I risparmi sono una componente vitale di qualsiasi economia di successo e la follia dietro il cosiddetto Paradosso della Parsimonia verrà prontamente esposta in questo saggio. È stato un grave errore per i keynesiani scoraggiare il risparmio nell'interesse di un temporaneo impulso al consumismo.
Probabilmente ora è troppo tardi, ma incoraggiare le persone a risparmiare rimuovendo tutte le tasse dai risparmi contribuirà enormemente a ridurre l'inflazione dei prezzi e il deficit commerciale, accrescendo al contempo la ricchezza nazionale. Ciò è evidenziato empiricamente e dimostrato dalla teoria ragionata.
Inoltre è sbagliato presumere che non ci sia alternativa al Dilemma di Triffin, il quale postula che affinché una nazione produca un livello significativo di valuta di riserva per la circolazione esterna, deve avere dei deficit commerciali. Triffin stava descrivendo i problemi che gli Stati Uniti ebbero con l'accordo di Bretton Woods, portando al fallimento del Gold Pool londinese alla fine degli anni Sessanta. Ancora oggi tende a fuorviare i policymaker statunitensi e porta erroneamente i commentatori americani a credere che il dollaro non possa essere rovesciato dalla sua posizione preminente.
Ma il Dilemma di Triffin presuppone che le banche centrali debbano accumulare riserve monetarie. A meno che un governo non si sia stupidamente indebitato in una valuta estera, non è necessario che lo faccia. Le riserve monetarie non aggiungono nulla alla stabilità di una valuta nazionale; l'oro ha svolto questo ruolo con successo e probabilmente lo farà di nuovo in futuro.
È un tasso di risparmio del 45% che è alla radice del potere della Cina; la mancanza di risparmio in America e tra i suoi alleati in Occidente è il loro tallone d'Achille.
Prove empiriche
Se ci fosse una politica fiscale che ridurrebbe l'inflazione dei prezzi al consumo, stabilizzerebbe una valuta fiat, incoraggerebbe l'allocazione del capitale per scopi produttivi e migliorerebbe le finanze pubbliche a lungo termine, quale sarebbe?
Rimuovete tutte le tasse sui risparmi.
Questa è la lezione della Germania Ovest e del Giappone della passata guerra, entrambi i quali subirono una sconfitta devastante e una distruzione economica durante la seconda guerra mondiale. Le loro valute erano senza valore, ma si ripresero per diventare potenze economiche rispettivamente in Europa e in Asia in poco più di due decenni. Entrambi implementarono politiche fiscali favorevoli al risparmio, le quali resero disponibile il capitale a tassi d'interesse stabili affinché le nuove industrie potessero investire nella produzione. La Germania sviluppò le sue Mittelstand e il Giappone costruì le sue Zaibatsu integrate verticalmente.
La Germania fu fortunata ad avere il suo ministro dell'Economia, Ludwig Erhard. Un sostenitore del libero mercato che il 20 giugno 1948 prese il toro per le corna e pose fine unilateralmente al razionamento lo stesso giorno in cui fu introdotto il nuovo marco, presentandolo come un'inevitabilità nonostante le critiche dei governatori militari delle zone britanniche e americane. In una settimana i negozi iniziarono a riaprire e le merci tornarono a essere ampiamente disponibili.
Nelle trattative con i governatori militari, Erhard riuscì ad ottenere agevolazioni fiscali sul reddito da risparmi e che attraverso il sistema bancario venivano investiti mettendo a disposizione capitali per la ricostruzione. Mentre lottava contro entrambi i governi militari nelle due zone per mantenere tasse più basse e per un trattamento favorevole per il risparmio, Erhard aveva gettato le basi per un'economia di libero mercato alimentata dal risparmio. Negli anni '80 l'unica imposta sui risparmi era un sostituto d'imposta del 10% sugli interessi bancari e sulle cedole obbligazionarie, generalmente non perseguite dalle autorità fiscali tedesche dato che sapevano che i tentativi in tal senso avrebbero spinto i risparmiatori a "scappare" in Lussemburgo e Zurigo.
Per questo motivo la Germania rimase un'economia orientata al risparmio con una valuta forte fino all'incorporazione del marco nel nuovo euro. Con grande confusione dei neo-keynesiani britannici e americani, i quali sottoscrivevano il loro caro Paradosso della Parsimonia, la Germania divenne la più ricca delle nazioni europee, a parte forse la Svizzera. In entrambi i casi, le valute forti hanno accompagnato la creazione di ricchezza.
