Bibliografia

venerdì 30 settembre 2022

Catene di approvvigionamento, tassi d'interesse e inflazione

 

 

di Alasdair Macleod

L'interruzione delle catene di approvvigionamento mondiali è considerata un problema temporaneo ancora da risolvere, ma ci sono buone ragioni per ritenere che ora sia permanente.

Dopo la fine della guerra fredda contro la Russia e la fondazione di una nuova era di pace, i produttori americani e altri hanno iniziato a espandere i loro impianti di produzione in Cina e nel sud-est asiatico. È stato l'inizio di quello che è diventato un sistema commerciale basato su catene di approvvigionamento mondiali, logistica sempre più sofisticata e gestione degli inventari just-in-time.

Le catene di approvvigionamento globali offrono enormi vantaggi tra nazioni pacifiche, ma smettono di funzionare quando sono in guerra.

L'inasprimento delle relazioni commerciali tra America e Cina, il Covid e l'interruzione della logistica internazionale fanno emergere un conflitto non dichiarato. L'ambiente commerciale ha ora come sfondo una lotta geopolitica sempre più incalzante, la quale coinvolge sia la Cina che la Russia da una parte, e l'America e i suoi alleati dall'altra. In assenza di distensione, che sembra ormai una prospettiva lontana, il sistema delle filiere mondiali non può più funzionare. Devono essere riassorbite entro i confini nazionali.

Le conseguenze sono l'interruzione della fornitura di prodotti a lungo termine, l'aumento dei prezzi al consumo e l'impennata dei prezzi dell'energia già evidenziata in Europa. Se poi ci aggiungiamo un rialzo dei tassi d'interesse e la contrazione del credito bancario, abbiamo una crisi economica per l'Occidente alla quale i governi sono tenuti a rispondere creando una tempesta inflazionistica.

Questo articolo analizza queste nuove condizioni commerciali in tempo di guerra nel contesto geopolitico ed esamina le probabili conseguenze.


Lo stato del commercio mondiale si è deteriorato

C'è un presupposto generale che alla fine della fiera, forse il prossimo anno, le difficoltà delle catene di approvvigionamento saranno superate. È l'elemento principale dietro le aspettative del sistema bancario centrale: dopo l'attuale pausa che ha limitato l'offerta di prodotti, l'inflazione dei prezzi al consumo tornerà all'obiettivo del 2%. L'errore è confondere due questioni: il problema delle filiere, per le quali le condizioni sono cambiate radicalmente, e il potere d'acquisto in calo delle valute fiat. Tuttavia le prospettive d'inflazione sono legate alle prospettive commerciali.

Non c'è dubbio che l'inflazione dei prezzi a livello di produttori e consumatori, che riflette il calo del potere d'acquisto delle valute, sia fuori controllo. A Jackson Hole il presidente della FED, Jay Powell, lo ha ammesso: ha minimizzato le prove di una recessione e ha dato la priorità agli sforzi della FED nell'affrontare il problema dell'inflazione.

La ripresa dell'inflazione dei prezzi pone fine a un calo di quarantadue anni dei tassi d'interesse e dei rendimenti obbligazionari. Quasi sicuramente siamo entrati in una nuova fase di rialzo dei tassi d'interesse. Un piccolo aumento in una tendenza al ribasso a lungo termine è una cosa, ma quella di adesso è una forza oscura di entità molto maggiore. Il seguente grafico, del rendimento del decennale statunitense, probabilmente il benchmark più seguito dagli investitori del mercato obbligazionario nazionale e internazionale, ci conferma che è stato raggiunto un punto di svolta importante.

Dopo aver raggiunto il picco del 15,84% il 30 settembre 1981, il rendimento di questo benchmark ha quindi iniziato il suo declino a lungo termine. E quando il rendimento è salito di tanto in tanto, non ha mai violato la linea di tendenza al ribasso, evidenziata da quattro punti di contatto principali (indicati da una freccia). Tale tendenza al ribasso era solida, almeno fino a quando il rendimento non è salito al di sopra di essa all'inizio del giugno scorso. E dopo averlo fatto, l'ha ritestata e ora è destinata a liberarsi e riflettere correttamente un indice dei prezzi al consumo che si avvicina al 10% annuo.

Sia l'analisi tecnica che la realtà ci dicono che stiamo entrando in una nuova era di rendimenti obbligazionari e tassi d'interesse in aumento. E con la fine della loro era di declino, l'aumento dei tassi d'interesse e dei rendimenti obbligazionari confermerà anche che il lungo periodo di finanziarizzazione economica dell'America è terminato. Di conseguenza possiamo aspettarci valori in calo nell'intero spettro delle attività finanziarie. I fattori che hanno portato l'indice S&P 500 a salire da meno di 100 negli anni '80 a 4.800 lo scorso dicembre si stanno ora invertendo.

Questi fattori che guidano Wall Street, trovano eco in altri centri finanziari. Porteranno a spostamenti imprevedibili di capitale da obbligazioni e azioni verso le valute. La delocalizzazione della produzione, quando è avvenuta la finanziarizzazione dell'America, si invertirà. Il capitale migrerà dalle attività finanziarie alla produzione.

La transizione sarà enormemente dirompente. Incapaci di assorbire maggiori oneri finanziari, le imprese falliranno e ci saranno anche fallimenti nel sistema finanziario globale. Le finanze pubbliche subiranno un duro colpo, poiché l'aumento degli impegni per il welfare e il calo delle entrate fiscali faranno salire alle stelle i disavanzi di bilancio. E i politici, sempre alla ricerca del percorso di minor resistenza, sanno solo spendere, spendere, spendere.

"Gli affari di tutti non sono affari di nessuno", un monito a cui i politici avrebbero dovuto dar retta, ma ormai il genio è fuori dalla lampada. Ora sono politicamente e legalmente impegnati a distruggere le loro valute nei loro ultimi tentativi di accontentare tutti. E mentre le valute fiat di disintegrano, il capitale che non viene distrutto dal calo dei valori delle attività finanziarie finirà senza dubbio in materie prime, asset/valute di riserva e nel finanziamento delle nuove catene di approvvigionamento. Sarà una nuova tendenza, una che invertirà quella degli ultimi quarant'anni.

Ho già scritto delle dinamiche dietro questo nuovo mondo: l'incapacità del sistema bancario mondiale di resistere alla tempesta, gli errori che i politici dell'alleanza occidentale hanno commesso nel pungolare l'orso russo e il destino delle nazioni che si sono messe nelle mani di banchieri centrali i quali mostrano livelli sorprendenti d'ignoranza economica. Ora dobbiamo passare alla questione del commercio.


La legge del vantaggio comparato

Prima di prendere in considerazione le conseguenze del commercio che perde le sue catene di approvvigionamento internazionali, val la pena di ricordare perché il libero scambio ci avvantaggia.

Quando le aziende con sede negli Stati Uniti e altre hanno spostato la produzione e l'approvvigionamento di componenti nell'Asia orientale, ciò è andato a vantaggio dei consumatori e ha permesso loro di godere di uno standard di vita migliore. Mettete da parte la questione emotiva dei confini nazionali e i benefici diventano ancora più evidenti. Questo punto venne originariamente descritto oltre 200 anni fa dall'economista David Ricardo: il vantaggio comparato.

Illustrò il suo punto confrontando il costo della produzione di vino e stoffa in Portogallo e Inghilterra. Sosteneva che, poiché era più economico produrre vino in Portogallo che in Inghilterra e meno costoso produrre stoffa in Inghilterra che in Portogallo, non aveva senso per l'Inghilterra impiegare risorse di manodopera per produrre vino e per il Portogallo impiegare manodopera per produrre stoffa. Pertanto aveva senso che gli inglesi comprassero vino portoghese e che i portoghesi comprassero stoffa inglese.

La stessa logica si applica agli esempi meno ovvi. Un residente nello stato di New York ha una scelta di prodotti nei negozi, alcuni fabbricati all'interno dello stato e prodotti comparabili fabbricati in altri stati. Ci aspetteremmo che il newyorkese compri ciò che ritiene sia il migliore per i suoi scopi, indipendentemente da dove venga prodotto in America. E se un numero sufficiente di americani in tutta la nazione esprime una preferenza per un particolare prodotto fabbricato, ad esempio nella Carolina del Nord, ha senso che quel produttore dedichi più risorse alla sua produzione. Allo stesso modo, se le vendite di un prodotto concorrente fabbricato a New York non riescono a sfondare, allora quel produttore deve modificare e migliorare il suo prodotto o riallocare le sue risorse di capitale per fare qualcos'altro. Le scelte dei clienti inviano segnali a entrambi i produttori e in base a essi dovrebbero agire.

In un'economia ben funzionante, il cliente è sempre il re. I produttori di beni e servizi devono dedicarsi alla soddisfazione dei propri clienti, rispondendo alle loro attuali richieste e anticipando i loro bisogni futuri, indipendentemente dalla loro ubicazione relativa. Produttori e clienti sono riuniti da distributori, grossisti e dettaglianti che competono anche tra loro.

A parte lo sciovinismo, non c'è alcuna differenza tra un newyorkese che acquista un prodotto dalla Carolina del Nord o dalla Cina, dall'Europa o dal Giappone. Si applica ancora la regola del vantaggio comparato. Ognuno dovrebbe essere libero di fare ciò che vuole. È solo seguendo i principi alla base del commercio che si massimizza la concorrenza da cui tutti traggono vantaggio. Ed è stato proprio nell'intento di offrire il meglio dei vantaggi comparati che grandi e piccole aziende hanno spostato la produzione in Cina e nell'Asia orientale e hanno sviluppato catene di approvvigionamento complementari.

Non è mai compito dello stato intervenire o influenzare le scelte fatte dai consumatori, ma è compito delle imprese a scopo di lucro soddisfarle.


I vantaggi commerciali ora si sono invertiti

Una delle conseguenze dell'eccessiva regolamentazione delle imprese e dell'aumento delle tasse è che arriva un punto in cui abbandoneranno una cultura familiare e si ritaglieranno un futuro altrove. Dagli anni '80, questa è stata la storia tra l'America e l'Asia orientale. Di fronte alla burocrazia americana che non attribuisce alcun valore al tempo, le aziende statunitensi hanno costruito fabbriche altamente automatizzate ovunque tra Cina e Indonesia nella metà del tempo che avrebbe richiesto avviare un'operazione simile negli Stati Uniti. Inserite questi fatti in un calcolo aziendale, aggiungiete la disponibilità di manodopera a basso costo pronta a lavorare più ore senza sindacati e non c'è da sorprendersi che questa sia una proposta di gran lunga migliore rispetto a un'operazione simile in America – o in Europa, Giappone, o Corea del Sud del resto.

Negli ultimi quarant'anni il dividendo della pace degli anni post-comunisti ha portato la Cina e il sud-est asiatico a diventare il produttore mondiale. E con la crescita della capacità produttiva di quella regione, è cresciuta anche l'esternalizzazione della produzione come alternativa alla creazione di proprie strutture. Questo processo era diventato così efficiente che l'impronta domestica di molti produttori statunitensi si è ridotta a poco più che centri di progettazione e distribuzione, ulteriormente rafforzati dalla gestione degli inventari just-in-time e da una logistica sofisticata che legava tutto insieme.

Inoltre il deficit commerciale degli Stati Uniti ha assicurato che i dollari finissero in mani straniere, avvalorando il suo ruolo di valuta di riserva mondiale e proteggendone il potere d'acquisto. Come ha sottolineato l'economista Robert Triffin decenni prima, era necessario che l'America avesse deficit commerciali per soddisfare la domanda di dollari esportati e affinché fungessero da valuta di riserva. Gli accordi commerciali con la Cina e il sud-est asiatico hanno fatto proprio questo: la bilancia dei pagamenti americana era protetta dal desiderio di detenere dollari invece di venderli sui mercati. E i partner commerciali americani hanno finanziato gran parte del deficit di bilancio degli Stati Uniti.

