Bibliografia

martedì 27 dicembre 2022

Il mercato del lavoro post-lockdown: debole e in peggioramento

 

 

di David Stockman

Venerdì scorso i giocatori d'azzardo di Wall Street hanno giocato per l'ennesima volta a "trasformiamo le cattive notizie in buone notizie", ma è giunto il momento di dimenticare simili trucchetti e riconoscere che le cattive notizie economiche sono proprio queste: cattive notizie.

L'apparente notizia negativa nella recente relazione sull'occupazione è stato il leggero aumento del tasso di disoccupazione al 3,7%, dal 3,5% di settembre. Ciò avrebbe dovuto significare che l'economia si stava raffreddando e che la FED poteva allentare la sua campagna di tightening.

Ma, come abbiamo spesso detto, il tasso di disoccupazione U-3 non vale la carta su cui è stampato. Tuttavia ciò non contraddice minimamente le cattive notizie nella relazione sul mondo del lavoro, le quali sono state diffuse in lungo e in largo all'interno della stessa relazione. Infatti era solo l'ulteriore prova che il mercato del lavoro è debole, non forte, e che l'economia statunitense è scivolata in uno stato di torpore stagnante.

Per prima cosa, il tasso di disoccupazione U-3, calcolato dall'indagine sulle famiglie, è risultato più alto a causa di un aumento di 306.000 nel numero dei disoccupati, mentre il numero degli occupati è sceso di fatto di 328.000 unità.

Proprio così. Il gatto di Schrodinger al BLS ha affermato che i posti di lavoro erano +261.000 per il sondaggio dell'establishment, mentre il sondaggio delle famiglie ha registrato il suddetto -328.000 unità.

A dire il vero, se questa fosse solo un'aberrazione di un mese, sarebbe ragionevole lasciarla passare, ma in realtà, da marzo scorso, i due sondaggi sono andati nella direzione opposta: il sondaggio dell'establishment, che alimenta direttamente l'algoritmo, è aumentato di 2,45 milioni di posti di lavoro.

Allo stesso tempo, il conteggio dei sondaggi sulle famiglie è aumentato di soli 150.000 posti di lavoro. Stiamo parlando di un 94% in meno!

Inoltre se tornate indietro fino al picco pre-Covid nel febbraio 2020, la disconnessione è ancora più eclatante: il numero di occupati del sondaggio delle famiglie pubblicato a ottobre era in realtà inferiore di 258.000 unità rispetto a prima dei lockdown, mentre la cifra del sondaggio dell'establishment era superiore di 804.000 unità.

Naturalmente nessuno dei due numeri è qualcosa di entusiasmante, ma la discrepanza non comporta alcun grande mistero. Quello che sta accadendo è che le persone stanno accettando più lavori per stare al passo con l'aumento del costo della vita, e anche perché il lavoro da casa ha reso molto facile per i liberi professionistir, specialmente nel settore tecnologico, accedere a due, tre o anche quattro buste paga. Questi contano tutti come "lavori" nell'indagine dell'establishment, ma non nell'indagine delle famiglie.

Inutile dire che un secondo o terzo lavoro che comprende 5 ore di lavoro virtuale a settimana, truffando il dipartimento delle risorse umane di un datore di lavoro disattento, non è la stessa cosa di un lavoro tradizionale con 40 ore sul posto di lavoro. Il primo è solo l'ennesimo esempio del rumore nei dati che porta a una cronica sopravvalutazione dell'attuale mercato del lavoro statunitense.

Livello di occupazione: indagine delle famiglie (linea viola) rispetto all'indagine dell'establishment (linea marrone), da febbraio 2020 a ottobre 2022

In ogni caso, è per questo che riteniamo che l'indice delle ore aggregate pubblicato dal BLS sia il più utile tra le sue tante cattive interpretazioni sul mercato del lavoro. Almeno non confonde un lavoro part-time con un lavoro a tempo pieno, né considera il quarto lavoro svolto da un (ex) ficcanaso su Twitter come prova di un mercato del lavoro "forte".

Su questa base, ecco cosa abbiamo ottenuto dopo lo stimolo fiscale post-marzo 2020, durante il quale il debito pubblico è aumentato di $4.500 miliardi e il bilancio della FED è salito da $4.000 miliardi a $9.000 miliardi. Vale a dire, le ore di lavoro totali impiegate nel settore privato sono aumentate appena di un pizzico durante suddetto periodo di 32 mesi. Per la precisione, l'aumento delle ore occupate è stato di appena lo 0,4% annuo.

Indice delle ore settimanali aggregate per il settore privato, da gennaio 2020 a ottobre 2022

In altre parole, la relazione sull'occupazione di ottobre ha chiarito che il mercato del lavoro presumibilmente "forte" è in fase di stallo e lo è stato per anni. Il numero indice di ottobre, infatti, ha rappresentato un aumento anemico dello 0,78% annuo dal picco pre-crisi nel dicembre 2007. Ciò si confronta, ad esempio, con un tasso di crescita annuo del 2,00% nelle ore di lavoro impiegate tra il 1964 e il 2000.

