Bibliografia

venerdì 30 giugno 2023

Argentinizzazione e la fine dell'impero occidentale

 


di Francesco Simoncelli

L'inflazione è fondamentalmente una linea di politica dello stato. I politici vogliono più denaro di quello che possono ottenere tramite tasse e prestiti, di solito ne hanno bisogno per pagare programmi sociali costosi e improduttivi, come la ridistribuzione della terra (Zimbabwe), la corruzione degli elettori (Argentina) o la guerra (Germania). Detto in parole povere, l'inflazione è un modo per fregare i molti a vantaggio di pochi. E non è del tutto imprevedibile, dato che ci sono modelli approssimativi nei mercati e nella storia. Nei mercati il cosiddetto "trend primario" stabilisce un percorso che può continuare per molti decenni, indipendentemente da ciò che accade nelle notizie quotidiane. Il ciclo dei tassi d'interesse, ad esempio, può durare una vita: hanno toccato minimi storici dopo la seconda guerra mondiale, sono saliti e poi non sono tornati al minimo fino al 2020, più di 7 decenni dopo. Nella storia una delle tendenze più potenti è l'arco temporale di un impero: da un inizio serio, dinamico e umile (gli Stati Uniti nel XIX secolo) a un egemone potente, orgoglioso e ammirato (gli Stati Uniti nel XX secolo) fino a una senilità degenerata e in gran parte delirante (gli Stati Uniti nel XXI secolo).

Su una scala temporale ancora più ampia, la gloria dell'intero mondo anglofono, dalla vittoria sull'Armada spagnola nel 1588 alla sua stessa sconfitta in Vietnam, Iraq e Afghanistan cinque secoli dopo, è quasi del tutto sbiadita. Gli inglesi dominarono il mondo nel XIX secolo e l'America prese il comando dopo la prima guerra mondiale, governando il secolo successivo. Ma ora le sanzioni statunitensi colpiscono un terzo della razza umana, con risultati a dir poco deludenti; nonostante tutta la spavalderia della stampa generalista, i russi sembrano vincere la loro guerra in Ucraina; la Francia ha annunciato che potrebbe andare per la sua strada; i giapponesi si stanno riarmando; la Cina sta iniziando a svolgere un ruolo sempre più importante all'interno dei BRICS, mentre questi ultimi sviluppano la propria valuta di saldo commerciale e affermano la loro indipendenza. Il prestigio, il potere e la ricchezza degli anglofoni, rispetto al resto del mondo, stanno chiaramente declinando.

Negli ultimi sette anni, in particolar modo, ho voluto dare un nome a questa spirale discendente che non affligge solo il mondo anglofono, ma l'Occidente nel suo complesso. Il nome che ho scelto per semplificare il concetto è argentinizzazione. Tutti gli imperi finiscono per soccombere sotto una centralizzazione asfissiante e bancarottiera: possono conquistare, ma non resistono alla prova del tempo; possono distruggere i governi stranieri, ma non costruiscono democrazie; spendono soldi per mantenere in piedi una burocrazia metastatizzante, ma le entrate non basteranno mai a bilanciare la sua natura improduttiva.

La morale della favola, allora e ora: non finirà bene.


ARGENTINIZZAZIONE

Analizzare il passato dell'Argentina può aiutarci a visualizzare ciò che potrebbe, molto probabilmente, accadere in futuro sui nostri lidi. Quello che apprendiamo è che quando i Paesi finiscono in una spirale inflazionistica, quest'ultima comincia a sembrare l'ultimo dei loro problemi. Partiamo dalle basi, dall'azione umana: o gli individui decidono da soli ciò che vogliono e lo ottengono "votando" con i propri soldi, oppure lo decide qualcun altro. Quel "qualcun altro" è sempre il ficcanaso che finge di agire disinteressatamente per un bene più grande, un bene comune: l'uguaglianza, la salvezza del pianeta, il trionfo del proletariato, o qualsiasi altro slogan senza senso.

In Argentina, nel 1919, Roque Saenz Pena, allora presidente dell'Argentina, pensava di aver fatto un passo da gigante per l'umanità quando sostenne il suffragio universale per tutti gli uomini. Non solo permise loro di votare, ma la sua legge rese obbligatorio il voto. Poi, qualche anno dopo, anche le donne vennero coinvolte nel progetto. Gli oppositori sostenevano che alle masse mancava l'istruzione o la raffinatezza per votare in modo intelligente. Avevano ragione, ma i poveri sapevano cosa volevano e, nel 1946, per la prima volta nella storia argentina, un candidato riuscì a insediarsi nella Casa Rosada promettendo di dargliene di più. Juan Peron aveva un sorriso come la pubblicità dei dentifrici e sapeva far di calcolo: si era reso conto che c'erano più elettori poveri che elettori ricchi e i loro voti erano relativamente economici. La formula si rivelò un tale successo che venne utilizzata in Argentina per i successivi 7 decenni, mentre il Paese sarebbe scivolato nel baratro economico: dalla settima nazione più ricca della Terra alla ottantaseiesima!