I vantaggi per il consumatore statunitense sono stati enormi, così come per il governo. I beni a basso costo hanno consentito ai consumatori di vivere al di sopra dei loro mezzi, mentre il governo federale è stato in grado di spendere più di quanto riceveva in tasse senza alimentare l'inflazione interna dei prezzi al consumo.

Poi sono intervenuti i politici. Il presidente Trump era sconvolto dalla perdita di posti di lavoro negli Stati Uniti, sostenendo che la Cina li aveva rubati attraverso pratiche sleali. Ha aumentato i dazi e imposto sanzioni sui prodotti volte a preservare il vantaggio tecnologico dell'America. Ha affermato che il deficit commerciale era la prova che la Cina avesse derubato l'America e il suo consigliere di politica economica, Peter Navarro, e il suo segretario al commercio, Wilbur Ross, erano d'accordo.

Ross era un investitore con una comprensione limitata dell'economia; Navarro invece avrebbe dovuto conoscere meglio la materia. Qualsiasi studente di economia commerciale sa che l'origine dei disavanzi commerciali è una combinazione tra disavanzo di bilancio nazionale e cambiamenti nel livello di risparmio del settore privato. Questo è il motivo per cui, in assenza di qualsiasi variazione nel tasso di risparmio, un deficit commerciale finisce per essere simile al deficit di bilancio, spesso indicata come la sindrome del doppio deficit.

La logica dietro questa identità contabile è semplice, almeno per gli economisti classici che capiscono che produciamo per consumare e che tutto il consumo deriva dalla produzione. Questa si chiama Legge di Say, che Keynes mise da parte perché intralciava la sua nuova macroeconomia, ma ciononostante definisce accuratamente come funziona la divisione del lavoro e spiega il ruolo intermedio del denaro nel trasformare la produzione in consumo di beni diversi.

Se consumatori e produttori aumentano i loro guadagni e profitti riducendo i loro risparmi e non c'è aumento delle tasse, allora stanno ovviamente spendendo più di quanto producono. Il divario deve essere colmato da ulteriori importazioni. Allo stesso modo, se trattengono la spesa aumentando così i loro risparmi, le importazioni devono diminuire per lo stesso motivo. E se il governo ha un disavanzo di bilancio, parte della sua spesa potrebbe essere direttamente sulle importazioni, o in alternativa, la spesa in eccesso rispetto alle entrate e non compensata dalla produzione porta comunque a importazioni extra. Di conseguenza il disavanzo di bilancio, con o senza la variazione dei risparmi del settore privato, equivale sempre al disavanzo commerciale.

Pertanto, se una nazione gestisce le proprie finanze in modo responsabile, importazioni ed esportazioni tenderanno a bilanciarsi. Il problema creato dal presidente Trump era il suo espresso desiderio di tagliare le tasse per stimolare l'economia senza tagliare la spesa pubblica. Il disavanzo di bilancio è aumentato durante il suo mandato, così come il disavanzo commerciale nonostante i dazi.

La guerra di Trump contro la produzione cinese ha scatenato un cataclisma. Inizialmente la Cina ha risposto in termini blandi, solo per vedere poi un'aggressione americana ancora più determinata. Le accuse secondo cui Huawei stava utilizzando la sua tecnologia 5G come backdoor per i servizi di sicurezza cinesi erano impossibili da confutare e, vere o meno, sono servite solo ad aumentare i sospetti. E la Gran Bretagna, che stava sviluppando relazioni finanziarie con la Cina, non aveva altra alternativa se non fare marcia indietro e sostenne la posizione americana portando con sé gli altri partner dell'intelligence. Gli USA hanno poi costretto la Cina ad assumere un maggiore controllo politico su Hong Kong, rinnegando lo spirito del trattato d'indipendenza quando fu ceduto dalla Gran Bretagna.

I media occidentali hanno visto questi sviluppi commerciali come una serie di azioni giustificate contro il totalitarismo e che la Cina aveva torto moralmente riguardo il trattamento riservato agli uiguri. Più precisamente, è stata un'escalation di ostilità provocate dall'America, la quale ha avuto inizio con le politiche commerciali di Trump e si è trasformata in qualcosa di più serio.

Allo stesso tempo, in seguito all'affare Skripal, le relazioni della Russia con la Gran Bretagna e altri membri dell'Occidente si sono deteriorate. È stato un percorso che ha incoraggiato Putin a voltare le spalle all'alleanza occidentale e dopo l'improvviso ritiro dell'America dall'Afghanistan e la Brexit, Putin ha visto che l'alleanza occidentale era in fuga.

Ha ritenuto che fosse il momento giusto per proteggere i confini occidentali della Russia dall'aggressione della NATO, cosa che ha portato all'invasione russa dell'Ucraina sei mesi fa. Pertanto l'alleanza NATO a guida americana si è completamente impegnata in una guerra per procura in Ucraina e in una guerra non dichiarata contro la Cina, le cui conseguenze a lungo termine, a parte l'immediata debacle sulle sanzioni, stanno cominciando a essere chiare.

Le due superpotenze asiatiche dominano in quanto a forniture di energia e materie prime del mondo e catene di approvvigionamento. In assenza di un nuova apertura e distensione, non solo i prezzi più elevati dell'energia indeboliranno le economie dell'Alleanza occidentale, ma l'intera base del loro commercio.

Come ha sottolineato Zoltan Pozsar in due recenti articoli pubblicati da Credit Suisse, il primo intitolato War and Interest Rates e il secondo, War and Industrial Policy, esistono differenze fondamentali tra i tassi d'interesse in tempo di pace e la politica industriale rispetto alla situazione attuale, dove una guerra formale tra la NATO e gli egemoni asiatici è quasi dichiarata.Il grafico sopra conferma la sua posizione riguardo i tassi d'interesse; la continua interruzione delle catene di approvvigionamento mondiali conferma la seconda.


La dipendenza dell'Occidente dalle catene di approvvigionamento estere è il suo tallone d'Achille

Insieme alla finanziarizzazione delle economie occidentali, l'era delle catene di approvvigionamento mondiali sviluppatesi negli ultimi quarant'anni è ormai giunta al termine. L'impatto sulle grandi società è grave. Apple, ad esempio, sarà costretta a ridurre la propria dipendenza dalla produzione cinese, ma trasferire i loro impianti di produzione altrove nel sud-est asiatico è tutt'altro che facile perché la creazione di nuovi impianti si basa sulla disponibilità di materiali da costruzione e attrezzature di produzione. A causa delle stesse difficoltà nelle catene di approvvigionamento, ciò sarà un problema insormontabile. Inoltre la riqualificazione del personale in altre località asiatiche richiede tempo e non è così disponibile oggi come quando Apple ha avviato i suoi piani di ricollocazione originali in siti asiatici decenni fa. Le pratiche just-in-time lasciano le aziende in questa posizione senza un cuscinetto negli inventari.

Per ragioni simili, ha senso che la Cina si assicuri l'accesso alla capacità di produzione di chip per computer a Taiwan, accesso che senza dubbio è un motivo importante per affermare che Taiwan deve essere reincorporata in una Grande Cina.

Non ci sono dubbi sul fatto che l'industria americana ora deve affrontare grandi difficoltà nel mantenere la produzione e il flusso di prodotti negli Stati Uniti. Infatti le strutture manifatturiere straniere degli Stati Uniti vengono schiacciate, un problema affrontato da tutti i membri dell'alleanza guidata dagli americani. Di conseguenza le carenze dal lato dell'offerta persisteranno e si intensificheranno, portando a un'escalation di insolvenze e disoccupazione in America, Europa e Gran Bretagna. Ma il problema più grande e più evidente delle catene di approvvigionamento è l'interruzione delle forniture di energia dalla Russia all'Europa.

In vista dell'inverno nell'emisfero settentrionale, i prezzi del gas naturale in Europa sono alle stelle. Seguendo politiche ecologiche di decarbonizzazione, l'UE è diventata dipendente da combustibili fossili provenienti da altri Paesi, in particolare dalla Russia. Questo non era un problema finché prevaleva la pace; le forniture potevano scorrere tranquillamente e venivano costruiti nuovi gasdotti dalla Russia. Ma ora che l'Europa è sul piede di una guerra finanziaria e commerciale contro la Russia, si trova di fronte a una posizione per la quale l'unica soluzione è riaprire e riavviare la propria produzione di combustibili fossili.

A parte il fatto che non c'è abbastanza tempo per aumentare la produzione di combustibili fossili nell'UE, ciò sarebbe in conflitto con gli obiettivi di diventare carbon neutral entro il 2030 o il 2035. Di fronte alla realtà, le nazioni dell'UE dovranno abbandonare completamente questi obiettivi e riabbracciare i combustibili fossili, di cui il genere umano non può fare assolutamente a meno. Inoltre le forniture di grano e fertilizzanti dall'Ucraina e dalle steppe sono gravemente interrotte, portando a prezzi alimentari molto più elevati e carenze.

È un problema che affligge anche tutte le altre nazioni dipendenti dalle catene di approvvigionamento mondiali. La Germania, ad esempio, sta scoprendo che la sua capacità di fornire sia alla Cina che alla Russia beni intermedi e prodotti finiti è ora ostacolata dalle condizioni delle proprie catenedi approvvigionamento. Tutti i flussi commerciali sono bloccati.

Nel frattempo Cina e Russia, insieme ai loro alleati nel continente eurasiatico, continueranno a raccogliere i benefici della diversità delle catene di approvvigionamento tra di loro e avranno un surplus di energia e materie prime.


Le conseguenze del ritorno a catene di approvvigionamento interne

È ovvio che la fine di oltre quarant'anni di diversificazione della filiera globale avrà un impatto importante su tutte le economie coinvolte. Per le nazioni occidentali, significherà un angosciante mix di consumatori che affrontano prezzi più alti per tutto e aziende che falliscono. La chiave di questo risultato sarà la linea di politica degli stati: metteranno a disposizione dei consumatori le risorse finanziarie per pagare i prezzi più elevati implicati dall'onshoring della produzione? Sicuramente sì.

Pertanto possiamo vedere un nuovo motivo per cui i governi occidentali aumenteranno la spesa pubblica per proteggere i produttori nel tentativo di ridurre la perdita di posti di lavoro. Senza dubbio il denaro dagli elicotteri sarà utilizzato per aiutare i consumatori in difficoltà e per sostenere l'attività economica.

Ma la situazione è considerevolmente più complessa della semplice sovvenzione alla produzione interna. Come notato in precedenza, abbiamo anche un cambiamento nella tendenza primaria dei tassi d'interesse, la quale indebolisce i prezzi degli asset, rende i piani aziendali meno redditizi e aumenta il costo del finanziamento del debito pubblico. Il trend quarantennale dell'offshoring e le condizioni finanziarie che l'hanno accompagnato si stanno invertendo.

Inoltre il credito bancario si sta già contraendo, come mostra il grafico di seguito. L'aumento dei tassi d'interesse sta rendendo i banchieri più cauti.

Sebbene inizialmente un aumento dei tassi d'interesse sia positivo per i margini di credito, questo viene rapidamente superato dalle preoccupazioni delle banche sul rischio di prestito. Oggi le banche hanno un'elevata leva finanziaria misurata dal rapporto tra attivi e patrimonio netto, pertanto, in un contesto di tassi d'interesse in aumento, le banche vorranno ridurre la propria esposizione, prevedendo un'escalation di prestiti deteriorati. A livello globale, possiamo vedere che ciò sta andando da aprile e probabilmente continuerà ad andare avanti.

