lunedì 1 maggio 2023

La linea sottile tra tribalismo e prosperità

 

 

di Barry Brownstein

Walter Grinder, grande paladino della libertà, è deceduto lo scorso dicembre. Era un eccellente studioso di letteratura e un leader presso l'Institute for Humane Studies. Si è speso affinché venissero rimosse tutte quelle barriere alla prosperità umana diffondendo gli ideali di libertà. John Hagel III, amico e collaboratore di lunga data di Walter, ha così commentato: “Walter era consumato dal desiderio di condividere le sue letture e i suoi pensieri con la sua rete di associati e protetti libertari, in modo che potessero vedere più chiaramente come si interfacciava con il loro lavoro e i loro interessi specifici”.

In una delle sue e-mail Walter ha scritto di aver tratto ispirazione dal lavoro dell'autrice turco-britannica Elif Shafak. Era meravigliato da “quanto ella conoscesse bene la condizione umana”.

Walter aveva compreso come le intuizioni sulla condizione umana sono fondamentali per comprendere quella forma mentis che favorisce od ostacola la prosperità umana. Su sua raccomandazione ho letto il romanzo di Shafak sulla guerra civile di Cipro, L'isola degli alberi scomparsi. Usando l'espediente narrativo di una coppia greco-turca divisa dalla guerra, Shafak impartisce saggezza poetica sui pericoli del tribalismo.

Il romanzo di Shafak racconta la discesa di quell'isola lussureggiante nell'odio tribale, mentre le persone compivano scelte sempre più primitive. I fanatici greci e turchi hanno lavorato senza pietà per instillare identità tribali, mettendo l'uno contro l'altro persino quei vicini affettuosi.

I tribali preferirebbero essere schiavi della loro identità piuttosto che membri di una società fiorente. Nel suo libro, Open: The Story of Human Progress, Johan Norberg ha citato il romanziere e saggista peruviano Mario Vargas Llosa:

Il "richiamo della tribù" – di quella forma di esistenza in cui gli individui si schiavizzano […] è sentito di volta in volta da nazioni e popoli e, anche all'interno di società aperte, da individui e collettività che lottano instancabilmente per negare la cultura della libertà. Le mentalità autoritarie nascono dalle questioni tribali.

Noberg ha poi aggiunto:

La mia ferma convinzione è che proprio perché siamo così tribali abbiamo bisogno di un mondo aperto e cosmopolita. Se non ci incontrassimo, comunicassimo e scambiassimo regolarmente idee con individui di altri gruppi, gli altri rimarrebbero per sempre il misterioso e pericoloso gruppo esterno, i barbari alle porte.

In The Road to Serfdom, Friedrich Hayek ha sottolineato che “l'uomo primitivo [...] era vincolato a un rituale elaborato in quasi tutte le sue attività quotidiane [...] era limitato da innumerevoli tabù e [...] riusciva a malapena a concepire di fare cose diverse dai suoi simili”. La crescita della civiltà, e quindi la prosperità umana, dipende dal superamento di tali limiti primitivi.

Prima che il conflitto tribale sfociasse in una guerra civile, Shafak descrive Cipro come una società con una rete di comunicazione e scambio: “Si diceva che greci e turchi fossero una carne e un'unghia. Non si può separare l'unghia dalla propria carne. A quanto pare si sbagliavano, visto che si poteva fare. La guerra è una cosa terribile, tutti i tipi di guerre lo sono, ma forse le guerre civili sono le peggiori, quando i vicini diventano i nuovi nemici”.

Quando iniziò il conflitto aperto negli anni '50, scrive Shafak, “i britannici credevano [...] che non ci fosse nulla da temere, perché come poteva esserci una guerra civile su un'isola così bella e pittoresca di fiori che sbocciano sulle dolci colline?” Quegli esperti si chiedevano come potessero “persone colte e civili [...] fare qualcosa di violento?” Le risposte a tali domande, come sempre, puntano verso l'inculcazione d'idee sbagliate.

Prima del conflitto, scrive Shafak, cristiani greco-ciprioti e musulmani turco-ciprioti lavoravano insieme. Poi, d'un tratto, questo è cambiato. “I leader politici e spirituali che rappresentavano un ponte con l'altra parte venivano messi a tacere, evitati e intimiditi; alcuni addirittura presi di mira e uccisi da estremisti della loro stessa parte”.

Greci e turchi assassinarono migliaia d'individui comuni. Apparvero cartelli "Morte ai traditori" e il tribalismo, ha scritto Shafak, alla fine trionfò: “Le strade non erano sicure. I turchi dovevano restare con i turchi, i greci con i greci”. Il commercio si fermò mentre le persone restavano a casa.

Shafak ha esplorato il modo in cui i tribali hanno eretto barriere contro la cooperazione pacifica: “Gli amici vendono gli amici. Questo è un tipo di male decisamente diverso, uno con cui non abbiamo ancora fatto i conti come umanità. È un argomento difficile in tutto il mondo: gli atti di barbarie che accadono fuori dal campo di battaglia”. La collettivizzazione attorno alle identità tribali favorisce la barbarie e i tribali si sacrificano prontamente quando si tratta di aderire a idee distorte.

