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venerdì 23 dicembre 2022

I costi nascosti del sistema petrodollaro

 

 

di Alex Gladstein

Nella sua crescita da white paper concettuale ad asset da migliaia di miliardi di dollari, Bitcoin ha attirato un'enorme quantità di critiche. I detrattori si concentrano sulle sue presunte esternalità negative: consumo di energia, impronta di carbonio, mancanza di controllo centralizzato e incapacità di essere regolamentato. Indipendentemente dalla validità di questi argomenti, pochi critici si fermano a pensare in modo comparativo alle esternalità negative dell'attuale sistema finanziario mondiale basato sul dollaro.

Ciò è, in parte, dovuto al fatto che molti critici di Bitcoin lo vedono solo come una piattaforma di pagamento simile a Visa e ne analizzano le prestazioni e i costi in base alle "transazioni al secondo". Ma Bitcoin non è una società fintech in competizione con Visa, è un asset decentralizzato che compete per essere la nuova valuta di riserva mondiale, con l'obiettivo di ereditare il ruolo che l'oro aveva una volta e il ruolo che il dollaro detiene oggi.

Il mondo fa affidamento sul dollaro e sui titoli del Tesoro statunitensi, dando all'America un dominio economico senza precedenti e fuori misura. Quasi il 90% delle transazioni monetarie internazionali sono in dollari, il 60% delle riserve monetarie è detenuto in dollari e quasi il 40% del debito mondiale è emesso in dollari, anche se gli Stati Uniti rappresentano solo il 20% circa del PIL mondiale. Questo status speciale di cui gode il dollaro è nato negli anni '70 attraverso un patto militare tra America e Arabia Saudita, il quale ha portato il mondo a valutare il petrolio in dollari e ad accumulare debito statunitense. Mentre usciamo dalla crisi santiaria e dalla crisi finanziaria del 2020, le élite americane continuano a godere dell'esorbitante privilegio di emettere l'asset monetario di riferimento per l'energia e la finanza.

Gli ultimi decenni hanno visto un vasto aumento dell'attività economica, della popolazione, del progresso democratico, del progresso tecnologico e del tenore di vita, ma ci sono molti difetti in questo sistema di cui si parla raramente e che pesano su miliardi di persone in tutto il mondo.

Come sarebbe il mondo con una base monetaria aperta, neutrale e prevedibile invece di una controllata e manipolata da un governo che rappresenta solo il 4% della popolazione del pianeta? Questo saggio esplora i lati negativi raramente discussi e sconcertanti del sistema attuale, nella speranza di poterlo sostituire con qualcosa di più equo, economico e decentralizzato.

Questo saggio esplorerà la creazione raramente discussa del petrodollaro e illustrerà come l'America abbia sostenuto brutali dittatori, compromesso la sua sicurezza nazionale, danneggiato la sua base industriale, sostenuto e protetto l'industria dei combustibili fossili e persino scatenato conflitti all'estero, tutto per sostenere la crescita del dollaro come asset di riserva mondiale. Sebbene questa strategia abbia funzionato per i leader statunitensi per molti decenni, oggi il mondo si sta inesorabilmente spostando verso una struttura finanziaria più multipolare e, possibilmente, verso uno standard Bitcoin.


I. LA NASCITA DEL PETRODOLLARO

L'impero britannico era l'egemone indiscusso del XIX secolo, ma iniziò a perdere forza all'inizio del XX secolo, specialmente dopo la prima guerra mondiale. Gli Stati Uniti emersero molto più sani dell'Europa dilaniata dalla guerra e come il Paese con il maggior oro. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, il dollaro aveva indiscutibilmente eclissato la sterlina come valuta nazionale più influente del mondo.

I governi facevano ancora affidamento sull'oro come valuta di riserva mondiale, ma i policymaker di Stati Uniti e Regno Unito erano determinati a creare un sistema più "flessibile". Negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, i leader di 44 Paesi si riunirono in un hotel a Bretton Woods, nel New Hampshire, per scegliere una nuova base finanziaria. L'economista britannico, John Maynard Keynes, promosse l'idea del bancor, un'unità di conto mondiale gestita da molte nazioni, ma gli Stati Uniti preferirono l'idea del dollaro ancorato all'oro a $35 l'oncia. Poiché i deficit commerciali internazionali dovevano ancora essere regolati in oro, il controllo sostanziale dell'America sull'offerta mondiale di metallo giallo e la posizione favorevole della bilancia dei pagamenti fornirono la leva per farsi strada.

Nei decenni a venire, il mondo passò allo standard di Bretton Woods, con le valute nazionali ancorate al dollaro sostanzialmente, dove gli Stati Uniti detenevano abbastanza oro per sostenere l'intero sistema. Fino all'inizio degli anni '60 le cose sono andate abbastanza bene: i dollari divennero il mezzo di scambio dominante per il settlement internazionale, sostenuti dalla promessa di essere rimborsati in oro; l'America divenne la più grande nazione creditrice e una potenza economica. Tuttavia, dopo l'assassinio del presidente Kennedy, il governo degli Stati Uniti scelse un percorso di enormi spese sociali e militari. Con i programmi sociali della "Great Society" del presidente Johnson e l'invasione del Vietnam, il debito degli Stati Uniti salì alle stelle. A differenza della seconda guerra mondiale o della guerra di Corea, il Vietnam fu la prima guerra americana condotta quasi interamente a credito.

Come ha scritto Niall Ferguson in Ascent Of Money: “Alla fine degli anni '60 i deficit del settore pubblico degli Stati Uniti erano trascurabili per gli standard odierni, ma abbastanza grandi da suscitare lamentele dalla Francia secondo cui Washington stava sfruttando il suo status di valuta di riserva per riscuotere il signoraggio dai creditori esteri attraverso la stampa di dollari ex novo, proprio come i monarchi medievali sfruttavano il loro monopolio sul conio per svalutare la valuta”.

