Bibliografia

lunedì 27 febbraio 2023

Legge di Say e ignoranza macroeconomica

 

 

di Alasdair Macleod

Probabilmente il più grande errore dell'economia moderna è stato l'abbandono della Legge di Say, altrimenti nota come Legge dei mercati. In poche parole, dimostrava che attraverso la divisione del lavoro, la produzione è saldamente legata al consumo e la prima è legata al secondo attraverso il denaro e il credito.

Mentre ci sono variazioni nei risultati della produzione dei singoli beni, nei mercati liberi non ci può mai essere un eccesso in generale. È questo che Keynes dovette smentire per creare un ruolo per lo stato, affinché potesse essere legittimato a intervenire e sopperire alle presunte deficienze del libero mercato. Mentre un'analisi ragionata mostra che Keynes non è riuscito a confutare la Legge di Say, è invece riuscito a convincere l'establishment mainstream che ci fosse riuscito.

Questo saggio ripercorre la storia della Legge di Say, dall'opera originale di Jean-Baptiste Say fino ai giorni nostri. Mostra come Keynes abbia piegato la verità sul libero mercato, che una comprensione della Legge di Say spiega perché l'intervento statale fallisce e perché i prezzi continueranno a salire nell'imminente recessione economica.


Introduzione

Negli anni '30 quegli economisti che cercavano di giustificare un ruolo economico per lo stato avevano un ostacolo da superare nell'economia classica: la verità evidente in quella che era definita come la Legge di Say. Conosciuta anche come la Legge dei mercati, la Legge di Say indicava che ci presentiamo in fabbrica o in ufficio per una giornata di lavoro in modo da poterci permettere tutte le cose prodotte da altre persone che rendono la vita tollerabile e persino piacevole.

Fa riferimento agli scritti di Jean-Baptist Say, un economista francese che nel suo A Treatise of Political Economy, originariamente pubblicato nel 1803, descrisse il rapporto tra produzione, consumo e il ruolo della divisione del lavoro nel modo in cui gli esseri umani si organizzano economicamente. Ottenne un risultato straordinario, definendo in modo molto dettagliato la scienza dell'economia e i ruoli del denaro e del credito, quando tale scienza era ancora giovane.

Questo è successo più di due secoli fa, prima che Marx proponesse il suo riassetto dell'economia in modo che, per conto dei lavoratori, lo stato acquisisse i mezzi di produzione e i rapaci capitalisti e i loro scagnozzi borghesi fossero costretti a sottomettersi alla volontà collettiva dei lavoratori.

Molto prima di Marx ed Engels, questa Legge dei mercati suscitava polemiche. Nel suo Principals of Political Economy, pubblicato nel 1820, Thomas Malthus sostenne che era sbagliata perché credeva che fosse la mancanza di domanda a portare all'eccesso di produzione e alla disoccupazione; secondo lui era incoerente con i cicli economici osservati. Malthus aveva guadagnato credibilità pubblica dopo il suo Saggio sui principi della popolazione del 1798.

La replica di Malthus fu pubblicamente confutata da James Mill, Robert Torrens e lo stesso Say. David Ricardo entrò in corrispondenza privata con Malthus sfidando il suo concetto di carenza della domanda. Questo dibattito continuò per tutta la prima metà del diciannovesimo secolo, quando gli economisti infine accettarono che un eccesso generale di beni non era plausibile. Dal punto di vista logico, quindi, una recessione nel senso di una domanda inadeguata era impossibile.

Malthus stava promuovendo un'argomentazione proto-keynesiana e questo punto fu ripreso dallo stesso Keynes nella sua Teoria generale come giustificazione per ribaltare l'economia classica:

La Legge di Say, secondo cui il prezzo della domanda aggregato della produzione nel suo insieme è uguale al suo prezzo di offerta aggregato per tutti i volumi di produzione, è equivalente alla proposizione secondo cui non vi è alcun ostacolo alla piena occupazione. Se, tuttavia, questa non è la vera Legge relativa alle funzioni della domanda aggregata e dell'offerta, c'è un capitolo di vitale importanza della teoria economica che resta da scrivere e senza il quale tutte le discussioni riguardanti il volume dell'occupazione aggregata sono futili. (Il principio della domanda effettiva, p.26)