Se i banchieri commerciali si rendano conto delle conseguenze di questa guerra non dichiarata alle catene di approvvigionamento è una domanda interessante. Sospetto di no, perché rispondono alle informazioni e non sono noti per essere influenzati da un'analisi del quadro generale diversa da quella delle banche centrali. E chiaramente le banche centrali hanno perso la strada: il problema dell'inflazione era del tutto inaspettato e la loro visione è ancora limitata dal loro pensiero di gruppo. Pertanto dobbiamo presumere che la fine e l'inversione dell'espansione delle catene di approvvigionamento mondiali sia un fattore aggiuntivo rispetto a quelli già previsti dai banchieri commerciali.

L'effetto sulla misura primaria della performance economica sarà fortemente negativo. I governi dovranno affrontare un PIL in forte calo ed essemdo il PIL il totale di operazioni finanziate quasi esclusivamente col credito bancario, la contrazione di quest'ultimo si rispecchierà in un PIL nominale più basso.

Poiché le banche con un elevato grado di leva finanziaria vedranno spazzato via il loro capitale a causa dei prestiti deteriorati, una crisi bancaria globale è quasi una certezza. Non è solo il crollo delle società zombi, ma anche di aziende altrimenti sane, colte dalla distruzione delle loro catene di approvvigionamento. Eppure la tentazione, anzi il dovere dei politici, sarà quello di fare tutto il necessario per salvare una situazione in rapido deterioramento. Significa che i disavanzi di bilancio pubblici saliranno alle stelle a causa dell'aumento dei costi del welfare e dei tentativi di sostenere le economie in crisi.

A meno che questi disavanzi non vengano finanziati con risparmi reali, risulteranno inflazionistici. Ma con l'aumento dei prezzi per Main Street e il calo dei valori di Wall Street, invece di risparmiare per finanziare il debito pubblico è più probabile che i consumatori scavino nei loro risparmi per effettuare acquisti invece di mantenere saldi di cassa. Ci sono prove che ciò stia già accadendo ed è stato persino definito da Jay Powell a Jackson Hole una minaccia al potere d'acquisto del dollaro, anche se non proprio in questi termini.

Quando la popolazione altera la relazione tra saldi di cassa e beni, ciò ha un effetto importante sul potere d'acquisto della valuta. La tendenza ad effettuare acquisti accelera il declino di una valuta e ci sono prove che ciò stia già accadendo. Ad esempio, solo questa settimana è stato riferito che il debito delle carte di credito nel Regno Unito ha raggiunto un record e Citibank prevede che i prezzi al consumo nel Regno Unito aumenteranno del 18% annuo il prossimo anno. Per non essere da meno, Goldman Sachs ha affermato che l'inflazione rischia di raggiungere un picco superiore al 22% se i costi energetici continueranno a salire.

Tutto ciò solleva una domanda interessante. In precedenza in questo articolo, è stato sottolineato che esiste un'identità contabile per cui, in assenza di un cambiamento nella quantità di risparmio del settore privato, un disavanzo di bilancio pubblico porta a un disavanzo commerciale. Con l'inversione delle catene di approvvigionamento mondiali e il crollo sia della produzione che della domanda dei consumatori nelle nazioni in deficit, le importazioni crolleranno mentre il deficit di bilancio aumenterà. La sindrome del doppio deficit sarà messa in discussione?

Una risposta ovvia è che mentre le importazioni crolleranno, le stesse influenze indeboliranno le esportazioni. Un altro fattore: ci si può aspettare che calerà il potere d'acquisto delle valute fiat di Paesi con disavanzi di bilancio crescenti. Ciò sarà evidenziato dall'aumento dei prezzi delle importazioni, in particolare per l'energia e le materie prime, aumentando così i disavanzi commerciali. Inoltre i prezzi più elevati costringono i consumatori a rinunciare o ad attingere ai propri risparmi. A causa della combinazione di questi fattori, i disavanzi commerciali continueranno a essere correlati ai disavanzi di bilancio, nonostante un calo della disponibilità dei prodotti e della relativa accessibilità dei consumatori ad essi.


Le conseguenze per gli stati e le loro finanze

Da quanto detto, è chiaro che non è il deficit commerciale ad essere negativo. Quando gli Stati Uniti e altri hanno spostato la produzione e l'approvvigionamento di componenti in Asia orientale ciò è andato a vantaggio dei consumatori, consentendo loro di godere di uno standard di vita migliore di quello che avrebbero potuto godere altrimenti.

Ora questa manna si sta esaurendo e i consumatori ne stanno già avvertendo gli effetti, con i prezzi dei beni importati in forte aumento e la diffusa carenza di beni in vendita. Ci sono prove che l'economia globale stia entrando in una profonda recessione, alimentata dal credito bancario che inizia a contrarsi. L'aumento dei prezzi dell'energia, con carenze aggravate dalle sanzioni contro la Russia, sta facendo aumentare i costi non solo per i consumatori, ma anche per i produttori e i fornitori di servizi. I costi dei processi ad alta intensità energetica, come la fusione di alluminio, acciaio e la produzione di cemento, aumenteranno notevolmente e la capacità degli impianti verrà interrotta.

La produzione alimentare è stata duramente colpita dalla siccità estiva e dalla perdita delle esportazioni di grano dall'Ucraina e dalle steppe russe. I costi dei fertilizzanti sono aumentati vertiginosamente per ragioni simili. Quest'inverno non sarà solo una questione di malnutrizione per gran parte del mondo, ma anche di fame per molte regioni; anche le persone nelle nazioni avanzate saranno gravemente colpite.

Oltre a fornire costi assistenziali obbligatori che aumenteranno con la recessione, è "dovere" dei governi occidentali garantire che le popolazioni siano protette il più possibile dal disastro imminente che ora incombe su di loro. Di conseguenza le loro finanze subiranno un doppio colpo dal calo delle entrate fiscali e dall'aumento della spesa pubblica. I disavanzi di bilancio aumenteranno e con essi i disavanzi commerciali, poiché le esportazioni crolleranno e i costi delle materie prime saliranno alle stelle. A differenza della crisi sanitaria, che è stata di durata limitata, la fine delle catene di approvvigionamento mondiali avrà un impatto economico prolungato e danneggerà alla grande le finanze pubbliche.

Il finanziamento di questi deficit avverrà in uno sfondo di tassi d'interesse e rendimenti obbligazionari in salita, cosa che rifletterà l'erosione del potere d'acquisto delle valute fiat. In passato il governo degli Stati Uniti ha beneficiato del finanziamento del deficit pubblico grazie agli stranieri che trattenevano i dollari guadagnati attraverso le loro esportazioni in America. Non solo questo vantaggio cesserà, ma ci si può aspettare che si inverta.

Poiché gli importatori americani hanno scelto di accumulare dollari invece di venderli in cambio delle proprie valute, il potere d'acquisto del biglietto verde è stato protetto dalle conseguenze dell'inflazione monetaria. Ciò ha portato a un accumulo di dollari e asset finanziari denominati in dollari in mani estere per un totale di $33.500 miliardi (marzo 2022, dati del Tesoro USA).

La componente titoli ammonta a $27.251 miliardi, valori che sono esposti alle conseguenze negative dell'aumento dei tassi d'interesse e dei rendimenti obbligazionari. Invece di aumentare le loro disponibilità in dollari, gli stranieri quasi certamente li venderanno solo per motivi di portafoglio. Infatti i dati mensili del Tesoro statunitense mostrano che da marzo le disponibilità di titoli a lungo termine sono scese dai $25.967 miliardi nella tabella sopra a $23.534 miliardi, un calo di $2.433 miliardi. In parte è dovuto al calo delle valutazioni di mercato, ma non c'è dubbio che la Grande Inversione sia appena iniziata...

Le conseguenze dell'inversione del sistema delle catene di approvvigionamento mondiali pone un ulteriore problema per il dollaro. Oltre che per la determinazione del prezzo delle materie prime, il dollaro viene utilizzato principalmente per la determinazione dei prezzi di trasferimento attraverso le catene di approvvigionamento mondiali. Con la morte qi quest'ultime, tale funzione verrà meno, portando a un eccesso di dollari e asset in dollari di proprietà straniera. Potrebbe non essere un problema immediato, ma lo sarà nel tempo e non ne passerà molto prima che i detentori stranieri prevedano un trend in continuo calo e accelerino le vendite di dollari e asset denominati in dollari.

Sarà estremamente difficile finanziare i disavanzi di bilancio in questo contesto.


Conclusione

La guerra commerciale contro la Cina iniziata dal presidente Trump, combinata con l'iniziativa di Putin contro l'Ucraina, ha portato alla fine delle condizioni favorevoli per il commercio globale che si sono evolute sin dagli anni '80. La combinazione dell'aumento dei tassi d'interesse e del crollo permanente delle catene di approvvigionamento mondiali è il risultato di politiche originate in Occidente.

La classe politica appare inconsapevole dell'importanza di questi sviluppi. Non vediamo prove di sufficiente competenza nemmeno nei loro consulenti economici. Sebbene alcuni analisti dell'intelligence possano essere vagamente consapevoli dell'importanza di questi sviluppi commerciali, non possiamo essere sicuri che vengano ascoltati a causa del pensiero di gruppo dominante a livello mainstream.

Queste tendenze a lungo termine tendono a essere comprese a posteriori. I politici perseguiranno linee di politica che ritengono abbiano funzionato in passato, peccato che le attuali condizioni siano mutate e i risultati saranno catastrofici. Sia loro che i banchieri centrali hanno respinto il legame tra l'espansione monetaria e la caduta del potere d'acquisto delle valute fiat. Poiché i dollari sono stati acquistati da stranieri, il suo potere d'acquisto ha retto, dando origine all'illusione che la quantità di denaro abbia poco o nulla a che fare con l'inflazione dei prezzi. Non è così. E se, come sembra certo, la risposta alla contrazione del credito bancario e al continuo fallimento delle catene di approvvigionamento è la riapertura del rubinetto monetario, ci sarà un brusco risveglio di fronte alle conseguenze inflazionistiche che ne scaturiranno.

Quando la valuta ha conservato il suo valore ieri, un simile esercizio di svalutazione domani porterà a un rapido deprezzamento, rendimenti obbligazionari più elevati, difficoltà nel finanziamento pubblico e indebolirà i valori degli asset finanziari in cui le banche centrali ripongono così tanta fiducia come indicatore del comportamento dei consumatori.

Ci avviciniamo a un inverno nell'emisfero settentrionale con i prezzi dell'energia alle stelle insieme ai prezzi dei generi alimentari. Oltre ai consumatori, le aziende grandi e piccole devono far fronte a bollette insostenibili delle utenze. Ancora indebitate per le chiusure dovute al Covid, molte aziende non sopravviveranno. Ci saranno gravi disagi per i poveri, e in particolare per gli anziani le cui pensioni non possono sostenere i prezzi più elevati per il riscaldamento e il cibo. Sarà davvero inverno, sotto tutti i punti di vista.

Nel frattempo gli antagonisti contro i quali l'America e i suoi alleati hanno puntato la loro guerra commerciale e finanziaria, rafforzeranno quasi certamente la loro determinazione contro l'Occidente. La Cina e la Russia, insieme ai loro partner asiatici, sono in una posizione economicamente molto più forte, perché è l'Occidente che perde le sue catene di approvvigionamento. La Cina soffrirà, ma non oltre quello che può sopportare. E mentre l'America vede il suo dollaro e la sua egemonia scivolare via, dobbiamo sperare che non inasprisca ulteriormente la situazione, se non altro per distrarre la sua gente dall'inflazione, dalle bancarotte, dalle banche che devono essere salvate, dalla disoccupazione e dalla povertà che il suo governo ha inflitto alla gente.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


giovedì 29 settembre 2022

La crisi energetica farà ritornare la folle stampa di denaro, ma Bitcoin può risolvere tutto questo

 

 

da Bitcoin Magazine

Nonostante fosse una catastrofe molto prevedibile, la velocità con cui si sta sviluppando la crisi energetica in Europa sembra cogliere alla sprovvista i mercati. Tutti si aspettano un inverno rigido con prezzi alle stelle, ma sembra che molti pensassero che questi problemi non si sarebbero palesati fino ai mesi invernali. Pensare in questo modo si sta rivelando un errore fatale, poiché gli effetti combinati della diminuzione dell'offerta e dei mercati che tentano di anticipare il caos si stanno traducendo in livelli di prezzo che rendono impossibile operare sui mercati.