Quindi se la stampa finanziaria riportasse i dati in modo onesto, userebbe l'indice aggregato delle ore per misurare l'effettivo input di lavoro nell'economia, non il falso conteggio dei posti di lavoro. In tal caso non otterremmo ila bolla di entusiasmo sostenuta dall'ennesima relazione "forte" sul lavoro:

L'economista di Obama, Betsey Stevenson: Ottimo rapporto sui posti di lavoro [...] molte assunzioni, ampia base e la crescita dei salari sta rallentando leggermente. La FED potrebbe procurarci davvero quell'atterraggio morbido di cui ha parlato.

Justin Wolfers, accademico keynesiano: I libri paga non agricoli sono cresciuti di +261.000 unità a ottobre, un altro mese di crescita occupazionale stellare. Gli ultimi due mesi mostrano revisioni di +52k per settembre e -23k per agosto, quindi questa è una relazione ancora più forte. Il tasso di disoccupazione è salito di poco, al 3,7%. Questa è un'economia molto forte.

Davvero? La crescita reale dell'occupazione (ovvero le ore totali impiegate) negli ultimi 15 anni è cresciuta solo di due quinti rispetto alla sua media storica, ma questi tizi continuano a sbrodolare la parola "forte".

Indice delle ore aggregate, 1964-2022

Inoltre quando si tratta di posti di lavoro ad alta retribuzione e alta produttività nel settore della produzione di beni (manifatturiero, energetico, minerario e servizi di pubblica utilità), i dati sono ancora più inequivocabili. L'indice delle ore lavorate aggregate nel settore della produzione di beni è ancora di quasi lo 0,6% al di sotto del picco pre-Covid nel gennaio 2019.

Inutile dire che questo è un grosso problema, perché il settore della produzione dei beni impiega 21,3 milioni di persone con un salario medio annuo di $68.300. In termini aggregati, il libro paga annuale del settore ammonta a $1.460 miliardi.

Come abbiamo sottolineato spesso, quello che abbiamo è un ciclo di 30 mesi di posti di lavoro nati di nuovo. Dopo il profondo crollo dell'aprile 2020 ordinato dai fanatici del virus, le ore di lavoro impiegate nel settore della produzione di beni non sono ancora tornate al punto di partenza.

Inoltre quando si tratta della tendenza a lungo termine, il quadro è semplicemente disastroso. Rispetto al livello d'inizio secolo nel gennaio 2000, le ore totali di lavoro nel settore della produzione di beni sono diminuite del 16,3% a ottobre 2022.

Il modo in cui una persona sana di mente potrebbe affibbiare l'aggettivo "forte" al grafico qui sotto va al di là della nostra comprensione. Ciò che significa veramente è che la nomenklatura della sanità pubblica di Washington ha schiacciato il lato dell'offerta dell'economia statunitense, lasciando il settore privato ad annaspare per riconquistare lo status quo pre-lockdown, il quale a sua volta si stava già deteriorando da più di due decenni.

Indice delle ore di lavoro complessive nel settore della produzione di beni, da gennaio 2000 a ottobre 2022

Né il settore della produzione di beni è un'aberrazione. All'altra estremità dello spettro retributivo, l'indice delle ore di lavoro nel settore del tempo libero e dell'ospitalità a bassa retribuzione in ottobre ha fatto registrare un calo del 7,8% rispetto al livello del febbraio 2020. Mancano all'appello ancora circa $40 miliardi di buste paga annue.

Proprio così. La calamità del lockdown nella primavera del 2020 è stata così grave che le ore di lavoro nel settore sono crollate del 56%!

Da allora il settore ha scavato un buco così profondo che non ci sono precedenti da nessuna parte nei dati storici sui posti di lavoro. Tuttavia, dopo che tutte queste ore di lavoro sono state parzialmente recuperate, l'indice è ancora quasi un ottavo al di sotto del livello pre-lockdown.

In altre parole, il grafico qui sotto non ha nulla a che fare con un mercato del lavoro "forte", anche se i robo-trader di Wall Street hanno gridato di gioia. Ciò che mostra in realtà è il caos generato dai fanatici del virus, seguito da una lotta disperata da parte del settore privato per riconquistare la propria posizione.

Indice delle ore di lavoro aggregate nel settore del tempo libero e dell'ospitalità, da febbraio 2020 a ottobre 2022

Si dà il caso che la storia sia la stessa nel settore delle costruzioni ad alta retribuzione. Le ore di lavoro totali a ottobre sono state solo di poco (+0,26%) superiori al picco pre-Covid del febbraio 2020. Ancora più importante, l'indice di ottobre era ancora del 3,0% al di sotto del livello raggiunto nel dicembre 2006, il che significa che anche questo settore sta vivendo una fase negativa da un bel po' di tempo.

Inutile dire che è imossibile definire "forte" il mercato del lavoro dopo aver visto il grafico qui sotto, quando in ottobre c'erano molte meno ore di lavoro nel settore delle costruzioni rispetto a 16 anni fa.

Quello che è successo qui, come in tanti altri settori del mercato del lavoro, è che i fanatici del virus hanno causato un devastante calo del 20% delle ore di lavoro nel mese di aprile 2020. I lavori e le ore rinate segnalate ogni mese da allora non costituiscono altro che un gigante operazione di scavo da parte del settore privato.