Pertanto gli squilibri tra produzione e consumo rimangono ancora oggi al centro del dibattito economico, ma invece di accettare che non ci può essere un eccesso generale in un libero mercato come era accettato tra il 1850 e il 1936 (quest'ultima era la data in cui Keynes pubblicò il suo Teoria Generale), nel reame dell'economia mainstream tale questione è stata capovolta. La maggior parte degli economisti odierni sostiene, sulla base dei loro libri di testo neo-keynesiani e delle osservazioni sulle economie "gestite", che un eccesso generale è endemico in un libero mercato e che lo stato ha un ruolo nel creare una domanda bilanciata per paura della disoccupazione.

Anche se risolvere questa questione è sempre importante, lo è in modo particolare oggi perché è opinione comune che la maggior parte delle economie avanzate stia affrontando una recessione, o per lo meno difficilmente potrà evitarla. Vi sono anche questioni secondarie, in particolare le cause dell'inflazione dei prezzi, i cicli economici e il ruolo del denaro e del credito.


Definire la Legge di Say

Jean-Baptiste Say non definì mai la Legge che porta il suo nome: un tal compito venne lasciato ad altri. L'essenza della definizione è descritta nel Libro 1, Sulla produzione. Nel capitolo 15 scrisse quanto segue:

Se un commerciante dice: “Non voglio altri prodotti in cambio dei miei capi di lana, voglio solo il denaro”, non sarebbe poi così difficile convincerlo che i suoi clienti non potrebbero pagarlo in denaro senza esserlo prima procurato con la vendita di altre merci. “Quel contadino”, gli si può dire, “comprerà i tuoi capi di lana se il suo raccolto sarà buono, e ne comprerà più o meno secondo la loro abbondanza o scarsità; non può comprarne affatto se i suoi raccolti falliscono del tutto. Né puoi comprare tu stesso la sua lana, né lui il suo grano, a meno che non escogiti un altro modo per procurarti la lana o un'altra merce con cui comprarla. Dici che vuoi solo soldi in cambio; io dico invece che vuoi altre merci e non denaro. Infatti per cosa vuoi i soldi? Non è per l'acquisto di materie prime o scorte per il tuo commercio, o vettovaglie per il tuo sostentamento? Pertanto sono i prodotti che vuoi e non i soldi”.

E in una nota a piè di pagina a questo passo, aggiunse:

Anche quando il denaro viene ottenuto per accumularlo o seppellirlo, lo scopo ultimo è sempre quello di impiegarlo in un acquisto di qualche tipo. L'erede del fortunato lo userà così, se l'avaro non lo fa; poiché il denaro, in quanto denaro, non ha altro uso se non quello di mezzo di scambio.

Say stava descrivendo la divisione del lavoro e ne trasse l'ovvia conclusione: la produzione è indissolubilmente legata al consumo. Ciò che vale per il contadino vale anche per il commerciante; vale tanto per il consumo per la produzione quanto per il consumo finale. E in quella nota a piè di pagina, Say chiarì che il ruolo del denaro è quello di facilitare la divisione del lavoro essendo il ponte tra produzione e consumo. E, cosa importante, non fa differenza se il denaro viene utilizzato immediatamente o accumulato o risparmiato.

Poiché la Legge di Say non è mai stata scritta come tale, Keynes fu in grado di produrre la sua versione senza contraddizioni: “Il prezzo della domanda aggregata della produzione nel suo complesso è uguale al suo prezzo di offerta aggregata per tutti i volumi di proposizione, proposizione equivalente a non vi è alcun ostacolo alla piena occupazione”. Si trattò di un travisamento deliberato, a cui fece seguire un suggerimento per spingere il lettore nella direzione da lui desiderata: “Se, tuttavia, questa non è la vera Legge relativa alle funzioni della domanda e dell'offerta aggregate [...]”. Ma se il lettore della sua Teoria generale si prendesse la briga di leggere i trattati di Say, saprebbe che quest'ultimo descrisse anche le condizioni che potrebbero minare un'economia in una certa misura, comprese le proposte di Keynes che seguirono nella sua Teoria generale.

