Gli elenchi dei bestseller di saggistica contengono uno o più libri di auto-miglioramento che promettono tecniche specifiche che si possono utilizzare per essere più sani, più produttivi, più felici.
Dal momento che quasi tutte le tecniche funzioneranno su alcune persone, un libro di auto-miglioramento ben scritto può reclutare rapidamente un esercito di evangelici per tesserne lodi. Poiché è anche vero che nessuna tecnica funzionerà sempre su tutte le persone, c'è una grande richiesta per il prossimo e nuovo "modo migliore", che, dopo la sua giornata sotto i riflettori, svanirà nell'oblio. Eppure, come ha scritto GK Chesterton: “Non è che non riescano a vedere la soluzione, non riescono a vedere il problema. Le tecniche sono solo bende, non affrontano i nostri problemi più profondi”.
I grandi filosofi morali ci hanno sempre incoraggiato a guardarci allo specchio per vedere i nostri problemi, invece di guardare al di fuori di noi stessi. I problemi che diagnostichiamo spesso riguardano il mondo, un'altra persona o un gruppo. Siamo sicuri che la fonte del nostro turbamento provenga da ciò che qualcun altro ha detto o fatto; non ci accorgiamo mai che mentre i caratteri della nostra vita possono cambiare, noi siamo il filo conduttore di tutti i nostri problemi.
Nel suo, The Theory of Moral Sentiments, Adam Smith ci indicò il problema di fondo: "l'autoinganno" è la "debolezza fatale dell'umanità" e "la fonte della metà dei disordini della vita umana".
Se si soffre di un disturbo fisico, come un braccio rotto ad esempio, basterebbero una buona diagnosi e un buon medico per curarlo. Ma l'autoinganno è un disturbo mentale e se non siamo disposti ad accettare la diagnosi, una malattia della mente è incurabile e si diffonde.
Altri, persi nei propri atti di autoinganno, sono pronti a colludere con noi in quella che si trasforma in una spirale discendente. I risultati di questa piaga possono essere guerre (poiché le nazioni aggrediscono altre), economie distrutte (poiché i pianificatori arroganti non possono riconoscere i limiti della loro conoscenza) e attacchi alla libertà di parola (poiché gli individui richiedono la censura d'idee diverse dalle loro).
Smith sottolineò il perché l'autoinganno può essere così duraturo: “È sgradevole pensare male di noi stessi”. Siamo sicuri di avere ragione, e se la nostra certezza ci rende infelici, così sia. È meglio avere ragione che essere felici, sembra essere un codice di vita che molti di noi hanno adottato.
Non vogliamo vederci come ci vedrebbe un osservatore moralmente neutrale. Insieme al nostro autoinganno arriva la resistenza ad accettare che abbiamo un problema. Peggio ancora, la scelta d'ingannare noi stessi può essere intenzionale e potremmo voler atteggiarci a vittime innocenti per evitare la responsabilità delle nostre decisioni.
Il filosofo contemporaneo C. Terry Warner fornisce alcune delle idee più sfruttate per coloro che desiderano superare l'autoinganno. In una raccolta di articoli accademici pubblicati dall'Arbinger Institute, gli Oxford Papers, Warner espone le basi intellettuali della sua teoria dell'autoinganno.
L'Arbinger Institute, fondato da Warner, ha condensato le implicazioni pratiche della teoria di quest'ultimo in una serie di bestseller: Leadership and Self-Deception, The Anatomy of Peace e The Outward Mindset. Nell'introduzione agli Oxford Papers, l'Arbinger Institute scrive: “Noi esseri umani siamo in gran parte autoingannati su che tipo di esseri siamo, perché agiamo come agiamo e la qualità della vita che avremmo se ponessimo fine ai nostri autoinganni”.
Warner affronta il problema al centro dell'autoinganno: “Consideriamo la nostra emozione come una condizione provocata o suscitata in noi – "Mi stai facendo arrabbiare" – o come una condizione che ci è capitata – "Penso che la causa sia la ribellione di suo figlio, questo l'ha rattristata così profondamente"”.
Warner spiega che la persona arrabbiata, che si considera una vittima, inverte causa ed effetto. “Spinti verso la rabbia” non significa semplicemente “rispondere a una minaccia del tutto indipendente dalla propria volontà”. In sintesi, Warner scrive: “Ci presentiamo come coloro che "rispondono solo alle circostanze", come una "reazione solo a ciò che ci viene fatto"”.
La cura di Warner richiede una medicina amara, mentre scopriamo il nostro autoinganno. Tuttavia il trattamento diventa dolce alla fine: sotto tutto il nostro fango incrostato dell'autoinganno, emerge il meglio della nostra natura umana.