Indice delle ore aggregate nel settore delle costruzioni, da gennaio 2020 a ottobre 2022

Un altro settore altamente remunerativo in cui le ore di lavoro stanno da tempo diminuendo è il settore dei servizi pubblici. Il totale delle ore di lavoro in ottobre era ancora in calo di quasi il 2% rispetto al livello pre-Covid del febbraio 2020.

Ancora più importante, quella è stata la fine di una marcia al ribasso che è in corso da tre decenni. Di conseguenza il presunto mercato del lavoro "forte" dell'ottobre 2022 ha impiegato il 24% in meno di ore rispetto all'inizio del 1990.

Indice delle ore aggregate per il settore dei servizi pubblici, dal 1990 al 2022

Nel settore della vendita al dettaglio, le ore di lavoro hanno raggiunto il picco 53 mesi fa a maggio 2018. Nonostante il rimbalzo dal crollo del 17% nell'aprile 2020, l'indice delle ore di ottobre per la vendita al dettaglio era ancora dell'1% al di sotto del picco di quattro anni fa.

Ancora una volta, non c'è motivo di considerare i lavori e le ore riconquistate come una "crescita" del mercato del lavoro. E sicuramente quando l'occupazione si è effettivamente stabilizzata su una base di tendenza negli ultimi 22 anni, l'idea che la relazione di ottobre abbia mostrato forza è semplicemente ridicolo.

I numeri non mentono. Nel gennaio 2001 l'indice delle ore di lavoro aggregate nel settore del commercio al dettaglio si è attestato a 102,0 rispetto a 103,4 nell'ottobre 2022. Il calcolo, quindi, è un ritmo di crescita annuo dello 0,06%, se si vogliono accreditare gli errori di arrotondamento.

Indice delle ore di lavoro aggregate nel settore del commercio al dettaglio, da gennaio 2001 a ottobre 2022

Un altro settore piatto è quello dei servizi finanziari e immobiliari. Nel mese di ottobre l'indice delle ore aggregate è stato inferiore al livello dello scorso aprile ed era ancora inferiore dell'1% rispetto a quello registrato a febbraio 2020.

Né si deve negare il significato di questa stagnazione. Dopotutto, negli ultimi due anni e mezzo c'è stato un vero e proprio boom nei mercati finanziari e nel settore immobiliare, eppure l'occupazione è rimasta piatta.

Quindi neanche qui c'è un mercato del lavoro "forte".

Indice delle ore aggregate nel settore finanziario e immobiliare, gennaio 2020- ottobre 2022

Anche il settore dell'istruzione e della sanità, un tempo in forte espansione, ha subito un crollo. L'indice delle ore di lavoro aggregate nell'ottobre 2022 ha rappresentato un ritmo di crescita annuo microscopico di appena lo 0,15% rispetto al febbraio 2020.

Com'è evidente dal grafico, abbiamo a che fare anche qui con ore di lavoro rinate. L'indice è crollato del 13,3% nell'aprile 2020 su comando dei fanatici del virus. Di conseguenza il 97% delle ore recuperate sin da allora è stato attribuito al recupero delle ore perse a causa dei lockdown, non alla crescita organica rispetto al febbraio 2020.

A titolo di riferimento, il ritmo di crescita per i 56 anni terminati a febbraio 2020 è stato del 3,3% annuo, un livello 22 volte superiore per oltre mezzo secolo. Quindi, anche nel caso di un settore fortemente sostenuto dai pagamenti dei trasferimenti governativi e fiscali, la crescita dell'occupazione misurata dalle ore di lavoro è rallentata.

Indice delle ore aggregate per l'istruzione e i servizi sanitari, da febbraio 2020 a ottobre 2022

Ingatti se si esaminano i dati per tutte le dozzine di settori separati per i quali il BLS fornisce un indice orario aggregato, solo due hanno mostrato un aumento significativo durante l'ottobre 2022 rispetto al livello pre-Covid del febbraio 2020. L'indice orario aggregato per il settore magazzini e trasporti è in aumento dell'11,7%, mentre l'indice per i servizi professionali e alle imprese è stato del 6,4% superiore al livello pre-Covid del febbraio 2020.

Ma in entrambi i casi c'è la fregatura. La ben documentata super-ondata di merci consegnate da Amazon è stata un artefatto insostenibile dei lockdown e dei massicci stimoli fiscali. Ora è finita, naturalmente, ma mentre è durata c'è stato un boom di assunzioni nei settori dei magazzini e dei trasporti, un boom che ha inesorabilmente portato a un sostanziale eccesso di capacità. Di conseguenza quando inizieranno i licenziamenti, è probabile che la linea blu qui sotto scenderà alla grande.

Allo stesso modo, il lavoro da casa è stato fortemente concentrato nel settore professionale e aziendale, ma i recenti licenziamenti su larga scala nel settore tecnologico, incarnati dal taglio del 50% della forza lavoro di Twitter e dall'imminente massacro di posti di lavoro su Facebook, annunciano una resa dei conti per tutti coloro che lavorano da casa e intascano tre stipendi.