Pur dimostrando chiaramente che non esiste una sovrapproduzione generale relativa al consumo, Say ci dice che la sovrapproduzione di singoli prodotti può esistere ed esiste. Essa deriva da calcoli errati da parte dei produttori che sopravvalutano la domanda dei loro prodotti, a causa dei propri errori o perché i desideri dei consumatori sono cambiati. Quando ciò accade, chi è impiegato in una produzione sopravvalutata perde i frutti del proprio lavoro e perde anche la capacità di consumare. Mentre i valori per i singoli beni varieranno (e in effetti accade sempre), sarà chiaro che, nel complesso, il rapporto tra produzione totale e consumo totale rimane intatto.

Anche gli investimenti improduttivi non sconvolgono questo equilibrio. Lo spiegamento inefficiente di tutte le forme di capitale è una questione separata, la quale limita il potenziale dell'intera economia; e chi non produce per consumare deve essere sovvenzionato da chi lo fa. Casalinghe, bambini e anziani devono tutti essere sostenuti da altri nei loro gruppi familiari; il loro benessere alla fine deriva dalla produzione di qualcun altro, sia attraverso la beneficenza che attraverso le tasse. E se il consumo è finanziato attraverso la spesa pubblica in deficit, è una tassa nascosta sulla produzione. Mentre l'intervento dello stato in questo modo provoca squilibri temporanei che vengono appianati man mano che i mercati di beni e servizi si adeguano, l'equilibrio tra la produzione e il suo finanziamento del consumo è un dato di fatto.


Legge di Say e merci

Dobbiamo anche fare una distinzione tra i prezzi che riflettono i cambiamenti nella produzione e nel consumo e i prezzi che si riflettono nei cambiamenti nel livello generale dei prezzi. Il primo caso è coperto interamente dagli scritti di Say.

La confusione arriva quando si sviluppa una recessione. I macroeconomisti si aspettano un calo dei prezzi dovuto a un crollo della domanda: in altre parole, anticipano un surplus di produzione, un eccesso malthusiano. Potrebbe esserci un effetto negativo sui prezzi dovuto alla liquidazione delle scorte, ma si tratta solo di un effetto a breve termine e non spiega necessariamente l'entità di un effettivo calo del livello generale dei prezzi riflesso nel valore del mezzo di scambio. Mentre la produzione finanzia ancora il consumo e l'equilibrio tra di essi viene mantenuto, è il valore delle materie prime che sembra portare a un calo dei prezzi, perché l'inizio di una recessione dovrebbe portare a un surplus di materie prime, prima che le industrie estrattive reagiscano tagliando la loro produzione. I prezzi del petrolio e del gas sono particolarmente volatili a questo proposito, con gran parte del volume di estrazione che è insensibile alle variazioni della domanda. E i minatori spesso rispondono alla debolezza dei prezzi delle materie prime aumentando l'estrazione.

Il grafico qui sotto mostra il prezzo del petrolio WTI in dollari e le recessioni. La correlazione tra i due non è chiara, con il prezzo del petrolio che è aumentato all'inizio delle recessioni nel 1990 e nel 2007, mentre è sceso bruscamente prima della breve recessione del 2020; salvo poi scendere più tardi nelle recessioni del 1991, 2001 e in 2008. Laddove esiste una correlazione, gli effetti sui prezzi sul petrolio e su altre materie prime sono stati probabilmente esagerati dall'attività speculativa sui derivati, la quale nell'aprile 2020 ha persino spinto brevemente i prezzi del WTI in territorio negativo.

Ci sono anche variazioni di prezzo derivanti da cambiamenti nella valutazione della valuta. I prezzi del petrolio WTI sono saliti da sotto lo zero nell'aprile 2020 a un picco di $120 in soli ventitré mesi; e prima che i russi invadessero l'Ucraina, il prezzo era salito a $90.

Mentre possiamo ipotizzare che in una crisi economica è probabile che i prezzi degli input per quanto riguarda energia e materie prime possano diminuire a causa di risposte di output inflessibili se misurate in denaro sano/onesto, la situazione oggi è che tutti i mezzi di scambio sono valuta fiat. E data la volatilità dei prezzi misurati in valute fiat, le variazioni di prezzo provengono dalle valute in misura molto maggiore rispetto alle materie prime. Ciò è chiaramente illustrato nel nostro secondo grafico, il quale mostra il prezzo del petrolio sia in dollari che in oro, quest'ultimo essendo il denaro giuridico sia nel diritto romano che nei suoi moderni successori negli ultimi 1800 anni.

