venerdì 3 marzo 2023

Laddove il Giappone si arrese, la Cina andrà avanti

 

 

di Francesco Simoncelli

Per capire il messaggio di questo fantoccio è necessario rivedere un po' la storia del Giappone. Dopo le bombe atomiche sganciate sul suo suolo dagli Stati Uniti, il Paese ha sviluppato una sorta di sudditanza e sottomissione nei confronti dello zio Sam. Sebbene più di recente sia diventato palese come il Giappone fosse il "laboratorio" degli Stati Uniti in materia di politica monetaria, dato che è stato il paziente zero del quantitative easing, in realtà sin dalla fine della seconda guerra mondiale lo è stato anche dal punto di vista sociale, industriale e culturale. Una prova in merito è la quantità di neologismi anglofoni che si sono sviluppati negli ultimi ottant'anni e che imperversano tutt'ora nel parlato giapponese. Ma al di là di ciò, e restando nel reame socioeconomico, possiamo osservare che le riserve in valuta estera da parte del Giappone sono investite esclusivamente in asset denominati in dollari. Se ci spostiamo un po' nel resto del continente asiatico, e prendiamo ad esempio la Corea del Sud che ha assetti politici ed economici simili a quelli giapponesi, le cose cambiamento nettamente.

Potremmo definirlo il "salvatore di ultima istanza", dato che questa linea di politica è stata molto utile nel corso della storia, soprattutto prima che saltasse in aria l'accordo di Bretton Woods. Inutile ricordare che dopo la seconda guerra mondiale le nazioni del mondo, piuttosto che ritornare a un gold standard, o un gold exchange standard focalizzato su due poli come accadde dopo la prima guerra mondiale, accettarono di considerare il dollaro il punto di riferimento per gli scambi commerciali internazionali e la Federal Reserve la banca di riferimento in caso di cash out dell'oro in essa parcheggiato. Molto dell'oro europeo era stato depositato presso di essa durante la seconda guerra mondiale e dopo, quindi la consuetudine d'averla come hub "affidabile" per il metallo giallo divenne legge con l'incontro a Bretton Woods. Il problema è che, come sottolineò anche Triffin a suo tempo, una valuta di riserva mondiale finisce per sviluppare i cosiddetti "deficit gemelli" (commerciale e interno) che alla fine portano a una costante erosione della fiducia nella valuta di riserva mondiale.

Senza contare che, parallelamente a questo fenomeno, se ne stava sviluppando un altro sulla scia del Piano Marshall: la nascita dell'eurodollaro. Ancora oggi nessuno sa a quanto ammonta con precisione questo sistema e che nel tempo ha costretto gli USA ad adeguarsi a situazioni di crisi che hanno costretto la FED a intervenire senza che ce ne fosse direttamente bisogno in patria. Il problema di fondo, inutile dirlo, è sempre e solo la pianificazione centrale dell'economia, alimentata ancor di più dalla natura fiat del denaro e soggetta all'arbitrio di un gruppo ristretto d'individui. Oltre a essere un mezzo di scambio, il denaro è un mezzo di comunicazione: veicola informazioni economiche tra gli attori di mercato. Quanto più precise sono queste informazioni, tanto più efficiente sarà l'ambiente economico; tanto più distorte saranno suddette informazioni, tanto più inefficiente sarà l'ambiente di mercato... e tanto più sensibile al ciclo boom/bust.

Il 1971 ha rappresentato un primo punto di rottura, reso indispensabile dalla necessità di placare governi esteri, come la Francia, che volevano ritirare il proprio oro dagli Stati Uniti. Inutile dire che anche qui ci sarebbe molto da dire, visto che l'oro parcheggiato sui lidi statunitensi, visto che non rendeva niente fermo lì, è stato rifuso in nuovi lingotti e dato in leasing altrove. D'un tratto c'erano due titolari che avevano la stessa rivendicazione sugli stessi lingotti: per quanto non potesse essere un problema per le trame nell'ombra, lo sarebbe diventato a livello d'imbarazzo alla luce del sole nel momento in cui i nodi sarebbero venuti al pettine. È l'essenza della bancarotta delle banche centrali moderne: non un problema contabile, per tutte tranne la BCE, bensì un problema d'immagine e infallibilità. La soluzione fu chiudere definitivamente la possibilità di ritirare oro presso la FED e demonetizzarlo una volta per tutte. In parole povere, nonostante gli abusi crescenti che gli stessi statunitensi avevano fatto del sistema monetario fiat, attraverso le politiche "Guns and butter" di Johnson sostanzialmente, non si sapeva come affrontare il problema del sistema bancario ombra che all'epoca era solo agli albori e già aveva fatto enormi danni. Presi dal panico, perché anche i pianificatori centrali cedono al panico, la risposta fu una pulizia dei mercati statunitensi tramite la recessione Carter/Volcker e lo sfruttamento dello stesso sistema ombra che aveva portato guai sui lidi statunitensi.