L'economista francese Jacques Reuff lo definì il "peccato monetario dell'Occidente" e il governo francese coniò il termine "privilegio esorbitante". La cattiva politica fiscale britannica costrinse una svalutazione della sterlina nel 1967 e i francesi, temendo che l'insostenibile spesa americana avrebbe portato a simili risultati negativi, volevano indietro il loro oro prima di una svalutazione del dollaro.

Nel 1971 il debito degli Stati Uniti era semplicemente cresciuto troppo: solo $11 miliardi in oro ne sostenevano $24 miliardi. Nell'agosto di quell'anno il presidente francese Pompidou inviò una corazzata a New York City per riportare in patria le riserve auree della sua nazione dalla Federal Reserve, e gli inglesi chiesero agli Stati Uniti di preparare $3 miliardi di oro detenuto a Fort Knox per il ritiro. In un discorso televisivo del 15 agosto 1971, il presidente Richard Nixon disse al popolo americano che gli Stati Uniti non avrebbero più riscattato dollari in oro; inoltre il suo piano includeva anche il congelamento dei salari e dei prezzi e un sovrapprezzo alle importazioni. Nixon affermò che la chiusura della finestra dell'oro era temporanea, ma in realtà quando lo stato dichiara qualcosa "temporaneo" allora potete stare sicuri che sarà permanente. Di conseguenza il dollaro venne svalutato di oltre il 10% e il sistema di Bretton Woods cessò di esistere. Il mondo entrò in una grave crisi finanziaria, anche se quando gli venne chiesto dell'impatto che il "suo shock" avrebbe avuto sulle nazioni straniere, Nixon disse: “Non me ne frega niente della lira”.

Come ha scritto David Graeber in Debt: “Nixon fece fluttuare il dollaro per pagare il costo di una guerra in cui aveva ordinato più di quattro milioni di tonnellate di esplosivi e bombe incendiarie sganciate su città e villaggi in tutta l'Indocina [...] la crisi del debito è stata un conseguenza diretta della necessità di pagare le bombe o, per essere più precisi, della vasta infrastruttura militare necessaria per sganciarle. Questo era ciò che stava causando una pressione tanto enorme sulle riserve auree degli Stati Uniti”.

Per la prima volta nella storia, il mondo era entrato in un fiat standard. I dollari detenuti dalle banche centrali di tutto il mondo avevano perso il loro ancoraggio e ci fu un momento geopolitico in cui il dominio degli Stati Uniti venne messo in discussione e in cui un mondo finanziario multipolare era una possibilità concreta. Aggiungendo ancora più pressione a quella già esistente, nel 1973 gli esportatori arabi di petrolio dell'OPEC decisero di quadruplicare il prezzo del petrolio e di embargare gli Stati Uniti in risposta al loro sostegno a Israele durante la guerra dello Yom Kippur. In pochi anni un barile di petrolio passò da meno di $2 a quasi $12. Di fronte all'inflazione a due cifre e al declino mondiale della fiducia nel dollaro, Nixon e il suo segretario di Stato e consigliere per la sicurezza nazionale, Henry Kissinger, ebbero un'idea che avrebbe permesso loro di sostenere le gigantesche spese "militarie e sociali" nell'era post-gold standard e alterare il destino del mondo.

Nel 1974 mandarono il nuovo segretario del Tesoro, William Simon, in Arabia Saudita “per trovare un modo per convincere un regno ostile a finanziare il crescente deficit americano con la sua ritrovata ricchezza in petrodollari”. In poche parole, un petrodollaro è un dollaro pagato a un esportatore di petrolio in cambio dell'oro nero. Come afferma una relazione di Bloomberg, la struttura di base era "sorprendentemente semplice". Gli Stati Uniti “avrebbero acquistato petrolio dall'Arabia Saudita e avrebbero fornito al regno aiuti e attrezzature militari. In cambio i sauditi avrebbero reinvestito miliardi delle loro entrate in petrodollari nei titoli del Tesoro USA e avrebbero finanziato la spesa pubblica americana”. Quello fu il momento in cui il dollaro venne ufficialmente ancorato al petrolio.

L'8 giugno 1974, a Washington, Kissinger e il principe ereditario Fahd firmarono accordi che stabilivano l'investimento saudita negli Stati Uniti e il sostegno americano all'esercito saudita. Nixon volò a Jeddah pochi giorni dopo per continuare a elaborare i dettagli. Documenti declassificati in seguito hanno rivelato che il governo degli Stati Uniti consentì in via confidenziale ai sauditi di acquistare titoli del Tesoro USA “al di fuori delle normali aste e a tassi preferenziali”. All'inizio del 1975 acquistarono titoli del Tesoro USA per $2,5 miliardi, dando inizio a una baldoria che in seguito ssi sarebbe trasformata in centinaia di miliardi di petrodollari investiti nel debito statunitense. Decenni dopo, Gerry Parsky, che all'epoca era vice segretario al Tesoro statunitense, disse che tale “accordo segreto con i sauditi avrebbe dovuto essere smantellato anni fa” e che era “sorpreso che il Tesoro USA l'avesse tenuto in vigore per così tanto tempo”. Ciononostante disse altresì che “non aveva rimpianti” poiché “stringere quell'accordo era stato positivo per l'America”.

Nel 1975 altre nazioni dell'OPEC seguirono l'esempio dell'Arabia Saudita. Se volevate comprare petrolio da loro e dal loro deposito di quasi l'80% delle riserve petrolifere mondiali, dovevate pagare in dollari. Ciò creò una nuova domanda per la valuta americana in un momento d'incertezza mondiale e persino in un momento di persistente inflazione. Le nazioni in via d'industrializzazione avevano bisogno di petrolio e per ottenerlo dovevano esportare merci negli Stati Uniti, o acquistare dollari nei mercati dei cambi, aumentando l'effetto di rete mondiale del dollaro. Nel 1974 il 20% del petrolio mondiale era ancora scambiato in sterline britanniche, ma questo numero scese al 6% nel 1976. Nel 1975 le importazioni di attrezzature militari statunitensi salirono da $300 milioni a oltre $5 miliardi. I prezzi del petrolio, spinti dal premio derivante dalla possibilità di essere venduti in dollari, sarebbero rimasti alle stelle fino al 1985.


