Dal punto di vista pragmatico, l'autore dell'articolo di oggi ha ragione. Ma quanto è utile questo pragmatismo quando tutt'intorno continua a dissestarsi, a marcire e a impoverirsi? Sappiamo che la marcescenza economica montante rappresenterà l'epitaffio dell'apparato statale e del feticismo riguardo l'autorità/ufficialità di cui si circonda per giustificare la sua presenza. Ecco che quindi la soluzione pragmatica prevede di entrare a farvi parte per cercare di "cambiare qualcosa". La realtà e il buon senso ci dicono, invece, che niente cambia proprio perché è la natura stessa dell'apparato statale e della pianificazione centrale ad avere i semi della propria distruzione e di tutto ciò che toccano. Prendiamo ad esempio la questione dei bail-out e delle crisi economiche "infinite". Il problema è quello che in economia si chiama "azzardo morale": se si permette a qualcuno di cavarsela senza conseguenze, probabilmente lo farà di nuovo. Se c'è una cosa che il capitalismo di libero mercato fa bene è premiare il successo e punire il fallimento. Se un'azienda fallisce a causa di decisioni sbagliate, la lezione per gli investitori è di smettere di finanziarla. L'economista Joseph Schumpeter definì questa "distruzione creativa": non bisogna sprecare capitale per sostenere i fallimenti; bisogna invece investire in aziende di successo, cosa che andrà a beneficio di tutti. I bail-out incoraggiano comportamenti rischiosi: banche, società finanziarie e grandi aziende ora sanno che in caso di crisi verranno salvate dallo stato. Ciò significa che verranno pompate enormi quantità di denaro fiat nell'economia in modo da salvare le aziende in fallimento nella speranza di sostenere un determinato status quo (insostenibile nella realtà). A causa di queste turbolenze finanziarie, sono emerse due cose che dovrebbero farci riflettere: 1) l'azzardo morale è diventato la regola piuttosto che l'eccezione; 2) l'infrastruttura finanziaria sta diventando sempre più fragile. La liquidità, la capacità del capitale di andare dove serve, è scarsa, sintomo dell'instabilità dei mercati dei capitali. Dal momento che il capitale sostiene la nostra economia, la ponderazione del l rischio e la remunerazione del rischio sono stati annientati. In conclusione, il feticismo per l'ufficialità è solo un costrutto mentale sapientemente inculcato nelle giovani leve sin dalla tenere età scolastica. Quindi la vera domanda non è tanto perché gli Austriaci non siano ascoltati, ma perché le persone sono sorde al buon senso; o per meglio dire, perché sono rese sorde di fronte al buon senso. La risposta è la scuola.
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Nell'edizione del 1955 del suo testo più venduto, Economics, Paul Samuelson affermava che gli economisti avevano finalmente determinato come funzionavano le economie:
Negli ultimi anni il 90% degli economisti americani ha smesso di essere "keynesiana" o "anti-keynesiana". Invece hanno lavorato verso una sintesi di tutto ciò che è prezioso nell'economia più antica e nelle moderne teorie sulla determinazione del reddito. Il risultato potremmo definirla sintesi neoclassica ed è accettata nelle sue linee generali da tutti tranne circa il 5% degli scrittori di estrema sinistra e di destra.
Attraverso un adeguato rafforzamento delle politiche monetarie e fiscali, il nostro sistema d'imprese miste può evitare gli eccessi del ciclo boom/bust e può guardare avanti verso una sana crescita progressiva. Compresi questi fondamentali, i paradossi che hanno privato i principi classici più antichi che si occupavano di "microeconomia" di gran parte della loro rilevanza e validità, ebbene questi paradossi ora perderanno il loro mordente. [...] Forse per la prima volta, l'economista è giustificato quando afferma che la spaccatura tra microeconomia e macroeconomia è stata sanata.
Il periodo 1955-1972 potrebbe essere etichettato come il periodo “sappiamo tutto” della macroeconomia. C'era un modello autorevole, che tutto vedeva e tutto spiegava. Facendo roteare le giuste manopole fiscali e tirando le giuste leve monetarie, il sacerdozio dei pianificatori centrali avrebbe potuto mettere a punto un'economia mondiale precedentemente imprevedibile.
Ma i modelli erano, nella migliore delle ipotesi, approssimazioni retrospettive, rapidamente rese obsolete dai tentativi di sfruttare l'interventismo politico. Ad esempio, il tentativo di sfruttare il trade-off della "Curva di Phillips" tra disoccupazione e inflazione ha finito per produrre più disoccupazione e più inflazione, perché i mercati riguardano le persone, non le palle da biliardo. Sebbene lo stato non possa migliorare le cose, un intervento statale aggressivo può certamente peggiorarle.