Quello che è successo non è un mistero: quando si promette roba gratis, bisogna pagarla in qualche modo. Peron tassò i ricchi, le classi medie, le parti produttive dell'economia e diede il bottino alla parte improduttiva. La produzione colò a picco, ma la richiesta di roba gratis non calò e presto, esaurita la base imponibile, i politici si rivolsero ai prestiti. La formula precedente venne arricchita con altri fattori: tassare, spendere, prendere in prestito, andare in default, stampare denaro. Il Paese è andato in default nove volte. Nel 2001 l'Argentina andò in default sotto il peso del più grande macigno di debiti di sempre: $100 miliardi.

Quando le linee di credito si prosciugarono, gli argentini si rivolsero a quelle truffe a cui si rivolgono tutte quelle nazioni sull'orlo del fallimento: guerra e inflazione. La prima distrae la popolazione e la seconda la deruba. Nel 1976 i generali organizzarono un colpo di stato militare e presero il potere dalla seconda moglie di Peron, Isabelita. Nel 1982 attaccarono le isole Falkland/Malvinas. Nel 1989 l'inflazione era arrivata al 1.000%.

Poi Carlos Menem riavviò il ciclo: il peso sarebbe stato ancorato al dollaro, 1:1, e ciò avrebbe incoraggiato i mutuatari a prendere in prestito e i creditori a concedere prestiti. Ben presto, però, i debiti avrebbero sormontato di nuovo la capacità di rimborsarli e l'ancoraggio peso/dollaro sarebbe saltato in aria. Nei primi anni 2000 il tasso sarebbe passato a 3:1; quest'anno è quasi 400:1.

Perché gli argentini non mettono fine al ciclo spesa-prestito-default-inflazione? Perché una volta che ci si è dentro, l'unico modo per fermarlo è economicamente doloroso: recessione/depressione/fallimenti/disoccupazione. Ma la vera ragione per cui va avanti è perché diventa quasi impossibile, dal punto di vista politico, fermarlo. Tanto per cominciare, le masse vogliono roba gratis e poi finiscono per diventarne dipendenti. Ecco perché anche negli Stati Uniti — dove i “transfer payment” sono aumentati di 290 volte sin dal 1954 — sarà quasi impossibile fermare un tale ciclo. Ma la cosa più affascinante della finanza argentina è il modo in cui le persone sono disposte a lasciare che il passato sia passato. Sì, l'Argentina è un inadempiente seriale, ma ciò non ha impedito al Paese, nel 2017, di vendere obbligazioni a 100 anni per un valore di oltre $2 miliardi. Se la storia è una guida, gli investitori verranno spazzati via... non una, ma diverse volte, poiché il governo andrà in default cinque volte prima che giungano a scadenza.

Cosa apprendiamo da questa esperienza? Qual è la lezione da trarre dalla storia dell'Argentina e dalla nostra storia degli ultimi 25 anni?

Un sistema finanziario incline all'inflazione e al default non è la fine del mondo, ma richiede un atteggiamento diverso: meno fiducia e più prudenza. I soldi fiat marciscono più velocemente di un pomodoro maturo e tutti fanno a gara per liberarsene per primi. Le persone percepiscono di essere derubate e quindi non si sentono male se devono derubare il prossimo: un venditore casuale può gonfiare i suoi prezzi; un ristoratore potrebbe dare il resto sbagliato; un'azienda potrebbe fatturare in modo errato. E tutti "imbroglieranno" sulle tasse. Quasi tutti i grandi affari includono soldi "in nero" e "in bianco": non bisogna averne troppi dei primi per non dover spiegare dove li avete presi. Ogni transazione richiede un calcolo rapido e contabilità "flessibile"; ogni relazione richiede fiducia e verifica; ogni esperienza arriva con una certa dose di ambiguità, una fluidità morale e finanziaria. La divisione del lavoro ne risente ed emerge una società non più incentrata sulla cooperazione, ma sulla sottrazione.