Il valore dell'oro stesso non è stato immune dalle influenze provenienti dalle valute fiat e dalla speculazione finanziaria sui derivati, conferendone una volatilità che altrimenti non sarebbe esistita.

Pertanto, mentre possiamo postulare che le variazioni dei prezzi delle materie prime durante i cicli boom/bust possono portare a una temporanea comparsa di carenze e sovrabbondanze di materie prime, l'evidenza è che la volatilità dei prezzi osservata nei valori delle materie prime è causata sostanzialmente dalle valute fiat. E quando queste distorsioni vengono lasciate correre, non sono la prova di un eccesso malthusiano. Inoltre l'evidenza empirica dei boom e dei bust durante il gold standard del diciannovesimo secolo conferma la nostra analisi.

Possiamo anche spiegare i prezzi dell'era della depressione. Sono crollati non a causa di un eccesso generale come ipotizzato da Keynes, anche tenendo conto dei fattori speciali che interessano l'industria agricola, ma a causa di un crollo del credito facendo quindi salire il potere d'acquisto dei sostituti dell'oro; le banche stavano crollando, distruggendo sia i valori patrimoniali che i depositi bancari. Questo è ciò che Keynes non riuscì a capire nel suo desiderio di sottomettere il libero mercato.


Intervento statale e regolamentazione

Il chiaro scopo della negazione malthusiana di Keynes nei confronti della Legge di Say, sulla base del fatto che non spiegasse le recessioni (implicito nel suo “equivalente alla proposizione che non vi è alcun ostacolo alla piena occupazione”), era quello di avvalorare la sua teoria macroeconomica secondo cui esiste un ruolo per lo stato nell'economia: riequilibrare il rapporto domanda/offerta. Persuadendosi che Malthus avesse ragione sul fatto che l'eccesso di produzione e la disoccupazione fossero la prova di una domanda insufficiente, negò la Legge di Say all'inizio della sua Teoria generale (a pagina 26 di 428).

Da allora i neo-keynesiani hanno creduto nello stimolare la domanda, in parte scoraggiando il risparmio (Paradosso della parsimonia) e in parte sopprimendo i tassi d'interesse che erano visti come un onere inutile imposto da pigri redditieri (il suo termine dispregiativo per i risparmiatori). Keynes scrisse: “Quindi è di massimo vantaggio ridurre il tasso d'interesse in base all'efficienza marginale del capitale, a quel livello in cui c'è piena occupazione” (si vedano le sue Note conclusive). Auspicò anche la cosiddetta “eutanasia delredditiero” e “[...] di conseguenza l'eutanasia del potere oppressivo del capitalista che sfrutta il valore di scarsità dell'interesse sul capitale”. Inoltre, per quanto riguarda gli investimenti di capitale, espresse il seguente auspicio:

Così potremmo mirare (non essendoci nulla d'irraggiungibile in questo obiettivo) a un aumento del volume del capitale fino a quando non cessi di essere scarso, in modo che l'investitore pigro non riceva più un bonus, e a uno schema di tassazione diretta che permetta di mettere al servizio l'intelligenza, la determinazione e l'abilità esecutiva dell'investitore, dell'imprenditore et hoc genus omni (i quali sono talmente affezionati al loro mestiere che la manodopera potrebbe essere ottenuta a un prezzo molto più basso di un regalo) e della comunità a ragionevoli condizioni di ricompensa.

La direzione in cui stava viaggiando la mente di Keynes era quella di sfuggire completamente al libero mercato, verso una teoria dell'economia statale. Il suo percorso correva parallelo a quello di Marx e dei sovietici.

Mentre pochissimi dei suoi successori l'hanno seguito fino in fondo nelle sue prescrizioni, tutti hanno concordato con lui sul tema dello stimolo economico. Notoriamente messo in atto da John Law nel 1716-1720 in Francia, l'espansione monetaria è il modo preferito dagli inflazionisti per compensare un'apparente mancanza di domanda.