Questo è il cuore della risposta dell'economia Austriaca all'idea di modelli fissi, basati sull'equilibrio. Il problema secondo l'ottica Austriaca è la necessità di un modello per rappresentare l'economia aggregata e catturare gli effetti degli interventi politici. Gli Austriaci ritengono incoerente l'idea stessa di sintesi del “macro modello”. Per prima cosa, il livello di aggregazione richiesto per definire le variabili — PIL, occupazione, livello dei prezzi — esclude qualsiasi vettore identificabile di causa ed effetto, perché produzione, capitale e posti di lavoro non sono cose omogenee. L'aggregazione dello “stock di capitale”, in particolare, è un problema.
Supponiamo che io abbia fatto un accurato inventario delle "attrezzature" di un ospedale. Sul mio libro mastro posso segnalare che l'ospedale ha 31.718 "pezzi di equipaggiamento"; è abbastanza? Come ho discusso nel mio racconto sull'esperienza di assistere a operazioni mediche altamente specializzate e ad alta intensità di capitale, avere "attrezzature" non è sufficiente. È la struttura del capitale, organizzata in un modo particolare e in un particolare momento nel tempo, e che si estende in un futuro incerto, che rende il capitale prezioso o inutile. Affermare che una padella, un cardiofrequenzimetro e un set di strumenti chirurgici sono "tre apparecchiature" è scrivere sciocchezze e fingere di sapere qualcosa.
Ma anche se gli aggregati avessero un significato, le relazioni empiriche tra queste variabili non sono mai "in equilibrio". Le relazioni causali non sono nemmeno stabili a nessun livello, ma cambiano in modi complessi, come in un caleidoscopio. Un'istantanea dei dati, o l'aggregazione dei dati nell'arco di un mese per scrivere un modello, è già irrimediabilmente obsoleta nel momento in cui viene utilizzata per analizzare uno "shock" simulato, perché i cambiamenti nell'economia e le relazioni sono per definizione imprevedibili. Questo è un problema generale nelle scienze sociali, ma il problema della stabilità dei parametri anche a breve termine è severamente acuto nei modelli macro.
Perché la prospettiva Austriaca è così poco ascoltata, e di fatto quasi ignorata, nelle sale del potere? Bryan Caplan ha sostenuto che l'insistenza sulla differenza dell'approccio Austriaco è stata controproducente e penso che abbia ragione su alcuni punti. Ma penso anche che ci sia una spiegazione più semplice, basata sulle esigenze del discorso politico. La difficoltà incontrata dalla critica Austriaca è il requisito spesso citato secondo cui ci vuole un modello per battere un modello.
Questo punto di vista non è limitato ai keynesiani; ecco due economisti neoclassici favorevoli al mercato che sostengono la stessa opinione:
«La risposta è che ci vuole una teoria per battere una teoria; se c'è una teoria che è giusta il 51% delle volte, dovrebbe essere usata finché non ne arriva una migliore. (Le teorie che sono giuste solo il 50% delle volte possono essere meno economiche del lancio di una moneta.)» — George Stigler, 1987; enfasi aggiunta.
«Gioco secondo la regola che ci vuole un modello per battere un modello.» —Thomas Sargent, 2011; enfasi aggiunta.
Dire che l'economia è una competizione tra modelli è di per sé un errore. La critica Austriaca della pianificazione centralizzata si basa sull'affermazione che i funzionari statali, anche se motivati dai migliori scopi e obiettivi, non possono ottenere informazioni locali accurate, tempestive. Questa è un'affermazione empirica sul mondo, nel senso che è un'affermazione (falsificabile, in linea di principio) secondo cui è impossibile — non difficile, impossibile — "calcolare" i valori delle risorse e dei risultati necessari per "gestire" un'economia.
Ai sostenitori della pianificazione questo suona come un rifiuto dei modelli, perché le loro misurazioni "non sono ancora abbastanza buone". Infatti fu proprio questa la risposta di Oskar Lange, il quale giunse al punto di congratularsi (sarcasticamente) con i contributi di Ludwig von Mises nell'evidenziare il problema del calcolo economico:
«I socialisti hanno certamente buone ragioni per essere grati al professor Mises, il grande advocatus diabol della loro causa. Fu la sua sfida che costrinse i socialisti a riconoscere l'importanza di un adeguato sistema di contabilità economica per guidare l'allocazione delle risorse in un'economia socialista. Ancora di più, fu principalmente grazie alla sfida del professor Mises che molti socialisti si resero conto dell'esistenza stessa di un tale problema. E sebbene il professor Mises non sia stato il primo a sollevarlo, e sebbene non tutti i socialisti fossero completamente all'oscuro del problema come spesso si sostiene, è vero, tuttavia, che, in particolare nel continente europeo (fuori dall'Italia), il merito di aver portato i socialisti ad affrontare sistematicamente questo problema è tutto del professor Mises. Sia come espressione di riconoscimento per il grande servizio da lui reso sia come ricordo della primaria importanza di una sana contabilità economica, una statua del professor Mises dovrebbe occupare un posto d'onore nella grande sala del Ministero della Socializzazione o del Consiglio della Pianificazione Centrale di uno stato socialista.» — Lange, 1936.