L'opposizione postbellica a Erhard proveniva principalmente dal generale Sir Brian Robertson, il capo del governo di occupazione britannico, e dai francesi. Il comandante della zona di occupazione americana, il generale Lucius Clay, era più favorevole alle soluzioni di libero mercato. Gli americani avevano promosso A Plan for the Liquidation of War Finance and Financial Rehabilitation of Germany (1946), scritto per volere di Clay, e uno dei coautori era Joseph Dodge. Nel 1949 Dodge fu poi nominato per consigliare i giapponesi sulla ricostruzione postbellica come aiutante del generale MacArthur. Dodge fu determinante nel garantire che fino a un certo livello i conti di risparmio degli uffici postali fossero completamente esentasse. Probabilmente fu una svista deliberata da parte sua, ma la legge fiscale non impediva a un titolare di un conto di risparmio di aprirne un altro quando veniva raggiunto il limite di esenzione fiscale su un conto esistente.
Dodge implementò quella che divenne nota come "The Dodge Line". Insistendo su un bilancio nazionale in pareggio e raffreddando la stampante monetaria, pose fine all'iperinflazione. Il tasso di cambio tra lo yen e il dollaro si stabilizzò di conseguenza; l'intervento economico e l'interferenza statale vennero tagliati su tutta la linea. Facendo eco alle politiche di libero mercato di John Cowperthwaite a Hong Kong, Dodge si rese conto che il miglior progresso economico si otteneva eliminando l'interferenza statale, lasciando agli imprenditori giapponesi il compito di "badare" all'economia nazionale, i quali, nonostante la guerra, conservavano competenze e connessioni per gestire le loro attività. Con il supporto di MacArthur, eliminò i sussidi e i controlli sui prezzi. Alla fine Dodge fu richiamato in America, diventando il direttore del bilancio di Truman, dove nel giro di un solo anno aveva dimezzato il deficit federale degli Stati Uniti.
L'approccio di libero mercato di Dodge venne coadiuvato dall'assistenza di un altro consigliere americano, W. Edwards Denning. Quest'ultimo introdusse tecniche di controllo della qualità nella produzione giapponese che rivoluzionarono la produzione. Come conseguenza del contributo di Denning, il Giappone si evolvette rapidamente da un produttore di merci scadenti a uno della migliore qualità a livello mondiale.
Dietro questa rivoluzione c'era l'incentivo fiscale al risparmio: un semplice approccio che prevedeva che i guadagni tassati non dovessero essere tassati di nuovo. Questi, sia in Germania che in Giappone, non furono gli unici fattori che portarono a un'uscita dalla totale desolazione, ma furono gli elementi che permisero a entrambe le nazioni di continuare a prosperare. E in Giappone, nonostante il governo avesse abbracciato pienamente la filosofia keynesiana sulla scia della bolla speculativa della fine degli anni Ottanta, la cultura del risparmio persiste ancora oggi.
Dopo il suo periodo in Giappone, e mentre Joe Dodge lavorava per Truman, gli inglesi andarono nella direzione opposta, evitando il libero mercato, abbracciando il keynesismo, persistendo con il razionamento fino al 1954 e imponendo tasse punitive sui risparmi. Il declino della Gran Bretagna del dopoguerra e di gran parte dell'Europa non deve entrare nella nostra analisi, ma era una caratteristica di tutte le nazioni che attuarono politiche economiche di tassazione del risparmio.
La teoria del risparmio
Le prove empiriche sono chiare: a partire dalla seconda guerra mondiale, le economie che hanno abbracciato il libero mercato e il ruolo del risparmio personale hanno sovraperformato quelle che invece consideravano il risparmio come una facile fonte di gettito fiscale. Inoltre possiamo spiegare perché il libero mercato riesce a creare ricchezza per tutti, mentre un'economia diretta dallo stato è anti-progresso. Lo dimostrò l'economista Austriaco Ludwig von Mises, il quale in un saggio scritto nel 1920 spiegò l'inutilità della pianificazione centrale a causa della sua incapacità di eseguire calcoli economici. Le sue conclusioni, secondo cui lo stato non è in grado di allocare le risorse economiche, compreso il capitale, con la stessa efficienza dei capitalisti in cerca di profitto, si applicano a tutte le forme di socialismo.