L'espansione monetaria keynesiana nel contesto della Legge di Say significa che la domanda e l'offerta non si bilanciano più a vicenda, essendoci una domanda aggiuntiva la cui fonte non è abbinata dal lato dell'offerta. Il risultato è ovvio: indipendentemente dal livello generale dell'attività economica, una domanda eccessiva in base all'offerta disponibile fa semplicemente aumentare il livello generale dei prezzi fino a quando la domanda aggiuntiva non viene completamente assorbita nell'economia più ampia. Ciò è tacitamente ammesso dalla politica monetaria moderna, la quale mira a un'inflazione dei prezzi al 2%, ritenendo che sia una prova del "giusto livello" di stimolo o, in alternativa, la convinzione che sia la prospettiva di un aumento dei prezzi a far avanzare la domanda.

Dovrebbe essere chiaro a chiunque prenda in seria considerazione tale questione che utilizzare la prospettiva di un leggero aumento dei prezzi per creare domanda aggiuntiva significa perseguire l'obiettivo sbagliato. Attraverso la Legge di Say sappiamo che un aumento della produzione porta necessariamente a un'ulteriore domanda da parte dei consumatori. Invece della gestione della domanda, è stato dimostrato che la riforma dal lato dell'offerta ha benefici economici e la Legge di Say ne spiega il perché; ma allo stesso tempo richiede disciplina fiscale da parte dello stato per garantire che lo stimolo dal lato dell'offerta non sia finanziato dalla svalutazione monetaria. Molto meglio che lo stato non intervenga affatto. Purtroppo questo genio è fuoriuscito dalla lampada molto tempo fa, l'intervento statalista è addirittura raddoppiato estendendosi alla regolamentazione onnicomprensiva dell'attività economica.

Oggi questi obiettivi statalisti sono all'ordine del giorno. Nel suo Principals, Say ne approfondisce gli effetti. Riguardo alla regolamentazione, nel libro I, capitolo 17, sezione 1, scrisse quanto segue:

Quando l'autorità si mette in mezzo a questo corso naturale delle cose, e dice, il prodotto che stai per creare, quello che ti dà il massimo profitto, ed è quindi il più richiesto, non è affatto il più adatto alle tue circostanze, dirige una parte delle energie produttive della nazione verso un oggetto di minore desiderio, a scapito di un altro di più urgente desiderio.

Prima della Grande Depressione, questo punto era generalmente compreso. E in comune con altri, il governo degli Stati Uniti non aveva una politica generale d'intervento o regolamentazione. Ciò è cambiato dapprima con il presidente Hoover e poi il presidente Roosevelt. Creato il precedente, da allora l'intervento normativo si è intensificato mentre gli stati hanno conservato la più sottile patina di libero mercato. Di conseguenza i produttori non sono più i servitori dei consumatori, ma dello stato. Tanto è vero che il livello di redditività è spesso consentito solo come stabilito dalle autorità.

Say ci racconta un precursore della politica agricola dell'UE quando nel 1794 gli agricoltori francesi furono persino giustiziati per aver convertito i campi di grano in pascolo contro la politica agricola del governo rivoluzionario. Oggi vengono premiati per ridare alla natura i loro terreni agricoli. Questo desiderio statalista d'intromettersi ha una lunga storia, dimostrata dall'editto dei prezzi massimi dell'imperatore romano Diocleziano nel 301 d.C. L'evidenza empirica di questi episodi indica il loro comune fallimento nel raggiungere gli obiettivi statalisti.

La negazione moderna dei fallimenti statalisti è propagandata dagli stessi statalisti. Sicuramente Keynes lesse il Principals di Say e comprese i pericoli dell'interventismo. È difficile immaginare che abbia negato sia l'evidenza empirica che la sua spiegazione. È forse un'indicazione della fallibilità umana che i suoi seguaci siano stati similmente ingannati.

Un'altra area dell'interventismo è il commercio internazionale e Say ebbe molto da dire anche su questo argomento, concludendo che:

Il sacrificio che facciamo nell'approvvigionare gli stranieri con le materie prime non è più deplorevole del sacrificio degli anticipi e del consumo che deve essere fatto in ogni ramo della produzione prima di poter ottenere un nuovo prodotto. L'interesse personale è, in tutti i casi, il miglior giudice dell'entità del sacrificio e dell'indennità che possiamo attenderci; e, sebbene questa guida possa talvolta trarre in inganno, a lungo andare è la più sicura, oltre che la meno costosa.