Quale filosofia morale potrebbe essere più utile di quella di Smith e Warner, la quale ci ricorda che abbiamo una mente che può fare una scelta diversa?
Quando siamo autoingannati, giustifichiamo i nostri pensieri e comportamenti. Costruiamo ciò che pensiamo sia una giustificazione ermetica per la nostra interpretazione errata della realtà. Smith osserva:
Piuttosto che vedere il nostro comportamento sotto un aspetto così sgradevole, troppo spesso ci sforziamo di esasperare di nuovo quelle passioni ingiuste che prima ci avevano sviato; ci sforziamo di risvegliare i nostri vecchi odi e irritare di nuovo i nostri risentimenti quasi dimenticati; ci sforziamo in questo miserabile scopo, e così perseveriamo nell'ingiustizia, solo perché una volta siamo stati ingiusti e perché abbiamo vergogna e paura di vedere che eravamo così.
Il desiderio di proteggere il nostro autoinganno ci fa perseverare lungo questa strada. Peggio ci sentiamo, più attribuiamo i nostri sentimenti ad altre persone e circostanze. Notate come questo atteggiamento ci fa sentire moralmente superiori, ci fa sentire dispiaciuti per noi stessi e ci delizia perversamente nell'autoinganno.
Quest'ultimo è già abbastanza grave quando ci fa soffrire e soffoca il nostro potenziale, ma, peggio ancora, può portarci ad aggredire gli altri. Prendete in considerazione un recente sondaggio tra studenti universitari che ha rilevato che il 48% di loro è disposto ad applicare la pena di morte per discorsi offensivi. L'autoinganno degli studenti, che le sole parole li possono danneggiare, è stato ora elevato da una minaccia alla loro realizzazione personale a una diretta alla vita degli altri. Tale comportamento non è motivato dalla virtù, come invece lo presentano gli autoingannati. Warner ce lo spiega:
Ci inganniamo adottando una retorica autoingannevole di coscienziosità morale e scusa; tale retorica include le nostre dichiarazioni di emozione e, in questo modo, ci sentiamo moralmente giustificati.
Se siamo disposti, ci sono limiti al nostro autoinganno. Nessuno, diceva Smith, non ha accesso al senso morale per superare la propria “deformità di passioni e affetti”. Il senso morale nasce, scrisse Smith, come “ragione, principio, coscienza, abitante del petto, uomo interiore, grande giudice e arbitro della nostra condotta”.
"Il grande giudice" dentro ognuno di noi Smith lo definì "spettatore imparziale": “È solo da lui che apprendiamo la vera piccolezza di noi stessi, e di tutto ciò che ci riguarda, e le naturali rappresentazioni errate dell'amor proprio possono essere corrette solo dall'occhio di questo spettatore imparziale”.
Mentre ascoltiamo la nostra voce interiore, impariamo ad aborrire la "deformità dell'ingiustizia" e facciamo maturare “l'amore per ciò che è onorevole e nobile, per la grandezza, la dignità e la superiorità dei nostri caratteri”. La voce interiore non è mai silenziosa, ma la nostra disponibilità ad ascoltare varia molto.
Quando siamo nella morsa dell'autoinganno, siamo restii a considerare i bisogni degli altri; ci illudiamo di credere che gli altri meritino il modo in cui li trattiamo o giudichiamo.
Peggio ancora del semplice rifiuto di vedere il nostro autoinganno, ci sentiamo moralmente giustificati nel trasgredire nei confronti degli altri. Smith aveva ragione, l'autoinganno è responsabile di gran parte della sofferenza dell'umanità.
Più ispessiamo le pareti del nostro autoinganno, più ostruiamo la ricezione degli impulsi e dei suggerimenti provenienti dallo "spettatore imparziale" interiore. È difficile guardare in faccia, senza resistenza, il nostro autoinganno, ma Smith ci insegnato a essere "audaci" e “non esitare a strappare il velo dell'autoinganno, che copre alla [nostra] vista le deformità della [nostra] condotta”. Le ricompense per strappare un tal velo sono grandi; non più accecati dall'autoinganno, la nostra disponibilità a guardarci dentro ci restituisce la libertà di scegliere diversamente.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/
Buongiorno, volevo ringraziare per questo interessante pezzo, che racconta in modo mirabile e assai "centrato" delle debolezze e fragilità umane.
RispondiEliminaGrazie per averlo tradotto e pubblicato.
A rileggersi presto, un saluto.
Antonio Pani