In un'economia di libero mercato, gli individui sono costretti a provvedere ai capricci sconosciuti del futuro. Spesso attraverso polizze assicurative e piani pensionistici, mettono da parte una porzione del loro reddito per proteggersi dalle conseguenze finanziarie della malattia e dell'incapacità, provvedere alla loro vecchiaia e assicurarsi che ci sia qualcosa da tramandare ai loro eredi. Se il mezzo di scambio è sano, non è richiesta alcuna competenza finanziaria per preservare il valore sotto forma di depositi bancari. Nei limiti del loro acume, coloro che hanno una certa conoscenza finanziaria possono avventurarsi in altre forme di risparmio, come obbligazioni emesse dalle agenzie governative e persino acquisire partecipazioni in imprese.
Come sempre, gli investitori con abilità e conoscenza miglioreranno la loro posizione rispetto a quelli meno istruiti finanziariamente, il che è un anatema per i ridistributori di ricchezza. Ma la corruzione del credito, accompagnata dall'intervento monetario dello stato, impoverisce maggiormente coloro che mancano di capacità d'investimento, sempre i più poveri nella società. È ovvio, quindi, che un'economia che beneficia maggiormente del risparmio debba proteggere il valore del credito.
La rivoluzione keynesiana calpestò questo problema. Keynes liquidò i risparmiatori come redditieri, un termine con connotazioni negative, ma inutile dirlo tale categoria non era rappresentativa della popolazione più ampia che invece doveva essere sottoposta a "eutanasia", desiderio espresso apertamente nella sua Teoria Generale.
Fu così che Keynes inventò il Paradosso della Parsimonia, mentre scartava la Legge di Say per giustificare la sua Teoria Generale. Nel Capitolo 23 presenta le "prove" della distruzione causata dal risparmio; in precedenza nel Capitolo 3, affermò che il risparmio in eccesso avrebbe potuto condurre al “destino di Re Mida [...] supponendo che la propensione al consumo e il tasso d'interesse non siano deliberatamente controllati nell'interesse sociale ma siano lasciati principalmente alle influenze del laissez-faire”. Nel giustificare un ruolo per lo stato, il suo obiettivo, Keynes commise una serie di errori, i principali dei quali sono sorvolare sul ruolo del credito bancario (c'è solo un riferimento al credito in tutto il libro!) e se è il mutuatario o il prestatore a stabilire il tasso d'interesse. Per essere assolutamente certi del ruolo del risparmio in un'economia, e se può esserci un eccesso che porta al destino di Re Mida, dobbiamo esplorare ulteriormente gli errori di Keynes.
Le variazioni del tasso d'interesse non sono dovute alle effimere disposizioni dei redditieri, ma in gran parte alle fluttuazioni nell'offerta del credito bancario. È l'espansione di quest'ultimo che porta alla fase di boom, la quale a sua volta porta a una domanda in eccesso e alla speculazione facendo salire i prezzi, cosa che infine genera cautela nella mente dei banchieri. Questi ultimi poi restringono l'offerta di credito, il che aumenta il costo degli interessi. Ecco perché il ciclo del credito bancario non permetterebbe mai che si verifichi “il destino di Re Mida”. La conclusione di Keynes, secondo cui può esserci un eccesso di risparmio, si basava sulla sua (voluta) ignoranza riguardo la natura del denaro e del credito.
Inoltre anche l'assunto di base di Keynes, secondo cui era l'avidità del redditiero a imporre un costo non necessario e probabilmente immorale alla produzione, è errato. È lo stesso errore che porta oggi le autorità monetarie a presumere che manipolando il tasso d'interesse possano controllare il livello generale dei prezzi. Fu lo stesso Keynes a notare in precedenza questo errore, definendolo Paradosso di Gibson dopo che Arthur Gibson sottolineò la mancanza di correlazione tra i due. Poiché Keynes non fu in grado di spiegare il Paradosso, fece finta che non esistesse, e così fece anche ogni commissione di politica monetaria sin da allora.
