le perdite sul capitale investito.
L'interventismo statalista ha rimosso questa disciplina. Imprese e consumatori hanno imparato che il credito non era più scarso; attraverso l'inflazione del credito un'impresa, il cui finanziamento ha beneficiato di rendimenti obbligazionari soppressi, sa di trarre ulteriormente vantaggio dal trasferimento di ricchezza dal prestatore, cosa che si riflette in prezzi più alti per i prodotti a tempo debito. È creando questo effetto che le banche centrali credono di poter stimolare la produzione, ma si tratta di una frode ai danni dei risparmiatori, che, naturalmente, decidono di acquisire partecipazioni in imprese che beneficiano di finanziamenti inflazionistici piuttosto che detenere depositi bancari e debiti a tasso fisso.
Oggi, in economie come gli Stati Uniti, il Regno Unito e l'UE, i risparmi per interessi svolgono un ruolo minore nel fornire capitale alle imprese. Al contrario, il capitale viene sempre più prelevato dall'inflazione monetaria e dall'inflazione del credito bancario. Mentre le banche effettuano valutazioni commerciali nei loro prestiti, le banche centrali e altre agenzie governative non possono esprimere giudizi commerciali.
Non solo non sono attrezzate per farlo, ma sono guidate da considerazioni politiche che danno poco o nessun peso al calcolo economico. Commettono l'errore di considerare il PIL come l'unico indicatore del loro successo, ma esso è solo un totale composto da transazioni in un dato periodo di tempo e aumenta solo in base all'espansione del credito. Non quantifica i benefici economici di tali transazioni. Il PIL include la spesa pubblica, spesa che nel complesso riduce il valore economico per i consumatori sottraendo loro ricchezza e imponendo loro monopoli statali.
Gli stati spendaccioni si sono assunti sempre più la responsabilità di finanziare tutte le passività economiche che non sono finanziate dalle banche commerciali. Di conseguenza la direzione del denaro fiat è inevitabilmente volta a sostenere interessi governativi e politici a scapito di un'economia di libero mercato dedicata al servizio del consumatore. Le corporazioni zombi, che impiegano un gran numero di lavoratori in modo inefficiente, realizzando e fornendo prodotti non alimentati dalla domanda dei consumatori, sono in prima linea per raccogliere le elemosine statali, perché i politici sono più interessati alla conservazione del lavoro che al progresso commerciale. I banchieri acquistano influenza politica con donazioni per proteggere i privilegi loro concessi e il presunto stimolo economico non riesce a raggiungere il grosso delle imprese, con le piccole e medie imprese che costituiscono l'80% paretiano di qualsiasi economia avanzata.
La mancanza di comprensione da parte di economisti e previsori statalisti che gli squilibri tra produzione e consumo sono l'inevitabile conseguenza dell'espansione monetaria, si manifesta anche nella loro convinzione che un aumento del livello generale dei prezzi sia impossibile in un'economia in contrazione. Ma la Legge di Say ci dimostra il contrario.
La Legge di Say spiega perché i prezzi non scendono in una recessione
Va notato che in un'economia di libero mercato qualsiasi livello di disoccupazione è una condizione temporanea, perché il lavoro è una risorsa di capitale richiesta per la produzione. Se il lavoro non è richiesto da un settore, sarà richiesto da un altro; questo fa parte del naturale processo di evoluzione del mercato.
Se il livello generale della disoccupazione aumenta, ciò è dovuto direttamente o indirettamente all'ingerenza dello stato, inclusa la manipolazione del credito. Se, come conseguenza di questa ingerenza, sorge un certo grado di permanenza nei livelli di disoccupazione, è ovvio che non sarà dovuto all'espulsione del lavoro dalla produzione di beni non desiderati, ma dall'occupazione della produzione più in generale.
I neo-keynesiani e persino i monetaristi presumono che quando ci sono alti livelli di disoccupazione, la domanda di beni viene distrutta. Presumono che i guadagni in aggregato siano necessari per assorbire l'offerta di beni e servizi, pertanto in una recessione o in una crisi il livello generale dei prezzi al consumo scenderà. Ad alimentare questa convinzione c'è l'esperienza della depressione degli anni '30, quando il livello generale dei prezzi scese notevolmente.
Altre prove del contrario vengono ignorate, come la stagflazione degli anni '70, quando nonostante l'aumento dei tassi d'interesse e la disoccupazione persistentemente elevata, i prezzi salirono a livelli elevati, in particolare nel Regno Unito. E in ogni collasso monetario, la distruzione dell'occupazione non ha impedito ai prezzi di salire a ritmi accelerati.
Il presupposto errato in tutte le analisi neo-keynesiane è che il valore del mezzo di scambio sia costante. Il motivo per cui i prezzi sembravano scendere negli anni '30 non era dovuto a un eccesso generale, ma a un crescente potere d'acquisto del mezzo di scambio: il dollaro saldamente legato a un gold standard prima a $20,67 e poi a $35 l'oncia all'inizio del 1934. Perché accadde? Perché ci fu una feroce contrazione del credito, provocata dallo scoppio di una bolla del credito gonfiata dalla FED sotto la guida di Benjamin Strong. Fu il precedente intervento monetario che portò alla depressione.
Sotto la presidenza di Herbert Hoover e poi Franklin Roosevelt, lo stato intervenne in ogni modo possibile per porre fine alla depressione, ma l'evidenza empirica suggeriva fortemente che se il governo degli Stati Uniti avesse adottato una politica di non intervento, la crisi si sarebbe conclusa solo in un anno o due invece di durare un intero decennio. Invece la colpa venne erroneamente attribuita al libero mercato.