II. L'IMPATTO DEL PETRODOLLARO

Nella sua ricerca sul petrodollaro, l'economista David Spiro sostiene che i profitti in dollari dell'OPEC sono stati "riciclati" nelle tesorerie statunitensi per sovvenzionare le “politiche favorevoli al debito del governo degli Stati Uniti così come il consumo dei suoi cittadini alimentato dal debito”. Il riciclaggio di petrodollari ha abbassato nel tempo i tassi d'interesse e ha permesso agli Stati Uniti di emettere debito a un prezzo molto basso. Questo sistema è stato creato e mantenuto in vigore non dall'economia ma dalla politica attraverso il patto con l'Arabia Saudita. Come disse Alan Greenspan nel 1977, riflettendo sulla sua esperienza come presidente del Consiglio dei consulenti economici durante l'amministrazione Ford, i sauditi erano “decisori al di sopra del mercato”.

Graeber indica il riciclaggio dei petrodollari come un esempio di come le tesorerie statunitensi abbiano sostituito l'oro come valuta di riserva mondiale e massima riserva di valore. L'elemento motore, spiega, è stato che “l'effetto combinato di bassi pagamenti d'interessi e inflazione ha permesso a queste obbligazioni di deprezzarsi in valore [...] gli economisti preferiscono definirlo 'signoraggio'”.

Dalla sua creazione nel 1974, il sistema del petrodollaro ha cambiato il mondo in molti modi, tra cui:

• La creazione di una stretta alleanza tra gli Stati Uniti e la dittatura dell'Arabia Saudita, così come altre tirannie nella regione del Golfo.

• La forte ascesa dell'economia mondiale sommersa "eurodollaro", quando i petrodollari (creati al di fuori del controllo della Federal Reserve) hanno invaso le banche di Londra e del Nord America e sono stati poi riciclati nelle tesorerie statunitensi o prestati ai mercati emergenti.

• La finanziarizzazione dell'economia americana man mano che il dollaro artificialmente forte ha reso le esportazioni non competitive, svuotato la classe media e spostato l'attenzione dalla produzione alla finanza, difesa e servizi, il tutto aumentando l'indebitamento nel sistema.

• Ulteriore stress per l'Unione Sovietica che si trovava di fronte a un mercato mondiale sempre più in dollari, dove gli Stati Uniti potevano stampare denaro per acquistare petrolio, ma dovevano estrarre petrolio dal terreno.

• Problemi dolorosi per le economie dei mercati emergenti, impantanate in debiti denominati in dollari e difficili da rimborsare; bloccate in un sistema che privilegiava l'accumulo di dollari rispetto agli investimenti interni, danneggiando il reddito e innescando crisi del debito ovunque, dal Messico all'Asia orientale alla Russia fino all'Argentina.

• Crescita costante delle industrie del petrolio e dei combustibili fossili a scapito dell'energia nucleare e dell'indipendenza energetica regionale.

• E, naturalmente, la continuazione degli Stati Uniti come egemone militare-finanziario e la loro capacità di avere enormi deficit per finanziare guerre e programmi sociali, tutti in parte pagati da altri Paesi.

Ci sono critici della teoria del petrodollaro che affermano che il fenomeno è in gran parte un mito. Dicono che il dollaro è stato dominante semplicemente perché non c'era concorrenza. Dean Baker del Center for Economic and Policy Research ha affermato che “mentre è vero che il prezzo del petrolio è in dollari e che la maggior parte del petrolio è scambiato in dollari, questi fatti fanno relativamente poca differenza per lo status del dollaro come valuta internazionale per il benessere economico degli Stati Uniti”.

Nel frattempo MMTer come Warren Mosler e Stephanie Kelton minimizzano l'importanza del petrodollaro, dicendo "non importa" o "è irrilevante" in quanto non limita ciò che gli Stati Uniti possono fare a livello nazionale e che a livello internazionale non importa il prezzo del petrolio perché i Paesi possono scambiare le valute prima dell'acquisto. I critici sottolineano il fatto che il dollaro era già la valuta di riserva mondiale prima del 1973 e che il prezzo delle materie prime in dollari era "solo una convenzione" e che “non ci sarebbe stata alcuna differenza se l'euro, lo yen, o anche i moggi di grano fossero stati scelti come unità di conto per il mercato petrolifero”. Dicono anche che i dollari coinvolti nel commercio di petrolio sono "banali" rispetto ad altre fonti di domanda.

Ma la decisione dell'Arabia Saudita e dell'OPEC di valutare le loro esportazioni di petrolio in dollari e investire i profitti nel debito degli Stati Uniti non è stata dettata dal mercato, né dalla fortuna e né dalla casualità, ma dalla politica; una decisione presa in cambio di protezione e armi, e una che ha scatenato innumerevoli effetti di rete aggiuntivi che nel tempo hanno consolidato il dollaro come valuta di riserva mondiale. Quando i Paesi sono costretti a scambiare le proprie valute con dollari per acquistare petrolio, questo rafforza quella coppia commerciale per quel Paese, estendendo l'influenza degli Stati Uniti oltre i mercati energetici. Nel suo libro, Debt, Graeber menziona il fatto che le vendite di petrolio denominate in dollari possono dare o non dare signoraggio agli Stati Uniti, ma afferma che a prescindere da ciò quello che alla fine conta è “che i politici statunitensi si sentono simbolicamente importanti e resistono a qualsiasi tentativo di cambiare questa realtà”.