Il Paradosso è reale e la spiegazione è semplice. I risparmiatori sono generalmente riluttanti a risparmiare, perché significa posticipare il consumo, una soddisfazione immediata barattata con una futura di valore meno certo. Di conseguenza un'impresa che necessita di capitale per la produzione deve aumentare il tasso d'interesse che è disposta a pagare fino a un livello in cui il consumatore è disposto a posticipare il suo consumo. È questo tasso marginale che bilancia la domanda di capitale con la disponibilità di risparmio in un'economia; e non si tratta solo d'impostare il tasso d'interesse per le banche, ma anche i tassi di rendimento per tutti gli asset finanziari e il costo del finanziamento per chi li emette.
Un altro elemento è la preferenza temporale per la quale i risparmiatori si aspetteranno un compenso. La preferenza temporale descrive il valore del possesso di denaro, o sostituti dello stesso. Un risparmiatore perde il valore del possesso fino a quando il suo denaro, o il credito, non viene restituito. Per semplicità, dobbiamo ignorare il rischio di controparte ma includere aspettative di variazioni del potere d'acquisto del denaro per il tempo in cui se ne perde il possesso.
Diventa chiaro che se un potenziale risparmiatore deve separarsi dal possesso di denaro, o credito, quando le prove indicano la sua svalutazione, chiederà ragionevolmente un risarcimento. Pertanto per il risparmiatore i tassi d'interesse non sono il costo del denaro, se non in senso strettamente addizionale e marginale. Per una banca centrale presumere che variare il tasso d'interesse possa controllare l'economia, non è quindi corretto. Le banche centrali hanno sbagliato strada, il che spiega perché non c'è correlazione tra la loro impostazione del tasso d'interesse e il tasso d'inflazione dei prezzi.
Inoltre Gibson sottolineò che c'è correlazione tra i tassi d'interesse e il livello generale dei prezzi, e non con il loro tasso di variazione. Questa correlazione è coerente con il calcolo economico di un imprenditore: per calcolare la redditività di un investimento, deve considerare il prezzo che si aspetterà per la sua produzione, facendo necessariamente riferimento ai livelli attuali. Può quindi calcolare il costo degli interessi che è disposto a pagare per assicurarsi il capitale necessario per il suo progetto e quindi valutarne la redditività.
La speranza nutrita da Keynes, che lo stato potesse stimolare l'economia a scapito dei risparmi oltre il brevissimo termine, è errata. Il suo Paradosso della Parsimonia, che Keynes usava per dissuadere la propensione al risparmio, era una conclusione tratta da questi errori. Sono i responsabili della difficile situazione in cui si trovano ora gli Stati Uniti, il Regno Unito e vari stati membri dell'UE.
Il risparmio nell'ambito delle finanze nazionali
Più di ogni altro fattore, la propensione al risparmio gioca una grossa influenza sulle finanze nazionali, essendo un "fattore di oscillazione" tra il bilancio di uno stato e la posizione commerciale nazionale.
C'è una questione importante che la maggior parte degli analisti ignora: il doppio deficit, per cui se il tasso di risparmio non cambia, un deficit di bilancio porta a un corrispondente deficit commerciale. Il motivo per cui i due disavanzi sono collegati in questo modo è dovuto alla seguente identità nella contabilità nazionale:
(Import - Export) ≡ (Investimenti - Risparmi) + (Spesa pubblica - Imposte)
In altre parole, un disavanzo commerciale è il risultato di un disavanzo di bilancio non finanziato da risparmi ma da credito addizionale. Ciò può essere confermato seguendo i soldi. Per un deficit di bilancio, ci sono solo due fonti di finanziamento: i consumatori mettono da parte una porzione della loro spesa per aumentare i propri risparmi al fine di sottoscrivere titoli di stato; in caso contrario, il sistema bancario provvede al finanziamento sotto forma di credito emesso dalla banca centrale o dalle banche commerciali, mettendo in circolazione ulteriore credito che prima non esisteva.
Il finanziamento di un disavanzo di bilancio mediante l'espansione del credito porta a un eccesso di credito in un'economia senza produzione corrispondente. Questo è il punto dietro la Legge di Say, la quale definisce la divisione del lavoro: produciamo per consumare e la funzione del denaro e del credito è quella d'intermediazione tra i due. L'iniezione di credito extra in un'economia non fa aumentare la produzione, ma aumenta la domanda complessiva, almeno fino a quando non viene assorbita in accordo con l'Effetto Cantillon.