Questa prima affermazione della Legge del vantaggio comparato venne ignorata dagli stati, con conseguenze talvolta catastrofiche. Lo sconsiderato Smoot-Hawley Tariff Act del 1930 non solo contribuì al collasso dell'economia statunitense, ma insieme alla sovrapproduzione agricola fu un disastro anche per il resto del mondo.

Possiamo vedere che dando la precedenza alle convinzioni malthusiane rispetto al sano ragionamento di J. B. Say, la classe politica non stava facendo il bene dei propri elettori molto prima che Keynes combinasse i suoi danni. E questi ultimi non si limitano a negare l'evidente rapporto tra domanda e offerta, ma si estendono anche alla corruzione del mezzo di scambio da parte delle autorità.

 

Il ruolo del denaro nella Legge di Say

In un libero mercato, poiché la produzione si trasforma in consumo, è necessario un mezzo di scambio tra i due. Non importa se tale consumo riguardi prodotti o servizi finali, o acquisire i componenti per l'assemblaggio di un prodotto o i macchinari di produzione, o il consumo differito sotto forma di risparmio. Anche se una persona decide di accumulare un mezzo di scambio, la sua origine è sempre la produzione e il suo rilascio finale facilita il consumo.

Ne consegue che la determinazione di un mezzo di scambio è una questione che riguarda chi lo usa, un fatto che mina tutte le teorie statali del denaro. In un libero mercato, i metalli, in particolare l'oro, l'argento e il rame, si sono evoluti come i materiali più adatti a essere denaro, essendo durevoli e divisibili in unità riconoscibili. Anche il loro valore di scambio è una questione esclusiva di chi li usa.

È importante comprendere che un mezzo di scambio non è la fonte della ricchezza: essa deriva da una produzione di successo che porta al consumo sotto forma di acquisizione di beni, che a loro volta hanno un valore di scambio. Pertanto quanto più avanzata diventa un'economia basata sulla produzione e sul consumo, tanto maggiore sarà la sua ricchezza. Ma il mezzo di scambio non è l'origine di tale ricchezza, anche se il suo accumulo, essendo consumo differito, è valorizzato e quindi è come se diventasse ricchezza stessa.

Questo è il ruolo del denaro, che oltre a facilitare uno scambio lo conclude completamente, senza lasciare eredità di rischio. Si può immaginare che affinché la Legge di Say sia vera, il mezzo di scambio debba essere sano/onesto, ma tale solidità è una questione diversa. L'altra forma di mezzo di scambio è il credito, dove in cambio della produzione il venditore ottiene non denaro, ma credito. Quest'ultimo include banconote e depositi bancari, cambiali e altri mezzi di credito trasferibili.

Quando esisteva il gold standard, il valore del denaro e dei suoi sostituti misurati in beni veniva stabilito tra gli individui che effettuavano transazioni. L'adozione diffusa della moneta metallica e dei suoi sostituti ha consentito di effettuare un arbitraggio internazionale tra valori locali in diversi centri di mercato: quando l'oro acquistava più consumo in una giurisdizione, avrebbe gravitato naturalmente in altre dove acquistava di meno. E la Legge di Say non si limita al commercio nazionale, infatti il commercio tra le nazioni è facilitato dal denaro giuridico e dai suoi sostituti, i quali accrescono reciprocamente la loro ricchezza.


Il ruolo del credito nella Legge di Say

In pratica il trasporto e la rifusione dell'oro in monete verso mercati esteri, i quali adottavano monete diverse, era macchinoso. Ciò diede origine ai sostituti dell'oro: credito cartaceo il cui emittente deteneva una riserva d'oro sufficiente affinché fosse accettato dai produttori come deposito temporaneo del loro consumo. Questa era la base del gold exchange standard, in cui le banconote, credito anche quando sono sostituti dell'oro, erano scambiabili con monete d'oro a discrezione dei loro detentori.

A questo punto della nostra esposizione, va ripetuto che il valore attribuito a questi sostituti dell'oro è interamente a discrezione di chi li usa. Pertanto un'emissione in eccesso rispetto al suo supporto aureo non indeboliva necessariamente il valore del sostituto, purché l'espansione della quantità di sostituti fosse in linea con la loro domanda. Questa regola si applica non solo alle banconote emesse da una banca centrale, ma anche al credito creato dalle banche commerciali. Infatti quando si parla di mezzo di scambio, o circolante, in pratica si tratta sempre di credito, anche quando vigeva il gold standard.