È come fare un picnic sul fianco di un vulcano attivo: potete rilassarvi e godervi la giornata, ma dovete essere sempre pronti a correre.


INFLAZIONE

Per quanto le letture in entrata riguardo i dati dell'inflazione possano essere ottimistiche, non è stata ancora battuta. E non sarà sconfitta senza dolore economico. I ricchi devono perdere quando i loro asset calano di valore di valore; i poveri devono perdere poiché i programmi dello stato sociale diventano insostenibili. Inutile dire che dal punto di vista economico staremmo tutti meglio se le banche centrali permettessero a mutuatari e creditori d'impostare i tassi d'interesse piuttosto che farlo loro a tavolino. Poi in un mondo ideale staremmo decisamente meglio se fosse abolito il sistema bancario centrale, l'oro o Bitcoin fossero denaro e l'inflazione scomparisse. Ma c'è l'altro lato della medaglia da prendere in considerazione: quello politico e diviene quindi improbabile un tale esito. E fintanto che la politica controllerà il futuro del denaro, la sua direzione sarà verso il basso.

Il calo del tasso d'inflazione che vediamo ora in Europa, ad esempio, non significa che i tassi d'interesse più alti stiano funzionando: anche dopo più di un anno di "normalizzazione", il tasso di riferimento è ancora di 200 punti base al di sotto del tasso d'inflazione ufficiale e 130 punti base al di sotto del tasso d'inflazione di base. Mentre i numeri cambiano di mese in mese, la realtà di fondo è che il costo della vita è aumentato: i grandi mutuatari — banche, hedge fund, fondi pensione — possono ancora prendere in prestito a tassi assurdamente bassi; per le persone "normali", invece, l'interesse addebitato sui saldi delle carte di credito è del 25%. Negli ultimi due anni il costo della vita è salito a doppia cifra, in particolar modo in Italia dove si sono registrati aumenti di circa il 30% lungo la filiera dei prodotti alimentari. Inutile aggiungere, poi, che i salari reali hanno subito un destino impietoso.

Tutti questi segnali indicano un dolore economico crescente tra le fila della classe media, ma non è finita qui perché in questo contesto s'inserisce anche un altro fattore che rappresenta l'investimento "per eccellenza" della classe media italiana: gli immobili. Come c'informa il sito Money.it, “Affitti sempre più alti e prezzi delle case in vendita in calo: come cambia il mercato immobiliare”.

I prezzi delle case sono stati gonfiati dai tassi d'interesse ultra bassi della BCE. Togliete i tassi bassi e si sgonfia anche il mercato immobiliare. Chi possiede case? La classe media. I poveri ricevono sovvenzioni dallo stato attraverso il welfare, mentre i ricchi hanno le loro cedole e i loro dividendi; la classe media, invece, deve lavorare per i suoi soldi. La vera crisi per la classe media arriva quando la sua fonte principale di reddito viene depressa, il mercato del lavoro soffre, arriva la recessione e il tasso di disoccupazione sale.

Ed ecco quindi il perché diventa quasi impossibile vincere la "lotta" contro l'inflazione: chi sta in alto vuole proteggere i propri asset; chi sta in basso è diventato dipendente dai pagamenti dello stato sociale; chi, invece, sta nel mezzo è intrappolato tra il mercato immobiliare e il mercato del lavoro, percependo il dolore economico più intensamente. Non è più in grado di pensare al lungo termine e si unisce alle schiere di ricchi e poveri, chiedendo la fine — non dell'inflazione — ma della "lotta" contro di essa.


LA FINE DI UN IMPERO

Nel grande boom 2009-2022 tutto sembrava possibile, addirittura si pensava che il denaro crescesse sugli alberi per quanta liquidità ci fosse. Poteva essere usato per pagare guerre inutili, "investimenti" improduttivi, deficit a perdita d'occhio, società zombi, ecc. Ma l'arrivo dell'inflazione ha cambiato tutto: alza i prezzi e prezzi più alti rendono i consumatori infelici e gli elettori irrequieti. Il "tessuto sociale" si raggrinzisce e infine si strappa. L'inflazione danneggia soprattutto la classe media, visto che i poveri hanno i loro sussidi aggiustati all'inflazione e i ricchi hanno i loro asset finanziari potenziati dall'inflazione. La classe media non ha nessuno dei due, tutto ciò che ha è il suo tempo che vende a ore. Infatti l'inflazione deprezza il tempo: non si fanno investimenti a lungo termine, le obbligazioni a lungo termine scendono di valore e i salari orari reali si contraggono.

