Nell'autunno del 1993 la famiglia di Fodé Diop stava risparmiando per il proprio futuro. Un brillante diciottenne che vive in Senegal, Fodé, aveva davanti a sé un brillante percorso come giocatore di basket e ingegnere. Suo padre, un insegnante di scuola, lo aveva aiutato a trovare ispirazione nei computer e nel connettersi con il mondo che lo circondava. E il suo talento atletico gli aveva procurato offerte per studiare in Europa e negli Stati Uniti.
Ma quando si svegliò la mattina del 12 gennaio 1994, tutto era cambiato. Da un giorno all'altro la sua famiglia perse metà dei suoi risparmi, non a causa di un furto, una rapina in banca o una bancarotta aziendale, bensì a causa di una svalutazione monetaria imposta da una potenza straniera con sede a 5.000 chilometri di distanza.
La sera precedente i funzionari francesi si incontrarono con i loro omologhi africani a Dakar per discutere il destino del “franc de la Communauté financière africaine” (o franco della Comunità Finanziaria d'Africa), ampiamente noto come franco CFA o “seefa” in breve. Per tutta la vita di Fodé, il suo franco CFA era stato ancorato al franco francese a un tasso di 1 a 50, ma quando la riunione a tarda notte si concluse, un annuncio di mezzanotte fissò il nuovo valore 1 a 100.
La crudele ironia era che il destino economico di milioni di senegalesi era completamente fuori dalle loro mani. Nessuna protesta avrebbe potuto rovesciare i loro padroni economici. Per decenni, i nuovi presidenti sono andati e venuti, ma l'accordo finanziario sottostante non è mai cambiato. A differenza di una tipica valuta fiat, il sistema era molto più insidioso: era colonialismo monetario.
I MECCANISMI DEL SISTEMA CFA
Nel loro libro, Africa’s Last Colonial Currency: The CFA Franc Story, gli studiosi di economia Fanny Pigeaud e Ndongo Samba Sylla raccontano la storia tragica e, a volte scioccante, del franco CFA.
La Francia, come altre potenze europee, ha colonizzato molte nazioni in tutto il mondo nel suo periodo di massimo splendore imperiale, spesso brutalmente. Dopo la sua occupazione da parte della Germania nazista nella seconda guerra mondiale, l'Impero coloniale francese iniziò a disintegrarsi. I francesi combatterono per mantenere le loro colonie, infliggendo un enorme tributo umano nel processo. Nonostante avesse condotto una costosa serie di guerre in tutto il globo, l'Indocina venne persa, poi la Siria e il Libano e, infine, il territorio francese in Nord Africa, inclusa l'amata colonia ricca di petrolio e gas, ovvero l'Algeria. Ma la Francia era determinata a non perdere i suoi territori nell'Africa occidentale e centrale; essi le avevano fornito manodopera militare durante le due guerre mondiali e offerto una cornucopia di risorse naturali – tra cui uranio, cacao, legname e bauxite – che avevano arricchito e sostenuto la metropoli.
Con l'avvicinarsi del 1960, la decolonizzazione sembrava inevitabile. L'Europa era unita nel disimpegnarsi dall'Africa dopo decenni di depredazioni e saccheggi sponsorizzati dallo stato, ma le autorità francesi si resero conto che avrebbero potuto avere la proverbiale botte piena e la moglie ubriaca cedendo il controllo politico pur mantenendo quello monetario.
Questa eredità si trova ancora oggi in 15 Paesi che parlano francese e usano una valuta controllata da Parigi: Senegal, Mali, Costa d'Avorio, Guinea-Bissau, Togo, Benin, Burkina Faso, Niger, Camerun, Ciad, Repubblica Centrafricana, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica del Congo e Comore. Ancora oggi i francesi esercitano il controllo monetario su oltre 2,5 milioni di chilometri quadrati di territorio africano, un'area grande l'80% dell'India.
La Francia ha iniziato la decolonizzazione formale nel 1956 con "La Loi-cadre Defferre", un atto legislativo che conferiva maggiore autonomia alle colonie e creava istituzioni democratiche e suffragio universale. Nel 1958 la costituzione francese fu modificata per istituire La Communauté (La Comunità): un gruppo di territori d'oltremare autonomi e democraticamente amministrati. Il presidente Charles de Gaulle visitò le colonie dell'Africa occidentale e centrale per offrire autonomia senza indipendenza attraverso La Communauté, o indipendenza totale immediata. Disse che ci sarebbero stati vantaggi e stabilità con la prima, mentre solo grandi rischi e persino caos con la seconda.
Nel 1960 la Francia aveva una popolazione più numerosa – circa 40 milioni di persone – rispetto ai 30 milioni di abitanti di quelle che oggi sono le 15 nazioni CFA. Ma oggi 67 milioni di persone vivono in Francia e 183 milioni nella zona CFA. Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, entro il 2100 la Francia ne avrà 74 milioni e le nazioni CFA più di 800 milioni. Dato che la Francia ha ancora in mano il proprio destino finanziario, la situazione assomiglia sempre più a un apartheid economico.
Quando il franco CFA fu originariamente introdotto nel 1945, valeva 1,7 franchi francesi; nel 1948 fu rafforzato a 2 franchi francesi. Ma quando il franco CFA venne ancorato all'euro alla fine degli anni '90, valeva 0,01 franchi francesi: si trattò di una svalutazione del 99,5%. Ogni volta che la Francia svalutava il franco CFA, aumentava il suo potere d'acquisto nei confronti delle sue ex-colonie e rendeva loro più costoso importare beni vitali. Nel 1992 il popolo francese potè votare se adottare o meno l'euro attraverso un referendum nazionale. Ai cittadini CFA venne negato tale diritto e vennero esclusi dai negoziati che avrebbero ancorato i loro soldi a una nuova valuta. Il meccanismo del sistema CFA si è evoluto sin dalla sua creazione, ma la funzionalità di base e i metodi di sfruttamento sono rimasti invariati. Sono descritti da quella che Pigeaud e Sylla chiamano "teoria della dipendenza", in cui le risorse delle nazioni periferiche in via di sviluppo sono “continuamente prosciugate a beneficio delle nazioni ricche [...] le nazioni ricche non investono nelle nazioni povere per renderle più ricche [...] [e questo] sfruttamento si è evoluto nel tempo dai brutali regimi di schiavitù ai mezzi più sofisticati e meno ovvi per mantenere servitù politica ed economica”.