Direttamente o indirettamente, questo eccesso di domanda può essere soddisfatto solo dai beni di consumo importati, perché non è disponibile un aumento della produzione interna.
Il ruolo del risparmio nel contesto delle finanze nazionali è molto importante. Un aumento del risparmio, infatti, va a scapito del consumo, motivo per cui gli economisti spesso lo definiscono come consumo posticipato. Affinché il consumo rimanga tale, è necessario che sia investito, nella produzione o nel debito pubblico, di solito attraverso le banche, i fondi pensione, le compagnie assicurative o altri canali finanziari che agiscono per conto dei risparmiatori.
Se la destinazione del risparmio aggiuntivo è l'investimento nel debito pubblico, viene trasformato in consumo dallo stato. Non essendo speso in beni di consumo aggiuntivi, il deficit commerciale diminuisce rispetto al deficit di bilancio.
Come notato sopra, nonostante le distruttive linee di politica keynesiane, i risparmiatori giapponesi rispondono a un aumento del credito trattenendolo nei loro conti di risparmio. Di conseguenza l'inflazione dei prezzi al consumo è contenuta rispetto a quella di altri Paesi. Mentre l'Eurozona ha adottato linee di politica simili sui tassi d'interesse e sta subendo una svalutazione registrata da un IPC superiore al 10%, in Giappone è di circa il 4%. In Cina, il cui tasso di risparmio è del 45%, l'inflazione misurata dall'IPC è attualmente inferiore al 2%.
Il dispiegamento di capitale da parte delle società giapponesi, la controparte di un aumento del risparmio, viene investito in miglioramenti della tecnologia e dei metodi di produzione, mantenendo i prezzi al consumo più bassi di quanto sarebbero altrimenti. Poiché i risparmiatori giapponesi sono coerenti nella loro cultura del risparmio, le società giapponesi hanno beneficiato di un costo del capitale relativamente basso e stabile, rendendo i calcoli aziendali più affidabili. Per il Giappone i risparmi sono il fattore di oscillazione positivo nell'ipotesi del doppio deficit.
Lo stesso vale per qualsiasi economia in cui vi è un disavanzo pubblico mentre allo stesso tempo vi è una propensione della popolazione a risparmiare piuttosto che a spendere. È la forza trainante dei surplus nell'export cinese, perché con la sola eccezione di Singapore, i cinesi sono i maggiori risparmiatori del pianeta. La posizione delle nazioni le cui politiche economiche sono state di tassare il risparmio e d'incoraggiare il consumo immediato, è diametralmente diversa. È il consumo finanziato dall'espansione del denaro e del credito, senza aumenti di risparmio, che ha portato a persistenti deficit commerciali negli Stati Uniti, gemellati con deficit di bilancio.
L'evidenza empirica conferma che un'economia alimentata dal risparmio ha più successo di un'economia alimentata dal consumo. La prima non solo protegge il potere d'acquisto della valuta riducendo la necessità di fare affidamento sugli afflussi di capitali esteri per finanziare i deficit interni, ma ha più successo nel creare ricchezza per i propri cittadini. È importante sottolineare che una valuta sostenuta da una cultura del risparmio può resistere a un livello maggiore di espansione del credito da parte del suo sistema bancario centrale senza conseguenze negative per i prezzi.
Tutto questo fintanto che le valute fiat continuino a funzionare come mezzi di scambio. Nel momento in cui una valuta importante, come il dollaro, fallisce, è probabile che tutte le valute fiat vengano destabilizzate. La cura per questo rischio è legare le valute fiat al denaro giuridico: l'oro. In assenza di tale legame, anche la valuta fiat più forte perde potere d'acquisto nel tempo. Lo yen giapponese ha perso il 95% del suo potere d'acquisto rispetto all'oro sin dal 1970, una media dell'1,83% ogni anno. Ma includendo gli interessi bancari esentasse, il risparmiatore medio giapponese ha quasi mantenuto intatto il valore del suo conto di risparmio postale, a differenza dei suoi equivalenti tassati nelle altre principali valute.