L'attrattiva del credito rispetto ai metalli è che esso permette alla produzione di svilupparsi dove prima non esisteva. C'è un esempio poco noto della creazione di credito bancario che rappresentò un grande vantaggio commerciale e fu un meccanismo messo in atto dalle banche scozzesi all'inizio del XVIII secolo. L'espansione del credito bancario per finanziare l'attività imprenditoriale divenne la base di gran parte delle odierne attività bancarie e quindi vale la pena raccontare questo episodio per illustrare il ruolo del credito delle banche commerciali.

La Bank of Scotland venne fondata nel 1695 con poteri di emissione illimitati. Emetteva solo banconote nei seguenti tagli: £100, £50, £10 e £5. Va tenuto presente che nella valuta odierna, £100 erano l'equivalente di £39.500, attualmente espresse in sovrane d'oro. Il piano della Bank of Scotland era quello di assistere e promuovere importanti clienti commerciali, in linea con le attività bancarie di Londra. Non avrebbe emesso banconote da £1 fino al 1704.

Il suo monopolio terminò nel 1727 e fu quindi costituita la sua rivale, la Royal Bank of Scotland. Il problema allora era che con l'economia scozzese non ancora sviluppata, non c'erano abbastanza cambiali commerciali disponibili per soddisfare entrambe le banche. Fu la Royal Bank a trovare una soluzione.

Ricevute sufficienti garanzie, si impegnò ad anticipare crediti d'importo limitato a favore di persone affidabili e rispettabili. Questi crediti erano conti di prelievo creati a favore di una persona che poi avrebbe gestito come un conto ordinario; invece di ricevere interessi sul saldo, gli venivano addebitati interessi. Nel bilancio della Bank era ascritto come attivo un prestito, controbilanciato da un deposito che rappresentava l'importo disponibile per l'utilizzo.

Stiamo parlando del precursore di un prestito bancario moderno, in contrasto con il sistema bancario che a Londra all'epoca ruotava attorno allo sconto di cambiali commerciali e al prestito pre-garantito su garanzie o depositi di metalli.

I crediti della Royal Bank venivano applicati in due modi diversi: per aiutare i privati negli affari e per promuovere l'agricoltura e la formazione di attività commerciali di ogni tipo. I terreni agricoli erano sottosviluppati per mancanza di capitale e il sistema del credito aumentò la produzione agricola e liberò gli individui intraprendenti dai vincoli della società feudale. Ma ciò che qui ci interessa particolarmente sono i prestiti a persone fisiche.

La Royal Bank e la Bank of Scotland, che successivamente entrarono in questa attività, limitarono inizialmente i loro anticipi a cifre tra le £100 e le £1.000 (l'equivalente in sterline odierne di circa £39.500 e £395.000). Non era richiesta alcuna garanzia, se non fideiussioni da parte di persone di levatura che conoscevano il mutuatario. Questi "garanti", come erano chiamati nella legge scozzese, avrebbero tenuto d'occhio il modo in cui i prestiti venivano investiti, avevano sempre il diritto d'ispezionare il conto del mutuatario e avevano l'autorità d'intervenire in qualsiasi momento. In una prova fornita a una commissione della Camera dei Comuni nel 1826, quasi un secolo dopo che la Royal Bank of Scotland aveva creato tale pratica, un testimone citò il caso di una modesta banca di campagna che aveva offerto linee di credito in contanti per oltre ventuno anni e aveva tirato su oltre £90.000.000, subendo perdite solo per £1.200.

Prima dell'esistenza delle banche che offrivano crediti in contanti, la Scozia era un Paese arretrato la cui popolazione era più impiegata nel furto di bestiame e nelle guerre con i vicini che nell'agricoltura pacifica. Soprattutto c'era una mancanza di denaro e l'economia era di sussistenza. La creazione del sistema di credito in contanti, insieme alla circolazione delle banconote della Bank of Scotland e della Royal Bank, accettate come se fossero denaro, portò a enormi progressi. Questo sistema sopravvisse persino alla rivolta giacobita del 1745.