Questa mattina è arrivata la notizia che i trading desk europei stanno affrontando richieste di margine per almeno $1.500 miliardi, poiché i prezzi si allontanano dalla liquidità disponibile nel settore energetico europeo. So che viviamo nell'era delle migliaia di miliardi lanciati dagli elicotteri, ma per mettere il tutto in prospettiva parliamo di circa il 13% della capitalizzazione di mercato totale dell'oro e 31,6 volte la capitalizzazione di mercato attuale di Bitcoin. Tutto solo per garantire che i mercati dell'energia abbiano liquidità sufficiente. E questo non tiene conto della quantità di liquidità che sarà necessaria con l'avanzare dell'anno. A un certo punto il problema della liquidità raggiungerà un momento in cui la Banca centrale europea sarà forzata a riaccendere la stampante monetaria per salvare il settore energetico. Questo potrebbe segnare un punto cardine sulla strada verso Weimar 2.0. E questo è solo in Europa, se fate una panoramica un po' più verso ovest nel Regno Unito, noterete che anche loro stanno intraprendendo un viaggio molto simile.

Liz Truss, il nuovo Primo Ministro del Regno Unito, sta già parlando di controlli sui prezzi dell'elettricità. Pronti a distribuire fino a £170 miliardi, ovvero più del 5% del PIL inglese, per tentare di alleviare il dolore che i cittadini britannici stanno provando quando vanno a pagare le bollette dell'elettricità, una tale strategia può sembrare buona agli occhi di un profano. Il nuovo Primo Ministro è qui per salvare il portafoglio del britannico medio dagli "avidi" giganti dell'elettricità e dell'energia. Tuttavia se avete un minimo di conoscenza di economia e storia, saprete che questo tipo di tentativo di controllare i prezzi non farà altro che aggravare i problemi. I prezzi stanno aumentando perché c'è l'impossibilità di fornire correttamente combustibili al mercato e a valle di ciò sta diventando più difficile fornire elettricità a prezzi ragionevoli.

Anche se politicamente può sembrare la mossa giusta da fare, cercare di controllare i prezzi sovvenzionando i costi dei consumatori, come nel caso del Regno Unito, o inevitabilmente stampando denaro per salvare i produttori di energia, come potrebbe accadere in UE, servirà solo a peggiorare la capacità di questi produttori di consegnare le loro merci al mercato. Alla fine i controlli sui prezzi si romperanno come una diga e la stampa di denaro genererà più stampa di denaro. Entrambe le azioni porteranno inevitabilmente a una maggiore inflazione dei prezzi e a maggiori sofferenze economiche. Peggio ancora, tali azioni potrebbero portare le rispettive economie a un punto in cui non c'è una quantità di denaro che tenga da consentire ai produttori di acquistare il carburante necessario per produrre e fornire elettricità. La crisi di liquidità tra i produttori europei di energia segnala le fasi iniziali di tal processo.

Questo è ciò che accade quando l'economia globale è costruita su un sistema monetario completamente disconnesso dalla realtà e quando i mercati non hanno avuto la capacità di valutare accuratamente beni e servizi per cinque decenni. A peggiorare le cose, abbiamo scoperto che i soldi facili possono essere usati come armi: prima svalutando i risparmi degli individui e poi decidendo chi può e non può usare quel denaro svalutato. Anche tagliando fuori dal mondo interi Paesi. Quando si escludono interi Paesi dal sistema monetario, in particolare Paesi relativamente potenti, essi si vendicheranno armando le proprie risorse. Oggi stiamo assistendo a questo spettacolo con la Russia che rifiuterà di vendere al mondo occidentale il suo petrolio e gas naturale se quest'ultimo non le vuole consentire di accedere alle reti monetarie e di pagamento occidentali.

Le cose stanno diventando sempre più pesanti di giorno in giorno. L'Occidente si è messo all'angolo e l'unica via d'uscita sembra essere un collasso iperinflazionistico che costringerà le persone a togliere la testa dalla sabbia e riconoscere che la classe improduttiva al comando ci sta portando alla rovina. Niente lo rende più chiaro del fatto che anche noi negli Stati Uniti d'America siamo spinti a seguire il copione dell'Europa, andando avanti con una politica energetica e monetaria assolutamente idiota.

E per quelli di voi che pensano che gli Stati Uniti siano relativamente vaccinati dalla crisi che si sta diffondendo in Europa, dovreste togliere la testa dalla sabbia. A causa della natura della nostra economia iperconnessa, siamo praticamente legati al destino dell'economia europea a causa della quantità di esposizione creditizia. I produttori di energia ed elettricità che falliscono a causa dei prezzi astronomici scateneranno un effetto domino che raggiungerà le nostre coste più velocemente di quanto molti pensano.

L'unico modo per uscire da questo pasticcio è adottare una forma di denaro che è estremamente difficile da corrompere per la classe improduttiva: Bitcoin. Una volta che Bitcoin sarà la valuta di riserva del mondo, i mercati potranno finalmente tornare ad avere prezzi reali consentendo loro di allocare correttamente il capitale, perché i costi di allocazione errata di tal capitale scarso saranno estremamente elevati. Sfortunatamente per le persone in Europa, nel Regno Unito e alla fine negli Stati Uniti, le cose peggioreranno... almeno fino a quando le persone che vivono in tali aree non si sveglieranno e comprenderanno questo semplice ma determinante fatto economico.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


mercoledì 28 settembre 2022

Una Bretton Woods asiatica?

 

 

di Alasdair Macleod

La guerra finanziaria tra la Russia, con il tacito appoggio della Cina, da una parte e l'America e i suoi alleati della NATO dall'altra, si è intensificata rapidamente. Quando Putin ha lanciato l'attacco russo all'Ucraina, era già molti passi in avanti riguardo le strategie da adottare a livello geopolitico.

Abbiamo visto fallire le sanzioni, abbiamo visto la Russia raggiungere eccedenze record nelle esportazioni, abbiamo visto il rublo diventare la valuta più forte sui cambi.

Stiamo vedendo l'Occidente entrare in un nuovo ciclo d'inflazione monetaria per pagare le bollette energetiche di tutti. L'euro, lo yen e la sterlina stanno già crollando: il dollaro sarà il prossimo. Dal punto di vista di Putin, finora le cose vanno molto bene.

La Russia ha rafforzato il suo potere sulle nazioni asiatiche, tra cui la popolosa India e Iran. Ha convinto i produttori di petrolio e gas in Medio Oriente che il loro futuro risiede nei mercati asiatici e non in Europa. Sta sovvenzionando la rivoluzione industriale asiatica con energia a prezzi scontati. Grazie alle sanzioni dell'Occidente, la Russia è sulla buona strada per confermare le previsioni di Halford Mackinder fatte oltre un secolo fa: la Russia è il vero centro geopolitico del mondo.

C'è un pezzo nel puzzle di Putin ancora da mettere in atto: un nuovo sistema monetario per proteggere la Russia e i suoi alleati dall'imminente crisi monetaria occidentale. Questo articolo sostiene che grazie all'inettitudine geopolitica dell'Occidente, Putin sta ora assemblando un nuovo sistema multi-valuta coperto dall'oro.


Sviluppi monetari passati sotto traccia

Non riportati dai media occidentali, ci sono alcuni sviluppi interessanti in Asia sul futuro delle valute. All'inizio di quest'estate, è emerso che Sergei Glazyev, un economista russo di alto livello e ministro responsabile della Commissione economica eurasiatica (EAEU), è a capo di una commissione che progettava una nuova valuta commerciale per l'Unione economica eurasiatica.

Come proposto dai media russi e dell'EAEU, la nuova valuta deve essere composta da un mix di valute nazionali e merci. È stata suggerita una determinata ponderazione per riflettere l'importanza relativa delle valute e delle materie prime coinvolte. Allo stesso tempo, la nuova valuta commerciale sarà disponibile per qualsiasi altra nazione nell'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai e per i membri in espansione dei BRICS. L'ambizione è che diventi un sostituto del dollaro in tutta l'Asia.

Più in particolare, lo scopo è quello di eliminare il dollaro per i regolamenti commerciali sulle transazioni transfrontaliere. Val la pena di notare che qualsiasi transazione in dollari si riflette nelle banche statunitensi attraverso il sistema bancario corrispondente, fornendo potenzialmente alle autorità statunitensi informazioni economiche e altre attività ritenute illegali o indesiderabili dalle stesse autorità statunitensi. Inoltre qualsiasi transazione che coinvolga dollari diventa una questione per il sistema legale statunitense, dando ai politici statunitensi l'autorità d'intervenire ovunque venga utilizzato il biglietto verde.

Oltre a rimuovere questi svantaggi, attraverso l'inclusione di un paniere di merci, sembra esserci un'accettazione che la nuova valuta commerciale debba essere più stabile in termini di potere d'acquisto rispetto al dollaro. Ciononostante non è esente da difetti. L'inclusione delle valute nazionali nel paniere non è solo una complicazione non necessaria, ma qualsiasi nazione che vi aderisca innescherà un riequilibrio globale della composizione della valuta.

Includere le valute nazionali è un suggerimento assurdo, così come suggerire che l'elemento commodity dovrebbe essere ponderato in base ai volumi degli scambi negoziati tra gli stati partecipanti. Invece una media non ponderata di energia, metalli preziosi e metalli di base avrebbe più senso, ma ancora non sarebbe abbastanza. Le ragioni sono illustrate dal seguente grafico.

Il grafico in cima mostra panieri di diverse categorie di materie prime indicizzate e prezzate in dollari. Questi panieri sono notevolmente meno volatili rispetto ai loro singoli componenti. Ad esempio, da aprile 2020 il petrolio è passato da una cifra negativa distorta a un massimo di $130, mentre il paniere energetico è aumentato solo di 6,3 volte, perché altre componenti non sono aumentate tanto quanto il petrolio greggio e alcune componenti potrebbero aumentare mentre altre potrebbero scendere. Le materie prime agricole sono costituite da cotone, legname, lana, gomma e pellami, non soggette a stagionalità indesiderate. Ma la media delle quattro categorie è notevolmente più stabile delle sue componenti (linea nera).

Ci stiamo muovendo verso la stabilità dei prezzi. Tuttavia tutte le materie prime hanno un prezzo in dollari, il che, per quanto indesiderabile, non può essere evitato. Il prezzo dell'oro risolve questo problema, perché può essere impostato rispetto alle valute partecipanti. Il prezzo delle materie prime in oro e la loro media sono mostrati nel grafico in basso.

Dal 1992 la media (linea nera) è variata tra 0,37 e 1,66, ed è attualmente a 0,82, ovvero il 18% in meno rispetto a gennaio 1992. Questo valore è stabile e anche questa bassa volatilità sarebbe inferiore se il dollaro non fosse di per sé così volatile e il prezzo dell'oro non fosse manipolato dalle autorità occidentali. Per illustrare ulteriormente questi punti, il seguente grafico mostra la volatilità del dollaro in termini di petrolio greggio.