Fornire una valuta di riserva
Come ha affermato l'economista belga-americano, Robert Triffin, affinché una valuta sia disponibile a livello internazionale per fungere da valuta di riserva, sono necessarie politiche economiche e monetarie interne irresponsabili a breve termine. Triffin descrisse originariamente il motivo nel 1959: era un dilemma, che alla fine avrebbe portato a un'erosione della fiducia nella valuta stessa. Ebbe ragione otto anni dopo, quando il Gold pool di Londra andò in bancarotta, portando all'abbandono dell'accordo di Bretton Woods nel 1971.
Negli ultimi anni il dilemma è stato usato per giustificare i continui deficit commerciali, la cui controparte è l'accumulo di dollari in mani estere. Le eventuali conseguenze vengono ignorate. Attualmente questi dollari e gli asset finanziari statunitensi in cui sono investiti ammontano a oltre $30.000 miliardi, significativamente più del PIL statunitense. Questo totale è diminuito di oltre $3.000 miliardi l'anno scorso, principalmente a causa di un calo delle valutazioni di mercato. Ma ci sono state anche vendite estere nette di asset denominati in dollari, mentre il deficit commerciale degli Stati Uniti si è aggiunto al deflusso di ulteriori migliaia di miliardi di dollari.
Gli Stati Uniti ora sembrano trovarsi in una posizione simile a quella descritta da Triffin, l'inevitabile risultato di fornire al mondo la propria valuta di riserva. Inoltre la portata dell'accumulo di asset finanziari denominati in dollari è stata incoraggiata da una tendenza al ribasso dei tassi d'interesse che dura da quarant'anni. Il finanziamento interno dei disavanzi di bilancio, registrato dal tasso di risparmio, non è riuscito a eguagliare questo interesse estero.
Tuttavia gli investitori nazionali hanno realizzato notevoli guadagni di portafoglio insieme ai detentori stranieri di dollari. A guidare questi guadagni è stata l'inflazione del credito diretto negli asset finanziari, mentre la FED ne ha alzato artificialmente le valutazioni sopprimendo i tassi d'interesse fino allo zero.
Quando il tasso d'inflazione dei prezzi al consumo ha inaspettatamente infranto i limiti della gestione statistica – per molti anni analisti indipendenti lo hanno considerato molto più alto rispetto alle cifre ufficiali citando cambiamenti nella metodologia – è diventato chiaro che il mercato rialzista dei valori degli asset statunitensi era finito. Essendo nelle prime fasi di un mercato ribassista, questo cambiamento fondamentale deve ancora essere ampiamente riconosciuto, ma con i tassi d'interesse ufficiali ben al di sotto del tasso di aumento dell'IPC, gli investitori esteri sono certi di ulteriori perdite di portafoglio. Gli investitori nazionali presumono che gli stranieri chiederanno ancora dollari, quando le prove del perdurante deficit commerciale e le cifre TIC del Tesoro degli Stati Uniti confermeranno che invece stanno già vendendo.
Questa dicotomia tra attori esteri e interni non è insolita. Un esame dei precedenti episodi di valute in difficoltà conferma che le borse estere sono solitamente le prime a riconoscere che una tale valuta dovrebbe essere venduta, mentre gli attori interni di solito continuano a credere che essa conserverà il proprio valore.
Se non è troppo tardi, la soluzione per stabilizzare le valute fiat di oggi è rimuovere tutti gli ostacoli ai risparmiatori, nel tentativo di aumentare il tasso di risparmio. Ma quando una valuta è già in via di estinzione, la rimozione dei disincentivi fiscali potrebbe non essere sufficiente e dovrebbero essere prese altre misure per ridurre il deficit di bilancio al fine di ridurre poi quello commerciale. Ma questo ci farebbe incappare nel Paradosso dellla Parsimonia di Keynes: scoraggiare il consumo a favore del risparmio è considerato dai neo-keynesiani come recessivo quando la crescita economica è già in fase di stallo.
La decisione dei sauditi di abbandonare i dollari a favore dello yuan, passando dai petrodollari ai petroyuan, non poteva arrivare in un momento peggiore per il dollaro. Oltre ad affrontare un mercato ribassista per gli asset denominati in dollari, i detentori esteri ora scoprono che la sua giustificazione principale è decisamente sfilacciata. Quasi certamente il dollaro è sull'orlo di una crisi di Triffin.