Quando il sistema di credito in contanti si consolidò, venne ampliato per finanziare progetti più grandi. Il Forth and Clyde Canal venne costruito con un credito in contanti da £40.000, concesso dalla Royal Bank. Ferrovie, banchine e porti, strade e persino edifici pubblici vennero finanziati con credito in contanti.

Come esempio tra tanti, Henry Menteith fu due volte Lord Provost di Glasgow e successivamente membro del Parlamento per Linlithgow. Iniziò l'attività come mercante-tessitore con un modesto credito in contanti. Nel 1826 Menteith impiegava 4.000 uomini e donne. L'illuminismo scozzese del XVIII secolo, che ci regalò David Hume, Adam Smith, Robert Burns e molti altri luminari, deve la sua esistenza alla trasformazione della Scozia grazie al sistema di credito in contanti. In soli cinquant'anni la Scozia progredì dal punto di vista commerciale più di quanto avesse fatto nella sua intera storia.

Il successo del credito in contanti e l'adozione del suo equivalente da parte delle unioni di credito e di altre organizzazioni su base locale in Inghilterra e Galles, divenne successivamente non solo la base di alcune notevoli fortune, ma anche il fondamento su cui prosperarono molte imprese più modeste. Non c'è dubbio che l'evoluzione del credito bancario sia stata enormemente vantaggiosa, non solo per la Scozia ma per il Regno Unito in generale. E l'adozione a livello mondiale della legge bancaria inglese trasmise i benefici economici anche ad altre nazioni.

Il problema sono i cicli destabilizzanti di espansione e contrazione del credito bancario, non l'esistenza del credito bancario in quanto tale. Keynes non riuscì a capirlo, imputandolo a un fallimento del libero mercato e credendo che fosse la prova di un eccesso di produzione non compensato dal consumo. Ma i fatti sono indiscutibili: il credito ha creato la produzione e quindi il consumo fino alla prima guerra mondiale quando nel Regno Unito esisteva ancora un gold standard. Boom e bust sono creati rispettivamente dall'eccessiva espansione del credito bancario e dalla successiva contrazione. Non esiste alcun eccesso malthusiano.


Conclusione

Anche quando viene introdotto il credito extra come collegamento tra produzione e consumo, la Legge di Say è ancora valida. L'esempio scozzese sopra citato ne offre prova. Anche in un mondo basato interamente su diverse forme di credito, la sua verità non può essere negata.

Il rifiuto di questa ovvia verità da parte di Keynes e dei macroeconomisti di oggi è alla radice della cattiva gestione economica statalista. Naturalmente ci sono altri errori che possiamo identificare, ma molti di quelli importanti si basano sul rifiuto della Legge di Say. Con il mondo occidentale sull'orlo di una recessione economica, possiamo vedere che l'errore malthusiano di associarla a un eccesso di produzione sta fuorviando gli economisti mainstream facendogli credere che i prezzi crolleranno, giustificando così un'ulteriore inflazione del credito. Poiché questo credito non ha origine dalla domanda del mercato secondo la Legge di Say, il suo potere d'acquisto sarà eroso.

In una recessione, la Legge di Say spiega perché la produzione e il consumo si ridurranno in tandem, in modo che i prezzi non crollino. Gli analisti che la chiamano stagflazione non riescono a cogliere questo punto. Infatti basta fare riferimento a ogni evento d'iperinflazione per scoprire che crollano sempre, in riferimento al potere d'acquisto di una valuta, e in contemporanea ad una contrazione economica. Keynes aveva torto quando affermò che la Legge di Say “è equivalente alla proposizione secondo cui non vi è alcun ostacolo alla piena occupazione”; non è così.

Il libero mercato è il protagonista di una continua evoluzione dei desideri dei consumatori, con i produttori che li anticipano e si adattano a essi. Svincolata dall'intervento statale, la disoccupazione diventa necessariamente bassa man mano che viene richiesta manodopera con le sue varie competenze. Le variazioni del credito sono un fattore dirompente, ma ancora una volta, lasciate a sé stesso si correggono rapidamente e possono essere moderate correttamente. È il tipo d'intervento statale prescritto da Keynes il colpevole, il quale genera una crisi continua e che alla fine porta a una povertà diffusa.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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