III. LA POLITICA ESTERA AMERICANA E IL PETRODOLLARO

Nell'ottobre 2000 Saddam Hussein tentò di alterare il sistema dei petrodollari quando annunciò che l'Iraq avrebbe venduto il petrolio in euro, non in dollari. Nel febbraio 2003 aveva venduto 3,3 miliardi di barili di petrolio per €26 miliardi. Con i suoi partner commerciali francesi e tedeschi nacque il "petroeuro", che se ampliato avrebbe aiutato il mercato dell'euro a svilupparsi meglio rispetto a molte altre valute, aumentandone la forza ed erodendo l'esorbitante privilegio del dollaro. Ma un mese dopo gli Stati Uniti, aiutati dal Regno Unito, invasero l'Iraq e rovesciarono Saddam. A giugno l'Iraq era tornato a vendere petrolio in dollari.

L'America entrò in guerra per difendere il petrodollaro? Questa possibilità non viene quasi mai discussa nelle analisi retrospettive della guerra, le quali tendono a fissarsi su questioni relative alle presunte scorte di armi di distruzione di massa dell'Iraq, violazioni dei diritti umani, o legami con il terrorismo. Ma all'epoca l'euro era visto da molti come uno sfidante temibile nei confronti del dollaro. Dato che la cacciata di Saddam, in retrospettiva, contribuì a scoraggiare il cambiamento e diede al sistema del petrodollaro ulteriori anni di dominio, sembra una delle spiegazioni più ragionevoli per la guerra più misteriosa della storia americana moderna.

L'anno scorso il giornalista Robert Draper venne invitato nello show di Ezra Klein per discutere del suo libro, To Start A War: How The Bush Administration Took America Into Iraq. Con un decennio di retrospettiva copre molti dei possibili motivi dell'invasione, ma alla fine viene definita una "guerra senza una ragione". Fino ad oggi non c'è consenso sul perché esattamente gli Stati Uniti abbiano invaso l'Iraq e le ragioni ufficiali si sono dimostrate completamente inventate.

Secondo l'ex-segretario al Tesoro, Paul O'Neill, nel febbraio 2001 l'amministrazione Bush stava già parlando alla logistica dell'invasione dell'Iraq. “Non perché”, ha detto, “ma come e quanto velocemente”. I progetti erano già stati realizzati e poche ore dopo gli attacchi del 9/11 l'allora vice segretario alla difesa, Paul Wolfowitz, ordinò uno studio completo sui legami di Saddam con le organizzazioni terroristiche.

Nei successivi 18 mesi l'amministrazione Bush riuscì a far passare la necessità di un tale sforzo bellico e nel marzo 2003 ottenne un ampio sostegno, soprattutto con l'aiuto del Segretario di Stato, Colin Powell, il quale spese la sua credibilità in una campagna di pubbliche relazioni alle Nazioni Unite e nei notiziari televisivi. Entrambe le camere del Congresso sostennero la rimozione di Saddam, inclusi i senatori Clinton, Kerry, Reid e Biden. Anche gli orani di stampa generalisti sostennero l'invasione, così come il 72% del popolo americano nei sondaggi nelle settimane precedenti l'invasione. La motivazione pubblica era chiara: Saddam era pericoloso, si credeva che avesse armi di distruzione di massa, potesse darle ad Al Qaeda e doveva essere fermato. All'epoca il vicepresidente Dick Cheney disse che “non ci possono essere dubbi sul fatto che Saddam abbia armi di distruzione di massa”. La guerra venne anche commercializzata come uno sforzo umanitario e le fu dato il nome di Operazione Iraqi Freedom. Ma in retrospettiva l'America non ha invaso l'Iraq per promuovere i diritti umani, non c'era alcun collegamento con Al Qaeda o con l'11 settembre. E, nonostante le promesse di Cheney, non sono mai state trovate armi di distruzione di massa.

Altri motivi erano e continuano a essere fonte di discussione, tra cui contrastare l'Iran, il che ha poco senso dato che la maggior parte degli iracheni sono sciiti e la loro struttura politica ha finito per inclinarsi maggiormente verso l'Iran durante l'occupazione, soprattutto perché gli Stati Uniti avevano sostenuto Saddam nei decenni precedenti proprio per questo scopo. La natura inconsistente delle ragioni ufficiali della guerra ha portato molti a credere che la causa principale fosse il petrolio. Non sarebbe insolito. Negli ultimi 150 anni le risorse naturali sono state alla radice di molte guerre, invasioni e occupazioni che hanno plasmato il nostro mondo, tra cui la Scramble for Africa, il Great Game in Asia centrale, il trattato Sykes-Picot, il rovesciamento di Mossadegh e Lumumba e la prima guerra del Golfo.

George W. Bush, Colin Powell, il segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, l'autorità provvisoria della coalizione, Paul Bremer, e il ministro degli Esteri britannico, Jack Straw, hanno tutti negato pubblicamente che la guerra riguardasse il petrolio. Ma l'ex-presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, ha scritto nel suo libro di memorie che “sono rattristato dal fatto che sia politicamente scomodo riconoscere ciò che tutti sanno: la guerra in Iraq riguarda in gran parte il petrolio” e ha detto ai media generalisti che la rimozione di Saddam era “essenziale” per garantire le forniture mondiali di petrolio. L'ex-capo delle operazioni statunitensi in Iraq, il generale John Abizaid, ha affermato che “ovviamente si tratta di petrolio; non possiamo negarlo”. E l'ex segretario alla Difesa, Chuck Hagel, ammise nel 2007 che “la gente dice che non stiamo combattendo per il petrolio. Certo che sì invece”.