Infatti le assunzioni in eccesso in questo settore, che rappresenta 22,5 milioni dei posti di lavoro più remunerativi in America, si sono verificate su scala monumentale. E significa che anche la linea marrone qui sotto scenderà bruscamente nei prossimi mesi.

Indice delle ore aggregate per trasporti, magazzinaggio e servizi professionali, da febbraio 2020 a ottobre 2022

In breve, il mercato del lavoro è tutt'altro che forte e in realtà ha riflesso una crescita praticamente pari a zero dal picco pre-Covid nel febbraio 2020, a parte le due anomalie qui sopra ma che presto invertiranno la marcia. Quindi l'idea derivata che anche l'economia statunitense sia forte è semplicemente una stupidaggine.

Ironia della sorte, il sistematico indebolimento strutturale del mercato del lavoro statunitense mostrato sopra si è verificato nel contesto di una massiccia stampa di denaro da parte delle banche centrali del mondo, che si incarna nella crescita sbalorditiva dei loro bilanci collettivi. Rispetto ai $4.000 miliardi del 2002, i bilanci combinati delle banche centrali mondiali superano ora i $43.000 miliardi.

Non c'è niente di simile nella storia documentata, ma il suo impatto sull'economia mondiale è il fulcro di ciò che verrà dopo. Vale a dire, in aree ad alto costo del lavoro come gli Stati Uniti, la stampa folle di denaro dell'ultimo decennio ha portato a una massiccia delocalizzazione della produzione industriale verso sedi a basso costo, come la Cina. A sua volta ciò ha favorito l'esperienza concomitante di quella che sembrava essere una "bassa inflazione", a causa dei conseguenti afflussi di beni esteri a buon mercato.

Allo stesso tempo l'espansione monetaria reciproca in Cina, Vietnam, Messico e altre economie a basso costo ha generato un'ondata d'investimenti errati sulla scia di un aumento dei debiti di proporzioni bibliche. Il risultato è stata una capacità di produzione notevolmente gonfiata per servire i consumatori statunitensi, europei e di altri Paesi sviluppati. Vale a dire, il mondo sviluppato ha avuto quello che sembrava essere un periodo di prosperità di bassa crescita/bassa inflazione, mentre il mondo precedentemente meno sviluppato ha sperimentato un aumento degli investimenti e della produzione manifatturiera alimentato dal debito a una velocità vertiginosa.

Durante i 25 anni dopo che la Cina è diventata una potenza esportatrice a metà degli anni '90, il deflatore PCE (spesa al consumo personale) statunitense per i beni durevoli è crollato di uno sbalorditivo -40%, mentre il deflatore PCE per i servizi è aumentato del +87%.

Tuttavia, in termini d'insensata attenzione del sistema bancario centrale al suo "obiettivo" d'inflazione annuale, il tutto era considerato nella norma. Non importa che le banceh centrali abbiano raggiunto il loro sacro obiettivo del 2,00% solo a causa di un crollo una tantum e insostenibile dell'inflazione dei beni durevoli, cosa che ha fatto sì che il loro parametro di riferimento preferito (deflatore PCE) si arrotondasse leggermente al di sotto (1,80%) del suddetto obiettivo.

Variazione annuale dell'indice: 1995-2019 

• Deflatore beni durevoli: -2,00%;

• Deflatore PCE servizi: +2,56%;

• Deflatore PCE complessivo: +1,80%

Deflatore PCE complessivo, deflatore beni durevoli e deflatore servizi, 1995-2019

L'unico neo, ovviamente, è stata una massiccia inflazione parallela negli asset finanziari, da New York a Londra, fino a Mumbai e Shanghai. Ma finché il credito del sistema bancario centrale ha continuato ad espandersi, la gigantesca bolla finanziaria mondiale e i $260.000 miliardi di debito su cui poggia precariamente sono riusciti a rimanere a galla.

Ora non più. La FED e le altre banche centrali saranno ora tenute ad attaccare incessantemente la bolla finanziaria mondiale che hanno gonfiato per sopprimere la virulenta inflazione di beni e servizi che ha sempre sobbollito sotto la superficie.

Come si è scoperto, le catene di approvvigionamento mondiali sono sempre state troppo fragili e troppo artificiali per essere sostenuti, soprattutto di fronte a interruzioni esogene. Quelli sono arrivati dopo il 2019 sotto forma di lockdown, massicci stimoli alla spesa pubblica mondiale e poi la guerra delle sanzioni di Washington sui mercati mondiali delle materie prime, sui pagamenti internazionali e sul sistema commerciale.

Tra le altre cose ciò ha fatto scomparire dall'oggi al domani l'era della cosiddetta bassa inflazione. Da dicembre 2019 non vi è stato alcun contrappeso all'inflazione dei servizi interni da parte del settore delle merci. Sia i deflatori dei beni durevoli che quelli non durevoli sono aumentati a ritmi che non si vedevano dall'inizio degli anni '80, facendo aumentare più del doppio il deflatore PCE complessivo.

Infatti l'aumento del deflatore dei servizi (linea marrone) del 3,73% annuo sin dal quarto trimestre del 2019 è ora il ritardatario, con i beni durevoli (linea blu) e i beni non durevoli (linea gialla) che fanno salire nettamente l'indice del deflatore PCE complessivo (linea nera).