Quando escludiamo "l'altro", rinunciamo ai frutti della cooperazione umana. Siamo sicuri che “loro” siano colpevoli, quando invece è il nostro fanatismo la causa della nostra sofferenza. Quando liberiamo gli altri dal nostro odio, liberiamo noi stessi.

Shafak ha scritto: “Penso al fanatismo – di qualsiasi tipo – come a una malattia. Insinuandosi minacciosamente, ticchettando come un orologio a pendolo che non si scarica mai, ti afferra più velocemente quando fai parte di un'unità chiusa e omogenea”.

Nel 1964 l'isola fu divisa. Dieci anni dopo, nel 1974, i turchi invasero Cipro e la spartizione, inclusa la capitale Nicosia, divenne permanente. Shafak scrive:

Alla fine di quell'interminabile estate [1974], 4.400 persone erano morte, migliaia i dispersi. Circa 160.000 greci che vivevano nel nord si trasferirono a sud e circa 50.000 turchi si spostarono a nord. Le persone divennero profughi nel proprio Paese. Le famiglie persero i loro cari, abbandonarono le loro case, villaggi e città; vicini e buoni amici si separarono, a volte si tradirono a vicenda.

Una zona cuscinetto larga fino a quattro miglia correva lungo la partizione permanente. Edifici e negozi all'interno della zona andarono in rovina. Shafak ha descritto la situazione penosa: “Le strade erano bloccate da bobine di filo spinato, pile di sacchi di sabbia, barili pieni di cemento, fossati anticarro e torri di guardia. Le strade finivano bruscamente, come pensieri incompiuti, sentimenti irrisolti”. Il commercio venne distrutto, poiché un “resort mondiale [...] divenne una città fantasma”. Shafak poi aggiunge:

Le spiagge di Varosha vennero delimitate con filo spinato, barriere di cemento e cartelli che ordinavano ai visitatori di stare alla larga. Lentamente gli alberghi si disintegrarono in ragnatele di cavi d'acciaio e piloni di cemento; i pub diventarono umidi e deserti, le discoteche crollarono; le case con i vasi di fiori sui davanzali si dissolsero nell'oblio.

L'odio tribale ha attraversato turchi e greci, ma Shafak ci tiene a sottolineare una cosa: “Ciascuna parte dirà solo la propria versione delle cose. Narrazioni che vanno controcorrente, senza mai toccarsi, come linee parallele che non si intersecano mai”. I tribali vedono solo il proprio dolore: “Le persone su entrambi i lati dell'isola hanno sofferto e le persone su entrambi i lati vi odieranno se lo diceste ad alta voce. Perché? Perché il passato è uno specchio oscuro e distorto [...]. Non c'è spazio per il dolore di qualcun altro”.

Quando gli odi tribali prendono piede, non c'è spazio per perdonare, né perdere l'identità di vittime. Shafak ha scritto: “Quando le anziane donne cipriote augurano il male a qualcuno, non chiedono che accada loro qualcosa di palesemente brutto. Non pregano per fulmini, incidenti imprevisti, o improvvisi rovesci di fortuna. Dicono semplicemente: che tu non possa mai dimenticare, possa tu andare nella tomba ricordando ancora”.

In breve, Shafak ci vuole dire una cosa importante: “Gli odi tribali non muoiono [...] aggiungono solamente nuovi strati a gusci induriti”.

L'autrice turco-britannica ha riflettuto su come le scelte sbagliate portino a una rovina inimmaginabile: “Se qualcuno ci avesse detto che l'isola sarebbe stata divisa in base a linee etniche e che un giorno avremmo dovuto cercare tombe anonime, non ci avremmo creduto”. L'odio tribale azzerò le aspettative per Cipro: “Ora non crediamo più che possa mai tornare a essere unita”. Tuttavia, poiché è avvenuta un'inimmaginabile rovina, Shafak offre la speranza che possa esistere una società aperta quando le persone fanno scelte migliori: “Ciò che pensiamo sia impossibile cambia con ogni generazione”.

Walter Grinder avrebbe convenuto che l'impossibile è possibile grazie al potere delle scelte. La luce creata dalla cooperazione umana è più potente dell'oscurità proiettata dall'odio tribale.

Cipro divisa potrebbe sembrare lontana anni luce dagli Stati Uniti, tuttavia Norberg ci avverte che gli esseri umani “sono predisposti sia al tribalismo che alla tolleranza, e l'atmosfera intellettuale rafforza diverse parti di questa complessa personalità. Una cultura che dice che il collettivo è tutto e l'individuo niente, trascinerà con sé il resto degli individui”. Per quanto distruttivi siano stati i leader tribali ciprioti di allora, gli attuali politici, educatori e altri non hanno imparato niente e incoraggiano gli americani ad adottare identità tribali. È finita male a Cipro e l'esito delle mentalità tribali che dividono gli americani può differire solo nella misura.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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