La finanziarizzazione progressiva delle economie mondiali le ha rese altrettanto sensibili al più piccolo shock nella catena d'intermediazione finanziaria che col tempo s'è sviluppata. La presunzione di conoscenza è stata quella di poter cavalcare questa tigre e pensare che le conseguenze sarebbero emerse in un futuro imprecisato, oltre all'arrogante determinazione di poter calciare la lattina ancora un po' più in là lungo la strada. È fondamentale comprendere il ruolo del sistema bancario ombra in questa storia, perché esso spiega le varie mosse che si sono susseguite nel tempo per cercare di arginare una diga in lenta frantumazione.

Quindi, tornando per un momento agli USA pre-1971, il costante deflusso di oro dalle riserve statunitensi attraverso il commercio doveva essere compensato in qualche modo da attori internazionali desiderosi di acquistare asset denominati in dollari piuttosto che fare cash out del metallo giallo. E qui entrarono in gioco i "sudditi" perfetti: i giapponesi accettarono un accordo per consentire allo yen di apprezzarsi e detenere titoli del Tesoro statunitensi come riserve estere piuttosto che l'oro. Sorpresa, sorpresa, cari lettori, i mercati dei cambi sono manipolati da market maker, i quali hanno in mente determinati obiettivi da far raggiungere agli asset di riferimento. Non importa quanto ci vorrà, ma accadrà; le regole convenzionali dell'analisi tecnica sono il loro modo per darsi delle regole da rispettare (il più delle volte) affinché i polli non capiscano l'inganno. L'accordo tra USA-Giappone riguardo lo yen portò a un "trade del decennio", anche due, molto profittevole: dal 1970 al 1990 posizionarsi long riguardo lo yen sarebbe stato vincente; non più poi dal 1990 in poi.

Nel 1980 venne eletto Ronald Reagan e la linea di politica negli Stati Uniti, come già sottolineato in precedenza, passò da un focus sul mondo del lavoro a un focus sul mondo finanziario. Uno dei principi chiave di una tale linea di politica era la libertà di acquistare ovunque fosse più conveniente, senza tener conto di alcun costo politico. Se il Giappone offriva una produzione di automobili più economica, allora era legittimo acquistare auto giapponesi, per esempio.

Consentire alle case automobilistiche giapponesi di competere direttamente con le case automobilistiche statunitensi ebbe anche un vantaggio secondario: il potere sindacale negli Stati Uniti era molto forte nel settore automobilistico, ma aprendolo alla concorrenza straniera, contribuì a ridurre il potere e l'influenza dei sindacati. Il Giappone venne usato come martello per spezzare il potere sindacale degli Stati Uniti, soprattutto nel settore privato.

Il boom della produzione giapponese negli anni '80 portò la nazione anche a superare l'industria dei semiconduttori statunitense. Poiché il mercato giapponese dei semiconduttori era dominato da produttori interni, ciò significava che alla fine degli anni '80 essi detenevano la quota di mercato maggiore. Ed è qui che iniziarono i problemi per i giapponesi: se avessero mantenuto il loro vantaggio tecnologico rispetto agli Stati Uniti, avrebbero dovuto affrontare una crescente pressione politica da parte di questi ultimi. La scelta quindi era duplice: soccombere, o tornare alle disastrose linee di politica degli anni '30 e competere apertamente contro gli Stati Uniti.