Variazione annua dell'indice dal quarto trimestre 2019: 

• Deflatore PCE servizi: 3,73%;

• Deflatore PCE per beni durevoli: 4,58%;

• Deflatore PCE per beni non durevoli: 5,21%;

• Deflatore PCE complessivo: 4,20%

Deflatore e componenti PCE, dal quarto trimestre 2019 al terzo trimestre 2022

La "bassa inflazione" artificiale nel settore dei beni è ormai finita. Semmai, l'ulteriore disgregazione delle catene di approvvigionamento mondiali causerà un'inversione della manna della bassa inflazione del 1995-2019, poiché la produzione di beni verrà restituita alle sedi nazionali a costi più elevati. E se i neocon continuano a farsi strada a Washington, la guerra per procura alla Russia si intensificherà, provocando un nuovo giro d'interruzioni distruttive nei mercati delle materie prime.

Significa anche che il tanto decantato "pivot" della FED per salvare le bolle finanziarie non avverrà. Lo slancio dell'inflazione di beni, servizi e lavoro è semplicemente troppo forte affinché l'Eccles Building possa invertire la rotta. Inoltre la determinazione della FED a tornare al suo sacro obiettivo del 2,00% non farà che prolungare la Grande Deflazione Finanziaria che sta ora iniziando a imperversare.

Quello che gli economisti mainstream non capiscono è che il compromesso keynesiano della Curva di Phillips tra occupazione e inflazione non è mai stato valido; e che la recente interruzione dell'attività economica a causa dei lockdown e degli stimoli fiscali significa che gli attuali dati del governo federale non assomigliano neanche lontanamente alle tendenze dei cicli economici del passato.

Per quanto riguarda questi ultimi, il tasso di partecipazione alla forza lavoro tendeva a raggiungere il picco quando il ciclo economico raggiungeva la cosiddetta piena occupazione, riflettendo il fatto che le ore di lavoro incrementali disponibili corrispondevano all'occupazione retribuita. Ciò è evidente nel grafico qui sotto per i periodi pre-recessione 1990, 2001, 2008-09 e 2020. Potremmo chiamarla magia del lato dell'offerta.

Cioè, attirare risorse di lavoro aggiuntive nell'economia non è intrinsecamente inflazionistico. L'inflazione alla fine deriva dal denaro allocato malamente, non da troppe persone che lavorano.

Allo stesso modo, la perdita di risorse lavorative nell'economia non è intrinsecamente deflazionistico se il mancato reddito da lavoro viene sostituito con indennità varie e prelievo di risparmi esistenti.

Ed è qui che siamo ora. Abbiamo avuto un'ondata massiccia di stimoli fiscali e monetari, ma il tasso di partecipazione alla forza lavoro è ancora ai minimi. Questo perché la "domanda" di spesa artificiale generata da Washington è stata contrastata da sussidi fiscali per la non produzione e l'ozio sostenuto dallo stato. Non c'era alcun moltiplicatore!

In questo contesto va sottolineato che il grafico qui sotto è estremamente esplicativo. I 40 anni precedenti al 1990 non sono comparabili a causa dell'aumento una tantum del rapporto durante il periodo 1950-1990 quando le donne sono entrate in maniera massiccia nella forza lavoro (al contrario di quella domestica).

In ogni caso, non c'è un mercato del lavoro "forte" quando sin dal 2000 c'è stata una tendenza secolare verso una riduzione del tasso di partecipazione alla forza lavoro. Infatti la somma delle linee di politica di Washington – lockdown, paura sanitaria indotta volutamente e stimoli fiscali/monetari senza precedenti – è stata anti-lato dell'offerta.

Tassi di partecipazione alla forza lavoro ai picchi ciclici: 

• Gennaio 1990: 66,8%;

• Febbraio 2000: 67,3%;

• Dicembre 2006: 66,4%;

• Febbraio 2020: 63,4%;

• Settembre 2022: 62,3%.

Tasso di partecipazione alla forza lavoro, 1990-2022

Il crollo del tasso di partecipazione alla forza lavoro sin dall'anno 2000 non è una cosa da poco. Riflette l'equivalente di 13,2 milioni di lavoratori che hanno lasciato la forza lavoro a causa di pensionamento, disabilità, Medicaid, buoni pasto, altre forme di sostegno dello stato sociale o, nel caso di alcuni millennial, una vita comoda nel seminterrato di mamma e papà.

In ogni caso, il lato dell'offerta rappresentato dal mercato del lavoro si è bruscamente contratto, anche se la domanda alimentata dallo stato è stata gonfiata oltre ogni dato precedente. Ciò significa, ovviamente, stagflazione alimentata dal costo del lavoro.

E per non dubitare che una spirale salari-prezzi sia ora già in atto, ecco gli aumenti salariali orari su base annua dei principali settori del mercato del lavoro, come pubblicati nella relazione sull'occupazione di ottobre.