Ovviamente i pianificatori centrali pensano che il problema del calcolo economico possa essere risolto con lo stesso tipo di apprendimento per tentativi ed errori invocato dai sostenitori dei processi di mercato. I commercianti in un particolare mercato — diciamo, per lo stagno — comprano e vendono per arbitrare le differenze di prezzo, e "il prezzo" riflette quindi il costo di opportunità della risorsa in quel momento, senza che nessuno comprenda appieno le fonti o gli usi di quello stagno. Come disse Hayek nel 1945, è molto importante che nessuno abbia bisogno di sapere perché il prezzo è a un certo livello; tutto ciò che chiunque deve sapere è il valore del prezzo in questo momento per poter decidere se acquistare, detenere, o vendere stagno.
Sembra che i pianificatori centrali la pensino allo stesso modo, ma l'analogia è fuorviante. Invece di utilizzare l'apprendimento per tentativi ed errori in un mercato, i pianificatori centrali vogliono estenderlo a tutti i mercati contemporaneamente... uno centralizzato ovviamente. C'è un'enorme differenza tra cercare a tentoni il prezzo e indovinare "il livello dei prezzi" nel complesso.
Ci ritroviamo quindi con due imperativi nettamente contraddittori, entrambi veri.
• In primo luogo, i tentativi di sfruttare le statistiche osservate e misurate su dati aggregati in passato sono nella migliore delle ipotesi non correlati, nella peggiore dannosi riguardo la capacità di gestire l'attività economica aggregata, l'occupazione, l'inflazione, o qualsiasi altra cosa che ci interessa.
• In secondo luogo, una raccomandazione a fare qualcosa e l'affermazione "abbiamo un piano" sarà sempre un vantaggio competitivo in politica e durante le elezioni; l'affermazione "non sappiamo nulla" e "l'intervento dello stato potrebbe fare più male che bene" è semplicemente insostenibile come raccomandazione politica.
In definitiva, alcune raccomandazioni politiche sono migliori di altre e gli imperativi politici di "fare qualcosa" sono semplicemente irresistibili. Nella misura in cui la prospettiva Austriaca si mette in panchina rifiutandosi di giocare, il campo di gioco viene occupato da squadre di economisti che peggiorano di molto le cose. I cattivi modelli, caratterizzati da punti di vista dogmatici, sono molto peggio di nessun modello.
Tuttavia ciò suggerisce una difesa dell'economia che spesso dimentichiamo. La maggior parte degli economisti, se si ha una conversazione sobria con loro in privato, ammette che i modelli sono nella migliore delle ipotesi approssimazioni temporanee e possono essere fuorvianti. Ma chiunque voglia lavorare per il governo, o essere ascoltato da importanti funzionari pubblici, deve fingere di credere che i modelli siano specificamente informativi e, in particolare, che siano i migliori. In breve, il problema non è tanto la nostra dipendenza dall'economia quanto la nostra dipendenza dalla politica. La politica insiste sul fatto che dobbiamo fingere di credere nell'illusione del direzionamento centrale dei mercati come linea di politica efficace.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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Immaginate di aver comprato un bel cappotto che durerà per il resto della vostra vita; è un'aggiunta una tantum al PIL. Ma immaginate che la qualità fosse talmente scadente da dover acquistare un nuovo cappotto ogni anno. Voilà! Ora state dando una spinta al PIL ogni anno.
RispondiEliminaVendite e profitti salgono, oltre a venir pagate commissioni, stipendi e tasse. Va tutto bene quindi? In realtà nessuno sta meglio. Al contrario, tutti stanno peggio perché ora bisogna comprare un cappotto nuovo ogni anno.
Quasi tutte le decisioni in politica si basano su questi numeri falsi, categorie bizzarre e teorie stravaganti. La BCE, ad esempio, prende sul serio le statistiche sull'inflazione (in gran parte fasulle) e con esse aggiusta i guadagni salariali nominali e i numeri del PIL (in gran parte privi di significato). Quindi impone un tasso d'interesse completamente surrogato e distorce/deforma l'economia.
Proprio come imporre "l'equità razziale" sulla base del colore della pelle e delle statistiche è falso e futile, nello stesso modo si cerca di controllare intere economie con misure fasulle e formule truffaldine. È come pilotare un aeroplano con strumenti falsati, o fare un'escursione nel deserto con una bussola difettosa. Non è che non arriverete da qualche parte, non andrete dove volevate andare.
Il denaro reale, come l'oro o Bitcoin, non può essere creato dal nulla. Deve essere estratto dal terreno oppure minato dopo aver risolto elaborate operazioni matematiche, lentamente e a caro prezzo. E poi una moneta d'oro, o una frazione di bitcoin, non si può "stampare": deve essere guadagnata producendo beni o servizi. Quindi c'è un limite alla quantità di "denaro" disponibile e alla quantità che può essere prestata come credito. Gli speculatori potrebbero ancora eccitarsi, sbagliare e farsi saltare in aria, ma poiché il debito sarebbe limitato, non potrebbero far saltare in aria l'intera economia mondiale.
Quando invece il denaro è fasullo, come il denaro fiat, tutto ciò che quest'ultimo tocca diventa inesorabilmente e progressivamente fasullo.