È vero che l'America, anche allora, non consumava gran parte del suo petrolio dal Medio Oriente. Nel 2003 gli Stati Uniti ricevevano la maggior parte del loro petrolio dalla produzione interna: Canada, Messico e Venezuela. In questa luce invadere l'Iraq per “controllare” il petrolio sembra una ragione debole e la maggior parte potrebbe facilmente prevedere che una guerra avrebbe danneggiato le infrastrutture petrolifere irachene, creando poi ritardi prima che la produzione potesse tornare a regime. Ma forse la guerra non è stata fatta per il petrolio in senso generale, ma nello specifico, per difendere il sistema del petrodollaro.

Nel maggio 2003, settimane prima che l'Iraq tornasse a vendere petrolio in dollari, Howard Fineman scrisse su Newsweek che gli europei stavano discutendo con le Nazioni Unite sull'opportunità o meno di continuare a cercare le armi di distruzione di massa che non riuscivano a trovare. Riferì che la vera disputa non riguardava affatto “le armi di distruzione di massa. Riguarda qualcos'altro: chi può vendere – e comprare – il petrolio iracheno e quale valuta verrà utilizzata per denominare il valore di tali vendite”.

Come si chiede Graeber: “Quanto ha pesato la decisione di Hussein di cassare il dollaro quando gli Stati Uniti hanno deciso di deporlo? È impossibile dirlo. La sua decisione di smettere di usare 'la valuta del nemico', come disse lui, era l'ultimo di una serie di gesti ostili che probabilmente avrebbero portato alla guerra in ogni caso; ciò che è importante è che c'erano voci diffuse secondo cui questo era uno dei principali fattori che hanno contribuito a scatenarla, e quindi nessun politico nella posizione di fare un cambiamento simile può ignorarne la possibilità. Anche se ai loro beneficiari non piace ammetterlo, tutti gli accordi imperiali, in ultima analisi, si basano sul terrore”.

Con il senno di poi, i primi anni 2000 sono stati un'epoca in cui, di fronte alla sfida dell'euro, aveva senso che gli Stati Uniti agissero. E quindi, che la difesa del petrodollaro fosse o meno l'obiettivo principale dell'invasione dell'Iraq, il risultato è stato lo stesso: altri Paesi hanno visto ciò che è stato fatto a Saddam e sono stati, per molti anni, cauti nello spingere la propria "petro " moneta. E il petrolio? La produzione irachena è più che raddoppiata dal 2001 al 2019, salendo infine a cinque milioni di barili al giorno. Il mondo finanziario è diventato multipolare negli ultimi anni, ma nel 2019 oltre il 99% dei pagamenti commerciali del greggio erano ancora saldati in dollari.


IV. DITTATORI, DISUGUAGLIANZE E COMBUSTIBILI FOSSILI

Oltre alla guerra in Iraq, ci sono molte altre esternalità negative chiave nel sistema del petrodollaro. Il sostegno americano alla dittatura saudita è una. Anche se 15 dei 19 dirottatori dell'11 settembre, più lo stesso Osama Bin Laden, fossero sauditi, il governo degli Stati Uniti si sono opposti a qualsiasi tentativo d'indagare sul coinvolgimento del regime saudita nell'attacco e invece ha invaso e bombardato altri Paesi per rappresaglia. Il petrodollaro è uno dei motivi principali per cui l'omicida Casata di Saud è ancora al potere.

Nel 2002 l'ex-ambasciatore degli Stati Uniti in Arabia Saudita, Chas Freeman, disse al Congresso: “Una delle cose più importanti che i sauditi hanno storicamente fatto, in parte per amicizia con gli Stati Uniti, è insistere sul fatto che il prezzo del petrolio continui ad essere denominato in dollari. Pertanto il Tesoro degli Stati Uniti può stampare denaro e acquistare petrolio, il che è un vantaggio che nessun altro Paese ha”. Nel 2007 i sauditi hanno avvertito gli Stati Uniti che avrebbero abbandonato il sistema del petrodollaro se avessero perseguito il disegno di legge del Congresso "NOPEC", il quale avrebbe consentito al Dipartimento di Giustizia di perseguire i governi dell'OPEC in base alle leggi antitrust per la manipolazione dei prezzi del petrolio. Il disegno di legge non è mai stato approvato.

Secondo un articolo del New York Times del 2016, l'Arabia Saudita “ha detto all'amministrazione Obama e ai membri del Congresso che venderà centinaia di miliardi di dollari di asset americani detenuti dal regno, se il Congresso approva un disegno di legge che riterrebbe responsabile il governo saudita nei tribunali americani per qualsiasi ruolo avuto negli attacchi dell'11 settembre 2001”.

Nel 2020 l'allora procuratore generale, William Barr, ha impedito che il nome di un diplomatico saudita legato all'11 settembre diventasse di dominio pubblico perché una tale divulgazione rischiava “un danno significativo alla sicurezza nazionale”. Sulla scia dell'omicidio dell'editorialista del Washington Post, Jamal Khashoggi, il presidente Donald Trump non avrebbe spinto per un'azione contro Mohamed bin Salman. Su NBC News ha detto: “Non sono uno sciocco che dice 'non vogliamo fare affari con loro'”. Anche il presidente Biden si è rifiutato di condannare pubblicamente bin Salman, nonostante gli siano state presentate prove dalle sue stesse agenzie d'intelligence che quest'ultimo ha ordinato l'omicidio di Khashoggi, dicendo che sarebbe stato troppo costoso per l'America.

Questi sono solo alcuni esempi di come, nonostante la sanguinosa guerra del regime saudita nello Yemen, la tortura delle prigioniere politiche e l'assassinio di Khashoggi, il rapporto dell'America con il regno rimane saldo e protetto ai massimi livelli. Secondo una ricerca dello Stockholm International Peace Research Institute “tra il 2015 e il 2019 i sei Stati del Golfo hanno acquistato più di un quinto delle armi vendute a livello mondiale, con Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti (UAE) e Qatar rispettivamente al primo, ottavo e decimo posto al mondo come importatori di armi. L'Arabia Saudita da sola ha acquistato un quarto del totale delle esportazioni di armi statunitensi durante suddetto periodo, rispetto al 7,4% nel 2010-14”. Il patto sui prezzi del petrolio stipulato per la prima volta nel 1974 rimane forte nel 2021, nonostante i tempi siano molto diversi.