Il ruolo futuro dello yuan cinese
Questa volta sembra che il dollaro non abbia nessun posto dove scappare. L'Asia è ora la regione geopolitica più importante, con circa 3,8 miliardi di persone e in rapida industrializzazione. Gli stati membri dell'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, dell'Unione economica eurasiatica e dei BRICS sono sempre più determinati ad abbandonare il dollaro, la sua egemonia e influenza. Come stanno dimostrando i sauditi e l'intero Consiglio di cooperazione del Golfo degli esportatori di petrolio, lo yuan cinese viene visto come un sostituto del dollaro per i pagamenti interasiatici. È probabile che anche il ruolo dell'euro, dello yen e della sterlina nelle riserve estere diminuisca allo stesso modo.
In questa fase la nuova posizione di riserva monetaria mondiale non è ancora chiara, con l'Unione economica eurasiatica che pianifica una valuta di saldo commerciale e i russi che inviano segnali vaghi ma ancora da decifrare. Malgrado ciò, nel contesto di Triffin e dei tassi di risparmio, la Cina non potrebbe essere più diversa dagli Stati Uniti.
La Cina ha un tasso di risparmio di circa il 45% del suo PIL, quindi non sorprende che l'inflazione dei prezzi al consumo sia inferiore al due per cento. Inoltre le finanze pubbliche hanno subito un duro colpo dalle politiche cinesi di lockdown e dalla crisi dello sviluppo immobiliare, lasciando un deficit di oltre $1000 miliardi nel 2022. Ma con un tasso di risparmio così elevato, il surplus della bilancia commerciale per il 2022 è stato ancora positivo: a $890 miliardi.
Il Dilemma di Triffin ci dice che affinché lo yuan diventi una valuta di riserva sostitutiva, il governo cinese dovrà iniziare a spendere come se non ci fosse un domani, tassando al massimo i risparmi nazionali. Solo allora ci si potrà aspettare che si verifichi un disavanzo commerciale, ma un simile voltafaccia nella politica economica distruggerebbe sicuramente la credibilità dello yuan. Del resto, dalla sospensione dell'accordo di Bretton Woods e dal rialzo dei tassi al 20%, ci sono voluti dieci anni affinché il dollaro assumesse il ruolo di moneta di riserva al posto dell'oro.
Poi c'è anche la questione della necessità di detenere riserve monetarie da parte del sistema bancario centrale in un futuro prossimo. Non solo l'alleanza occidentale ha fatto capire che il denaro fiat potrebbe essere reso inutile con un tratto di penna, ma il passaggio dal petrodollaro al petroyuan è il simbolo di un sistema monetario che ha fatto il suo corso. Il possesso di riserve ha avuto origine con l'obbligo per le banche centrali di coprire le proprie valute col denaro giuridico: l'oro. È stato l'abbandono di questo legame che ha portato alla necessità di possedere riserve monetarie, principalmente dollari. Ma a parte gli scopi limitati d'intervento internazionale, sembra ormai che ci siano poche ragioni per detenerli, in particolare per quelle banche centrali che sono diventate consapevoli del declino dell'influenza dell'alleanza occidentale.
La Cina con il suo surplus commerciale, pur mantenendo un equilibrio nei suoi pagamenti esportando capitali, non ha bisogno di altre riserve monetarie considerevoli. Il capitale esportato è in yuan, sotto forma di credito bancario, e ciò si accoda con i suoi piani per l'industrializzazione della Grande Asia e coi suoi fornitori in Africa e Sud America. Il governo cinese controlla le sue principali banche e può dirigere l'applicazione di questo credito in eccesso. Non è quindi necessario che la Cina distrugga le proprie finanze per fornire lo yuan come valuta di riserva, come inizialmente suggerito da Triffin.
In Asia è in atto una rivoluzione nel modo di pensare da parte delle banche centrali: stanno iniziando a sostituire le principali valute nelle loro riserve con yuan e persino rubli. Ma queste valute non sono disponibili in quantità sufficienti per sostituire i loro dollari, euro, yen e sterline. Questo è il motivo per cui stanno riportando indietro l'orologio e cominciando ad accumulare oro fisico.
In poche parole, è l'alto tasso di risparmio della Cina che dà al suo governo le risorse, il potere e l'opportunità di soppiantare il dollaro e la sua egemonia sulla Grande Asia e su gran parte del mondo in via di sviluppo. L'errore che ci ha portato al nostro declino è stato dar retta a Keynes e al suo Paradosso della Parsimonia.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
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