L'avanzamento tecnologico asiatico, Cina esclusa, è stato per molti anni superiore a quello degli Stati Uniti, sebbene le società statunitensi abbiano fatto registrare quote di mercato maggiori, motivo per cui anche se le vendite in Asia, Cina esclusa, sono state superiori a quelle degli Stati Uniti, la quota di mercato statunitense è rimasta superiore a quella di Giappone, Corea del Sud e Taiwan messi insieme. Va ricordato che non solo la Corea del Sud e Taiwan sono alleati militari degli Stati Uniti, ma entrambe sono ex-colonie del Giappone; inoltre né la Corea, né Taiwan hanno un equivalente sul suolo patrio di Tokyo Electron (produttore di apparecchiature per semiconduttori). Da notare, comunque, come si è espansa negli ultimi decenni la capacità della Cina nel campo dei semiconduttori, parte di un processo di emancipazione internazionale di cui discuterò nella prossima sezione e motivo per cui è ritenuta una minaccia all'unipolarismo mondiale a guida USA.

In sostanza, alla fine degli anni '80 il Giappone era un concorrente strategico degli Stati Uniti e ha preferito la stagnazione e una vita pacifica piuttosto che la rottura con lo zio Sam. Il Giappone è stato trasformato da concorrente strategico in alleato degli Stati Uniti, e dato il disastro che la seconda guerra mondiale fu per il Giappone, una decisione comprensibile. Utilizzando questa linea di pensiero, l'Abenomics ha segnato un cambiamento politico in Giappone, passando dal declino "gestito" a qualcos'altro.


LA SFERA D'INFLUENZA CINESE CRESCE

Aver ricordato la storia del Giappone ci permette, quindi, di capire il motivo per cui lo scontro Stati Uniti-Cina è entrato nel vivo. L'egemonia statunitense stessa è in gioco e l'obiettivo reale, nonostante tutte le guerre per procura, le sanzioni e le chiacchiere del maisntream, è la Cina. Da dove deriva questa minaccia percepita? Detto in parole povere, la Cina sta passando dall'essere una nazione orientata all'export a una nazione più "riflessiva", intenzionata a potenziare il settore interno. Ha cavalcato l'onda della globalizzazione accogliendo con gioia l'outsourcing di industrie e capitali provenienti dall'estero, sebbene il prosciugamento delle risaie di manodopera a basso costo sia un evento una tantum. L'effetto disinflattivo che hanno avuto la globalizzazione e le supply chain complesse ha permesso alle banche centrali di godere di un free ride non indifferente, ciarlando del proverbiale obiettivo d'inflazione al 2%. Ma quell'epoca è finita adesso e con essa tutte le distorsioni causate dalla ZIRP.

Nel frattempo la Cina ha stretto nuove alleanze, gettato le basi per un mondo multipolare e, soprattutto, non è particolarmente sensibile a shock dell'offerta dovuto alla riorganizzazione della logistica. Mentre l'Occidente si crogiolava sugli allori di una produzione a basso costo presumibilmente perenne, la Cina ha accumulato know-how, capitali e una certa affidabilità da parte dei suoi partner asiatici, rendendola un riferimento "spontaneo" nella regione e non imposto. La sua intenzione è adesso quella di espandere tale affidabilità, o almeno la sua percezione, anche ad altre nazioni. Prima di passare ai retroscena geopolitici, però, è bene approfondire il tema di come l'influenza della Cina sia cresciuta nel mondo, sia a livello commerciale che economico, in modo da comprendere pienamente il motivo per cui essa è una minaccia come il Giappone degli anni '80.

Infatti l'intelligence statunitense è "preoccupata" dalla sfera d'influenza che si sta espandendo a macchia d'olio da parte della Cina, non solo nei Paesi limitrofi ma addirittura negli Stati Uniti stessi. Una situazione analoga a quella che è emersa lo scorso dicembre in Italia, dove l'Ong Safeguard ha documentato l'esistenza di una sorta di "centri di polizia cinesi" attivi in diversi Paesi e ben 11 di questi presenti sul suolo italiano. Ma ovviamente la ramificazione non si ferma qui, sarebbe una connessione troppo labile. Infatti è l'energia la componente cruciale su cui la Cina sta puntando per estendere la sua sfera d'influenza altrove, non solo, ovviamente, per alimentare la macchina produttiva interna. In un recente pezzo pubblicato su Oilprice.com possiamo leggere come l'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai stia portando avanti questo compito:

In cima all'agenda energetica della Cina c'è il Medio Oriente, con l'obiettivo immediato di assicurarsi le più grandi riserve di petrolio e gas con cui continuare ad alimentare la propria crescita economica. L'obiettivo economico della Cina è superare gli Stati Uniti in termini di prodotto interno lordo entro i prossimi 10 anni e diventare la prima superpotenza economica mondiale. Pertanto non è solo sufficiente che la Cina si assicuri i più grandi bacini di petrolio e gas in Medio Oriente, regione che ancora rappresenta il più grande serbatoio collettivo mondiale di tali idrocarburi, ma anche che se li assicuri a spese degli Stati Uniti. Questo modello di crescita economica esponenziale alimentato dal petrolio mediorientale è quello che gli stessi Stati Uniti hanno utilizzato per molti decenni e ha senso che la Cina faccia lo stesso, approfittando anche della titubanza dell'Occidente nei confronti dei combustibili fossili. La riluttanza dell'Occidente a portare avanti gli investimenti nel petrolio e nel gas, mentre allo stesso tempo non costruisce un ponte infrastrutturale adeguato per passare all'energia verde come sostituto – in particolare il mancato investimento nell'energia nucleare – ha consentito alla sfera d'influenza cinese di sfruttare due enormi vantaggi. In primo luogo, la Cina ha continuato a utilizzare qualsiasi combustibile desiderasse per alimentare la propria crescita e a un costo molto inferiore rispetto alle alternative verdi dell'Occidente; in secondo luogo la mancanza di ponti infrastrutturali di transizione verso l'energia verde in Occidente ha reso l'Unione Europea dipendente dal grande partner della Cina in questo schema, ovvero la Russia.

Al vertice della struttura di potere cinese, Xi Jinping è un uomo che, oltre a comprendere appieno come gli Stati Uniti hanno forgiato la loro crescita negli ultimi 100 anni circa (l'acquisto di petrolio a buon mercato dal Medio Oriente è una componente chiave), comprende anche come ha fatto il Regno Unito nei 100 anni precedenti.

Un appunto sulla mancanza dei "ponti infrastrutturali di transizione" assenti in particolare in Europa: questa è una strategia deliberata da parte dei tecnocrati europei, come i lettori di questi blog sanno molto bene. Ma tornando all'argomento della nostra discussione, l'estratto qui sopra presentato sottolinea l'essenza strategica dell'energia a basso costo, efficiente e densa nel far progredire una società complessa e prospera. Negli ultimi due decenni la presenza economica della Cina è cresciuta in modo significativo in tutto il mondo, ma i progressi più importanti sono stati fatti in Medio Oriente e in particolar modo l'Arabia Saudita.

Nel 2001 il commercio dell'Arabia Saudita con la Cina era solo un decimo rispetto a quello combinato con l'UE e gli Stati Uniti. Sebbene il valore totale fosse modesto all'epoca, da allora è aumentato costantemente quasi ogni anno. Nel 2011 la Cina aveva superato per la prima volta gli Stati Uniti nel valore del commercio bilaterale con l'Arabia Saudita e nel 2018 aveva superato quello del Paese mediorientale con l'intera UE. Oggi la Cina è il partner commerciale più grande con l'Arabia Saudita rispetto al resto dell'Occidente messo insieme.

Lo status della Cina come partner commerciale principale dell'Arabia Saudita è documentato dal fatto che essa è il più grande acquirente di petrolio greggio al mondo e ne acquista più dall'Arabia Saudita che da qualsiasi altra parte. Quasi la metà del commercio bilaterale da $87,3 miliardi tra le due nazioni nel 2021 era costituita da importazioni cinesi di greggio. Ciò rappresentava il 77% delle importazioni totali della Cina dall'Arabia Saudita, le quali comprendevano anche merci come la plastica, un prodotto petrolifero. L'Arabia Saudita, nel frattempo, ha importato beni per un valore di oltre $30 miliardi, tra cui apparecchiature tecnologiche, telefoni e apparecchi elettronici.