Tre banche centrali servono oggi le 15 nazioni CFA: la Banque Centrale des États de l'Afrique de l'Ouest (BCEAO) per le nazioni dell'Africa occidentale, la Banque des États de l'Afrique Centrale (BEAC) per le nazioni dell'Africa centrale e la Banque Centrale des Comores (BCC) per le Comore. Le banche centrali detengono le riserve in valuta estera (cioè il risparmio nazionale) per le singole nazioni nella loro regione, dovendone mantenere un sorprendente 50% presso il Tesoro francese in ogni momento. Questa cifra, per quanto elevata, è il risultato di negoziazioni storiche. Originariamente le ex-colonie dovevano mantenere il 100% delle loro riserve in Francia e solo negli anni '70 si sono guadagnate il diritto di controllarne una parte e di cederne “appena” il 65% a Parigi. Le nazioni CFA non hanno alcuna discrezionalità per quanto riguarda le loro riserve immagazzinate all'estero. In realtà non sanno come vengono spesi quei soldi. Nel frattempo Parigi lo sa esattamente come viene speso il denaro di ciascuna nazione CFA, poiché gestisce "conti operativi" per ciascun Paese presso le tre banche centrali.
Un esempio di come funziona: quando un'azienda ivoriana di caffè vende merci per un valore di $1 milione a un acquirente cinese, lo yuan dell'acquirente viene scambiato in euro in un mercato monetario francese. Poi il Tesoro francese prende gli euro e accredita l'importo in franchi CFA sul conto ivoriano presso la BCEAO, che a sua volta lo accredita sul conto bancario dell'azienda di caffè. Tutto passa per Parigi. Secondo Pigeaud e Sylla, la Francia produce ancora tutte le banconote e le monete utilizzate nella regione CFA – addebitando €45 milioni all'anno per il servizio – e detiene ancora il 90% delle riserve auree CFA, circa 36,5 tonnellate.
Il sistema CFA conferisce al governo francese cinque vantaggi principali: riserve bonus da utilizzare a sua discrezione; grandi mercati per esportazioni costose e importazioni a buon mercato; la capacità di acquistare minerali strategici nella sua valuta domestica senza esaurire le sue riserve; prestiti favorevoli quando le nazioni CFA sono in credito e tassi d'interesse favorevoli quando sono in debito (per lunghi periodi di tempo il tasso d'inflazione francese ha persino superato il tasso d'interesse dei prestiti, il che significa che la Francia stava costringendo le nazioni CFA a pagare una tassa per depositare le proprie riserve all'estero); e, infine, un "doppio prestito", in cui una nazione CFA prende in prestito denaro dalla Francia e, nel cercare d'impiegare il capitale, non avrà altra scelta, date le perverse circostanze macroeconomiche, se non quella di contrattare con società francesi. Ciò significa che il capitale del prestito ritorna immediatamente in Francia, ma la nazione africana rimane ancora gravata sia dal capitale che dagli interessi.
Ciò porta a un fenomeno simile a quello del "riciclaggio dei petrodollari" (dove l'Arabia Saudita prende i dollari guadagnati con le vendite di petrolio e li investe nelle obbligazioni statunitensi), poiché storicamente gli esportatori CFA hanno venduto materie prime alla Francia, con parte dei proventi raccolti dalla banca centrale regionale e “reinvestiti” nel debito pubblico francese o, oggi, europeo. E poi c'è la convertibilità selettiva del franco CFA: le aziende possono facilmente vendere i loro franchi CFA per euro oggi (in precedenza franchi francesi), ma i cittadini che trasportano franchi CFA al di fuori della loro zona bancaria di riferimento non possono cambiarli da nessuna parte. Sono inutili quanto le cartoline. Se un ivoriano lascia il suo Paese, deve prima cambiare le banconote in euro, dove il Tesoro francese e la Banca centrale europea (BCE) estorcono il signoraggio attraverso il tasso di cambio.
La repressione monetaria in atto è che la Francia costringe le nazioni CFA a mantenere un'enorme quantità di riserve nelle casse parigine, impedendo agli africani di creare credito interno. Le banche centrali regionali finiscono per prestare molto poco e a tassi molto alti, invece di prestare di più a tassi bassi. E le nazioni CFA finiscono, contro la loro volontà, per acquistare debito francese o, oggi, europeo, con le loro riserve strategiche.
La parte più sorprendente, forse, è il privilegio speciale del diritto di prelazione su importazioni ed esportazioni. Se siete un produttore di cotone maliano, dovete prima offrire i vostri prodotti in Francia, prima di affacciarvi sui mercati internazionali. Oppure se vi trovate in Benin e volete realizzare un nuovo progetto infrastrutturale, dovete prendere in considerazione prima le offerte francesi e poi le altre. Ciò ha storicamente significato che la Francia è stata in grado di accedere a beni più economici dalle sue ex-colonie e vendere i propri beni e servizi a prezzi superiori a quelli di mercato.
Pigeaud e Sylla la chiamano la continuazione del “patto coloniale”, caratterizzato da quattro principi fondamentali: “Alle colonie era proibita l'industrializzazione e dovevano accontentarsi di fornire materie prime alla metropoli che poi le trasformava in prodotti finiti e venivano poi rivenduti alle colonie; la metropoli godeva del monopolio delle esportazioni e delle importazioni coloniali; deteneva anche il monopolio sulla spedizione di prodotti coloniali all'estero; infine la metropoli concedeva preferenze commerciali ai prodotti delle colonie”.
Il risultato è una situazione in cui “le banche centrali dispongono di ampie riserve monetarie remunerate a tassi bassi o addirittura negativi in termini reali, in cui le banche commerciali detengono liquidità in eccesso, in cui l'accesso al credito da parte delle famiglie e delle imprese è razionato e in cui gli stati sono sempre più obbligati, per finanziare i propri progetti di sviluppo, a contrarre prestiti in valuta estera a tassi d'interesse insostenibili, il che favorisce ulteriormente la fuga di capitali”.
Oggi il sistema CFA è stato "africanizzato", nel senso che le banconote ora mostrano la cultura, la flora e la fauna africane su di esse, e le banche centrali si trovano a Dakar, Yaoundé e Moroni – ma questi sono solo cambiamenti superficiali. Le banconote sono ancora prodotte a Parigi, i conti operativi sono ancora gestiti dalle autorità francesi e funzionari francesi siedono ancora nei consigli delle banche centrali regionali e detengono de facto il potere di veto. È una situazione in cui un cittadino del Gabon dipende da un burocrate francese che prende decisioni per suo conto; un po' come se la BCE o la Federal Reserve dipendessero da giapponesi o russi affinché prendessero decisioni per europei e americani.
La Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale hanno lavorato con la Francia per far rispettare il sistema CFA e raramente, se non mai, ne criticano la natura di sfruttamento. Infatti, come parte del sistema di Bretton Woods del secondo dopoguerra – dove gli americani avrebbero guidato la Banca mondiale e gli europei avrebbero guidato l'FMI – la posizione di amministratore delegato dell'FMI è stata spesso ricoperta da un funzionario francese, più di recente, Christine Lagarde. Nel corso degli anni l'FMI ha favorito la pressione francese sulle nazioni CFA affinchè essa perseguisse politiche desiderate. Un esempio lampante è stato nei primi anni '90, quando la Costa d'Avorio non voleva svalutare la sua valuta, ma i francesi spingevano per un tale cambiamento. Secondo Pigeaud e Sylla: “Alla fine del 1991 l'FMI rifiutò di continuare a prestare denaro alla Costa d'Avorio, offrendo al Paese due opzioni: o il Paese rimborsava i debiti contratti con il Fondo, o accettava la svalutazione”. La Costa d'Avorio e altre nazioni CFA cedettero e accettarono la svalutazione tre anni dopo.
Contraddicendo i valori di "liberté, égalité, fraternité", i funzionari francesi hanno sostenuto i tiranni nelle zone CFA degli ultimi sei decenni. Ad esempio, tre uomini – Omar Bongo in Gabon, Paul Biya in Camerun e Gnassingbé Eyadéma in Togo – hanno accumulato 120 anni al potere insieme. La loro gente li avrebbe spodestati molto tempo prima se i francesi non avessero fornito denaro, armi e copertura diplomatica. Secondo Pigeaud e Sylla, tra il 1960 e il 1991, “Parigi ha effettuato quasi 40 interventi militari in 16 Paesi per difendere i propri interessi”. Tali cifre sono sicuramente più alte oggi.
Nel corso del tempo, il sistema CFA è servito a consentire allo stato francese di sfruttare le risorse e il lavoro delle nazioni CFA, senza consentire loro di accumulare capitale e sviluppare le proprie economie. I risultati sono stati catastrofici per lo sviluppo umano.
Oggi il PIL pro capite aggiustato all'inflazione della Costa d'Avorio (in dollari) è di circa $1.700, rispetto ai $2.500 alla fine degli anni '70. In Senegal solo nel 2017 il PIL pro capite aggiustato all'inflazione ha superato i livelli raggiunti negli anni '60. Come scrivono Pigeaud e Sylla: “Dieci stati nella zona CFA hanno fatto registrare i livelli più alti di reddito medio prima degli anni 2000. Negli ultimi 40 anni il potere d'acquisto medio è peggiorato quasi ovunque. In Gabon il reddito medio più alto è stato registrato nel 1976, poco meno di $20.000; quarant'anni dopo si è ridotto della metà. La Guinea-Bissau ha aderito [al sistema CFA] nel 1997, anno in cui ha fatto registrare il picco del suo reddito medio; 19 anni dopo è diminuito del 20%”.
Ben 10 delle 15 nazioni CFA sono considerate tra i "Paesi meno sviluppati" al mondo dalle Nazioni Unite, insieme ad Haiti, Yemen e Afghanistan. In varie classifiche internazionali il Niger, la Repubblica Centrafricana, il Ciad e la Guinea-Bissau sono spesso annoverati tra i Paesi più poveri al mondo. I francesi stanno mantenendo una versione estrema di quella che Allen Farrington ha definito la "spoliazione del capitale".
Il politico senegalese, Amadou Lamine-Guèye, una volta riassunse il sistema CFA come un sistema in cui i cittadini hanno “solo doveri e nessun diritto” e “il compito dei territori colonizzati è produrre molto, produrre oltre le proprie esigenze e produrre a scapito dei loro interessi più immediati, al fine di consentire alla metropoli un migliore tenore di vita e un approvvigionamento più sicuro”. La metropoli, ovvero la Francia, respinge questa descrizione e come ha affermato il ministro dell'Economia francese, Michel Sapin, nell'aprile 2017: “La Francia è lì come amica”.
Ora il lettore potrebbe chiedersi: i Paesi africani resistono a questo sfruttamento? La risposta è sì, ma pagano un prezzo pesante. I primi leader nazionalisti dell'era dell'indipendenza africana riconobbero il valore fondamentale della libertà economica.
“L'indipendenza è solo il preludio a una nuova e più importante lotta per il diritto di condurre i nostri affari economici e sociali [...] senza ostacoli da parte di schiaccianti e umilianti controlli e interferenze neocoloniali”, dichiarò Kwame Nkrumah nel 1963, il quale guidò il movimento che rese il Ghana la prima nazione indipendente dell'Africa sub-sahariana. Ma nel corso della storia nella regione CFA, i leader nazionali che si sono opposti alle autorità francesi hanno avuto la tendenza a cavarsela male.
Nel 1958 la Guinea cercò di rivendicare l'indipendenza monetaria. In un famoso discorso il nazionalista Sekou Touré disse a un Charles de Gaulle in visita: “Preferiremmo avere la povertà nella libertà piuttosto che l'opulenza nella schiavitù”, e poco dopo lasciò il sistema CFA. Secondo il Washington Post: “In reazione e come monito per gli altri territori francofoni, i francesi si ritirarono dalla Guinea per un periodo di due mesi, portando con sé tutto ciò che potevano. Svitarono le lampadine, rimossero i piani per fognature a Conakry, la capitale, e bruciarono persino medicine piuttosto che lasciarle ai guineani”.
Successivamente, come atto di punizione, i francesi avviarono l'operazione Persil, durante la quale, secondo Pigeaud e Sylla, l'intelligence francese contraffasse enormi quantità delle nuove banconote guineane e poi le riversò "in massa" nel Paese. “Il risultato”, scrivono, “fu il crollo dell'economia guineana”. Le speranze democratiche del Paese vennero assassinate insieme alle sue finanze, poiché Touré fu in grado di consolidare il suo potere nel caos e iniziare 26 anni di governo brutale.
Nel giugno 1962 il leader dell'indipendenza del Mali, Modibo Keita, annunciò che il Mali avrebbe lasciato la zona CFA per coniare la propria valuta. Keita spiegò in dettaglio le ragioni del cambiamento, come l'eccessiva dipendenza economica (l'80% delle importazioni del Mali proveniva dalla Francia), la concentrazione dei poteri decisionali a Parigi e l'arresto della diversificazione e della crescita economica.
“È vero che il vento della decolonizzazione è passato sul vecchio edificio, ma senza scuoterlo troppo”, disse a proposito dello status quo. In risposta il governo francese rese inconvertibile il franco maliano. Seguì una profonda crisi economica e Keita fu rovesciato da un colpo di stato militare nel 1968. Il Mali alla fine scelse di rientrare nella zona CFA, ma i francesi imposero due svalutazioni al franco maliano come condizioni per il ripristino e non consentirono il rientro fino al 1984.