Per quanto riguarda la convinzione moderna secondo cui i prezzi scendano in una recessione, essa ignora il semplice fatto che la distruzione della domanda dovuta all'aumento della disoccupazione porta anche alla distruzione della produzione: non solo i consumatori spendono meno in totale, ma producono anche meno. Questa è la prova indiscutibile della Legge di Say.
L'aumento dei tassi d'interesse non è finito
Un altro errore keynesiano è vuole che in una crisi la domanda di capitale monetario diminuisca, portando a tassi d'interesse più bassi. Si tenta, quindi, di prevenire il calo della domanda di capitale sopprimendo i tassi d'interesse e, più di recente, attraverso il quantitative easing.
Oltre a riflettere il rischio di prestito, i tassi d'interesse sono principalmente determinati dalla preferenza temporale, dal rischio di controparte e dal rischio monetario. La preferenza temporale è stata spiegata dal contemporaneo di Say, Turgot, e successivamente da Eugene Böhm-Bawerk. Bisogna ricordare che gli scritti di questi economisti vennero stesi durante un sistema di gold e silver standard, vale a dire, il credito era saldamente ancorato a una forma di denaro senza rischio di controparte e le variazioni del potere d'acquisto non erano generalmente un problema.
Oggi invece abbiamo le valute fiat e possiamo vedere come siano preponderanti sui tassi d'interesse le aspettative riguardo una svalutazione monetaria. L'argomento è di particolare interesse per i detentori marginali di una valuta fiat, in particolare gli stranieri che non la richiedono per le transazioni quotidiane ma solo per il commercio internazionale. Pertanto uno straniero che richiede saldi in dollari per finanziare acquisti sui mercati internazionali valuterà il potere d'acquisto futuro dei dollari rispetto alle sue esigenze aziendali e li venderà se l'interesse guadagnato non è sufficiente a soddisfare la sua preferenza temporale.
Negli ultimi mesi è emerso un altro fattore che determina i tassi d'interesse: la crescita del credito bancario statunitense è rallentata e ora si sta contraendo. Una crescente carenza di credito bancario in un momento di crescente domanda porta a tassi d'interesse più elevati. Tutto indica che i tassi d'interesse pagati sui depositi debbano salire per compensare chi prospetta un deterioramento del potere d'acquisto, e qualsiasi tentativo da parte della FED di sopprimere i tassi d'interesse e i rendimenti obbligazionari porterà di conseguenza alla svendita del dollaro contro le divise estere. Quando i detentori stranieri di dollari alimentano una corsa agli sportelli della valuta, ulteriori aumenti dei tassi d'interesse diventano inevitabili.
Finora, con circa $30.000 miliardi in depositi, buoni del Tesoro USA e asset finanziari a più lungo termine, una vera corsa al dollaro deve ancora iniziare, ma ci sono prove crescenti del pericolo. E mentre il dollaro ha perso terreno rispetto alle altre valute nell'ultimo anno, un ulteriore deterioramento del suo potere d'acquisto è destinato a manifestarsi nell'energia e nelle materie prime. Con il dollaro e le relative valute in calo di valore, gli stranieri quasi certamente le scaricheranno per comprare petrolio, rame e oro fisico.
La crescente consapevolezza che il loro potere d'acquisto viene eroso ci dice che le riserve di valute saranno scaricate da tutti, a meno che gli interessi pagati non li compensino a sufficienza. E le imprese che affrontano una stretta creditizia sono obbligate a liquidare i depositi in valute diverse da quella in cui registrano i loro conti. Inizialmente sono i depositanti stranieri a risvegliarsi di fronte al trasferimento della loro ricchezza verso i debitori e i loro governi attraverso l'inflazione monetaria. Prima che gli americani si rendano conto che anche loro dovrebbero ridurre la loro esposizione monetaria e creditizia al minimo indispensabile, il potere d'acquisto del dollaro sarà diminuito in modo significativo, misurato rispetto a tutto. I mercati saranno quindi interamente responsabili degli eventi, screditando le banche centrali e i loro governi; i tassi d'interesse saliranno.
Le bolle stanno scoppiando e continueranno a farlo. Il riprezzamento dei titoli di stato, ingenuamente considerati da banche, investitori e autorità di regolamentazione come rifugio sicuro, sta già minacciando l'esistenza di coloro che li detengono. E poiché l'intero sistema finanziario è stato gonfiato da un'espansione monetaria illimitata, il rischio è quindi quello di un collasso combinato di asset finanziari e valuta.
Se Keynes avesse capito a cosa voleva arrivare Say, avrebbe abbandonato la sua Teoria Generale e avrebbe invece promosso denaro sano/onesto, intervento statale minimo e libero mercato; inutile dire, quindi, che non ci troveremmo in questo pasticcio. Ma una volta diventato statalista, Keynes è sempre rimasto tale e non possiamo riportare indietro le lancette dell'orologio.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Considerando le analisi economiche e sociali fatte da Alasdair Macleod , mi chiedo cosa si potranno ancora inventare i governi socialisti spendaccioni occidentali.
RispondiEliminaNon penso proprio che questi governi ultra Keynesiani lasceranno il potere tanto facilmente.
Quale saranno le tattiche usate per continuare a calciare il barattolo: un nuovo virus (con nuova pandemia ), un controllo totale della popolazione con le CBDC, la crisi climatica con limitazioni o cosa altro ancora?
Giampiero Pagiusco