A livello nazionale, alcune fazioni americane hanno prosperato grazie al petrodollaro, ma l'impatto sulla classe media americana è stato negativo. Come è stato recentemente scritto su Foreign Affairs: “I benefici del primato del dollaro vanno principalmente alle istituzioni finanziarie e alle grandi imprese, ma i costi sono generalmente a carico dei lavoratori. Per questo motivo la continua egemonia del dollaro minaccia di esacerbare la disuguaglianza e la polarizzazione politica negli Stati Uniti”. Le società e i proprietari di asset hanno beneficiato maggiormente dal contesto di bassi tassi d'interesse. Come sostengono Feygin e Leusder in The Class Politics Of The Dollar System, “il primato del dollaro alimenta un crescente deficit commerciale americano che sposta l'economia del Paese verso l'accumulo di rendite piuttosto che la crescita della produttività. Ciò ha contribuito alla diminuzione della quota di lavoro e capitale del reddito e all'aumento vertiginoso del costo di servizi come l'istruzione, le cure mediche e gli alloggi in affitto”.

Poiché il sistema del petrodollaro ha mantenuto la domanda internazionale di dollari artificialmente forte nel corso dei decenni, la base manifatturiera americana è diventata debole e non competitiva e ha perso posti di lavoro all'estero. Normalmente una valuta troppo forte finisce per creare un problema di deficit ed è costretta a svalutarsi per vendere le esportazioni, ma, come sottolinea Lyn Alden in The Fraying Of The US Global Currency Reserve System, ciò non è mai accaduto con gli Stati Uniti a causa del continuo pagamento del proprio deficit da parte di nazioni straniere. Nel 1960 l'economista Robert Triffin diede un nome a questo fenomeno, oggi conosciuto come Dilemma di Triffin: per rimanere la valuta di riserva mondiale, gli Stati Uniti devono fornire liquidità a livello mondiale gestendo deficit sempre più grandi, che un giorno però andranno a indebolire la fiducia nel dollaro.

Il settore finanziario statunitense è cresciuto a dismisura, rappresentando ora il 20% del PIL, rispetto al 10% nel 1947. Questa finanziarizzazione ha arricchito l'élite detentrice di asset sulle coste mentre ha rovinato i lavoratori dell'entroterra con salari stagnanti. Ciò ha scatenato il populismo e l'estrema disuguaglianza, dove la ricchezza media degli Stati Uniti è ancora relativamente alta tra le nazioni avanzate, ma la sua ricchezza media è relativamente bassa. La Alden e altri opinionisti macroeconomici, come Luke Gromen, sostengono che l'egemonia del dollaro in realtà danneggia gli Stati Uniti nella sua competizione con nazioni come la Cina, che sono in grado di prendere continuamente in prestito dollari per accumulare beni materiali e consolidare il controllo su importanti catene di approvvigionamento mondiali.

E poi abbiamo il petrodollaro stesso e il suo impatto sull'ambiente. Come riportato dalla Reuters: “Se l'uso di petrolio in dollari diminuisce a favore di fonti di energia eolica, solare o idroelettrica prodotti internamente, allora il crescente bacino di petrodollari mondiali, spesi e investiti dai grandi produttori mondiali di petrolio dalla fine del gold standard negli anni '70, potrebbe prosciugarsi con esso”. In poche parole, uno spostamento globale verso le rinnovabili metterebbe a dura prova la domanda di combustibili fossili, il che potrebbe infliggere un duro colpo al sistema dei petrodollari e alla capacità degli Stati Uniti di accumulare enormi deficit senza conseguenze. Gli interessi petroliferi hanno resistito aggressivamente ai tentativi di sviluppare l'energia nucleare e le fonti rinnovabili negli ultimi decenni. L'esercito americano continua ad essere il singolo e più grande consumatore di risorse petrolifere.

Quando la valuta di riserva mondiale dipende letteralmente dalla vendita di petrolio, il mondo ha un enorme problema di emissioni di anidride carbonica. Per non parlare del fatto che, come discusso, il petrodollaro è difeso dalla presenza globale dell'esercito statunitense, che ha una produzione di anidride carbonica della grandezza di una nazione di medie dimensioni, continua a essere alimentata dalla necessità dell'America di proteggere il dollaro ed è esacerbata dall'aumento del prezzo del petrolio a causa delle guerre combattute dagli USA in vari continenti. È davvero impossibile che il sistema del petrodollaro sia verde quando è basato sull'oro nero.


V. BITCOIN E UN MONDO MULTIPOLARE

La politica estera degli Stati Uniti ha mantenuto il dominio del petrodollaro per molti decenni, ma il suo potere sta indiscutibilmente cominciando a scemare. Molti americani, incluso il sottoscritto, sono stati incredibilmente privilegiati da questo sistema, ma non durerà per sempre.