Prima dell'abbandono di Bretton Woods nel 1971, il prezzo del petrolio non cambiava quasi mai. Da allora, misurato in oro, il dollaro ha perso il 98% del suo potere d'acquisto. Inoltre il grafico mostra che è il dollaro a essere estremamente volatile e non il petrolio, perché il prezzo di quest'ultimo in oro è relativamente costante (in calo solo del 20% rispetto al 1950), mentre in dollari è in rialzo di 33,6 volte con alcune oscillazioni selvagge.

Pertanto Glazyev dovrebbe eliminare completamente le valute dal paniere proposto e sforzarsi di prezzare un paniere di materie prime non stagionali in oro, o in alternativa fare riferimento alla nuova valuta con l'oro impostandone il rapporto giornalmente. E come confermano i grafici sopra, non ha senso usare un paniere di materie prime quotate in dollari od oro quando è molto più semplice per le nazioni EAEU, e per chiunque altro desideri partecipare alla nuova valuta commerciale, utilizzare una valuta commerciale direttamente legata al prezzo dell'oro. Si tratterebbe di una nuova versione asiatica degli accordi di Bretton Woods e non avrebbe bisogno di ulteriori aggiustamenti.

Dalle recenti dichiarazioni del presidente Putin è chiaro che ha una migliore comprensione delle valute fiat e dei problemi inflazionistici dell'Occidente rispetto agli economisti occidentali. Ha da tempo dimostrato di apprezzare il rapporto tra denaro sano/onesto, ovvero l'oro, e valuta e credito. La sua profonda conoscenza è ulteriormente dimostrata dal suo insistere affinché i "non amici" paghino l'energia in rubli, permettendo alla Russia di controllare il mezzo di scambio con cui si acquista l'energia.

In breve, Putin sembra capire che l'oro è denaro e che il resto è credito inaffidabile. Quindi perché non ordina semplicemente la creazione di una nuova valuta commerciale coperta dall'oro?


Entra in scena il nuovo gold standard di Mosca

La logica suggerisce che una valuta coperta dall'oro sarà il risultato delle deliberazioni della commissione EAEU di Glazyev, soprattutto sulla scia di un successivo annuncio da parte di Mosca di un nuovo mercato russo dei metalli preziosi.

In conformità con le sanzioni occidentali, il London Bullion Market ha rifiutato di accettare l'oro estratto e lavorato dalla Russia. È stato quindi naturale per quest'ultima proporre un nuovo mercato dell'oro con sede a Mosca e con i propri standard. È altrettanto sensato che Mosca istituisca una commissione per l'impostazione dei prezzi, replicando quella della LBMA. Ma invece di essere la base per un conto di deposito in oro non allocato supervisionato da banche russe, sarà un mercato prevalentemente fisico.

Con sede a Mosca e chiamato Moscow International Precious Metals Exchange, esso incorporerà alcune delle caratteristiche della LBMA, come buone liste di consegna con impostazioni giornaliere o due volte al giorno. Il nuovo mercato dei metalli preziosi verrà quindi promosso come una logica sostituzione della LBMA.

Ma potrebbe essere una copertura e il vero obiettivo sarebbe quello di fornire un collegamento aureo alla nuova valuta commerciale pianificata dalla commisione di Glazyev? Il tempismo suggerisce di sì, ma lo sapremo con certezza solo man mano che gli eventi andranno avanti.

Dato che la Cina è il partner a lungo termine della Russia, è probabile che l'unità standard sarà rapportata alle barre da un chilo. L'adozione dello standard cinese nel nuovo mercato dei metalli preziosi a Mosca semplificherà il rapporto con la Shanghai Gold Exchange e snellirà la fungibilità tra contratti, arbitraggio e consegna.

La geopolitica suggerisce che la proposta alla base dell'istituzione di un nuovo mercato dei metalli preziosi a Mosca si adatterà a un più ampio piano transasiatico. Non ci sono dubbi che tutto questo porterà a un cambiamento sismico nella politica dell'oro per il partenariato russo-cinese. I cinesi in particolare hanno dimostrato una pazienza infinita che si addice a una nazione con il senso della sua lunga storia e del suo destino. Putin invece, avvicinandosi ai settant'anni, non può permettersi di essere così paziente e sta dimostrando la determinazione di assicurarsi un'eredità come grande leader russo. Mentre la Cina ha mosso i primi passi nella corsa all'oro, Putin ora sta tirando la volata.

Prima dell'invasione russa dell'Ucraina, la strategia era quella di lasciare che l'Occidente facesse tutti gli errori geopolitici e finanziari. Dal suo punto di vista la lezione era chiara: i nemici della Russia finiscono per sconfiggersi da soli, come accaduto a Napoleone, Hitler e in Afghanistan dove la NATO a guida americana è stata conquistata dalla sua stessa arroganza senza che Putin dovesse alzare nemmeno un dito. Ecco perché la Russia è l'Area Cruciale dell'Isola Mondo di Mackinder. Non può essere attaccata dalla marina e i requisiti delle linee di rifornimento per gli eserciti rendono la sconfitta della Russia quasi impossibile.

Dopo l'invasione dell'Ucraina, la strategia finanziaria di Putin è diventata più aggressiva ed è potenzialmente in contrasto con la politica economica cinese. Essendo tagliato fuori dai mercati occidentali, Putin è ora proattivo, mentre la Cina che esporta loro beni rimane più cauta. Ma la Cina sa che l'Occidente trasporta i semi della propria distruzione, il che significa la fine del dollaro e delle altre principali valute fiat. Una politica economica basata sulle esportazioni sarebbe una fase transitoria.

La politica della Cina sull'oro è una polizza assicurativa contro il crollo del dollaro, rendendosi conto che non era necessario che venisse incolpata della distruzione finanziaria dell'Occidente nel caso avesse annunciato un gold standard per lo yuan. Una tale scelta sarebbe equivalsa ad una guerra finanziaria nucleare, solo un'azione da intraprendere come ultima risorsa.

Gli sviluppi in Russia hanno cambiato le carte in tavola. È chiaro ai russi, e molto probabilmente anche ai cinesi, che l'inflazione del credito sta ora spingendo il dollaro verso una crisi l'anno prossimo o due. I preparativi per proteggere il rublo e lo yuan dal crollo del dollaro devono includere una nuova valuta commerciale come banco di prova per le valute nazionali in Asia, oltre a essere impostata in modo tale da consentire agli stati membri di adottare gold standard per le proprie valute nazionali.


Il possesso di oro fisico è fondamentale

Il passaggio dalle valute fiat occidentali alle valute asiatiche coperte dall'oro richiede come minimo una significativa proprietà di lingotti d'oro. Gli unici membri, associati e partner di dialogo dell'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai e dell'EAEU le cui banche centrali non hanno aumentato le loro riserve auree sin dal fallimento della Lehman, sono molto pochi. Sin da allora, tra loro, hanno aggiunto 4.645 tonnellate alle proprie riserve, mentre tutte le altre banche centrali solo 781 tonnellate in riserve auree aggiuntive.

Ma le riserve delle banche centrali sono solo una parte della storia, poiché le nazioni gestiscono altri conti nazionali di metalli preziosi, spesso segreti, non inclusi nelle riserve ufficiali. L'appendice a questo articolo mostra perché e come la Cina ha quasi certamente accumulato una quantità non dichiarata di lingotti, circa 25.000 tonnellate nel 2002 e probabilmente tale cifra sarà più alta ora.

Dal 2002, quando lo Shanghai Gold Exchange è stato inaugurato e ai cittadini cinesi è stato permesso per la prima volta di possedere oro, il metallo giallo consegnato in mani pubbliche ha totalizzato un ammontare di oltre 20.000 tonnellate. Sebbene la maggior parte di questi siano gioielli e alcuni siano stati restituiti allo SGE sotto forma di rottami per la rifinitura, è chiaro che le autorità hanno incoraggiato i cittadini cinesi a detenere l'oro per sé stessi, che tradizionalmente in Cina è sempre stato denaro reale.

Secondo Simon Hunt di Simon Hunt Strategic Services, oltre a riserve dichiarate di 2.301 tonnellate, la Russia detiene anche lingotti d'oro nel suo Gosfund (il Fondo statale della Russia) portando le sue disponibilità fino a 12.000 tonnellate. Questa cifra è significativamente superiore alle 8.133 tonnellate dichiarate dal Tesoro degli Stati Uniti, su cui ci sono ampi dubbi sulla veridicità della sua vera quantità.

Ovviamente la partnership asiatica ha un punto di vista sull'oro molto diverso dall'egemone americano. Inoltre negli ultimi mesi le prove hanno confermato ciò che i gold bug hanno sempre affermato: la Banca dei regolamenti internazionali e le principali bullion bank, come JPMorgan Chase, hanno intensificato lo schema di repressione dei prezzi per scoraggiare la proprietà fisica dell'oro e per deviare la domanda di lingotti in conti di oro sintetico non allocati.

La segretezza che circonda la segnalazione delle riserve auree all'FMI solleva ulteriori sospetti sulla vera posizione. Inoltre ci sono contratti di locazione e swap tra banche centrali, BRI e dealer di metalli preziosi che portano a un doppio conteggio e i metalli preziosi sono registrati come in possesso dei governi e delle loro banche centrali ma sono detenuti da altre parti.

Già nel 2002, quando il prezzo dell'oro era a circa $300 l'oncia, Frank Veneroso, che come noto analista ha speso molto tempo per identificare swap e locazioni delle banche centrali, ha concluso che 10.000-15.000 tonnellate di riserve auree di governi e banche centrali erano stati affittati o scambiati, ovvero fino a quasi la metà delle riserve auree mondiali ufficiali in quel momento. Il suo discorso è disponibile sul sito web del Gold Antitrust Action Committee, ma questa è l'introduzione:

Iniziamo con una spiegazione dell'oro nelle banche e dei derivati sull'oro.

È un'idea semplice, semplice. Le banche centrali hanno lingotti d'oro in un caveau. Può essere il caveau della Banca d'Inghilterra, il caveau della FED di New York. Gli costa soldi per l'assicurazione – gli costa soldi per lo stoccaggio – e l'oro non rende alcun interesse. Guadagnano interessi sui loro titoli di stato, come i buoni del Tesoro statunitensi. Vorrebbero avere anche un ritorno sul loro oro "sterile", quindi tirano fuori i lingotti dal caveau e li prestano a una bullion bank. Quest'ultima ha una passività in oro fisico nei confronti della banca centrale, quindi, e paga interessi su questo prestito dell'1% circa. Cosa se ne fanno con quest'oro? Finisce nel loro di caveau e gli costa in stoccaggio e assicurazione? No, non pagheranno l'1% per un prestito da una banca centrale solo per ritrovarsi uno spread negativo del 2% a causa di costi di assicurazione e stoccaggio aggiuntivi sull'oro fisico. Sono intermediari: fanno soldi con l'intermediazione finanziaria. Quindi prendono l'oro fisico e lo vendono a pronti, ottenendo in cambio denaro. Mettono quei contanti in deposito o acquistano buoni del Tesoro. Ora si ritrovano un asset finanziario – non un qualcosa di fisico – sul lato degli attivi del loro bilancio che gli rende un interesse – 6% rispetto a quell'1% di costo in interessi sul prestito dalla banca centrale. Che fine ha fatto quell'oro fisico? Ebbene, quell'oro fisico finisce in una raffineria che lo fonde e lo trasforma in diversi tipi di lingotti, i quali poi finiscono nelle gioiellerie. I gioielli creati vengono venduti a privati. Ecco dove finiscono quelle barre fisiche, che finiscono per adornare le donne del mondo...