Nel 1969, quando il presidente del Niger, Hamani Diori, chiese un accordo "più flessibile", in cui il suo Paese avrebbe avuto maggiore indipendenza monetaria, i francesi rifiutarono. Lo minacciarono di trattenere il pagamento per l'uranio che stavano estraendo dalle miniere nel deserto e che avrebbero dato alla Francia l'indipendenza energetica attraverso l'energia nucleare. Sei anni dopo il governo Diori fu rovesciato dal generale Seyni Kountché, tre giorni prima di un incontro programmato per rinegoziare il prezzo dell'uranio nigeriano. Diori voleva aumentare il prezzo, ma il suo ex-padrone coloniale non era d'accordo. L'esercito francese era di stanza nelle vicinanze durante il colpo di stato ma, come scrivono Pigeaud e Sylla, non mossero un dito.
Nel 1985, in un'intervista al leader militare rivoluzionario Thomas Sankara del Burkina Faso, gli venne chiesto: “Il franco CFA non è un'arma per il dominio dell'Africa? Il Burkina Faso ha intenzione di continuare a sopportare questo fardello? Perché un contadino africano nel suo villaggio ha bisogno di una valuta convertibile?” Sankara rispose: “Se la valuta è convertibile o meno non è mai stata la preoccupazione del contadino africano. È stato spinto contro la sua volontà in un sistema economico contro il quale è indifeso”.
Sankara fu assassinato due anni dopo dal suo migliore amico e secondo in comando, Blaise Compaoré. Nessun processo è mai stato tenuto. Invece Compaoré prese il potere e governò fino al 2014, fedele e brutale servitore del sistema CFA.
LA LOTTA DI FARIDA NABOUREMA PER LA LIBERTÀ FINANZIARIA DEL TOGO
Nel dicembre 1962 il primo leader postcoloniale del Togo, Sylvanus Olympio, cercò formalmente di creare una Banca centrale del Togo e un franco togolese, ma la mattina del 13 gennaio 1963, giorni prima che stesse per cementare questa transizione, fu ucciso da soldati togolesi che avevano ricevuto l'addestramento in Francia. Gnassingbé Eyadéma fu uno dei soldati che commise il crimine. In seguito prese il potere e diventò il dittatore del Togo con il pieno sostegno francese, governando per più di cinque decenni e promuovendo il franco CFA fino alla sua morte nel 2005. Suo figlio governa ancora oggi. L'omicidio di Olympio non è mai stato risolto.
La famiglia di Farida Nabourema è da sempre coinvolta nella lotta per i diritti umani in Togo. Suo padre era un leader dell'opposizione e scontò del tempo in prigione come prigioniero politico perché si oppose ai francesi durante il periodo coloniale. Oggi lei è una figura di spicco nel movimento democratico del Paese.
Farida aveva 15 anni quando venne a sapere che la storia della dittatura del Togo era intrecciata con il franco CFA. Nei primi anni 2000 aveva iniziato a fare domande a suo padre riguardo la storia del suo Paese: “Perché il nostro primo presidente è stato assassinato solo pochi anni dopo aver ottenuto l'indipendenza?”.
La risposta: perché si opponeva al franco CFA.
Nel 1962 Olympio iniziò il movimento verso l'indipendenza finanziaria dalla Francia. Il parlamento votò a favore dell'inizio di tale transizione, della creazione di un franco togolese e del mantenimento delle proprie riserve nella propria banca centrale. Farida rimase scioccata nell'apprendere che Olympio venne assassinato solo due giorni prima che il Togo avrebbe abbandonato l'accordo CFA. Come ha affermato lei stessa: “La sua decisione di cercare la libertà monetaria è stata vista come un affronto all'egemonia nell'Africa francofona. Avevano paura che altri seguissero il suo esempio”.
Oggi, dice, per molti attivisti togolesi il CFA è la ragione principale per cercare libertà: “È ciò che anima molti nel movimento di opposizione”.
I motivi sono chiari: la Francia conserva più della metà delle riserve del Togo nelle sue banche, dove il popolo togolese non ha alcun controllo su come vengono spese tali riserve. Spesso queste ultime, guadagnate dai togolesi, vengono utilizzate per acquistare debito francese e quindi finanziare attività del popolo francese. Infatti suddette riserve vengono spesso prestate all'ex-padrone coloniale con un rendimento reale negativo. I togolesi stanno pagando Parigi affinché usi i loro soldi e nel frattempo finanziano il tenore di vita del popolo francese.
Nel 1994 la svalutazione che sottrasse i risparmi alla famiglia di Fode Diop in Senegal colpì duramente anche il Togo, provocando un enorme aumento del debito pubblico, una riduzione dei finanziamenti pubblici alle infrastrutture locali e un aumento della povertà.
“Ricordate”, dice Farida, “il nostro governo è costretto a detenere le nostre riserve nella banca francese piuttosto che a spenderle in patria, quindi quando arriva uno shock, dobbiamo svalutarci per garantire che una quantità adeguata di denaro finisca nelle mani parigine”.
Questo crea un clima nazionale di dipendenza, in cui i togolesi sono costretti obtorto collo a spedire merci grezze e finite senza mai trovare una via d'uscita.
Farida sottolinea che circa 10 anni fa il movimento anti-CFA ha iniziato a guadagnare maggiore trazione. Grazie ai telefoni cellulari e ai social media, le persone sono state in grado di riunirsi e organizzarsi in modo decentralizzato. Prima c'erano solo ivoriani e togolesi a lottare separatamente, ma ora c'è uno sforzo regionale tra tutti gli attivisti.
Per decenni c'è stata l'idea di una valuta "Eco", per tutte le nazioni della Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (ECOWAS), comprese le potenze economiche regionali Nigeria e Ghana. Farida ha detto che i francesi hanno cercato di sabotare questo piano, vedendolo come un modo per espandere il proprio impero finanziario. Nel 2013 l'allora presidente François Hollande formò una commissione che poi pubblicò un documento per il futuro francese in Africa; in esso si affermava che era imperativo coinvolgere Paesi anglofoni come il Ghana.