A livello commerciale, poi, si potrebbero spendere fiumi d'inchiostro per descrivere l'avanzata cinese nel mondo, ma l'animazione che trovate su Visual Capitalist vale più di mille parole: fa vedere in modo esaustivo come l'iniziativa "One Belt, One Road" abbia progressivamente conquistato il mondo commerciale. Senza contare poi che la Cina è il primo Paese al mondo che ospita giacimenti di terre rare, risorse indispensabili per realizzare il sogno del "Green New Deal" europeo e statunitense. Di conseguenza la dipendenza commerciale estera non potrà far altro che aumentare, o perlomeno non diminuirà rispetto ai livelli finora raggiunti. E non dimentichiamoci che con il commercio vanno a braccetto due cose: le assicurazioni e la valuta. Le prime, infatti, stanno lasciando i centri finanziari e blasonati, come Londra ad esempio, e si spostano in nuovi centri che sono ansiosi di guadagnare credibilità a livello mondiale, come in India ad esempio. Visto che il commercio marittimo è in gran parte ad appannaggio di Russia, Cina e Asia, va da sé che tra sanzioni economiche e condanne nei confronti della Russia l'alternativa è d'obbligo. Per quanto riguarda la valuta, i BRICS hanno intenzione di svilupparne una nuova e internazionale per emanciparsi dal dollaro e da quelle occidentali che sono state "militarizzate". Siamo ancora nelle prime fasi, ma ciò che vale la pena di notare è che questo nuovo sistema monetario non sarà basato sul debito, in cui i partecipanti sono legati ad esso come servi. E infatti sarà coperto da merci e commodity.

L'importanza di questo nuovo sistema monetario non è tanto l'emancipazione da quelli esistenti, bensì il riconoscimento che esistono manipolazioni ad hoc in questi ultimi affinché vadano a vantaggio di alcuni e a scapito di tutti gli altri. Infatti il neonato Moscow World Standard ha intenzione di sostituirsi alla London Bullion Market Association, con la proposizione ben scandita di mettere fine alle manipolazioni di prezzo (al ribasso) dei metalli preziosi. Poi c'è lo SPFS, l'equivalente dello SWIFT occidentale ma di matrice russa, il quale ha l'obiettivo di integrare le nazioni e non sanzionarle secondo i capricci arbitrari di tecnocrati di turno. Insomma, la multipolarità del Sud del mondo sta emergendo in diverse sezioni della vita socioeconomico e per quanto la Cina non voglia ricoprire un ruolo egemonico come fatto dagli Stati Uniti finora (altrimenti i BRICS finirebbero sedutastante), vuole comunque essere un punto di riferimento.

Dal punto di vista monetario, lo sta diventando e l'ultima nazione che s'è associata allo yuan è l'Iraq. La banca centrale irachena ha annunciato che prevede di consentire il saldo degli scambi dalla Cina direttamente in yuan invece che in dollari. “È la prima volta che le importazioni dalla Cina verranno saldate in yuan, poiché finora sono state sempre saldate solo in dollari”, ha detto alla Reuters il consigliere economico del governo, Mudhir Salih. Dall'inizio della guerra in Ucraina diverse nazioni del Sud del mondo hanno iniziato ad allontanarsi dal dollaro nel commercio bilaterale con la Cina. Molti altri hanno scelto di aumentare le proprie riserve di yuan in un momento storico in cui l'egemonia del biglietto verde continua a indebolirsi.

Diversamente dagli anni dal Giappone degli anni '80, i guai economici si sono ingigantiti per l'Occidente rendendolo alquanto debole e fragile. La Cina è cresciuta, dapprima in sordina poi in modo manifesto, e adesso vuole approfittare del confronto tra Europa e Stati Uniti, oltre a scommettere sulla cancrena economica che s'è accentuata negli ultimi 40 anni. Gli Stati Uniti, infatti, non sono mai stati così esposti. E se davvero esiste un concorrente per il ruolo di valuta di riferimento mondiale oltre al dollaro, ebbene quel ruolo è tutto per lo yuan.


CONCLUSIONE

Il tweet di apertura di questo articolo è significativo: come fa a sapere un piccolo burattino il destino del mondo prima ancora che i fili vengano mossi? Non è un caso che a rafforzare questa tesi è arrivata dapprima la voce forte degli Stati Uniti, segnalando grossi guai militari in caso di rifornimento attivo di materiale bellico da parte della Cina nei confronti della Russia, e successivamente il fermento che sta montando nel Pacifico. Tecnocrati, pianificatori centrali e fazioni varie in questo grande gioco sanno benissimo che la partita geopolitica ed economica a cui giocano è arrivata a un punto di svolta: come sottolineava Mises in tempi non sospetti, quando l'ago della bilancia, in un'economia "mista", si sposta inesorabilmente verso il socialismo, il risultato è un caos pianificato. All'interno degli Stati Uniti ci sono diverse fazioni che stanno lottando affinché emerga la loro visione di piano futuro per rimettere in ordine i conti economici della nazione dopo decenni di deformazioni economiche, ma una cosa è certa: tutti vogliono tenere in piedi la supremazia statunitense per il futuro prossimo.