Luke Gromen definisce il sistema dei petrodollari una "città aziendale", dove gli Stati Uniti hanno imposto il controllo sui prezzi del petrolio con minacce e violenza. Dopo la caduta dell'Unione Sovietica, dice, l'America avrebbe potuto ristrutturare il sistema e tenere un'altra Bretton Woods, ma ha decisono di mantenere un potere unipolare. Oltre a proteggere il sistema da potenziali concorrenti, come il petroeuro, Gromen afferma che l'America ha esteso la vita di tal sistema inaugurando il NAFTA e aiutando la Cina ad aderire all'Organizzazione mondiale del commercio nel 2001. Questi passaggi hanno permesso agli Stati Uniti di continuare a esportare produzione e obbligazioni all'estero in cambio di merci e servizi. Nel 2001 le disponibilità di bond sovrani statunitensi in mano cinese erano di $60 miliardi, ma sono salite a $1.300 miliardi un decennio dopo. Dal 2002 al 2014 la più grande esportazione americana sono stati i titoli del Tesoro, dove le banche centrali straniere hanno acquistato il 53% dell'emissione, utilizzandoli come una nuova forma di oro. Ma da allora la Cina e altri governi hanno disinvestito dai titoli del Tesoro USA e ci hanno spinto verso un nuovo sistema, in attesa che l'oro perdesse valore. Secondo Gromen, si sono resi conto che se il petrolio fosse ancora prezzato in dollari mentre gli Stati Uniti continuavano a mantenere un rapporto debito/PIL più elevato (dal 35% negli anni '70 a oltre il 100% oggi), il prezzo del petrolio alla fine sarebbe schizzato alle stelle. L'Europa non è stata in grado d'interrompere il sistema del petrodollaro nei primi anni 2000, ma nel tempo l'egemonia e la capacità degli Stati Uniti d'impedire ad altre nazioni di prezzare il petrolio nelle proprie valute si è erosa.

Sempre più Paesi stanno denominando il commercio di petrolio in altre valute, come euro, yuan e rubli, in parte perché temono di affidarsi a un sistema indebolito e in parte perché il governo degli Stati Uniti continua a usare il dollaro come arma. Il sistema sanzionatorio americano è incredibilmente potente, in quanto può isolare i nemici dalla rete di pagamento SWIFT, o dalla Banca mondiale, o dal FMI. Come riportato dal Financial Times: “Usando le banche americane come randello contro la Russia, Joe Biden ha mostrato la volontà di militarizzare il sistema finanziario statunitense contro i nemici, continuando una tattica affinata durante gli anni di Obama ed esacerbata da Donald Trump”.

Questo mese il presidente Biden ha criticato pubblicamente il progetto Nord Stream2 Pipeline, che si baserebbe sullo slancio che il presidente russo, Vladimir Putin, ha già avuto con Rosneft, prezzando in euro oltre il 5% del petrolio mondiale e collegando Europa e Russia. Secondo quanto riferito, il team Biden vuole "uccidere" il progetto e i suoi funzionari hanno commentato che il primato del dollaro rimane “estremamente importante” per l'amministrazione e che “è nel nostro interesse nazionale dato il vantaggio in termini di costi di finanziamento che fornisce, [perché] ci consente di assorbire gli shock [...] e ci dà un'enorme leva geopolitica”. Questa è un'indicazione sorprendente di quanto sia importante a livello politico il sistema del petrodollaro per gli Stati Uniti, 50 anni dopo la sua creazione, nonostante i critici affermino che il mondo usi i dollari per ragioni di puro mercato.

Molti Paesi vogliono sfuggire al controllo finanziario degli Stati Uniti e questo desiderio sta accelerando la de-dollarizzazione mondiale. Ad esempio, Cina e Russia, a partire dall'anno scorso, effettuano transazioni in dollari solo il 33% delle volte, rispetto al 98% di sette anni fa. La Cina sta espandendo il commercio di petrolio denominato in yuan e molti temono che il nuovo progetto "DC/EP", o yuan digitale del Partito Comunista Cinese, sia uno stratagemma per aumentare l'uso internazionale dello yuan. Nel frattempo l'ex presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha affermato che “è assurdo che l'Europa paghi l'80% delle sue importazioni di energia – per un valore di €300 miliardi all'anno – in dollari quando solo il 2% circa delle nostre importazioni di energia proviene dal Stati Uniti”. Sebbene il dollaro sia ancora dominante, le tendenze indicano che altre principali valute guadagneranno trazione nei prossimi anni.

Al di là di un passaggio a un mondo monetario multipolare, un'altra minaccia per il petrodollaro potrebbe essere il DSP, o "Diritto speciale di prelievo", impiegato dal FMI, che si basa su dollaro, euro, sterlina, yen e yuan. Ispirato da Keynes e dalla sua idea fallita del bancor di Bretton Woods, il DSP ha ottenuto trazione negli ultimi anni, con più di 200 miliardi di unità in circolazione e altri 650 miliardi che potrebbero essere creati. Ma pochi governi in una posizione di potere economico cederebbero volentieri il loro controllo monetario a un'organizzazione non eletta.

Per quanto riguarda l'oro, il mondo non tornerà indietro. Come scrisse Jacques Rueff negli anni '60: “I gestori del denaro sceglieranno sempre l'inflazione; solo un gold standard li priva di tale opzione”. Lo storico di sinistra, Michael Hudson, spiega che negli anni '70, cercò di sostenere un caso apolitico affinché il governo degli Stati Uniti tornasse al gold standard, collaborando con lo studioso di destra Herman Khan: “Lui e io abbiamo tenuto una presentazione al Tesoro degli Stati Uniti, dicendo: l'oro è un metallo pacifico perché è un vincolo sulla bilancia dei pagamenti. Se i Paesi dovessero pagare il loro deficit della bilancia dei pagamenti in oro, non sarebbero in grado di sostenerne i costi qualora decidessero di scendere in guerra. È per questo che gli Stati Uniti hanno sostanzialmente risposto 'Ecco perché non torneremo all'oro. Vogliamo essere in grado di andare in guerra e vogliamo che l'unica alternativa sia il dollaro degli Stati Uniti.'” L'oro è, secondo la maggior parte degli economisti odierni, semplicemente troppo vincolante.

Uno studio del 2020 sul Journal of Institutional Economics ha ipotizzato quattro potenziali esiti monetari futuri per il mondo: egemonia del dollaro, blocchi monetari in competizione (dove l'UE e la Cina fungono da contrappesi agli Stati Uniti), una federazione monetaria internazionale (dove al vertice della gerarchia internazionale non c'è più un solo stato, bensì la BRI e il DSP) e l'anarchia monetaria internazionale dove il mondo si restringe in isole meno connesse. Gli autori, tuttavia, trascurano una quinta possibilità: uno standard Bitcoin in cui la valuta digitale diventa l'asset di riserva mondiale.