L'amministrazione di Emmanuel Macron sta ora cercando di rinominare il franco CFA in Eco, in un continuo processo di "africanizzazione" del sistema finanziario coloniale francese. La Nigeria e il Ghana si sono ritirati dal progetto, una volta capito che i francesi avrebbero continuato ad avere il controllo. Nulla è ancora formalmente accaduto, ma i Paesi attualmente gestiti dalla banca centrale BCEAO sono sulla buona strada per passare a questa valuta "ecologica" entro il 2027. I francesi avranno ancora capacità decisionale e non ci sono piani formali per adeguare la banca centrale delle nazioni CFA centrafricane o delle Comore.
“È il culmine dell'ipocrisia per i leader francesi come Macron andare a Davos e dire che hanno chiuso con il colonialismo”, dice Farida, “mentre in realtà stanno cercando di espanderlo”.
Originariamente il franco CFA era stato creato sulla base della riforma monetaria utilizzata dagli occupanti nazisti in Francia. Durante la seconda guerra mondiale, la Germania creò una valuta nazionale per le colonie francesi in modo da poter facilmente controllare le importazioni e le esportazioni. Quando la guerra finì e i francesi riconquistarono la libertà, decisero di utilizzare lo stesso identico modello per le loro colonie. Quindi, evidenzia Farida, la creazione e la continuazione del franco CFA è di stampo nazista.
Il sistema è tanto geniale quanto malvagio, in quanto i francesi sono stati in grado, nel tempo, di stampare denaro per acquistare beni vitali dalle loro ex-colonie, ma quei Paesi africani hanno dovuto lavorare per guadagnare riserve.
“Non è giusto, non è indipendenza”, dice Farida. “È sfruttamento, puro e semplice”.
La Francia afferma che il sistema è buono perché fornisce stabilità, bassa inflazione e convertibilità per il popolo togolese. Ma la convertibilità finisce per facilitare la fuga di capitali – oggi è facile per le imprese fuggire dal CFA e parcheggiare i propri profitti in euro – mentre intrappola i togolesi in un regime di signoraggio coatto. Ogni volta che il CFA viene convertito – e deve esserlo, poiché non può essere utilizzato al di fuori della zona economica di riferimento – i francesi e la BCE si prendono la loro fetta.
Sì, dice Farida, l'inflazione è bassa in Togo rispetto alle nazioni indipendenti, ma molti dei loro guadagni andranno a combattere l'inflazione invece di sostenere la crescita delle infrastrutture e dell'industria in patria. La crescita del Ghana, che ha una politica monetaria indipendente e un'inflazione più elevata rispetto alle nazioni CFA, è di gran lunga superiore rispetto a quella del Togo: assistenza sanitaria, crescita della classe media, disoccupazione sono, tra gli altri fattori, quelli che esprimono meglio la superiorità negli standard di vita ghanesi rispetto a quelli togolesi. Infatti nessuna nazione CFA è tra i 10 Paesi più ricchi dell'Africa, invece la metà si trova tra gli ultimi 10 più poveri.
Farida dice che il colonialismo francese va oltre il denaro, colpisce anche l'istruzione e la cultura. Ad esempio, la Banca mondiale dona $130 milioni all'anno per aiutare i Paesi francofoni a pagare i libri per le scuole pubbliche. Farida afferma che il 90% di questi libri è stampato in Francia: il denaro va direttamente dalla Banca Mondiale a Parigi, non al Togo o a qualsiasi altra nazione africana. I libri sono strumenti per il lavaggio del cervello, sottolinea Farida: si concentrano sulla gloria della cultura francese e parlano male delle conquiste di altre nazioni, siano esse americane, asiatiche o africane.
Quando era ancora al liceo Farida chiese al padre: “Le persone usano altre lingue oltre al francese in Europa?” Non potè far altro che rispondere con un sorriso. Lei aveva appreso solo la storia francese, i nomi degli inventori francesi e quelli dei filosofi francesi. È cresciuta pensando che le uniche persone intelligenti fossero i francesi; non aveva mai letto un libro americano o britannico prima di viaggiare all'estero.
In generale, dice Farida, l'Africa francese consuma l'80% dei libri stampati dai francesi stessi. Il presidente Macron vuole espandere questo dominio e ha promesso di spendere centinaia di milioni di euro per promuovere il francese in Africa, dichiarando inoltre che potrebbe diventare la “prima lingua” del continente e definendola una “lingua della libertà”. Date le tendenze attuali, entro il 2050 l'85% di tutti i francofoni potrebbe vivere in Africa e la lingua è un pilastro a sostegno della sopravvivenza del franco CFA.
La politica è un altro di questi pilastri. Una parte importante del sistema CFA è il sostegno francese alla dittatura. Con l'eccezione del Senegal, nessun Paese del blocco CFA ha mai avuto una democratizzazione significativa, ogni singolo tiranno di successo nell'Africa francofona, dice Farida, ha avuto il pieno sostegno dello stato francese. Ogni volta che c'è un colpo di stato contro la democrazia, i francesi sostengono i golpisti fintanto che sono amichevoli con il regime CFA. Invece nel momento in cui qualcuno ha tendenze antifrancesi, saltano fuori sanzioni, minacce, o persino omicidi.
Farida cita poi l'esempio del Ciad e del Mali: entrambi i Paesi sono minacciati dal terrorismo e dalla ribellione. In Ciad il defunto dittatore militare Idriss Deby è stato sostenuto dalla Francia per tre decenni fino alla sua morte. Secondo la costituzione ciadiana, il capo del parlamento è il prossimo in fila per essere il presidente, invece i militari hanno insediato il figlio di Deby, un generale dell'esercito. Il governo francese ha applaudito questa transizione illegale e il presidente Macron ha persino visitato il Ciad due mesi dopo per celebrare questa farsa. In un discorso di tributo, ha definito Deby un “amico” e un “soldato coraggioso”, aggiungendo anche: “La Francia non permetterà a nessuno di mettere in discussione o minacciare, oggi o domani, la stabilità e l'integrità del Ciad”. Il figlio, ovviamente, promuoverà il franco CFA.
Il Mali, continua Farida, ha avuto un colpo di stato un mese dopo quello in Ciad. La giunta e la popolazione non erano così amichevoli con Parigi e hanno cercato nella Russia un nuovo partner per ostacolare il terrorismo. Così il governo francese ha definito il golpe “inaccettabile”, minacciato di ritirare le truppe dal Mali in modo da “lasciar imperversare i terroristi” e ha imposto sanzioni. Il Mali è stato punito dalla Francia per aver fatto la stessa cosa che ha fatto il Ciad. C'è dispotismo e corruzione da entrambe le parti, l'unica differenza è che il Mali voleva allontanarsi dal controllo monetario francese mentre il Ciad continua a collaborare.
“Quando sei un dittatore, finché lavori per la Francia, troveranno scuse per aiutarti a rimanere al potere”, ha detto Farida.