Variazione annua della retribuzione oraria media: 

• Magazzino e Trasporti: +8,5%;

• Tempo libero e ospitalità: +7,1%;

• Costruzioni: +6,6%;

• Utenze: +6,4%;

• Servizi finanziari: +6,0%;

• Produzione di beni: +5,7%;

• Commercio all'ingrosso: +5,4%;

• Sanità e istruzione: +5,3%;

• Servizi alle Imprese e Professionali: +5,1%;

• Totale occupazione privata: +5,5%.

Ora invece ci concentreremo sul modo in cui l'aumento dei salari e la pressione per tenerli al passo col costo della vita manterranno attivo lo slancio inflazionistico per molti trimestri a venire. Infatti il lavoro inattivo che dovrebbe essere generato dal tightening della FED è già stato tolto dalla forza lavoro dai lockdown e dall'accumulo artificiale di "risparmi" sulla scia degli stimoli fiscali degli ultimi due anni.

Nel frattempo va sottolineato che, in prospettiva, la spirale inflazionistica non dipenderà solo dall'inflazione dei servizi. Questo perché il cosiddetto complesso alimentare ed energetico non si sta raffreddando così rapidamente come vorrebbero far credere gli esperti di Wall Street.

Si dà il caso che i costi energetici, rappresentati dall'elettricità e dal gas, non si siano affatto raffreddati. Le bollette elettriche domestiche sono già aumentate del 15,5% rispetto all'anno precedente, mentre l'IPC per il gas utilizzato per il riscaldamento domestico è superiore del 33% rispetto allo scorso anno. Inoltre nessuna linea sul grafico qui sotto si è piegata bruscamente al ribasso negli ultimi mesi.

Variazione annua delle bollette elettriche e del gas domestiche, dal 2017 al 2022

Allo stesso modo, entrambe le parti dell'indice alimentare stanno ancora salendo a un ritmo aggressivo: rispetto a un anno fa, il cibo fuori casa (ad esempio, ristoranti) è aumentato dell'8,5% a settembre, mentre i prezzi dei negozi di alimentari sono aumentati del 13,0%. Ed entrambe le linee qui sotto riflettono un'ascesa verticale che non mostra alcun segno di rallentamento per i prossimi mesi.

Si dà il caso che queste cifre su base combinata rappresentino il 13,65% nel peso nell'IPC e sono aumentati dell'11,29% su base media ponderata durante lo scorso anno. Questo è il più alto aumento annuale in 43 anni (maggio 1979)!

Variazione annua delle componenti dell'IPC per il cibo e i negozi di alimentari, 2017-2022

L'unica parte del complesso alimentare ed energetico che si è effettivamente raffreddata è rappresentata dai combustibili per il riscaldamento e il trasporto a base di petrolio, che incarnano solo il 4,57% del peso nell'IPC. Mentre il tasso di variazione annua (linea blu) era ancora del 19,7% a settembre, il tasso di variazione mensile (linea marrone) era stato negativo per tre mesi consecutivi, portando la tendenza annua in netto calo, malgrado l'aumento del 61% su base annua registrato a giugno.

Inoltre da metà settembre il prezzo medio nazionale della benzina si è stabilizzato a circa $3,80 al gallone, mentre i prezzi del diesel e del carburante per aerei hanno continuato a salire. I prezzi al dettaglio del diesel attualmente a $5,33 al gallone sono aumentati del 6% rispetto ai livelli di metà settembre e del 49% rispetto ai prezzi di un anno fa.

Quindi, mentre è evidente che i prezzi del carburante a base di petrolio stanno uscendo dal periodo di "ebollizione" della tarda primavera, l'aumento del 19,7% su base annua mostrato di seguito non è esattamente disinflazionistico. Ciò avverrà soprattutto nei prossimi mesi se i prezzi medi continueranno a salire e i prezzi della benzina rimbalzeranno in risposta all'ulteriore riduzione del petrolio russo sul mercato mondiale dopo che il divieto europeo sulle importazioni via mare entrerà in vigore all'inizio di dicembre.

IPC per le materie prime energetiche: variazione annua (linea blu) rispetto alla variazione mensile (linea rossa), da maggio 2020 a settembre 2022

Il complesso alimentare ed energetico non è la forza deflazionistica a breve termine che dovrebbe essere. Su base annua le componenti combinate dell'indice alimentare sono aumentate dell'11,3% e le componenti combinate dei servizi energetici sono aumentate del 20,3% e continuano a salire a un ritmo sostenuto su base mensile.

Insieme queste componenti incidono per il 17,31% sul peso dell'IPC, contro appena il 4,66% attribuibile a benzine e distillati medi. Cioè, il 79% del peso nel complesso alimentare ed energetico (peso totale = 21,88%) non mostra segni di rallentamento.

Ad esempio, ecco il sottoindice per entrambi i componenti del cibo nell'IPC. Durante il mese più recente (settembre), il tasso di aumento mensile (linea rossa) è stato di un forte +9,4%, un livello solo leggermente inferiore al suddetto dato annuo del +11,3%. Ciò significa, a titolo puramente statistico, che l'indice alimentare aumenterà fortemente fino al 2023, anche se il tasso di aumento mensile dovesse diminuire bruscamente in contrasto con la recente tendenza al rialzo irregolare (linea rossa) mostrate nel grafico qui sotto.