Nei Paesi con una forte inflazione, la classe media viene schiacciata così forte da scomparire. Venezuela, Argentina, Zimbabwe, mentre i tassi dell'inflazione salgono, la classe media sprofonda nella povertà. Ecco perché la democrazia è incompatibile con l'inflazione: i (molti) poveri dipendono dalle sovvenzioni dello stato e sono facilmente ingannati/corrotti. E i pianificatori centrali diventano bravi in questo compito: usano le loro capacità e il loro potere per arricchirsi a spese degli altri. Una democrazia funzionante ha bisogno di una classe media libera e informata, ha bisogno di una classe media che reputi sacra la proprietà privata, ha bisogno di una classe media che possa contare ciecamente sulla verità costante di questi due assunti. La scomparsa della classe media corrisponde a un'altra delle grandi presunzioni che non possiamo più permetterci: un impero.

Una delle caratteristiche dell'Impero Romano fu che distrusse la classe media, quelle persone il cui sangue, sudore e tasse avevano costruito l'impero stesso. Furono queste persone che raccolsero le spade dei loro padri e difesero Roma quando sembrava pronta a cadere ai piedi di Annibale, per esempio; furono loro a riempire i ranghi dopo la disastrosa battaglia di Canne (216 a.C.) in cui Roma perse dai 50.000 ai 70.000 soldati; e furono sempre loro a essere in prima linea dopo che tre intere legioni furono massacrate nella foresta di Teutoburgo nel 9 d.C. E come li ricompensò l'impero? Importando migliaia di schiavi. Non vi suona alquanto familiare?

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Ben presto i piccoli proprietari terrieri non poterono più competere con gli enormi latifondi coltivati dagli schiavi. Poi la valuta venne svalutata e le tasse salirono, ritrovandosi inizialmente a vendere le loro figlie per stare al passo coi tempi e infine vendere essi stessi come schiavi.

In sintesi, gli imperi hanno cicli di vita propri e una volta avviati sono difficili da fermare. È una spirale d'impoverimento; quello statunitense, ad esempio, costa circa $1.500 miliardi all'anno, sono circa $17.000 per famiglia all'anno. Le entrate fiscali statunitensi sono sufficienti solo a coprire la spesa interna, compresi i pagamenti del welfare (previdenza sociale, indennità di disoccupazione, ecc.). Siamo solo nel capitolo iniziale del declino e della caduta dell'impero americano ed è già politicamente impossibile pareggiare il bilancio, quindi l'intero costo delle disavventure americane all'estero deve essere preso in prestito o stampato. Si può ricorrere alla svalutazione monetaria senza un impero, ma è arduo avere un impero senza una svalutazione monetaria.

Inutile dire che prezzi al consumo più elevati sono praticamente una garanzia. E, tanto per ribadirlo, l'inflazione è il flagello della classe media: i salari reali diminuiscono, i prezzi salgono e la casa — emblema della classe media — diventa una trappola del debito. Le famiglie accendono prestiti per comprare case, poi rifinanziano i prestiti, ma devono avere tassi sempre bassi o perderanno le loro case. La banca centrale "stampa" per mantenere bassi i tassi, facendole sprofondare sempre di più nei debiti.

La contrazione della classe media condanna anche la democrazia rappresentativa. I pianificatori centrali usano il loro accesso alla "stampante monetaria" e il loro controllo del bilancio del governo per spremere quanta più ricchezza e potere, il più velocemente possibile, dal resto della società. I poveri, nel frattempo, diventano dipendenti dallo stato: esso paga per il loro indottrinamento e la loro istruzione, fornisce "alloggi a prezzi accessibili" e mutui sovvenzionati, distribuisce buoni pasto (carte di "indipendenza") e costringe i datori di lavoro a pagare salari "minimi". I pianificatori centrali, in realtà, li prendono costantemente in giro: consegnano le briciole e abbindolano i poveri con promesse di “risarcimenti” e un “reddito di base universale”. Perché i demagoghi prendono di mira i poveri? Perché ce ne sono sempre di più e i loro voti sono relativamente economici. Con meno elettori indipendenti nella classe media, il potere politico finisce nelle mani di coloro che sono maggiormente in grado di manipolare le menti delle persone: premiano i poveri con roba gratis mentre, attraverso le loro linee di politica, rendono i poveri più poveri e i ricchi più ricchi, concentrandosi esclusivamente sul mantenimento dell'impero.

Ma i cimiteri sono pieni di poveracci, banche fallite e imperi (presumibilmente) indispensabili.