LA MISSIONE DI FODE DIOP: PORTARE BITCOIN IN SENEGAL
È stato solo quando Fodé Diop ha avuto l'opportunità di recarsi negli Stati Uniti che ha potuto iniziare a guardare il suo Paese, il Senegal, dall'esterno.
All'inizio la svalutazione del franco CFA nel 1994 aveva messo a repentaglio il suo futuro accademico. Ebbe l'opportunità di andare a studiare e giocare a basket in un'università del Kansas, ma i risparmi della sua famiglia erano stati distrutti. Più fortunata della maggior parte delle persone intorno a lui, la sua famiglia aveva un'altra opzione: suo padre aveva i diritti sui libri per i materiali didattici che aveva scritto e poteva usarli per prendere in prestito ciò che era necessario per mandare Fodé a scuola.
Un giorno, pochi anni dopo essersi laureato al college, mentre viveva negli Stati Uniti e lavorava a un nuovo sito di video on demand con suo fratello, Fodé s'imbattè in un video su YouTube del dottor Cheikh Anta Diop, uno scienziato e storico senegalese, in cui parlava di come il denaro e la lingua fossero strumenti per controllare le menti e i mezzi di sussistenza delle persone.
Fodé aveva già sentito parlare del dottor Diop – la più grande università del Senegal era stata intitolata a lui – ma non aveva ancora ascoltato la sua critica al sistema CFA. Quel video colpì nel profondo Fodé, un po' come nel film Matrix, uno dei suoi film preferiti, quando Neo prende la pillola rossa da Morpheus e si sveglia nel mondo reale.
“Quella è stata la prima volta nella mia vita che ho iniziato a pensare con la mia testa”, dice Fodé. “La prima volta che ho capito che la valuta del mio Paese era un meccanismo di controllo”.
È più di un semplice controllo sulla valuta, poiché i francesi stampano e controllano il denaro attraverso i conti operativi di ciascun Paese, dispongono di dati.
“Sanno cosa sta andando dove, hanno informazioni su tutti i Paesi; hanno un vantaggio su di essi. Sanno chi è corrotto, chi sta comprando proprietà in Francia, cosa è disponibile. Hanno il diritto di prelazione sui prezzi preferenziali d'importazione ed esportazione; hanno un dominio totale”, dice Fodé.
In seguito a quell'evento rivelatore riflettè sulla svalutazione del 1994. All'epoca aveva solo 18 anni, quindi non capiva cosa fosse successo, a parte il fatto che le finanze della famiglia navigavano in brutte acque.
“È come se ti avessero messo un sacco in testa in modo che tu non vedessi la realtà”, ha detto.
Ma in retrospettiva, c'è stato un grande dibattito pubblico al riguardo. Le persone si resero conto che quando andavano a convertire i loro soldi in franchi francesi, avrebbero ottenuto solo la metà, anche se lavoravano come prima. La Francia, dice Fodé, voleva rendere le esportazioni più economiche in modo che i Paesi africani potessero produrre in modo più competitivo, ma secondo lui la verità è un'altra: quella svalutazione permise alla Francia di schioccare la frusta e acquistare merci a prezzi stracciati.
Fodé avrebbe sperimentati altri due momenti da "pillola rossa". Il primo nel 2007, quando lavorava a Las Vegas. Stava guardando un video di Steve Jobs, il quale aveva appena annunciato l'iPhone al mondo, e ne rimase sbalordito: un telefono cellulare che aveva un browser touch-screen nativo. La stessa cosa che era sui computer, ora era anche su un telefono. Sapeva che ciò avrebbe cambiato il mondo. Il suo pensiero successivo: come possiamo ottenere pagamenti nativi nelle app per iPhone, in modo che le persone senza conti bancari e carte di credito possano finalmente accedervi?
Il secondo nel 2010. Viveva a Los Angeles quando lesse per la prima volta il white paper di Satoshi Nakamoto. Dal quel momento Fodé ha pensato: abbiamo un'arma per combattere l'oppressione e il colonialismo. Soldi del popolo, non controllati dagli stati. “Questo”, dice, “è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno”.
Anni prima Fodé aveva letto Out Of Control di Kevin Kelly e uno dei capitoli riguardava le valute elettroniche. Sapeva che alla fine tutto il denaro sarebbe diventato digitale, parte di una grande rivoluzione elettronica mondiale, ma non aveva mai riflettuto a fondo sul potere di trasformazione che il denaro digitale poteva avere, fino a Bitcoin.
“Cos'è il denaro? Da dove proviene? Facendomi porre queste domande, Bitcoin mi ha istruito”, ha detto. “Prima di allora erano argomenti che non avevo mai messo in discussione”.
Forse, pensava, un giorno la Francia non avrebbe più avuto il diritto o la capacità di stampare e controllare il denaro del popolo senegalese.
Fodé e il suo compagno di stanza a Las Vegas sarebbero rimasti alzati fino a tardi negli anni a venire, pensando a ciò che Bitcoin avrebbe potuto rendere possibile per i pagamenti, i risparmi e tutte le attività economiche. Ha appreso cosa succede quando si striscia la propria carta di credito, che tipo d'informazioni vengono cedute e cosa fanno le terze parti di fiducia con quelle informazioni.
Pensava che il matrimonio tra smartphone e Bitcoin sarebbe stato un incredibile strumento di emancipazione per la gente comune. Fodé tornava spesso in Senegal e ogni volta portava con sé un mucchio di telefoni da regalare.
Negli anni successivi ha lavorato in diverse startup, tutte nel settore informatico. Nel 2017 lasciò Las Vegas e andò a San Francisco; si unì a un bootcamp di programmazione e decise di diventare un ingegnere informatico. Inizialmente era molto coinvolto dalle criptovalute nel suo insieme, ma alla fine si "disinnamorò" di Ethereum, proprio nel periodo in cui iniziò a frequentare i seminari socratici di San Francisco con il fondatore di River, Alex Leishman. Incontrò molti degli sviluppatori principali di Bitcoin.
Nel 2019 vinse un hackathon sui trasporti, emettendo una fattura su Lightning Network che avrebbe sbloccato una Tesla. Questo gli diede una grande spinta alla fiducia che avrebbe potuto aiutare a cambiare il mondo. Decise di tornare a casa in Senegal per diffondere l'istruzione su Bitcoin. Durante il viaggio ricevette una borsa di studio per una conferenza a Berlino dal CEO di Lightning Labs, Elizabeth Stark. Lì incontrò Richard Myers di GoTenna e lo sviluppatore Will Clark, i quali stavano pensando a come combattere la censura di Internet con le reti mesh. Dato che in Senegal la telecom francese controlla tutte le reti telefoniche; fodé pensava che forse si sarebbe potuto trovare un modo per aggirare il controllo francese sulle comunicazioni e la capacità di "spegnere Internet".