Indice alimentare IPC: variazione annua (linea nera) rispetto a variazione mensile (linea rossa)

Inutile dire che, con un'abbondante pressione inflazionistica nel complesso alimentare ed energetico, l'idea che l'IPC complessivo scenderà rapidamente nei prossimi mesi è solo un sogno irrealizzabile. Dopotutto, con il costo del lavoro interno che sale ai livelli del 6%+, non c'è modo che l'indice IPC per i servizi possa uscire dal suo stato di "ebollizione" in tempi brevi.

Ed è in "ebollizione" rispetto agli ultimi 40 anni. L'aumento su base annua del 7,4% a settembre è stato il maggiore sin dal settembre 1982 e più del doppio del 3,2% su base annua registrato a settembre 2021. Vale a dire, la linea blu nel grafico qui sotto è indicativa di un forte slancio in alto, non una svolta in basso dietro l'angolo.

Variazione annua dell'IPC per i servizi, 1982-2022

A dire il vero, poco più della metà del peso nell'indice IPC per i servizi (60,51%) è rappresentato dall'affitto di immobili (32,11%) e alcuni compratori insistono sul fatto che gli affitti stanno per implodere. Ma questo si basa su una lettura errata del calo stagionale delle richieste mensili di affitti per nuove locazioni, un calo che si verifica ogni anno durante i mesi autunnali.

Inoltre chiedere degli affitti sui nuovi contratti di locazione non rappresenta la misura corretta dell'inflazione degli affitti affrontata da tutte le famiglie statunitensi. Dato che i contratti di affitto tendono a durare un anno o più, ci vuole tempo affinché la tendenza degli "affitti richiesti" si estenda all'intero stock degli immobili in affitto, motivo per cui l'indice IPC degli immobili riflette un ritardo persistente tra le sue letture e gli annunci di case in affitto da parte dei servizi immobiliari privati.

Di conseguenza la misura rilevante di dove si stanno dirigendo i numeri degli affitti si trova nel confronto tra le variazioni mensili degli affitti (linea viola) e la variazione annua (linea marrone). Come mostrato di seguito, i primi hanno superato i secondi da gennaio 2022, il che significa che, per una questione di aritmetica, la tendenza annua sarà al rialzo per molti mesi a venire.

Infatti, durante il mese di settembre, il ritmo di variazione mensile è stato del 9,15%, una cifra superiore di quasi il 40% rispetto all'aumento su base annua del 6,7%. In breve, anche se il calo dei prezzi delle nuove abitazioni nel periodo a venire provocherà un sostanziale raffreddamento degli affitti, ci vorrà molto tempo (forse nel 2024) prima che l'indice degli immobili in affitto possa ritrovare la strada verso l'obiettivo del 2,00%.

Indice dell'affitto degli immobili IPC: variazione mensile (linea viola) rispetto a variazione annua (linea nera), 2017-2022

In ogni caso, l'indice dei servizi IPC esclusi gli immobili in affitto è salito addirittura dell'8,1% a settembre, un dato superiore anche al 7,4% dell'indice dei servizi totali. Ciò significa, ovviamente, che il 28,40% del peso nell'IPC rappresentato dai servizi meno gli immobili in affitto sta aumentando più rapidamente degli stessi affitti.

Inoltre, come implicano le linee rosse e nere contrastanti nel grafico qui sotto, non vi è alcuna indicazione che questo sottoindice stia per scendere a breve. Sebbene il ritmo di aumento mensile (linea rossa) sia stato volatile, è stato ben al di sopra della tendenza annua durante sette degli ultimi otto mesi, il che implica che l'indice annuo avrà un notevole slancio verso l'alto durante i prossimi mesi.

Indice IPC per i servizi meno gli immobili: variazione mensile (linea rossa) rispetto a variazione annua (linea nera), 2017-2022

Nel contesto dell'aumento del costo del lavoro e delle conseguenti pressioni inflazionistiche provenienti dal settore dei servizi, occorre rilevare un'ulteriore tendenza negativa dei dati macroeconomici. Vale a dire, gli aumenti del 5-8% dei costi salariali tra i vari settori domestici non sono affatto compensati da alcun aumento di produttività.

Questo è del tutto anormale e un'ulteriore misura dell'impatto negativo dei lockdown, degli stimoli fiscali e delle conseguenti defezioni della forza lavoro da parte della popolazione in età lavorativa. Vale a dire, dal primo trimestre del 2021 gli aumenti del costo del lavoro totale (compresi i benefici) sono aumentati da un tasso annuo del 3,0% (linea nera) al 5,1%, mentre gli aumenti di produttività (linea viola) sono andati nella direzione opposta, precipitando dal +2,2% nel primo trimestre 2021 al -1,4% nel terzo trimestre 2022.

Inutile dire che tale divario si aggiunge alla crescita del costo unitario del lavoro (linea marrone). Di conseguenza negli ultimi tre trimestri i costi unitari del lavoro sono aumentati di oltre il 6,0% annuo, rappresentando i maggiori aumenti in più di quattro decenni.