Abbiamo ottenuto, anche se grezze, stime dei prestiti in oro da più di 1/3 di tutte le bullion bank. Siamo andati da dealer di lingotti e abbiamo chiesto: "Si tratta di grandi bullion bank, medie o piccole?" Li abbiamo classificati di conseguenza e da ciò abbiamo estrapolato un ammontare totale di prestiti in oro dal nostro campione. Tale esercizio ci ha portato esattamente alla stessa conclusione di tutte le altre nostre prove e deduzioni, ovvero qualcosa come 10.000-15.000 tonnellate di oro preso in prestito.

Le scoperte di Veneroso sono state sbalorditive, ma due decenni dopo non abbiamo idea della posizione attuale. Il mercato è cambiato sostanzialmente dal 2002 e oggi si pensa che gli swap e le locazioni avvengano spesso tramite registrazioni contabili piuttosto che consegna fisica di metalli preziosi. Ma le implicazioni sono chiare: se la Russia o la Cina volessero dichiarare la loro vera posizione e si muovessero per coprire le loro valute con l'oro, o collegarle all'oro in modo credibile, sarebbe catastrofico per il dollaro e le valute fiat occidentali in generale. Si tratterebbe di una massiccia pressione ribassista sulla politica occidentale di lunga data riguardo il prezzo dell'oro. E ricordate che l'oro è denaro, mentre il resto è credito, come disse John Pierpont Morgan nel 1912. Non stava esprimendo solo la sua opinione, ma un fatto conclamato.

In una crisi finanziaria, la manipolazione dei mercati dei metalli preziosi andata avanti sin dagli anni '70 corre un rischio significativo di svanire. Lo squilibrio nelle disponibilità di lingotti tra il campo russo/cinese e l'Occidente genererebbe l'equivalente di un evento nucleare finanziario. Questo è il motivo per cui è così importante capire che invece di essere una polizza assicurativa di lunga durata, la pianificazione di una nuova valuta commerciale per le nazioni asiatiche, in coincidenza con l'introduzione di un nuovo gold standard a Mosca, sta anticipando gli sviluppi finanziari in Occidente. Stando così le cose, sta per essere lanciata una bomba nucleare finanziaria.


Appendice


La politica cinese sull'oro

La Cina ha compiuto il suo primo passo verso l'eventuale dominio del mercato dell'oro nel giugno 1983, quando le norme sul controllo dell'oro e dell'argento furono approvate dal Consiglio di Stato. I seguenti articoli espongono gli obiettivi in ​​modo molto chiaro:

Articolo 1. Il presente Regolamento è formulato per rafforzare il controllo sull'oro e l'argento, per garantire il fabbisogno di oro e argento dello Stato, per il suo sviluppo economico e per bandire il contrabbando di oro e argento e le attività di speculazione e lucro.

Articolo 3. Lo Stato perseguirà una politica di controllo unificato, acquisto monopolistico e distribuzione di oro e argento. Le entrate e le spese complessive in oro e argento degli organi statali, delle forze armate, delle organizzazioni, delle scuole, delle imprese statali, delle istituzioni e delle organizzazioni economiche collettive urbane e rurali (di seguito denominate unità domestiche) devono essere incorporate nel piano statale per la incassi e spese di oro e argento.

Articolo 4. La Banca popolare cinese è l'organo statale responsabile del controllo dell'oro e dell'argento nella Repubblica popolare cinese.

Articolo 5. Tutto l'oro e l'argento detenuti dalle unità domestiche, ad eccezione delle materie prime, delle attrezzature, degli utensili domestici e dei souvenir che la Banca popolare cinese ha autorizzato a conservare, devono essere venduti alla Banca popolare cinese. L'oro e l'argento non possono essere smaltiti o conservati personalmente senza autorizzazione.

Articolo 6. Tutto l'oro e l'argento legalmente acquisiti da individui sono sotto la protezione dello Stato.

Articolo 8. Tutti gli acquisti di oro e argento devono essere effettuati tramite la Banca popolare cinese. Nessuna unità o individuo potrà acquistare oro e argento a meno che non sia autorizzato o incaricato in tal senso dalla Banca popolare cinese.

Articolo 12. Tutto l'oro e l'argento venduti da privati ​​devono essere venduti alla Banca popolare cinese.

Articolo 25. Nessuna restrizione è imposta alla quantità di oro e argento introdotta nella Repubblica popolare cinese, ma la dichiarazione e la registrazione devono essere presentate alle autorità doganali della Repubblica popolare cinese al momento dell'ingresso.

Articolo 26. Ispezione e sdoganamento da parte della Dogana della Repubblica popolare cinese di oro e argento prelevato o ripreso all'estero sono effettuati in conformità dell'importo indicato sul certificato rilasciato dalla Banca popolare cinese o sulla dichiarazione originale e sul modulo di registrazione all'ingresso. Tutto l'oro e l'argento sprovvisti di certificato di copertura o eccedenti l'importo dichiarato e registrato all'ingresso non possono essere portati fuori dal Paese.

Questi articoli chiariscono che solo la Banca popolare cinese era autorizzata ad acquistare o vendere oro per conto dello stato, senza limitazioni, e che i cittadini che possedevano o acquistavano oro non erano autorizzati a farlo e dovevano venderlo alla PBOC.

Inoltre la Cina ha sviluppato la sua produzione di miniere d'oro indipendentemente dai costi, diventando di gran lunga il più grande produttore al mondo. Le raffinerie statali raffinano questo oro insieme al doré importato da altrove. Praticamente niente di questo oro lascia la Cina, cosicché il metallo giallo posseduto oggi tra lo stato e gli individui continua ad accumularsi.

Gli articoli sopra citati hanno formalizzato il monopolio dello stato su tutto l'oro e l'argento che passa attraverso la Banca popolare cinese; viene consentita la libera importazione di oro e argento, ma si tiene sotto stretto controllo le esportazioni. L'intento alla base di quegli articoli non è quello di stabilire o consentire il libero scambio di oro e argento, ma di controllarli nell'interesse dello stato.

Stando così le cose, la crescita delle importazioni cinesi di oro registrate come consegne al pubblico sin dal 2002, quando è stata istituita la borsa dell'oro di Shanghai e alla popolazione è stato quindi permesso di acquistare oro, è solo la prova più recente di un atto politico intrapreso trentanove anni fa. La Cina aveva accumulato oro per diciannove anni prima di consentire ai suoi cittadini di acquistarlo. Inoltre i lingotti erano disponibili, perché in diciassette di quei suddetti diciannove anni, l'oro si trovava in un mercato ribassista alimentato da un'offerta proveniente dalle cessioni delle banche centrali, dal leasing e dall'aumento della produzione mineraria, che secondo me ammontavano a circa 59.000 tonnellate. I due maggiori acquirenti di tutto questo oro sono stati Medio Oriente e il governo cinese, con una domanda aggiuntiva identificata tra India e Turchia. La composizione di tali fonti e la probabile domanda sono individuate nella tabella seguente.

In un altro contesto, il costo delle 25.000 tonnellate di oro della Cina equivale a circa il 10% delle sue esportazioni nel periodo sopraccitato e gli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta in particolare hanno visto anche enormi afflussi di capitali quando le multinazionali stavano costruendo fabbriche in Cina. Tuttavia l'accumulo di oro della Cina è nella migliore delle ipotesi un'ipotesi ben elaborata. Ma data la determinazione dello stato ad acquisire oro espressa nei regolamenti del 1983 e dalle sue successive azioni, è chiaro che la Cina abbia accumulato una significativa scorta non dichiarata nel 2002.

Finora i piani a lungo termine della Cina per l'acquisizione di oro hanno raggiunto obiettivi importanti. Ad oggi, le consegne aggiuntive al pubblico tramite lo SGE ammontano a oltre 20.000 tonnellate.


Le motivazioni della Cina

I motivi della Cina per prendere il controllo del mercato dei lingotti d'oro si sono evoluti. I regolamenti del 1983 hanno senso come parte di un piano lungimirante per garantire che alcuni dei benefici dell'industrializzazione si accumulassero come un bene nazionale privo di rischi. Questo ragionamento è simile a quello delle nazioni arabe che hanno capitalizzato la manna del prezzo del petrolio solo dieci anni prima, cosa che le ha portate ad accumulare il loro tesoretto a beneficio delle generazioni future. Tuttavia, col passare del tempo, il mondo è cambiato sia economicamente che politicamente.

Il 2002 è stato un anno significativo per la Cina, quando sono entrate in scena considerazioni geopolitiche. Non solo la Banca popolare cinese ha istituito lo Shanghai Gold Exchange per facilitare le consegne agli investitori privati, ma quello fu l'anno in cui l'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai adottò formalmente il suo statuto. La fusione di sicurezza ed interessi economici ha legato Russia e Cina, insieme a un certo numero di stati asiatici ricchi di risorse, in un blocco economico. Quando si uniranno anche India, Iran, Mongolia, Afghanistan e Pakistan, la SCO coprirà più della metà della popolazione mondiale. E inevitabilmente i membri della SCO sono alla ricerca di un sistema di settlement commerciale alternativo al dollaro.

Ad un certo punto la Cina con il suo partner SCO, la Russia, potrebbe far salire il prezzo dell'oro come parte di una strategia monetaria. Da un punto di vista economico il possesso di oro a un prezzo corretto darà loro un dominio finanziario sul commercio globale in un momento in cui le valute fiat si stanno disintegrando, o più semplicemente non ha senso possedere un asset soppresso il valore per sempre. Dal 2002 si è sviluppata anche una tesi geopolitica: sia la Cina che la Russia, avendo inizialmente voluto abbracciare il capitalismo americano e quello dell'Europa occidentale, non hanno più cercato di farlo, vedendoci invece come deboli nemici. La popolazione cinese è stato quindi incoraggiata, anche dalla pubblicità del servizio pubblico, ad acquistare oro, contribuendo a spogliare l'occidente delle sue rimanenti scorte di metalli preziosi e a fornire liquidità al mercato in Cina.

Ciò che è veramente sorprendente è che l'establishment economico e politico occidentale abbia respinto l'importanza dell'oro e ignorato tutti i segnali di avvertimento. Non sembrano rendersi conto del potere che hanno dato a Cina e Russia di creare il caos finanziario come conseguenza della repressione del prezzo dell'oro. È solo una questione di tempo e poi il sistema a riserva frazionaria dei conti in oro non allocati a Londra crollerà, lasciando Shanghai come l'unico grande mercato fisico.

Questo è probabilmente l'ultimo anello della strategia di lunga data della Cina e, attraverso di essa, un dominio pianificato dell'economia globale in collaborazione con la Russia e le altre nazioni della SCO. Ma come notato sopra, solo gli eventi recenti hanno portato avanti questo esito.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


martedì 27 settembre 2022

La regina è morta, ma lo è anche il Regno Unito?

 

 

di Tom Luongo

L'ultimo articolo che ho scritto era un pezzo feroce sul nuovo Primo Ministro del Regno Unito Liz Truss. Lei è tutto ciò che ho detto che è, purtroppo è stata anche la scelta migliore tra i Tory per portare potenzialmente la Brexit alla sua piena realizzazione.

La regina Elisabetta II alla fine ha dovuto rinunciare alle sue spoglie mortali e sebbene possiate dire quello che volete sulla corona britannica e sulla sua perfidia nel corso dei secoli, Elisabetta era qualcosa di diverso.

Non sono un fan delle teste coronate e nemmeno un fan degli inglesi a livello geopolitico. Ho detto peste e corna contro i loro atteggiamenti provinciali verso tutte le loro ex-colonie. L'aristocrazia britannica è corrotta e popolata da corrotti come qualsiasi gruppo di persone nella storia umana.

E molti dei corrotti che ha sponsorizzato non hanno intenzione di rinunciare al loro potere. Da qui il disordine che vediamo in Europa e nel Regno Unito.

Nonostante tutte le critiche che rivolgo al nostro governo in quanto al soldo e al servizio di attori stranieri, riconosco che il Regno Unito sta affrontando lo stesso problema.