Sebbene il WEF abbia tentato di scalare la piramide del potere negli USA, dapprima con la crisi sanitaria e poi con la proxy war in Ucraina, facendo credere a tutti i player d'essere a bordo di un singolo piano per "salvare" il mondo dal default, credeva di poter gestire i neocon e usarli come "utili idioti". Non lo sono e se scatenati sono i peggiori guerrafondai: l'odio atavico dei neocon inglesi nei confronti della Russia e la volontà di smorzare l'imperialismo cinese incalzante da parte di quelli americani rappresentano il motore che continua ad alimentare la guerra e il patto faustiano che il WEF ha stipulato per avere un aggancio (uno tra i tanti altri) nelle relative società. Possiamo pensare al WEF come a un'agenzia di consulenza chiamata in causa per escogitare una exit strategy dal caos pianificato incalzante; ecco perché nel corso del tempo abbiamo visto il tramonto progressivo della politica nella vita pubblica e l'ascesa dei tecnocrati. Il problema è che la loro soluzione assomigliava sempre più a una tirannia digitale e alla fine andava a discapito anche degli interessi di coloro che invece doveva salvaguardare. Il modello cinese non ha convito tutti e soprattutto non in un momento storico in cui la Cina sta lavorando per competere con gli USA sulla scena geopolitica mondiale. Ecco che sono emerse spaccature all'interno di quello che all'inizio era una coalizione in questa gigantesca partita di Go, con la relativa frammentazione del mondo occidentale e l'unione di quello del Sud del mondo (BRICS).

Il WEF è rimasto col cerino in mano e i suoi piani di riformare il mondo attraverso la tecnocrazia si stanno spiaggiando, ciò che rimane è un manipolo di aspiranti tiranni che continuano a portare avanti la loro agenda assediati, però, da un lato dalla superpotenza asiatica che ha ritirato l'energia a basso costo e dall'altro dalla superpotenza americana che ha ritirato il capitale. Il risultato è il solito: tutti i piani presumibilmente ben congeniati da parte dei pianificatori centrali finiscono sempre in fallimento. E l'Europa sarà infatti l'epicentro del Grande Default.

Ricordate una cosa, però, cari lettori, qui nessuno è vostro amico: tecnocrati e pianificatori centrali faranno di tutto per salvare lo status quo e questo significa continuare a depredare il bacino della ricchezza reale nel processo. Schierarsi a favore dell'una o dell'altra parte nel dibattito politico, qualunque sia l'argomento, significa dichiararsi volontari per essere carne da macello sia a livello fiscale che a livello fisico. Per questo motivo è essenziale capire le cause di fondo dell'attuale stato di cose in modo da proteggersi e avvantaggiarsi rispetto ai propri pari che invece decidono volontariamente di andare al macello. È una guerra tra bande alla fin fine, il cui modello di saccheggio giustificato dal keynesismo è arrivato all'ultimo giro di giostra. Anche la Cina, infatti, è un gigantesco abominio keynesiano e ha le sue criticità a livello economico, ma questa è una race to the bottom e la vince chi arriva ultimo. Cina e Stati Uniti si stanno contendendo tal posto. L'Europa è fuori dai giochi, così come i suoi piani di gloria: scalare gli Stati Uniti e presentarsi di fronte alla Cina come partner paritario. Alleanze e contro-alleanze del WEF avevano lo scopo di arrivare a questo esito, facendo leva sulla presunta superiorità della cultura socioeconomica occidentale. Un tempo lo era, ma i cinesi hanno visto il bluff: è ormai una scatola vuota, svuotata da anni e anni di degrado monetario il quale ne ha inevitabilmente portato uno sociale. In parole povere, l'UE sarà spolpata fino all'osso nel confronto tra cinesi e americani.