Variazione annua dei costi retributivi totali, della produttività del lavoro e dei costi unitari del lavoro, dal primo trimestre del 2021 al terzo trimestre del 2022

Alla fine della fiera, la macro-condizione dell'economia statunitense equivale a un infernale caso di stagflazione. Il mercato del lavoro e l'economia sono deboli; l'inflazione è estremamente forte.

Ciò significa, a sua volta, che i rialzi dei tassi d'interesse da parte del sistema bancario centrale sono in realtà in ritardo. Anche solo per iniziare a intaccare lo slancio inflazionistico, bisognerà portare il tasso del decennale statunitense ben al di sopra del livello del 5,0%.

Eppure è la prospettiva di rendimenti obbligazionari drammaticamente più alti che alla fine causerà una grande rottura dei mercati finanziari, specialmente tra i prezzi delle azioni. Vale a dire, a margine gli Stati Uniti hanno impegnato il loro enorme debito pubblico da $31.000 miliardi nei confronti degli investitori stranieri.

I soli giapponesi, ad esempio, hanno accumulato circa $1.200 miliardi di debito pubblico degli Stati Uniti, principalmente perché ha reso molto di più del misero 0,25% decretato dalla Banca del Giappone. Questi rendimenti obbligazionari statunitensi, a loro volta, hanno fornito un rendimento più allettante di quelli disponibili sul mercato interno anche dopo aver tenuto conto del costo della copertura monetaria.

Ma il trade coperto dal dollaro non funziona più, a causa del crollo dello yen. Quest'ultimo ha causato un aumento drammatico dei costi di copertura monetaria.

Quindi sia le istituzioni giapponesi che il signor e la signora Watanabe hanno fatto il pieno di perdite sui titoli in dollari, il che significa che i maggiori acquirenti mondiali di obbligazioni statunitensi per anni, che hanno contribuito a contenere i costi di prestito per le imprese e i consumatori americani, stanno ora abbandonando i mercati obbligazionari in dollari.

Come ha notato di recente il Wall Street Journal:

Stanno aumentando i segnali che il governo giapponese stia vendendo obbligazioni statunitensi a breve termine, parte di uno sforzo per sostenere la sua valuta. Il 22 settembre il rendimento del decennale USA ha fatto registrare il secondo più grande balzo di quest'anno dopo che il governo giapponese, per la prima volta dagli anni '90, ha dichiarato che stava acquistando yen con dollari dalle sue riserve in valuta estera.

Allo stesso tempo, alcuni investitori istituzionali giapponesi stanno correndo per ridurre le loro partecipazioni in obbligazioni estere, compresi i bond sovrani statunitensi.

I rialzi dei tassi d'interesse da parte della Federal Reserve hanno indebolito lo yen e reso più costoso per gli investitori giapponesi proteggersi dalle fluttuazioni monetarie quando acquistano asset statunitensi. Di conseguenza, invece di contare sulla domanda di obbligazioni statunitensi da parte degli investitori giapponesi, gli investitori sono sempre più preoccupati per uno spostamento potenzialmente destabilizzante nei flussi di capitale mondiali.

Il calo della domanda giapponese arriva mentre il mercato obbligazionario statunitense sta attraversando uno dei suoi anni peggiori della storia, essendo stato colpito da un'inflazione persistente e da crescenti aspettative su quanto in alto la FED dovrà lasciar salire i tassi. Con il calo dei prezzi delle obbligazioni, i rendimenti dei bond sovrani statunitensi sono saliti al livello più alto in oltre un decennio.

Infatti per anni molti speculatori giapponesi si sono impegnati in una forma ancora più vivace di arbitraggio: hanno fatto incetta di obbligazioni statunitensi a lungo termine non solo perché offrivano rendimenti più elevati rispetto alle obbligazioni giapponesi, ma perché i loro rendimenti erano superiori a quelli delle obbligazioni statunitensi a breve termine. Ciò ha permesso loro di ottenere buoni rendimenti prendendo in prestito dollari a breve termine (a tassi ridicoli) e quindi acquistare obbligazioni a lungo termine, una mossa che ha anche agito come una copertura de facto contro le fluttuazioni monetarie!

Tuttavia questo gioco sta rapidamente volgendo al termine. Solo negli ultimi quattro mesi gli assicuratori sulla vita e le pensioni giapponesi da soli hanno ridotto le loro partecipazioni in obbligazioni estere di quasi $40 miliardi, secondo i dati del governo giapponese. Ciò avviene dopo che ne hanno comprati circa $500 miliardi sin dall'inizio del 2016, quando le politiche della BOJ hanno spinto i rendimenti obbligazionari giapponesi sotto lo zero.

In breve, i banchieri centrali hanno distrutto i mercati dei capitali mondiali in modo quasi irreparabile. Mentre la FED ora tenta di annullare l'impatto inflazionistico della sua sconsiderata stampa di denaro nel corso di diversi decenni, la spirale della conseguente speculazione a leva e degli investimenti errati in tutto il mondo è destinata a scendere ancora più a fondo.

Quindi quello che abbiamo non è solo la peggiore stagflazione degli ultimi 40 anni, ma anche una costellazione di errori economici indotti dal sistema bancario centrale che aggraveranno e prolungheranno la cura della stretta monetaria che è appena iniziata.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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