CONCLUSIONE

L'esperienza dell'Argentina ci mostra che una volta che le masse diventano assuefatte alle cose gratis (stato sociale), l'inflazione è quasi impossibile da fermare. Praticamente tutti arrivano a credere che qualunque danno infligga, e per quanto terribile possa essere, dal punto di vista politico la deflazione è ben peggiore. Quando i nodi arrivano al pettine, i pianificatori centrali preferiscono sempre manipolare la valuta al ribasso piuttosto che al rialzo. Quando scelgono l'inflazione, i costi vengono spostati nel futuro; la deflazione, dall'altra parte, colpisce duramente e velocemente. Costa loro voti, influenza e potere. E quando più della metà degli elettori fa affidamento sulla roba gratis, nessuno si sognerà di fermare questa spirale discendente sia dal punto di vista economico che etico/morale. Ed è improbabile che quel partito politico che chiede un bilancio in pareggio sia quello che poi vincerà le elezioni.

Gli Stati Uniti, così come il resto dell'Occidente, sono sull'orlo di una fatidica decisione: combattere l'inflazione significa dolore per coloro che fanno affidamento sulla roba presumibilmente gratis (che invece paga qualcun altro), ma anche per i ricchi (i cui asset vanno giù) e l'intera classe politica stessa (il cui potere si sgonfia insieme a tutto il resto).


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2 commenti:

  1. Il PIL mondiale era di $50.000 miliardi nel 1999; ora invece è di $90.000 miliardi. Se il margine di profitto sul PIL extra (+$40.000 miliardi) fosse del 5% (cosa che in realtà non è dato che il PIL include la spesa pubblica su cui il margine di profitto è 0) parleremmo di $2.000 miliardi di guadagni che i mercati hanno capitalizzato con un rapporto P/E di 80 (per arrivare ai $160.000 miliardi segnalati da McKinsey)... circa 6 volte quello che, un tempo, era considerato "normale".

    Con un rapporto P/E "normale", il valore di quei $40.000 miliardi di produzione extra, con $2.000 miliardi di guadagni extra, sarebbe di circa $25.000 miliardi. Il resto ($160.000 miliardi meno $25.000 miliardi) è ricchezza "sintetica". Ciò che vediamo, in altre parole, è molto P e poco E.

    Le leggi dell'universo ammettono una sola realtà e uno di quei numeri dev'essere sbagliato. E poiché è improbabile che E si muova rapidamente verso l'alto, ed essendo molto più difficile da manipolare, sarà P a dover incassare il colpo.

    Inutile dire che sarà il sistema bancario centrale a decidere la questione: "Inflate or die". Se si continuerà a rialzare i tassi, riportandoli in un intervallo "normale" (2%-3% sopra l'inflazione), i prezzi degli asset scenderanno fino a quando non torneranno al punto in cui dovrebbero essere: una misura approssimativa degli utili che le aziende potrebbero produrre. Se invece si rinuncia alla lotta contro l'inflazione e si torna alle cattive abitudini di stampare denaro e prestarlo al di sotto del tasso d'inflazione, il divario si ridurrà lo stesso, ma più lentamente e più dolorosamente.

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  2. Come sempre il diavolo si nasconde nei dettagli. In questo caso è la dicitura "alla pari". Dal testo del MEF non si capisce bene il motivo per cui i BTP offerti debbano essere venduto alla pari, ma questa lacuna viene colmata dal Sole24Ore che, secondo le sue indiscrezioni, il collocamento viene fatto a nome della BCE che vuole trasferire la proprietà dei titoli di stato finora acquistati ai risparmiatori individuali e affini. Una partita di giro, insomma, per giustificare il prezzo alla pari dei titoli trasferiti che a oggi, dopo l'impennata dei rendimenti obbligazionari su tutta la linea, hanno perso di valore e creato un buco di bilancio nella BCE. Ennesimo squallido trucchetto d'ingegneria finanziaria per fregare tutti gli investitori: quelli che non possiedono salvatori di ultima istanza e devono accollarsi le perdite per gli errori che commettono, e quelli che acquistano questi asset perché (inconsapevolmente?) sono partecipi di una truffa.

    È la morale, i principi, che sono in vendita qui realmente. Finché ci sarà mercato, un prezzo, per questi "asset" allora i pianificatori centrali ne approfitteranno. Perché non dovrebbero in fin dei conti? È la domanda latente di statalismo che fa sopravvivere le storture socioeconomiche e ne diffonde il malessere, rendendolo persistente e pervasivo fino allo sfinimento. È sempre l'azione umana che conta, nel bene e nel male.

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