Dalla sua creazione nel 2009 da parte di Satoshi Nakamoto, il valore di Bitcoin è cresciuto da meno di un centesimo a più di $50.000, diffondendosi in tutte le principali aree urbane del mondo come riserva di valore e, in alcuni luoghi, mezzo di scambio. Nell'ultimo anno le società Fortune 500, come Tesla e fondi sovrani come Temasek di Singapore, hanno iniziato ad accumulare bitcoin grazie alle sue proprietà resistenti all'inflazione. Molti lo definiscono addirittura oro digitale.

Molto probabilmente stiamo assistendo alla nascita non solo di una nuova riserva di valore, ma anche di una nuova base monetaria mondiale, neutra e decentralizzata come l'oro, ma diversa dall'oro in quanto è programmabile, trasportabile digitalmente, facilmente verificabile, assolutamente scarsa e resistente alla censura. Qualsiasi cittadino, o governo, può ricevere, custodire, o inviare qualsiasi quantità di bitcoin con l'accesso a Internet, e nessuna alleanza o impero può svalutarlo. È, come dicono alcuni, la valuta dei nemici: le parti avversarie possono utilizzare il sistema e trarne vantaggio in egual misura.

Man mano che il valore di Bitcoin aumenta rispetto alle valute fiat, sempre più società e individui inizieranno ad accumularlo. Alla fine lo faranno anche i governi. All'inizio lo aggiungeranno come una piccola parte del loro portafoglio insieme ad altre valute di riserva, ma alla fine cercheranno di acquistarli, minarli, tassarli, o confiscarli quanto più possibile.

Nato in un momento in cui la precedente valuta di riserva mondiale aveva raggiunto il suo apice, Bitcoin potrebbe introdurre un nuovo modello, con più possibilità ma anche più moderazione. Chiunque abbia una connessione a Internet sarà in grado di proteggere i propri salari e risparmi, ma gli stati, incapaci di creare denaro per capriccio, non saranno in grado di condurre guerre per sempre e costruire stati di sorveglianza di massa che contraddicono i desideri dei loro cittadini. Potrebbe esserci un allineamento più stretto tra governanti e governati.

La grande paura, ovviamente, è che l'America non sarà in grado di finanziare i suoi esorbitanti programmi sociali e le spese militari se ci sarà una minore domanda mondiale di dollari. Se le persone preferiscono l'euro, o lo yuan, o le obbligazioni di altri Paesi, gli Stati Uniti nella loro forma attuale sarebbero in grossi guai. Nixon e Kissinger progettarono il petrodollaro in modo che gli Stati Uniti potessero beneficiare della domanda globale di dollari legata al petrolio. Il quesito è: perché non può esserci una domanda globale di dollari legata a Bitcoin?

Indipendentemente dalla base monetaria, potrebbero esserci ancora valuta fiat e debito pubblico, valutati in base al potere economico e alla posizione in Bitcoin dei vari Paesi. E nel mondo emergente di Bitcoin, l'America è leader in molte categorie, che si tratti di infrastrutture, sviluppo di software, partecipazioni effettive da parte della popolazione e, sempre più date le tendenze attuali, mining. L'America è anche costruita sulla libertà, l'uguaglianza di opportunità, la libertà di parola, la proprietà privata, i mercati dei capitali aperti e altri valori e istituzioni che Bitcoin rafforza. Se alla fine Bitcoin diventerà il denaro di base mondiale, allora l'America è nella posizione per capitalizzare questa trasformazione.

Ciò significa non fare più affidamento su dittatori e patti segreti in Medio Oriente, non ci sarebbe più bisogno di minacciare o invadere altri Paesi per preservare il primato del dollaro e non ci sarebbe più bisogno di opporsi alla tecnologia nucleare o all'energia rinnovabile per proteggere l'industria dei combustibili fossili. A differenza del sistema del petrodollaro, Bitcoin potrebbe benissimo accelerare la transizione energetica globale verso le rinnovabili, con i miner che scelgono le fonti di elettricità più economiche, e le tendenze puntano verso rinnovabili più economiche in futuro.

Secondo lo standard Bitcoin, tutti giocherebbero secondo le stesse regole. Nessun governo o alleanza di governi può manipolarne la politica monetaria, ma qualsiasi individuo può optare per una valuta basata su regole non discrezionali e controllare uno strumento di risparmio che storicamente si è apprezzato rispetto ai beni e servizi. Questo sarebbe un enorme vantaggio netto per la maggior parte delle persone sulla Terra, soprattutto se si considera che oggi miliardi di persone vivono in condizioni di alta inflazione, repressione finanziaria, o isolamento economico.

Questa transizione potrebbe non essere così piacevole per i regimi autoritari, che sono più chiusi, tirannici, violentemente redistributivi e isolati rispetto alle democrazie liberali, ma dal punto di vista del sottoscritto sarebbe una buona cosa e potrebbe forzare le riforme dove il semplice attivismo ha fallito.

La deriva multipolare del mondo è inevitabile. Nessun Paese può, nel prossimo futuro, ottenere tanto potere quanto l'America ne aveva alla fine del XX secolo. Gli Stati Uniti saranno ancora una potenza per molto tempo a venire, ma lo saranno anche la Cina, l'UE, la Russia, l'India e altre nazioni. E possono competere in un nuovo sistema monetario che si allontani dal petrodollaro e da tutte le sue costose esternalità: uno standard Bitcoin neutrale che gioca con i punti di forza delle società aperte, ovvero non dipende da dittatori o combustibili fossili e alla fine è gestito dai cittadini, non dall'élite.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


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