I gateway di telecomunicazioni del Senegal sono controllati dalla Francia e possono essere chiusi in caso di proteste contro il leader del Paese, i quali rimangono al potere fintanto che sostengono il sistema CFA. Ma è possibile trovare endpoint, ha affermato Fodé, attraverso altri fornitori: altre reti telefoniche nazionali, o anche connessioni satellitari. Fodé ha creato una box che avrebbe captato questi altri segnali e i telefoni cellulari vi avrebbero fatto parte, consentendo agli utenti di restare online anche quando i francesi avrebbero disattivato Internet. Per incentivare le persone a usare tali box, esse vengono pagate in Bitcoin. Questo è ciò su cui Fodé sta lavorando oggi.
“È molto rischioso”, dice Fodé, “poiché si può incappare in multe o finire in carcere, ma con incentivi monetari, le persone sono disposte a rischiare”.
La prossima volta che la telecom francese spegnerà Internet per proteggere il suo alleato al comando, la gente avrà un nuovo modo per comunicare che il regime non può fermare.
“Abbiamo bisogno di pagamenti istantanei ed economici. Non possiamo effettuare pagamenti Bitcoin on-chain, le commissioni sono troppo costose. Dobbiamo usare Lightning Network, non c'è altra opzione. E funziona”.
Ciò suona particolarmente vero nel settore delle rimesse, che, secondo la Banca mondiale, sono una delle principali fonti di PIL per molte nazioni CFA. Ad esempio: il 14,5% del PIL delle Comore si basa sulle rimesse. Per il Senegal è del 10,7%; Guinea-Bissau, 9,8%; Togo, 8,4%; Mali, 6%. Dato che il costo medio per l'invio di una rimessa da $200 nell'Africa sub-sahariana è dell'8%, e che il costo medio per una da $500 è del 9%, e dato che i servizi di rimessa basati su Bitcoin come Strike possono ridurre le commissioni ben al di sotto dell'1%, le nazioni CFA potrebbero risparmiare dallo 0,5% all'1% del loro PIL se adottassero Bitcoin. Ogni anno circa $700 miliardi vengono inviati in patria dai rimittenti di tutto il mondo. Si potrebbero risparmiare tra i $30 e i $40 miliardi, all'incirca la stessa cifra che gli Stati Uniti spendono ogni anno in aiuti esteri.
Fodé capisce perché le persone in Occidente potrebbero essere scettiche su Bitcoin. “Se hai Venmo e Cash App, potreste non capire perché è importante. Avete tutte le comodità di un moderno sistema monetario. Ma quando vivete in Senegal, oltre il 70% della nostra gente non ha mai messo piede in una banca. La mamma non ha mai avuto una carta di credito o una carta di debito”.
Il matrimonio tra smartphone e Bitcoin libererà le persone e cambierà la società. Fodé cita The Mobile Wave, il libro che il CEO di MicroStrategy, Michael Saylor, ha scritto sulla rivoluzione dei palmari. Quando Fodé ha toccato per la prima volta un iPhone, sapeva che era quello che stava aspettando. In pochi anni ha visto l'iPhone, la Grande Crisi Finanziaria, il rilascio di Bitcoin da parte di Satotshi e la sua transizione per diventare cittadino americano.
“Quando torno a casa, vedo come le persone vengono depotenziate. Ma nello stesso modo in cui abbiamo scavalcato le linee fisse e siamo passati direttamente ai telefoni cellulari, scavalcheremo le banche e andremo direttamente a Bitcoin”.
Un altro effetto che sta vedendo in Senegal è che quando le persone sono esposte a Bitcoin, iniziano a risparmiare.
“Oggi, in patria, sto pensando a come aiutare le persone a risparmiare denaro. Nessuno riesce a risparmiare niente qui. Si spende solamente ogni franco CFA che si riesce a guadagnare”.
Fodé si sentirà "per sempre grato" per il BTC che Leishman gli diede, poiché l'ha poi regalato a persone in Senegal, coloro che sono venuti agli eventi o che hanno posto buone domande. Le persone hanno visto il proprio valore crescere nel tempo.
Ha accolto quello che è successo a El Salvador con grande entusiasmo. Si trovava in una sala conferenze a Miami quando ha ascoltato il fondatore di Strike, Jack Mallers, annunciare che un Paese aveva reso Bitcoin a corso legale. Si commosse.
“Ciò che era iniziato come una riserva di valore, ora si sta evolvendo in un mezzo di scambio”, ha affermato.
El Salvador ha alcune somiglianze con i Paesi della zona CFA: è una nazione povera, le attività economiche si basano su una valuta estera, è dipendente dalle importazioni, ha una base di esportazione più debole. La sua politica monetaria è controllata da un potere esterno e il 70% del Paese non ha banche, senza contare che il 22% del PIL della nazione dipende dalle rimesse.
“Se è una buona opzione per loro”, pensa Fodé, “forse lo è anche per noi”.
Ma sa che ci sono grossi ostacoli lungo questa via.
Uno è la lingua francese. Non ci sono molte informazioni in francese su GitHub o nei materiali di documentazione su Bitcoin. Attualmente Fodé sta lavorando alla traduzione in francese di parte di questo materiale, in modo che la comunità degli sviluppatori locali possa essere maggiormente coinvolta.
Potrebbe nascere una comunità di Bitcoin Beach in Senegal? Sì, dice Fodé. Questo è il motivo per cui è tornato indietro e sta organizzando incontri, raccogliendo donazioni, oltre a mettere su una versione di Radio Free Europe basata su Bitcoin e sostenuta dai cittadini.
“Potrebbero imprigionarmi, ma attraverso i meetup sto facendo in modo di non essere un punto singolo di fallimento”.
Pensa che sarà difficile diffondere l'adozione di Bitcoin in Senegal, a causa dell'influenza francese.
“Non ci riusciremo senza combattere”, ha detto.
Come ha affermato Ndongo Samba Sylla: “Oggi la Francia affronta un declino economico in una regione che a lungo ha considerato la sua riserva privata. Anche di fronte all'ascesa di altre potenze come la Cina, la Francia non ha intenzione di rinunciare al suo dominio: combatterà fino all'ultimo”.
Ma forse, invece di una rivoluzione violenta, potrebbe essercee una graduale e pacifica che nel tempo scaccerà il colonialismo.