Ma detto questo, ho una visione più equilibrata su Elisabetta II e questa mattina non ballerò sulla sua tomba. Infatti vi ricorderò i tanti post che ho scritto nel 2018-19 sulla Brexit, Johnson e Trump che hanno riportato la Regina sullo scacchiere mondiale per aiutarci a uscire dalla crisi in cui ci troviamo ora.

La corona britannica è stata un pezzo catturato per generazioni dai globalisti e dai comunisti britannici, ma mi sto ripetendo. Hanno dominato la politica estera e interna britannica per decenni.

E se c'è una cosa che sappiamo su Elisabetta: odia i comunisti.

Purtroppo la nostra speranza ha subito un duro colpo quando la cricca di Davos ha rubato le elezioni del 2020 e ha distrutto l'asse del potere Trump/Johnson/Elisabetta. Chi pensate sia stato davvero il bersaglio del COVID?

Noi? La plebe? No, era la FED, Trump e la Regina. La cricca di Davos ne ha presi due su tre. Non male, come dice la canzone, ma senza tutti e tre non può vincere.

Questa è la parte più importante della storia di Elisabetta: come regina sosteneva la Brexit. Dite quello che volete su ciò che la Brexit ha scatenato, sui molteplici vuoti di potere che ha creato e sulla confusione di chi ha cercato di trarne profitto, alla fine è stata un'immensa dichiarazione di sovranità popolare che ha sconvolto il mondo.

Solo su questo tema la regina Elisabetta II ha messo in risalto l'analisi tagliente di Hans Hoppe di 20 anni fa nel suo libro Democracy, the God that Falled: per quanto sia brutta, la monarchia è una forma di governo superiore alla democrazia, perché almeno il monarca ha un diritto di proprietà sulla sua gente.

Mentre in democrazia è solo una grande tragedia dei beni comuni e di tutta la corruzione, l'accidia e la banalità che implica, la corona almeno pretende di rappresentare qualcosa. E sostenendo la Brexit, Elisabetta ha sostenuto il suo popolo contro gli sciacalli in Parlamento, nella Camera dei Lord e nella burocrazia inglese.

Trump ha capito che Elisabetta non era con la cricca Davos e la Brexit è l'occasione per cambiare davvero la dinamica non solo tra Stati Uniti e Regno Unito, ma anche tra questi ultimi due e Russia/Cina.

C'era un'opportunità per un accordo con loro a nome del Sud del mondo ed evitare la crisi in cui ci troviamo in questo momento.

Anche Elisabetta l'aveva capito, ma per lo più non è riuscita a fermare il treno perché il governo del Regno Unito e la sua aristocrazia sono un pozzo nero.

Anche Trump l'ha capito che Carlo è una figura compromessa. I dossier su di lui sono più che spessi da garantire che faccia come gli viene detto.

Elisabetta, d'altra parte, non era la leccapiedi di nessuno; ciò non significa che fosse una figura eroica che dovremmo glorificare. Le persone sono complicate, le storie non sono mai semplici e asciutte come vorremmo che fossero. E Carlo sta salendo al trono.

Vedo la Corona britannica allo stesso modo in cui vedo il Vaticano: corrotto e il potere che esercita sfruttato nel corso dei secoli per definire i "loro d'interessi". Avrete notato come hanno corrotto gli Stati Uniti con questa stessa idea di "interessi".

La mentalità imperiale è una delle cose più appiccicose nel comportamento umano, ma a un certo punto la pura sopravvivenza prende il sopravvento e il pragmatismo vince su tutte quelle vecchie ambizioni e macchinazioni. Il problema è che gli sciacalli hanno indebolito tutto al punto da far avanzare e mettere ai posti di comando le persone peggiori.

Di conseguenza, quando Trump ha "perso", è stata allestita la scena per eliminare Johnson e invertire la Brexit. La cricca di Davos ha fatto la sua mossa contro Johnson quest'estate perché, come mi ha ricordato Alex Krainer in una e-mail l'altro giorno, è il governo britannico a gestire il Paese, non il Parlamento.

Questo era il motivo per cui Marc Sedwill era sia segretario di gabinetto che capo del servizio civile sotto Theresa May ed era così pericoloso. Era lui il Primo Ministro, dirigendo i negoziati sulla Brexit seguendo gli ordini della cricca di Davos.

È anche il motivo per cui Johnson lo ha licenziato, poiché la prima cosa che ha fatto quando ha ricoperto la carica di primo ministro è stata la dichiarazione definitiva della sua posizione sulla Brexit, sulla regina e sul Regno Unito come nazione sovrana.

Il potere di Sedwill e il tradimento del Regno Unito hanno mostrato cosa c'era davvero nell'accordo sulla Brexit che la May aveva negoziato, lasciando a Johnson il compito di rimettere a posto il caos creato. Una delle cose che ha lasciato era il Protocollo dell'Irlanda del Nord.

È stata Elisabetta a spingere per la distruzione della May e l'ascesa di Johnson. Niente di tutto ciò giustifica le loro attività in Ucraina, ovviamente, ma questa è un'altra questione.

La cricca di Davos voleva che Johnson se ne andasse, perché vuole che la Brexit venga indebolita. Il Protocollo dell'Irlanda del Nord è la chiave di tutto questo: c'è una disposizione nell'accordo della Brexit in cui suddetto protocollo scadrà tra un paio di settimane; c'era un limite di tempo di due anni e se il Regno Unito non pensa che l'UE agisca in buona fede (o altro) potrebbe cancellarlo e sarebbe quindi responsabile dei valichi di frontiera.

Al contrario, se il sopraccitato protocollo rimane in vigore, l'UE fisserà comunque la politica commerciale per il Regno Unito. Sunak avrebbe dovuto vincere e assicurarsi che il Regno Unito avesse negoziato al ribasso.

Liz Truss è stata in prima linea nel promuovere la legge, ora al vaglio della Camera dei Lord, che invocherebbe quell'articolo all'interno dell'accordo Brexit e porrebbe fine alla lotta sull'Irlanda del Nord.

Quindi questo è il problema su cui pende la Brexit. Ecco perché la cricca di Davos non vedeva l'ora che Liz venisse eliminata prima di rimuovere Johnson e creare una lotta all'interno dei Tory per il controllo del partito.

Ecco perché Johnson continuava a dire che avrebbero dovuto rimuoverlo fisicamente dall'incarico. Alla fine BoJo potrebbe essere stato un clown, ma sembra che fosse, a conti fatti, un patriota.

L'obiettivo era che la cricca di Davos ottenesse il suo nuovo Tony Blair dalla pelle scura: Rishi Sunak.

Ha fallito.

E penso che Elisabetta abbia resistito abbastanza a lungo da portare a termine tutto questo, affinché il Regno Unito fosse indipendente dall'Europa e ristabilisse la sua sovranità.

Truss sembra quindi un contrappeso alla chiara alleanza di Carlo con la cricca di Davos riguardo il cambiamento climatico e il Grande Reset. Poi, beh, potrebbe sorprenderci ora che ha la corona, ma non farò ulteriori ipotesi su questo punto.

Il percorso per farlo è avere i nazionalisti al controllo del gabinetto che, a loro volta, controllano il Parlamento e l'Amministrazione di stato.

Tutta questa analisi dipende da come Truss gestirà l'Irlanda del Nord. Se mantiene la sua posizione e vince, allora quanto sopra è corretto e alla fine si raggiungerà la Brexit. L'eredità di Elisabetta sarà preservata.

Se rinuncia in stile Theresa May, il Regno Unito verrà fatto a pezzi da Bruxelles/cricca di Davos per depredarla. Ricordate, affinché il piano di Schwab riesca, tutti devono obbedire. Se solo l'Europa viene distrutta, non vince altro che la denigrazione storica.

Ricordate cosa ho detto su Elisabetta che odia i comunisti?

Ora, per quanto riguarda la Truss, se inizia a fare marcia indietro sul fronte della politica estera e concentra tutta la sua attenzione sulla politica interna, il Regno Unito potrebbe evitare parte dei danni che gli vengono fatti piovere addosso.

Se invece non lo fa e continua la folle belligeranza di Johnson contro la Russia, il futuro del Regno Unito è molto più oscuro.

Per ora i primi riscontri sono buoni. La sua revoca al divieto di fracking e di esplorazione del petrolio/gas è esattamente ciò che il Regno Unito deve fare. Metterà in secondo piano i nazionalisti scozzesi guidati da Nicola Sturgeon, aspettatevi quindi richieste sempre più stridenti per l'indipendenza scozzese nei prossimi mesi.

La Truss avrà la forza di cavalcare in questo clima tempestoso? Ne dubito, specialmente con Biden/Obama alla Casa Bianca. Tutto questo potrebbe cambiare dopo le elezioni di medio termine negli Stati Uniti e in Italia.

Allo stato attuale, Elisabetta ha fatto del suo meglio come monarca in un Paese allo sbando nel secondo dopoguerra. La marcia verso questo momento storico era al di fuori del suo controllo. Se, alla fine, è stata in grado di aiutare il Regno Unito a uscire dal caos che non ha potuto evitare, o non ha fatto abbastanza per fermare, allora la sua eredità potrà essere considerata buona.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


lunedì 26 settembre 2022

Cos'è il Grande Reset? Parte IV: capitalismo degli stakeholder & neoliberismo

 

 

di Michael Rectenwald

Qualsiasi discussione sul "capitalismo degli stakeholder" deve iniziare con il seguente paradosso: come il "neoliberismo", la sua nemesi, il "capitalismo degli stakeholder" non esiste in quanto tale. Non esiste un tale sistema economico, così come non esiste un sistema economico come il "neoliberismo". I due gemelli antipatici sono fantasmi immaginari che si scontrano l'uno contro l'altro in una lotta apparentemente infinita e frenetica.

Invece del capitalismo degli stakeholder e del neoliberismo, ci sono autori che scrivono di capitalismo e neoliberismo degli stakeholder e aziende che più o meno condividono l'opinione che le imprese abbiano obblighi nei confronti degli stakeholder oltre che nei confronti degli azionisti. Ma se Klaus Schwab e il World Economic Forum (WEF) riusciranno nel loro intento, ci saranno governi che indurranno, con le normative e la minaccia di una tassazione onerosa, le aziende a sottoscrivere la redistribuzione tra gli stakeholder.

Gli stakeholder sono “clienti, fornitori, dipendenti e comunità locali”,[1] oltre agli azionisti; ma per Klaus Schwab e il WEF, il quadro del capitalismo degli stakeholder deve essere globalizzato. Uno stakeholder è chiunque, o qualsiasi gruppo, che possa trarre vantaggio o perdere da qualsiasi comportamento aziendale, a parte i concorrenti. Poiché il pretesto principale per il Great Reset è il cambiamento climatico globale, chiunque nel mondo può essere considerato uno stakeholder nel governo societario di qualsiasi grande azienda. E le partnership pubbliche con le società che non "servono" i loro stakeholder, come il progetto Keystone Pipeline ad esempio, devono essere abbandonate. Anche la cosiddetta "equità razziale", la promozione di agende transgender e altre politiche identitarie simili, saranno iniettate negli schemi di condivisione aziendale.

Semmai il capitalismo degli stakeholder rappresenta una talpa pronta a scavare e svuotare le società dall'interno, nella misura in cui tale ideologia trovi ospiti consenzienti negli organi aziendali. Rappresenta un mezzo socialista di liquidazione della ricchezza dall'interno delle stesse organizzazioni capitaliste, utilizzando un numero qualsiasi di criteri per la ridistribuzione dei benefici e delle "esternalità".