Di conseguenza non è che se vince la NATO le cose andranno meglio, o se, viceversa, vince la Russia le cose andranno meglio: indipendentemente dal percorso si sta stabilendo sotto quale parrocchia ogni singola nazione si trasferirà. Il sistema BRICS ha l'obiettivo di creare una valuta internazionale basata sull'oro e le commodity, mentre il sistema europeo ha l'obiettivo di creare una valuta digitale controllata dalla banca centrale. In entrambi i casi è un sistema fatto apposta per tenere sotto scacco i sudditi e usarli come linfa per i propri scopi egemonici. Gli Stati Uniti invece sono divisi al loro interno, perché parallelamente a una soluzione ancora dirigista ce n'è un'altra decentralizzata. Innanzitutto la fazione dei "New York Boys" sta spremendo finanziariamente l'UE attraverso il prosciugamento del mercato degli eurodollari e l'emancipazione della FED dall'indicizzazione dei debiti interni attraverso il LIBOR. La volontà è quella di preservare in qualche modo la classe media americana, puntando sulla sua resilienza nonostante una recessione incombente. Non sono ciechi di fronte al potenziale rappresentato da Bitcoin e non è nemmeno un caso che gli USA continuino a mostrare, seppur indirettamente, un atteggiamento laissez-faire riguardo questo settore. Ultimo caso in ordine cronologico il Wyoming. Poi ci sono gli infiltrati della cricca di Davos, come la Yellen ad esempio, ma sono finiti in minoranza, e i neocon che per quanto possano favorire una soluzione top-down sono attualmente più impegnati a un confronto con la Cina piuttosto che ai guai interni. L'intensificarsi della guerra russo-ucraina va a loro vantaggio e non sorprende che molto probabilmente, come sottolineato da Seymour Hersh, ci siano loro dietro il sabotaggio del Nord Stream (con complicità della Norvegia). Due piccioni con una fava: minacciare implicitamente la Cina e punire l'UE per la sua "insubordinazione". Non dimentichiamo, infatti, che l'Unione Europea è un prodotto nato negli anni '20 negli USA dalla mente di Monnet, Fosdick e Rockefeller: un esperimento di laboratorio socialista.

Si suol dire "attenzione a quello che si desidera perché si può avverare", ebbene il Grande Reset non più a favore della cricca di Davos ma è stato rivoltato contro di loro. Volevano la decrescita e la stanno ottenendo alla grande, con la Germania che è stata messa in ginocchio dal punto di vista industriale. Dopo anni ad aver pasteggiato con l'energia a basso costo della Russia e i mercati dell'export cinese disponibili, l'Europa sembrava inarrestabile. Sono bastati un paio di rialzi dei tassi e un po' d'inflazione dei prezzi per far cadere questo castello di carte. La BCE, poi, sta andando alla cieca. Le industrie tedesche stanno delocalizzando o in Cina o negli Stati Uniti, e questo a sua volta si ripercuoterà a cascata sul resto della filiera a essa associata, compresa l'Italia. Senza contare poi l'approvvigionamento energetico che la sola Norvegia non potrà sopperire e se ne dovrà far carico la Turchia: stesso gas di prima proveniente dalla Russia ma a prezzi maggiorati. La desertificazione industriale dell'UE è stata praticamente sancita.

Tutti sanno che i nodi stanno venendo al pettine e nonostante le statistiche fasulle la percezione delle persone riguardo la realtà sta cambiando, allineandosi con una comprensione corretta delle cose e avendo la possibilità di costruire economie parallele grazie a Bitcoin. I tecnocrati ci proveranno con le CBDC e con la polarizzazione del discorso politico a sabotare questo tentativo, divide et impera, ma non sarà facile come in passato.


Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.

https://opentip.io/freedonia


1 commento:

  1. Credo che ci siamo davvero iniziano i primi cedimenti. Eurovita e' praticamente fallita se non interviene il fondo proprietario Cinven ad iniettare soldi. Hanno fatto un primo intervento da cento milioni che non e' minimamente bastato. Forse ce ne vorranno quattro cinque volte tanto.
    ironia della sorte Eurovita non ha fatto assolutamente investimenti rischiosi, ma e' tutto dovuto all'aumento dei tassi di interesse che abbassa i valori delle obbligazioni (eurovita ha in particolare obbligazioni tedesche e francesi). Gli obblighi di contabilita' internazionale costringono a ricapitalizzare.....
    Sono le conseguenze dei tassi di interesse zero o negativi. Prima o poi la devastazione finanziaria arriva.
    Ottimo articolo. Giampiero Pagiusco

    RispondiElimina