“Non un interruttore di spegnimento improvviso, ma un sistema parallelo, in cui le persone possono scegliere liberamente”, ha detto Fodé, “nessuna coercizione”.
Per quanto riguarda invece quelle persone che pensano che dovremmo chiedere allo stato di proteggere i nostri diritti?
“Non sanno che le democrazie come la Francia hanno questo lato negativo”, dice Fodé, “non ci regaleranno la libertà. Invece dovremmo seguire le orme dei cypherpunk e impadronirci delle nostre libertà con il codice informatico open-source”.
Alla domanda sulle possibilità di Bitcoin di sostituire le banche centrali, Fodé ha affermato che l'idea “può sembrare folle agli occhi degli americani, ma per i senegalesi o i togolesi le banche centrali sono un parassita della società. Dobbiamo reagire”.
Fodé considera Bitcoin un qualcosa “che ti cambia la vita”.
“Mai prima d'ora abbiamo avuto un sistema in cui il denaro potesse essere coniato in modo decentralizzato. Oggi ce l'abbiamo ed è una soluzione per chi ne ha più bisogno. Per la prima volta, abbiamo uno strumento potente per respingere l'oppressione. Potrebbe non essere perfetto, ma dobbiamo usare tutti quegli strumenti utili per combattere. Non aspettate che qualcuno venga ad aiutarvi”.
LA SEPARAZIONE TRA DENARO E STATO
Nel 1980 l'economista camerunese Joseph Tchundjang Pouemi scrisse il libro, Monnaie, servitude et liberté: La répression monétaire de l'Afrique. La tesi: la dipendenza monetaria è il fondamento di tutte le altre forme di dipendenza. Le parole finali del libro suonano particolarmente forti ancora oggi: “Il destino dell'Africa sarà forgiato attraverso il denaro, o non sarà forgiato affatto”.
Il denaro e la valuta sono sepolti sotto la superficie nel movimento globale per i diritti umani. Sono temi che raramente vengono fuori alle conferenze sui diritti umani e ancor più raramente vengono discussi tra gli attivisti, ma chiedetelo a un sostenitore della democrazia in un regime autoritario e racconteranno storie incredibili e tragiche. Demonetizzazione in Eritrea e Corea del Nord, iperinflazione in Zimbabwe e Venezuela, sorveglianza statale totale in Cina e Hong Kong, pagamenti congelati in Bielorussia e Nigeria e firewall economici in Iran e Palestina. E ora colonialismo monetario in Togo e Senegal. Senza libertà finanziaria, i movimenti e le ONG non possono sostenersi. Se i loro conti bancari vengono chiusi, le banconote demonetizzate o i fondi svalutati, il loro potere è limitato e la tirannia continua.
La repressione monetaria continua ad essere nascosta e non se ne parla nei circoli edotti. La realtà oggi per i 182 milioni di persone che vivono nelle nazioni CFA è che mentre possono essere politicamente indipendenti di nome, le loro economie e il loro denaro sono ancora sotto il dominio coloniale; e le potenze straniere continuano ad abusare e prolungare tale relazione per spremere e sfruttare tanto valore quanto possibile dalle loro società e posizioni geografiche.
Negli ultimi anni i cittadini della zona CFA sono sempre più in aumento. Lo slogan “France Dégage!” è diventato un grido di battaglia, ma i critici più rumorosi del sistema, Pigeaud e Sylla tra loro, non sembrano offrire un'alternativa praticabile. Respingono lo status quo e la schiavitù dell'FMI, solo per suggerire una valuta regionale, controllata da leader locali, o un sistema in cui ogni nazione CFA crea e gestisce la propria valuta. Solo perché il Senegal o il Togo ottengono l'indipendenza monetaria dalla Francia, ciò non garantisce che funzioneranno bene o che i leader del Paese non abusino delle nuove condizioni monetarie.
C'è ancora la minaccia di un malgoverno dittatoriale interno, o di una nuova cattura del potere da parte di potenze straniere russe o cinesi. È chiaro che le persone hanno bisogno di una forma di denaro che rompa questo circolo vizioso, che possa controllare e che non possa essere manipolato da governi di alcun genere. Proprio come c'è stata una separazione storica tra chiesa e stato che ha aperto la strada a una società umana più prospera e libera, è in corso una separazione tra denaro e stato.
I cittadini delle nazioni CFA potrebbero, nel tempo, con un crescente accesso a Internet, rendere popolare Bitcoin al punto che gli stati sarebbero costretti ad adottarlo de facto, com'è successo nei Paesi dell'America Latina come l'Ecuador con la "dolarización popular"? La storia resta da scrivere, ma una cosa è certa: la Banca Mondiale e l'FMI resisteranno a qualsiasi tendenza in questa direzione. Si sono già scagliati contro El Salvador.
L'attore Hill Harper è stato citato dal New York Times in merito al suo attivismo per Bitcoin nella comunità afroamericana: “Non possono colonizzare Bitcoin”.
Farida Nabourema è d'accordo: “Bitcoin”, ha detto, “è la prima forma assoluta di denaro a tutti gli effetti decentralizzato e accessibile a chiunque nel mondo, indipendentemente dal colore della pelle, dall'ideologia, dalla nazionalità, dalla quantità di ricchezza, o dal passato coloniale”.
È una valuta del popolo e fa anche un ulteriore passo avanti: “Forse”, ha detto, “dovremmo definire Bitcoin la valuta della decolonizzazione”.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Supporta Francesco Simoncelli's Freedonia lasciando una “mancia” in satoshi di bitcoin scannerizzando il QR seguente.
https://opentip.io/freedonia |
Gli scettici faranno bene a ricredersi: Bitcoin è l'elemento motore che riporterà in auge la teoria economica solida e onesta, il veicolo perfetto per dimostrare empiricamente che le sciocchezze keynesiane, neo-keynesiane e post-keynesiane sono un coacervo di giustificazioni adottato dallo stato per poter raddoppiare le dosi delle sue distorsioni e far approvare dal pubblico in generale la sua esistenza.
RispondiEliminaUn esempio perfetto a tal proposito è il fallimento del mercato, ovvero, la tesi sconclusionata che quando i mercati sono lasciati a sé stessi non sono capaci di curarsi. Ebbene, pensate al post-Mt. Gox; oppure pensate al più recente caso FTX. In entrambi i casi BTC avrebbe potuto perdere (indirettamente) la fiducia di chi vi aveva puntato a favore. Eppure non è successo, il settore si è ripreso ogni volta, si è curato da sé, senza NESSUN aiuto centralizzato o intervento statale.
Bitcoin costringe ad aprire gli occhi, poi se uno vuol distogliere lo sguardo è un'altra cosa.