Ma non dovete credermi sulla parola. Prendete ad esempio David Campbell, un socialista britannico (sebbene non marxista) e autore di The Failure of Marxism (1996). Dopo aver dichiarato che il marxismo aveva fallito, Campbell ha iniziato a sostenere il capitalismo degli stakeholder come mezzo per gli stessi fini. La sua discussione con il marxista ortodosso britannico Paddy Ireland, rappresenta un litigio intestino sui mezzi migliori per raggiungere il socialismo; ci fornisce anche una mappa delle menti dei socialisti, quelli determinati a seguire altre strade presumibilmente non violente.[2]

Campbell ha castigato Ireland per il suo rifiuto del capitalismo degli stakeholder. Quest'ultimo ritiene, erroneamente, ha affermato Campbell, che il capitalismo degli stakeholder è in definitiva impossibile. Nulla può interferire, a lungo termine, con l'inesorabile domanda di profitto del mercato. Le forze di mercato inevitabilmente soverchieranno qualsiasi considerazione etica, come gli interessi degli stakeholder.

Il marxismo più radicale di Ireland ha lasciato Campbell sconcertato: Ireland non si rendeva conto che il suo determinismo di mercato era esattamente ciò che i difensori del “neoliberismo” affermavano come l'inevitabile e unico mezzo sicuro per la distribuzione del benessere sociale? "Il marxismo", ha giustamente osservato Campbell, "può essere identificato con la derisione della 'riforma sociale' in quanto non rappresenta, o addirittura ostacola, 'la rivoluzione'." Come tanti marxisti antiriformisti, Ireland non ha capito che "le riforme sociali che [egli] ha deriso sono la rivoluzione".[3] Il socialismo non è altro che un movimento per cui “la pretesa necessità naturale rappresentata da imperativi 'economici' è sostituita da decisioni politiche sull'allocazione delle risorse” (corsivo mio).[4] Questo socialismo politico, in contrasto con gli epigoni ortodossi di Marx, è ciò che quest'ultimo intendeva veramente per socialismo, ci dice Campbell. Il capitalismo degli stakeholder è proprio questo: socialismo.

Ireland e Campbell hanno convenuto che l'idea stessa di capitalismo degli stakeholder deriva dal fatto che le aziende sono diventate relativamente autonome dai loro azionisti. L'idea d'indipendenza manageriale, e quindi autonomia aziendale, è stata trattata per la prima volta da Adolf A. Berle e Gardiner C. Means in The Modern Corporation and Private Property (1932), e successivamente in The Managerial Revolution di James Burnham (1962). In “Corporate Governance, Stakeholding, and the Company: Towards a Less Degenerate Capitalism?” Ireland scrive di questa presunta autonomia: “L'idea dello stakeholding è radicata nell'autonomia della 'società' dai suoi azionisti; tale autonomia [...] può essere sfruttata per garantire che le società non operino esclusivamente nell'interesse dei loro azionisti”.[5]

Questa apparente autonomia, sostiene Ireland, non è avvenuta con l'incorporazione o modifiche legali alla struttura delle società, ma con la crescita del capitalismo industriale su larga scala. La crescita del numero di azioni, e con essa l'avvento del mercato azionario, ha portato alla facile vendibilità dei titoli. Le azioni sono diventate "capitale monetario", titoli scambiabili al portatore con una percentuale di profitto e non crediti sugli asset della società. È stato a questo punto che le azioni hanno acquisito un'apparente autonomia dalle società e queste ultime dai suoi azionisti.

Inoltre, con l'emergere di questo mercato, le azioni hanno sviluppato un valore proprio del tutto indipendente, e spesso diverso, dal valore del patrimonio aziendale. Sono diventate ciò che Marx chiamava capitale fittizio, ridefinite per legge come una forma autonoma di proprietà indipendente dal patrimonio delle società. Non erano più concettualizzate come interessi equi nella proprietà dell'azienda, ma come diritti al profitto con un valore proprio, diritti che potevano essere liberamente e facilmente acquistati e venduti sul mercato [...].

Dopo aver ottenuto la loro indipendenza dal patrimonio delle società, le azioni sono emerse come oggetti legali a pieno titolo, apparentemente raddoppiando il capitale delle società per azioni. Gli asset erano ora di proprietà delle società e delle sole società, o, nel caso di società prive di personalità giuridica, tramite fiduciari. Il capitale sociale immateriale delle società, invece, è divenuto di esclusiva proprietà dei soci. Due forme di proprietà del tutto separate. Inoltre, con la costituzione giuridica della quota come forma di proprietà del tutto autonoma, è avvenuta l'esternalizzazione degli azionisti dalle società in un modo impossibile in precedenza.[6]

Così, secondo Ireland, è emersa una differenza d'interessi tra i detentori del capitale industriale e i detentori del capitale monetario, o tra le società e gli azionisti.

Tuttavia, sostiene Ireland, l'autonomia delle società è limitata dalla necessità che il capitale industriale produca un profitto. Il valore delle azioni è in definitiva determinato dalla redditività del patrimonio aziendale in uso. “Le società sono, e sempre saranno, la personificazione del capitale industriale e, come tale, soggette agli imperativi della redditività e dell'accumulo. Questi non sono vincoli imposti dall'esterno a un'entità altrimenti neutra e senza direzione, ma sono, piuttosto, intrinseci ad essa, giacciono nel cuore stesso della sua esistenza”. Questa necessità, sostiene Paddy, definisce i limiti del capitalismo degli stakeholder e la sua incapacità di autosostenersi. “La natura delle società è tale, quindi, da suggerire che [vi sono] limiti severi nella misura in cui la loro autonomia dai soci possa essere sfruttata a beneficio dei lavoratori o di altri stakeholder”.[7]

Ecco un punto su cui il “neoliberista” Milton Friedman e il marxista Paddy Ireland sarebbero stati d'accordo, nonostante l'insistenza di quest'ultimo sul fatto che la causa sia l'estrazione del “plusvalore” nel punto di produzione. E questo accordo tra Friedman e l'Irlanda è esattamente il motivo per cui Campbell ha respinto la tesi di Ireland. Un tale determinismo di mercato è necessario solo con il capitalismo, ha affermato Campbell. Le previsioni su come si comporteranno le aziende nel contesto dei mercati sono valide solo nelle attuali condizioni di mercato; cambiare le regole aziendali in modo tale da mettere in pericolo la redditività, soprattutto dall'interno verso l'esterno, è la definizione stessa di socialismo. Cambiare il modo in cui le aziende si comportano nei confronti del capitalismo degli stakeholder è rivoluzionario in sé.

Nonostante questa insormontabile impasse “neoliberista”/marxista, la nozione di capitalismo degli stakeholder ha almeno cinquant'anni. I dibattiti sull'efficacia del capitalismo degli stakeholder risalgono agli anni '80, stimolati dal rifiuto di Friedman della "corporazione animata" e che raggiunse il suo apice con "The Social Significance of the Modern Corporation" di Carl Kaysen nel 1957. Kaysen considerava la società come un'istituzione sociale che deve soppesare la redditività rispetto a una serie crescente di responsabilità sociali: “Non c'è dimostrazione di avidità; non vi è alcun tentativo di spingere sui lavoratori o sulla comunità gran parte dei costi sociali dell'impresa. La società moderna è una società piena di sentimento”.[8] Così, in Kaysen, vediamo accenni alla successiva nozione di capitalismo degli stakeholder.

Probabilmente il capitalismo degli stakeholder può essere ricondotto, sebbene non in linea diretta, all'"idealismo commerciale"[9] tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, quando Edward Bellamy e King Camp Gillette, tra gli altri, immaginarono utopie socialiste corporative attraverso l'incorporazione.[10] Per tali socialisti corporativisti, il mezzo principale per stabilire il socialismo era l'incorporazione continua di tutti i fattori di produzione. Con una tale incorporazione, si sarebbero verificate una serie di fusioni e acquisizioni fino al completamento della formazione di un unico monopolio globale, in cui tutto il "Popolo" avrebbe avuto quote uguali. Nel suo World Corporation, Gillette disse che "la mente degli affari e della finanza non vede un punto di arresto per l'assorbimento e la crescita delle aziende, tranne l'assorbimento finale di tutti i beni materiali del mondo in un unico corpo aziendale, sotto il controllo diretto di un'unica mente aziendale".[11] Un tale monopolio mondiale diventerebbe socialista grazie all'equa distribuzione delle quote tra la popolazione. Il capitalismo degli stakeholder non è all'altezza di questa equa distribuzione delle azioni, ma la aggira distribuendo valore sulla base della pressione sociale e politica.

È interessante notare che Campbell conclude la sua tesi, in modo piuttosto non dogmatico, affermando che se Friedman aveva ragione e "se questi confronti [tra azionista e capitalismo degli stakeholder] tendono a mostrare che la massimizzazione esclusiva del valore per gli azionisti è il modo ottimale per massimizzare il benessere", allora "bisogna smettere di essere socialisti".[12] Se, dopo tutto, l'obiettivo è davvero la massimizzazione del benessere umano, e il "capitalismo degli azionisti" (o "neoliberismo") si rivela il modo migliore per raggiungerlo, allora il socialismo, compreso il capitalismo degli stakeholder, deve essere necessariamente abbandonato.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://www.francescosimoncelli.com/


👉 Qui il link alla Prima Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2022/09/cose-il-grande-reset-parte-i.html

👉 Qui il link alla Seconda Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2022/09/cose-il-grande-reset-parte-ii.html

👉 Qui il link alla Terza Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2022/09/cose-il-grande-reset-parte-iii.html

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👉 Qui il link alla Sesta Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2022/10/cose-il-grande-reset-parte-vi-i-piani.html

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👉 Qui il link all'Ottava Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2022/10/cose-il-grande-reset-parte-viii-come.html

👉 Qui il link alla Nona Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2022/10/cose-il-grande-reset-parte-ix-il.html

👉 Qui il link alla Decima Parte: https://www.francescosimoncelli.com/2022/11/cose-il-grande-reset-parte-x-lagenda.html


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Note

[1] Neil Kokemuller, “Does a Corporation Have Other Stakeholders Other Than Its Shareholders?”, Chron.com, 26 ottobre 2016.

[2] David Campbell, “Towards a Less Irrelevant Socialism: Stakeholding as a ‘Reform’ of the Capitalist Economy”, Journal of Law and Society 24, no. 1 (1997): 65–84.

[3] Campbell, “Toward a Less Irrelevant Socialism”, 75 e 76, enfasi nell'originale.

[4] Campbell, “Toward a Less Irrelevant Socialism”, 76.

[5] Paddy Ireland, “Corporate Governance, Stakeholding, and the Company: Towards a Less Degenerate Capitalism?”, Journal of Law and Society 23, no. 3 (settembre 1996): 287–320, esp. 288.

[6] Paddy, “Corporate Governance, Stakeholding, and the Company”, 303.

[7] Paddy, “Corporate Governance, Stakeholding, and the Company”, 304 (entrambe le citazioni).

[8] Carl Kaysen, “The Social Significance of the Modern Corporation”, in “Papers and Proceedings of the Sixty-Eighth Annual Meeting of the American Economic Association”, ed. James Washington Bell & Gertrude Tait, special issue, American Economic Review 47, no. 2 (maggio 1957): 311–19, 314.

[9] Gib Prettyman, “Advertising, Utopia, and Commercial Idealism: The Case of King Gillette”, Prospects 24 (gennaio 1999): 231–48.

[10] Gib Prettyman, “Gilded Age Utopias of Incorporation”, Utopian Studies 12, no. 1 (2001): 19–40; Michael Rectenwald, “Libertarianism(s) versus Postmodernism and ‘Social Justice’ Ideology”, Quarterly Journal of Austrian Economics 22, no. 2 (2019): 122–38.

[11] King Camp Gillette, “World Corporation” (Boston: New England News, 1910), p. 4.

[12] Campbell, “Toward a Less Irrelevant Socialism”, 81.

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